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MARIO PEPE, Presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Il titolo del seminario odierno allude a una tematica che appare, a prima vista, principalmente tecnica: il metodo e le metodiche per una legislazione statale e regionale che operino nel rispetto dei relativi ambiti di intervento fissati dai documenti costituzionali a partire all’articolo 5 della Carta fondamentale, che il Presidente Violante ha commentato anche con un intreccio ermeneutico importante. Tale norma, tuttora attualissima nel collocare fra i principi costituitivi dell’unità e della democraticità dell’ordinamento repubblicano il metodo del decentramento amministrativo, raccoglie le istanze, sentite da più parti, di voler dar corso a tale processo di costruzione della cosiddetta cittadinanza vicina attraverso percorsi nuovi e chiaramente più incisivi nelle modalità di applicazione.
In questa direzione, il richiamo al principio di sussidiarietà appare doveroso poiché sembra coniugare positivamente le esigenze di attuazione del dettato costituzionale (di cui all’articolo 5) sia con le necessità di speditezza ed efficienza dell’azione dei pubblici poteri, imposte dal completamento del processo federalista all’interno dell’Italia e in Europa, sia con l’accordo tra le parti politiche che, sull’utilizzo di questo strumento, sembrano aver trovato un unanime consenso.
Certamente il problema presenta per il legislatore un lato tecnico assai rilevante, se non addirittura preponderante: non a caso i testi dei disegni di legge governativi sono sempre più spesso corredati di una relazione che analizza l’impatto sulla normativa e sugli assetti determinati dal quadro costituzionale e dalla legislazione di decentramento; qui si colloca l’idea di dare un ruolo più icastico al Comitato per la legislazione, che demandi ad esso in via generale la valutazione tecnica dei progetti di legge al fine di evitare quelle formulazioni tortuose che incidono poi in modo negativo e spesso irreparabile sugli stessi contenuti normativi. Potrebbe forse proporsi la possibilità di un esame di tipo preventivo e generale dei testi, che intervenga tra la fase della presentazione e quella dell’assegnazione.
Questa idea di ritagliare al Comitato per la legislazione ruolo e funzioni diverse non può comunque prescindere dall’assetto della sua struttura, che è paritetica tra componente di maggioranza e componente di opposizione, a rimarcare il significato prettamente tecnico dell’attività che il Comitato svolge. Appare al riguardo emblematico che il Comitato stesso abbia scelto recentemente di formulare i propri pareri in modo neutro, privandoli di quella unica caratterizzazione e valenza politica che precedentemente avevano. Il Comitato non rende pareri favorevoli o contrari, ma rende semplici pareri con osservazioni e/o condizioni.
L’esperienza concreta però sembra dimostrare che gli innegabili sforzi fatti e che si fanno sul piano della tecnica legislativa sono del tutto insufficienti. A monte, infatti, sussiste un problema squisitamente politico, che attiene sia alla concezione della legge sia alla forma di governo ed al ruolo della classe politica nei confronti dell’apparato burocratico. In effetti la prima questione richiama un aspetto più generale, nel quale s’imbattono, com’è noto, tutti i cittadini: l’ipertrofia della legislazione nazionale, che è un dato di fatto quantitativo, cui si accompagna una formulazione spesso poco chiara dei testi, genera un quadro di incertezza del diritto che si ripercuote anche sui legislatori regionali, che non sono in grado di conoscere i principi fondamentali, poiché essi sono quasi sempre da desumere per implicito dalle leggi cornice o addirittura dal sistema normativo nel suo complesso. Il recupero del valore "illuministico" della certezza e della chiarezza della legge è quindi un’esigenza primaria anche per salvaguardare l’autonomia e la libertà degli enti territoriali, e dunque la loro politicità.
Il secondo aspetto riguarda la struttura ed il funzionamento dei centri di decisione politica. E’ indubbio che la debolezza degli esecutivi e la loro instabilità è un fattore che si riverbera sulla scarsa qualità della legge statale e regionale. Tale debolezza si può manifestare in quattro modi diversi: con leggi che realizzano accordi politici sulla base di mediazioni meramente linguistiche e non sostanziali; con leggi che ratificano accordi di soggetti extraparlamentari; con leggi intrinsecamente contraddittorie perché in esse si stratificano emendamenti che esprimono orientamenti contraddittori; con leggi–provvedimento che servono a responsabilizzare l’apparato burocratico ovvero a supplire a disfunzioni del medesimo.
Gli esempi dell’uso distorto dello strumento normativo primario sono numerosi ed attuali: per esempio, il decreto legge n. 160, che serve a prorogare il termine fissato da un regolamento perché le modifiche del regolamento richiedono tempi più lunghi è emblematico dello stato delle cose. Quindi, probabilmente, esecutivi più stabili e forti garantiranno una migliore legislazione, riducendo nel contempo sia il potere che impropriamente viene esercitato dall’apparato burocratico sia l’inevitabile ruolo di supplenza che viene assunto dagli organi giudiziari. Per questa ragione noi crediamo che il sistema dell’elezione diretta dei presidenti delle regioni abbia aspetti positivi che si rifletteranno sulla qualità della legislazione, anche per l’attribuzione agli esecutivi regionali della potestà regolamentare. Ciò renderà, naturalmente, necessario un riequilibrio, a livello statutario, dei poteri delle assemblee elettive, che dovranno essere valorizzati per quanto attiene alla funzione di indirizzo.
In questa logica sarà necessario affrontare uno studio mirato che consenta di attuare un disboscamento razionale delle troppe leggi che affollano il panorama legislativo anche in materia regionale. In buona sostanza non sembra possibile pensare ad una nuova stagione costituente regionale tesa a sviluppare i valori di partecipazione dei cittadini alla gestione della res publica e di democrazia delle comunità se non saranno attuate, a livello regionale, politiche legislative di semplificazione dell’apparato normativo attraverso testi unici e processi di delegificazione.
L’altro aspetto su cui mi voglio soffermare brevemente riguarda il procedimento legislativo nazionale. Da un lato è auspicabile che nella prassi applicativa dei regolamenti parlamentari si escluda il ricorso alle sedi redigente e legislativa per i progetti di legge incidenti in materie di competenza regionale, dall’altro si riconosce generalmente l’esigenza di una qualche forma di innesto delle regioni nel procedimento legislativo. E’ un tema che abbiamo toccato in molteplici incontri ed è perciò un argomento abbastanza noto: infatti il principio di sussidiarietà presenta aspetti ambivalenti che giustificano sia processi di devoluzione sia processi di riaccentramento.
Fondamentale sarà dunque il momento in cui dovranno convergere le istanze politiche generali con le istanze del territorio attraverso una più marcata “parlamentarizzazione” delle regioni.
Come già abbiamo sostenuto in altre occasioni, è ineludibile ed indifferibile la creazione di un forte raccordo funzionale e organico delle regioni con il Parlamento nazionale, raccordo che, nella prospettiva di un ordinamento federale, non può che presupporre un bicameralismo rinnovato, in cui si riconosca una presenza effettiva nell’ambito della struttura e del processo legislativo nazionale alle istituzioni territoriali dotate di autonomia costituzionale. Si può convenire sulla gradualità del percorso da compiere – e a tal fine potrebbe pensarsi anche a modifiche dei regolamenti parlamentari tese a dare valore vincolante ai pareri della Commissione per le questioni regionali, che a sua volta dovrà intensificare il confronto con le regioni e tutto il sistema delle autonomie – ma non si deve porre in discussione l’obiettivo strategico in sé considerato. In conclusione, esso resta l’argomento fondamentale per rilanciare la democrazia nel nostro paese e adeguare gli assetti istituzionali alle mutate condizioni politico-culturali dell’Italia.
PRESIDENTE. Colleghi, con il vostro consenso implicito salterei il coffee break (tuttavia, chi volesse prendere un caffè può recarsi nella sala accanto) e passerei alla seconda parte.