XIII LEGISLATURA
RELAZIONE - N. 259 - 599 - 734 - 833 - 896 - 1170 - 1363 - 1938-ter - 2207-bis - 2208 - 2696 - 2838 - 3385 - 3685 - 3871 - 4624 - 5287-A
Onorevoli Colleghi! - Il testo all'attenzione
dell'Assemblea è il risultato di più di dieci anni di
elaborazione teorica e di mobilitazione sociale. Basti
sottolineare il fatto che la caratteristica di esprimere
politiche dei tempi, che attraversa ed unifica le differenti
disposizioni in esso contenute, dieci anni fa non avrebbe
trovato nel linguaggio politico neppure le parole per essere
detta.
Il cammino che oggi ci consente di nominare le politiche
dei tempi, di dare loro concretezza di norma, è stato lungo e
prima di giungere a quest'Assemblea ha attraversato il Paese,
incrociandosi con le trasformazioni sociali ed economiche più
significative dell'ultimo scorcio di secolo: la continua
crescita sia del tasso di scolarizzazione sia dell'occupazione
femminile, l'aumento della speranza di vita, la
suburbanizzazione delle residenze, le nuove opportunità
dell'informatizzazione e la riorganizzazione della produzione
industriale con lo sviluppo dell'economia diffusa, del
decentramento dei servizi e della specializzazione
flessibile.
1. Ambito di intervento normativo e rapporto con la
legislazione vigente.
Le donne cambiano i tempi.
A partire dagli anni '80, dentro i più generali processi
della modernizzazione del welfare e della frammentazione
produttiva, con le loro implicazioni positive e negative di
flessibilità e deregolamentazione crescenti, le donne per
prime hanno proclamato il diritto di ergere a principio
ordinatore di una diversa organizzazione dei tempi sociali la
libertà di scelta sottesa ad ogni progetto di vita, sostenendo
che il ciclo vitale, in tutte le sue stagioni, ha il diritto
di vedere riconosciuti i suoi tempi come esperienza piena, cui
corrispondano diritti, risorse e poteri.
Di fronte all'esigenza di un nuovo sistema di flessibilità
dei tempi sociali, compatibile con le trasformazioni del
mercato, delle città e dei bisogni individuali, esse per prime
hanno sostenuto la necessità di riconoscere ai soggetti il
potere di governarlo ed alle leggi il dovere di garantirne una
regolazione socialmente condivisa, definendo una diversa
distribuzione delle flessibilità e delle rigidità richieste ai
diversi soggetti ed ambiti di vita.
Quando nel '90 è approdata in Parlamento la prima proposta
di legge, di iniziativa popolare, che proponesse un progetto
di politica dei tempi, le donne comuniste che l'avevano
promossa potevano dunque sostenere di portare all'attenzione
delle istituzioni ben più di un testo condiviso da centinaia
di migliaia di persone; prima, durante e dopo la loro
iniziativa, all'interno del più vasto movimento delle donne,
l'analisi soggettiva e quella sociologica avevano proposto
all'attenzione della politica parole nuove per raccontare le
ricchezze e i disagi della nuova quotidianità femminile, come
doppia presenza di lavoro e di cura; parole che, approfondendo
i mutamenti del corso di vita delle donne, individuavano ed
aiutavano a comprendere processi di evoluzione sociale che
stavano trasformando l'intera società.
Facendola uscire dall'ambito privato della negoziazione
intrafamiliare, le donne avevano scelto di dare evidenza
politica all'opportunità di ciascuna di intrecciare il tempo
del lavoro, il tempo per sé ed il tempo di cura, obbligando
non più se stesse ma la comunità intera a progettare modelli
organizzativi e di servizi compatibili con il desiderio di
esistenze più ricche.
Così facendo, esse smascheravano anche il carattere
sessuato dei tempi sociali e delle loro gerarchie: il ciclo di
vita tradizionale, rigido e lineare, fatto prima di studio e
poi di lavoro, strutturato nel senso di organizzare intorno a
quest'ultimo le priorità soggettive e sociali, si era
affermato ignorando completamente il tempo della cura e della
riproduzione della specie, svolti al di fuori del tempo
sociale riconosciuto da soggetti destinati in via esclusiva a
quella funzione.
La valorizzazione sociale di quelle dimensioni del tempo
che scandivano esclusivamente i giorni e le esistenze
maschili, corrispondeva ad una divisione sessuale del lavoro
rigida ed impari, che si sosteneva sull'esclusione obbligata
delle donne dal mondo della formazione e del lavoro e sulla
volontaria rinuncia degli uomini al tempo degli affetti e
della cura.
L'ingresso delle donne nel mondo del lavoro ha messo in
crisi quel modello, imponendo una ridistribuzione dei tempi di
vita tra i sessi; lo ha fatto attraverso un percorso congiunto
di quotidiani conflitti individuali e di crescente
consapevolezza collettiva della necessità di un'organizzazione
diversa dei tempi dell'intera società.
Inoltre, ponendo al centro di analisi e proposte
l'individuo che quotidianamente ha a che fare coi vincoli, con
le opportunità e con le scelte che accompagnano la conquista
di tempi diversi, le donne hanno svelato che l'insostenibilità
soggettiva di un'organizzazione dei tempi di lavoro, degli
spazi urbani e dei servizi, disegnata sul disconoscimento di
tempi vitali per la sopravvivenza della società stessa,
costituisce in realtà la dimostrazione oggettiva della
necessità di un loro radicale ripensamento.
Negli ultimi due decenni, sono profondamente cambiati il
mercato del lavoro e le forme di produzione, per mettere a
frutto le nuove tecnologie e per meglio rispondere alle
aspettative sempre meno standardizzate dei consumatori; ma la
potente spinta economica che ha guidato e guida questa
riorganizzazione non può permettersi di riprodurre un modello
che esiga, come unica rigidità superstite, la tradizionale
divisione sessuale del lavoro.
Le donne pretendono ormai dalle proprie famiglie, dal
sistema economico e dall'organizzazione complessiva della
società il riconoscimento del loro diritto a tenere insieme
tutte le dimensioni della loro esistenza; un'esistenza che la
complessità e la pluralità dei tempi moderni destinano
inesorabilmente ad implodere o a far esplodere il vecchio
sistema di compatibilità.
E' questo il debito che il testo oggi all'attenzione
dell'Assemblea non può non riconoscere nei confronti della
proposta di legge di iniziativa popolare "Le donne cambiano i
tempi" e del dibattito nel Paese che l'ha preceduta e
accompagnata: è grazie a quel lavoro che oggi ci troviamo a
cercare la chiave di una migliore organizzazione dei tempi
sociali nel superamento di rigidità normative, nel
rafforzamento delle facoltà individuali di scelta e nella
promozione di orari dei trasporti e dei servizi più
rispondenti ai bisogni di chi ne usufruisce.
E' a quest'elaborazione che hanno attinto anche i
successivi testi di legge presentati dal gruppo del Partito
Democratico della Sinistra prima e dai Democratici di sinistra
poi.
Sia nella struttura della proposta che nei contenuti,
infatti, le diverse proposte depositate sono pervase da
quest'idea della complessità e della pluralità dei tempi
moderni e dalla volontà di contribuire a determinare un nuovo
quadro di compatibilità ed un nuovo sistema di valori.
Anch'esse, come quella di iniziativa popolare, intendono
sollecitare l'insieme delle forze sociali, economiche e
culturali ad elaborare un nuovo uso del tempo, a partire dal
tempo di lavoro. Anche se questo testo, all'attenzione
dell'Aula, non ha potuto affrontare il tema dell'orario di
lavoro che è comunque all'ordine del giorno della Commissione
Lavoro e segue un suo, separato iter parlamentare.
Allo stesso modo, è importante comprendere il ruolo
determinante esercitato dall'impianto normativo del disegno di
legge n. 4624 presentato il 3 marzo 1998 dal Governo; in quel
testo, infatti, non solo si riprendevano temi, analisi e
soluzioni della proposta di legge popolare del 1988,
ma si operava la scelta di ricollocarli in un nuovo contesto,
fortemente segnato dal dibattito europeo tra le parti sociali
in materia di formazione continua, di flessibilità dei tempi
di lavoro e di conciliazione tra tempi di lavoro e di cura.
A questi ultimi aspetti si devono la centralità acquisita
dal tema dei congedi parentali - nel confronto con la
direttiva 96/34/CE del Consiglio - e la scelta di intervenire
sulla legge n. 1204 del 1971 a tutela delle lavoratrici madri,
ma, soprattutto, il costruttivo percorso di scambio con le
parti sociali, sullo sfondo del dibattito generale sui tempi
di lavoro.
In questo modo, intorno alla tematica della realizzazione
personale e professionale dell'individuo attraverso una
diversa gestione dei tempi di vita e di lavoro, si è venuto a
creare un insieme convergente di disposizioni, che operano in
ambiti trattati normalmente in modo separato dal legislatore,
con il vantaggio di unire una forte istanza popolare, portata
a più riprese ma senza risultato all'attenzione del
Parlamento, ad una prospettiva considerevolmente innovativa in
materia di recepimento delle nuove esigenze
tecnico-organizzative del mondo del lavoro e dei nuovi bisogni
dei lavoratori e delle lavoratrici.
Ancora. E' stato anche significativo che fin dall'inizio
dell'assegnazione dei provvedimenti in Commissione si sia
colta l'unitarietà della materia e quindi ci sia stata offerta
l'opportunità di temere insieme anche nella legge ciò che fa
parte dell'esperienza quotidiana di ciascuno: e cioè che i
tempi di vita e di lavoro s'intrecciano inevitabilmente.
Tempi di cura e tempi di formazione: nuove
flessibilità.
Il primo obiettivo di questo testo è dunque quello di
favorire un governo dei propri tempi di vita da parte del
soggetto, promuovendo insieme un nuovo quadro di compatibilità
e un nuovo sistema di valori; se la società postindustriale fa
slittare il luogo principale del conflitto dalla sfera di
soddisfazione dei bisogni economici verso bisogni più generali
o globali, contemporaneamente generando una forte domanda di
flessibilità dei tempi, dei luoghi e dei modi della
produzione, una strategia sociale di conciliazione delle
esigenze economiche con i bisogni umani non deve e non può
prescindere da una forte riaffermazione della centralità del
soggetto e del suo diritto alla realizzazione di autonomi
progetti di vita.
In questi anni, soprattutto in materia di lavoro e di
formazione, si è lavorato alla creazione di regole in grado di
garantire, ad un tempo, maggiori flessibilità e più estese
garanzie, recuperando spazi per modelli formativi meno rigidi,
offrendo al mercato del lavoro nuove forme di rapporto tra le
parti.
Questa maggiore articolazione dei tempi di formazione e di
lavoro, che in modo non ancora compiuto prospetta cicli di
vita sempre meno rigidi e prevedibili, risponde alla sempre
più forte richiesta di flessibilità del mercato, ma apre anche
nuovi spazi di libertà agli individui, non più ingabbiati in
un unico lineare tempo di vita, fatto prima di formazione, poi
di lavoro ed infine di riposo.
Tuttavia, quel complesso di norme, regolando
essenzialmente i rapporti di lavoro o le forme di
qualificazione e di preparazione al lavoro, manca ancora di
due importanti elementi: il pieno riconoscimento del tempo di
cura e delle sue peculiari esigenze di autogoverno e la
considerazione del peso determinante dell'organizzazione delle
città e dei servizi sulla programmazione individuale dei tempi
di vita.
Da ciò discende, nella presente legge, il proposito di
promuovere un equilibrio socialmente sostenibile tra tempi di
lavoro, di cura, di formazione e di relazione, offrendo al
soggetto la possibilità di organizzare con maggiore autonomia
vincoli ed opportunità riferibili ad ambiti diversi.
Conciliare i tempi di cura e i tempi di lavoro.
Un nuovo patto tra gli uomini, le donne e lo Stato può
mutare la gerarchia che regola i tempi della nostra vita,
puntando sulla crescita delle libertà e dei poteri di
donne e uomini, non più separatamente considerati cittadini,
lavoratori o utenti.
Il tempo di lavoro non può prevaricare gli altri tempi
della vita; anche il tempo per la cura dei figli, per la cura
familiare hanno un valore sociale che deve essere
riconosciuto.
Oggi, invece, l'esperienza della maternità e della
paternità si trova troppo spesso in conflitto con l'impegno
lavorativo ed è vissuta come puro costo da contenere, come
ostacolo per il datore di lavoro.
Ci possono essere fasi della vita - l'avvio al lavoro,
l'uscita dal lavoro, la crescita dei figli, l'assistenza ad un
familiare anziano o ammalato - in cui un individuo ha bisogno
di ridurre il suo tempo di lavoro o di poterlo distribuire in
modo più flessibile. Il testo oggi all'esame dell'Assemblea
consente questa libertà.
Misure a sostegno della flessibilità d'orario.
Dalla conciliazione dei bisogni degli individui, delle
esigenze delle imprese e delle articolazioni del welfare
può nascere anche una nuova cultura dell'impresa e dei
servizi.
Un pieno riconoscimento dei diritti e delle libertà di
uomini e donne può divenire nei luoghi di lavoro garanzia di
maggiore impegno e di migliore professionalità: individui
completi, autonomi, capaci di esercitare il potere della
scelta e di governare i vincoli delle necessità, costituiscono
per una moderna organizzazione produttiva una risorsa di gran
lunga più preziosa dei tempi di lavoro che per le loro
esigenze sottraggono all'impresa.
L'accantonamento specifico che la legge dispone sul Fondo
per l'occupazione, in favore delle imprese che promuovono
forme di articolazione produttiva finalizzate a conciliare
tempi di vita e di lavoro, dimostra che lo Stato le considera
di sicuro vantaggio per lo sviluppo economico e sociale del
Paese; sarebbe particolarmente auspicabile un analogo
atteggiamento da parte di quelle organizzazioni
imprenditoriali che ancora guardano con una certa diffidenza a
questi nuovi strumenti di libertà dentro l'impresa.
Il testo all'esame dell'Assemblea riconosce inoltre il
lavoro di cura come tempo sociale, introducendo nuove e più
flessibili forme di permesso e di congedo ed ampliando i
diritti dei genitori naturali, adottivi o affidatari, senza
mancare di promuoverne espressamente una distribuzione più
equa tra uomini e donne, attraverso meccanismi di "premio"
alla fruizione maschile dei congedi parentali.
Si tratta di un'esplicita azione positiva in favore di una
migliore divisione dei compiti all'interno del nucleo
familiare, che offre alla coppia la possibilità di fruire di
un mese di congedo parentale in più, purché sia il padre a
farne uso.
Il diritto alla formazione.
L'introduzione di congedi formativi consente invece di
superare la rigidità della successione tra tempo dello studio
e tempo del lavoro, riconoscendo a ciascuno la possibilità ed
il diritto a distaccarsi temporaneamente dal suo lavoro per
ricominciare a studiare o per qualificarsi.
E' questo un aspetto assai qualificante del testo in
discussione: l'Italia deve colmare il deficit che la investe
nell'ambito del contesto europeo in merito agli interventi
formativi e alla loro qualità ed efficacia.
Per rendere competitiva la nostra economia è necessario
realizzare forti investimenti nel capitale umano: la
formazione è la risorsa del futuro.
In rapporto alla moderna organizzazione del lavoro, questa
norma introduce un elemento di grande innovazione funzionale,
rendendo concretamente possibile quella formazione lungo tutto
l'arco della vita che tutti considerano ormai indispensabile
per un utilizzo sociale pieno delle nuove tecnologie e per un
rafforzamento delle opportunità formative ed occupazionali per
i lavoratori.
E' questo un primo importante passo in direzione di una
riforma del welfare che moltiplichi le opportunità e
renda protagonisti delle trasformazioni i lavoratori.
Tempi delle città.
Infine, il testo predisposto dalla XI Commissione si
propone di spezzare la tirannia degli orari delle città, che
sottrae tempo e servizi a donne ed uomini; senza un governo
che ascolti chi nella città ci vive, la babele degli orari,
separatamente decisi da amministrazioni, aziende di trasporto,
scuole, negozi ed altri infiniti erogatori di servizi,
costringe il cittadino a fatiche e rinunce che limitano
pesantemente la sua autonomia.
Il testo all'attenzione dell'Assemblea, assegnando compiti
di coordinamento degli orari delle città a regioni e comuni,
chiamati rispettivamente a promuovere e a concertare piani
territoriali degli orari negoziati tra erogatori ed utenti dei
servizi, raccoglie le positive esperienze di numerose
amministrazioni locali ed assume come valore per il Paese il
principio che la società deve essere amica di chi ci vive.
Il tempo della vita si può scandire in modo più consono
alle complesse esigenze della persona e, laddove si rende
necessario, conciliare differenti esigenze, è possibile porre
la democrazia al servizio della qualità della vita.
L'impostazione del testo unificato.
Il testo all'attenzione dell'Assemblea interviene dunque
con univoca ispirazione su materie differenziate e propone in
un unico articolato disposizioni che riguardano tempi di vita
normalmente unificati solo nell'esperienza del soggetto che li
vive.
Nel confronto con la legge 1204 del 1971 sulla tutela
delle lavoratrici madri, che pure ha rappresentato negli anni
'70 uno dei momenti più alti della stagione delle riforme,
questo testo dimostra di aver saputo raccogliere
trasformazioni profonde della società italiana.
Il tempo che quella legge sottraeva al lavoro, ed al solo
lavoro dipendente, era in fondo standardizzato come quello
della produzione, disegnato su madri e figli astrattamente
omogenei nei bisogni e nei desideri.
Incontriamo qui una delle prime verità sociali cui il
testo unificato cerca di adeguare la norma: il tempo di cura è
meno rigido, meno prevedibile e molto più personalizzato del
tempo di lavoro; l'esigenza che esso porta nel mondo della
produzione è dunque quella di flessibilità capaci di assorbire
emergenze ed imprevisti e, soprattutto, maggiormente
governabili dagli individui in ragione dei loro specifici
bisogni.
Il testo unificato sviluppa strategie di conciliazione che
da un lato promuovono i mutamenti sociali positivi e
dall'altro tutelano i soggetti da quelli che positivi non
sono:
riconoscendo ad entrambi i genitori il diritto
individuale al congedo parentale per la nascita o l'adozione
di un bambino, promuove anche attraverso specifici incentivi
un modello di genitorialità piena che si va sempre più
affermando, con il diffondersi della cosiddetta "paternità
responsabile";
parificando i diritti di genitori naturali, adottivi e
affidatari, rimuove i negativi effetti di un'ingiusta
gerarchia di valori, che fortunatamente non ha più corso nel
Paese;
lasciando alla donna la scelta della distribuzione,
prima e dopo il parto, del tempo complessivo di astensione
obbligatoria dal lavoro, riconosce a ciascuna madre il diritto
di autonoma gestione di tempi così personali, pur nella
salvaguardia della salute del nascituro;
estendendo i tempi di astensione facoltativa per la cura
dei figli, più compiutamente riconosciuti anche ai padri ed ai
lavoratori autonomi, ridisegna la gerarchia tra tempi di
lavoro e tempi di cura prevedendo a vantaggio di questi ultimi
nuovi diritti e risorse: la legge infatti garantisce, oltre al
diritto, pari facoltà di scelta anche ai lavoratori con
redditi medio bassi, assicurando loro l'indennità pari al 30
della retribuzione, prevista di norma solo fino al terzo anno
del bambino, anche nei casi di godimento dell'astensione
facoltativa entro l'ottavo anno;
estendendo il diritto all'astensione facoltativa dal
lavoro per l'assistenza ai figli alle lavoratrici autonome,
non solo prende atto del numero crescente di donne che
scelgono di esercitare attività in proprio, senza più
identificare il mondo del lavoro con quello del lavoro
dipendente, ma concretamente opera un primo passo nella più
universale direzione del riconoscimento pieno del valore
sociale della maternità, a prescindere dalla condizione
lavorativa della donna;
riconoscendo l'esistenza di parti gemellari e prematuri
prende atto della necessità di riscrivere norme che
standardizzavano l'evento della nascita senza rapporto con la
realtà;
consentendo ed incentivando l'assunzione di lavoratori a
tempo determinato in sostituzione di lavoratori in astensione
obbligatoria o facoltativa dal lavoro, riconosce le crescenti
esigenze di affiancamento formativo generate dalla sempre
maggiore qualificazione e specializzazione del lavoro, con il
proposito di ridurre i costi sia vivi sia indiretti che le
imprese in quei casi sono chiamate a sostenere;
accantonando un fondo specifico in favore delle aziende
che scelgono di favorire la conciliazione dei tempi di vita e
di lavoro, riconosce ad un tempo il valore sociale della
concertazione ed il ruolo insostituibilmente creativo della
contrattazione decentrata in una materia tanto segnata dalle
particolarità dei bisogni e della produzione;
disponendo il controllo delle dimissioni volontarie dei
lavoratori durante il primo anno di vita del figlio e vietando
il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione dei
congedi parentali, utilizzabili fino all'ottavo anno di età
del bambino, sottrae i genitori ed il loro diritto alla cura
dei figli agli effetti più negativi della precarizzazione del
mercato del lavoro.
Da un attento e proficuo confronto con le differenziate
necessità della cura di sé e degli altri, il testo
all'attenzione dell'Assemblea ha saputo trarre inoltre una
serie di disposizioni che rendono meno gravose da un lato
situazioni dolorose, come decessi e gravi infermità di
familiari e conviventi, e più facili dall'altro scelte di
arricchimento personale, col riconoscimento ai lavoratori,
occupati e non, del diritto a proseguire percorsi di
formazione per tutto l'arco della vita.
La doppia istituzione dei congedi per eventi e cause
particolari e dei congedi per formazione sposta risorse e
poteri a favori dei tempi individuali del non lavoro,
riconoscendo il valore sociale della solidarietà e della
crescita individuale. Essa inoltre rende possibile l'entrata o
l'uscita dal sistema occupazionale in base ai bisogni
familiari, di cura e di formazione di uomini e donne,
ritagliando nuovi spazi di libertà per gli individui.
Assai marcata nel testo è anche la tendenza a favorire le
scelte individuali nei casi di conflitto con le rigidità dei
tempi di lavoro e di riposo obbligatorio.
Le nuove consentono:
ai soggetti che hanno usufruito dei congedi previsti di
prolungare il rapporto di lavoro di un periodo corrispondente,
anche in deroga alle disposizioni concernenti l'età di
pensionamento obbligatoria;
ai lavoratori in congedo di anticipare il trattamento di
fine rapporto per sostenere le spese nel periodo di astensione
facoltativa;
ai contratti collettivi di lavoro di introdurre
condizioni di maggior favore rispetto a quelle previste dalla
legge.
Il complesso di nuove libertà nell'uso dei propri tempi di
vita che scaturisce dall'insieme di queste disposizioni si
esercita però in uno spazio troppo spesso ostile alle scelte
degli individui. Le nostre città sottraggono tempo ed energie
a ciascuno di noi, disperdendoli nei tempi morti degli
ingorghi, delle code, degli spostamenti obbligati, delle
lungaggini burocratiche o delle frammentazioni irrazionali di
competenze.
Per quanto la nostra società tenda ad essere sempre più
incessante, distribuendo le attività umane nell'intero arco
della giornata, questo processo, governato dalle convenienze
del mercato e della produzione, normalmente non tiene conto
delle diverse dimensioni di vita di ciascuno: ognuno di noi è
lavoratore, familiare, amico, consumatore, utente, ma tutti
affrontiamo solitamente in solitudine l'ardua impresa di far
entrare nelle nostre giornate tutto ciò che dobbiamo o che
vogliamo fare.
D'altra parte, in ogni città, dimensioni, struttura e
composizione sociale diverse generano vincoli e problemi
differenziati; non c'è modo, dunque, di calare dall'alto
modelli uniformi di organizzazione
degli spazi e dei tempi.
Il testo propone una soluzione che valorizza l'autonomia
locale e la composizione negoziata dei conflitti: esso
attribuisce ai sindaci il potere ed il dovere di coordinare
gli orari degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici e
degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche,
avvalendosi di un tavolo di concertazione cui partecipano
rappresentanti di erogatori ed utenti dei servizi.
La regolazione dei tempi della città, allo stesso modo
della regolazione dei suoi spazi, diviene oggetto di
pianificazione vincolante, approvata dal consiglio comunale e
dunque soggetta alla verifica di eletti ed elettori.
Lo scopo finale è la definizione di un orario della città
fatto per chi ci vive, all'interno del quale ciascuno possa
liberamente essere cittadino del proprio tempo.
Le Banche dei Tempi.
Con specifici finanziamenti, la legge promuove
l'attuazione dei piani territoriali degli orari, ma non manca
di premiare la costituzione delle banche dei tempi, scegliendo
anche in questo caso di valorizzare uno strumento inventato e
sperimentato liberamente all'interno delle comunità locali da
singoli e gruppi di cittadini.
Questa nuova e ricca realtà associativa, nata dal
principio dello scambio alla pari di ore, chieste ed offerte
sulla base dei bisogni e delle capacità di ciascuno,
reintroduce in modo ingegnoso e moderno nelle nostre città il
mutuo aiuto tipico delle antiche relazioni di buon
vicinato.
Si tratta di un'esperienza generalmente promossa da gruppi
di donne ed attivamente sostenuta dalle istituzioni locali,
che ad oggi conta ben 284 banche sparse sull'intero territorio
nazionale.
Esse costituiscono ormai una rete di cittadinanza attiva e
solidale che è interesse dello Stato sostenere, poiché
favorisce la qualità della vita dei singoli e delle comunità
locali, attraverso il libero scambio di prestazioni utili ma
senza valore di mercato.
Ancora una volta dunque, la norma corrisponde alla scelta
di dare valore a tempi non monetizzabili di cura, solidarietà,
dono e scambio di servizi, assumendo il principio che il tempo
è molto più che danaro.
2. Istruttoria legislativa svolta.
I progetti di legge assegnati alla XI Commissione che, in
vario modo, riguardano la materia dei tempi di vita e di
lavoro sono molto più numerosi di quelli poi confluiti nel
testo unificato in esame.
La Commissione, infatti, ha ritenuto di dover
razionalizzare i propri lavori, dedicando un esame separato,
rispetto agli altri, ai progetti di legge in materia di
disciplina dell'orario di lavoro e di tutela delle lavoratrici
madri assunte a tempo determinato. Questa scelta, tra l'altro,
ha comportato lo stralcio di alcune disposizioni delle
proposte di legge n. 1938, d'iniziativa dei deputati Mussi ed
altri, e n. 2207, d'iniziativa dei deputati Cordoni ed altri,
che attenevano specificamente alla materia dell'orario di
lavoro.
Sui restanti diciassette progetti di legge, ai quali è
stata abbinata la petizione n. 138, la Commissione ha svolto
un approfondito esame, condotto in parte nella sede del
Comitato ristretto incaricato di redigere un testo unificato.
L'indubbio rilievo degli argomenti affrontati e la relativa
novità
di alcuni di essi ha consigliato di svolgere numerose
audizioni informali, che hanno consentito di acquisire
elementi di valutazione preziosi, dei quali si è tenuto il
massimo conto nella predisposizione delle norme oggi
sottoposte all'Assemblea.
Le audizioni informali hanno coinvolto organizzazioni
sindacali dei lavoratori, associazioni degli imprenditori,
organismi di rappresentanza delle autonomie territoriali,
esponenti di alcuni enti locali che hanno già maturato
significative esperienze nel coordinamento dei tempi delle
città, associazioni di volontariato, nonché luminari della
ginecologia e dell'ostetricia, per verificare la praticabilità
di un'articolazione del periodo di astensione obbligatoria
diversa da quella contemplata dalla legislazione vigente. Il
Comitato ristretto si è anche avvalso della fattiva
collaborazione dei Ministeri del lavoro e della previdenza
sociale e per la solidarietà sociale.
Sono stati, poi, espressi i pareri delle Commissioni
competenti in sede consultiva. La II e la IV Commissione hanno
espresso un parere di nulla osta.
Sono state tutte accolte le osservazioni che
accompagnavano il parere favorevole della I Commissione.
E' stata accolta la condizione espressa dalla VI
Commissione, mentre l'osservazione è da ritenersi almeno in
parte soddisfatta dalla nuova formulazione dell'articolo 28,
che attribuisce una priorità nell'assegnazione delle risorse
del Fondo per l'armonizzazione dei tempi delle città agli
interventi sugli orari che contribuiscano alla riduzione delle
emissioni di gas inquinanti. Lo stesso può dirsi per
l'osservazione che accompagnava il parere favorevole della X
Commissione.
Alcune priorità segnalate nell'osservazione della IX
Commissione compaiono nel testo dell'articolo 28; la
Commissione Lavoro, tuttavia, ha ritenuto che non fosse
opportuno privilegiare esclusivamente i progetti che attengono
alla mobilità e ai trasporti, poiché l'obiettivo
dell'armonizzazione dei tempi delle città richiede anche
misure di diversa natura.
Non sono state accolte, invece, le osservazioni contenute
nel parere della XII. Non è apparso condivisibile, infatti, un
indirizzo legislativo volto a incentivare le madri a preferire
una specifica forma di allattamento, poiché ciò comporterebbe
un'intrusione del legislatore in una scelta che è operata
sulla base di una molteplicità di motivazioni individuali. Del
pari, la Commissione Lavoro ha ritenuto di mantenere il comma
1 dell'articolo 12, in quanto le audizioni informali svolte
hanno evidenziato come una diversa articolazione del periodo
di astensione obbligatoria non comporti in sé un incremento
dei rischi di nascite premature, se è accompagnata dalle
cautele che il comma in questione e il successivo comma 2
stabiliscono tassativamente.
La XI Commissione ha poi richiesto di sua iniziativa
l'espressione di un parere sul testo unificato da parte del
Comitato per la legislazione e della Commissione parlamentare
per le questioni regionali.
Riguardo al parere favorevole del Comitato per la
legislazione, ne sono state accolte la condizione sub 1) e
l'osservazione sub b). Non è stata recepita, invece, la
condizione sub 2), poiché la XI Commissione ha ritenuto
più opportuno che l'espressa indicazione delle disposizioni
abrogate per effetto ed in conseguenza del provvedimento in
esame sia rinviata al testo unico in materia di tutela e
sostegno della maternità e della paternità, alla cui
emanazione il Governo è delegato dall'articolo 15.
Né è apparsa condivisibile l'osservazione sub a),
con la quale veniva suggerito di suddividere la materia in
distinti provvedimenti, per garantire una maggiore chiarezza
normativa e un più efficace coordinamento con la legislazione
vigente: l'osservazione, infatti, non coglie assolutamente
l'importanza di ricomprendere in un unico contesto legislativo
disposizioni che, ben lungi dall'essere disomogenee le une
rispetto alle altre, solo nel loro complesso possono
rappresentare il primo vero esempio di attuazione di quelle
politiche dei tempi alle quali accennavo all'inizio di questa
relazione.
In merito al parere della Commissione parlamentare per le
questioni regionali,
segnalo che ne è stata accolta l'osservazione sub b).
La XI Commissione ha ritenuto, invece, di non poter
recepire le restanti due osservazioni, non perché non ne
condividesse la ratio, bensì per il fondato timore che,
attenuando ulteriormente il contenuto precettivo delle
disposizioni del capo VII, ci si limitasse ad enunciazioni
tanto evanescenti da non poter essere qualificate quali norme
giuridiche.
La V Commissione non ha potuto esprimere il parere di
competenza a causa del ritardo con il quale il Governo ha
trasmesso la relazione tecnica sugli effetti finanziari
determinati dal testo unificato. Mi preme, tuttavia,
sottolineare che il Comitato dei nove è pienamente disponibile
a tenere conto delle indicazioni della Commissione Bilancio,
qualora questa fosse in grado di esprimere il proprio parere
all'Assemblea.
3. L'articolato definito dalla Commissione.
L'articolo 1 indica le finalità del testo unificato, per
l'illustrazione delle quali rinvio alla prima parte di questa
relazione.
Il capo II è intitolato ai congedi parentali, familiari e
formativi e raccoglie gli articoli da 2 a 7.
L'articolo 2 modifica le disposizioni della legge 30
dicembre 1971, n. 1204 in materia di assenze dal lavoro per
astensione facoltativa e per assistenza ai bambini in caso di
malattia. Il testo corrisponde sostanzialmente a quello
dell'articolo 1 del disegno di legge n. 4624, fatte salve
alcune significative correzioni introdotte dalla XI
Commissione. E' da segnalare che sulla medesima materia (e nel
comune intento di allargare la platea di lavoratrici e
lavoratori che beneficiano della tutela legislativa)
intervengono anche le proposte di legge n. 259, d'iniziativa
dei deputati Pozza Tasca ed altri, n. 2207-bis,
d'iniziativa dei deputati Cordoni ed altri, n. 2838,
d'iniziativa dei deputati Barral e Balocchi e n. 3871,
d'iniziativa dei deputati Prestigiacomo ed altri.
In particolare, al comma 1 si stabilisce che è possibile
usufruire di tali assenze, con il relativo trattamento
economico, anche se l'altro genitore non ne ha diritto: questa
formulazione mi sembra suscettibile di miglioramento. La
medesima tutela viene estesa alle lavoratrici autonome;
peraltro la Commissione ha ritenuto di limitare l'estensione
ad un periodo massimo di tre mesi nel primo anno di vita del
bambino e in relazione ai soli figli nati a decorrere dal 1^
gennaio 2000. Tale modifica è giustificata dalle diverse
caratteristiche del lavoro autonomo rispetto a quello
dipendente e tiene conto delle disponibilità finanziarie
accertate nel corso dell'istruttoria legislativa.
Il comma 2 detta una nuova disciplina dell'astensione
facoltativa e delle assenze dal lavoro per malattia del
bambino, sostituendo con una nuova formulazione l'articolo 7
della legge n. 1204 del 1971. Viene sancito il diritto per
ciascun genitore di assentarsi dal lavoro - anche
contemporaneamente all'altro, come precisato dalla Commissione
- nei primi otto anni di vita del bambino. Nel complesso le
assenze dal lavoro non possono eccedere i dieci mesi,
continuativi o frazionati. La madre ne può fruire per non più
di sei mesi e solo dopo che sia trascorso il periodo di
astensione obbligatoria. Anche il padre ne può fruire per non
più di sei mesi, ma se si assenta dal lavoro per almeno tre
mesi, tale limite viene elevato a sette mesi. Nel caso vi sia
un solo genitore, questi può utilizzare tutti i dieci mesi di
astensione facoltativa.
Vengono poi dettate le modalità di preavviso del datore di
lavoro in caso di esercizio del diritto all'astensione
facoltativa, ed è altresì affermato il diritto per i genitori
ad assentarsi dal lavoro - purché non contemporaneamente -
durante le malattie del bambino di età inferiore ad otto anni
(il limite attuale è di tre anni), certificate da un medico
specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso
convenzionato. Il ricovero ospedaliero del bambino interrompe
le ferie in godimento da parte del genitore. Nel caso di
malattia del bambino, il padre o la madre sono tenuti ad
autocertificare che l'altro genitore
non è assente dal lavoro negli stessi giorni per il medesimo
motivo.
Tutti i periodi di assenza per astensione facoltativa e
per malattia del bambino sono computati nell'anzianità di
servizio.
Ricordo che la previsione di appositi congedi in caso di
malattia del bambino è contenuta anche nelle proposte di legge
n. 599, d'iniziativa dei deputati Cordoni ed altri, e n.
1938-ter, d'iniziativa dei deputati Mussi ed altri.
Il comma 3 sostituisce l'articolo 15 della legge n. 1204
del 1971, in tema di indennità economiche per l'astensione dal
lavoro. Si conferma che la lavoratrice ha diritto ad
un'indennità giornaliera pari all'ottanta per cento della
retribuzione per il periodo di astensione obbligatoria, mentre
per l'astensione facoltativa sono previsti importi
differenziati:
trenta per cento della retribuzione nei primi tre anni
di vita del bambino, per un periodo massimo complessivo tra i
genitori di sei mesi, coperto da contribuzione figurativa
piena;
in tutti gli altri casi (periodi di astensione oltre il
terzo anno di vita del bambino o, indipendentemente dall'età
di quest'ultimo, a partire dal settimo mese di assenza dal
lavoro), trenta per cento della retribuzione se il reddito
individuale dell'interessato è inferiore a 2,5 volte l'importo
del trattamento minimo di pensione dell'INPS; se il reddito è
superiore a tale limite, non spetta alcuna indennità; i casi
di astensione di cui si tratta, tuttavia, sono coperti in ogni
caso da una contribuzione figurativa rapportata ad un valore
retributivo convenzionale, fatta salva la possibilità di
versamenti integrativi da parte del lavoratore.
Per i periodi di assenza connessi a malattie del bambino
di età non superiore a tre anni è dovuta la sola contribuzione
figurativa piena; se, invece, il bambino ha un'età superiore a
tre anni e inferiore a otto la contribuzione figurativa è
rapportata ad un valore retributivo convenzionale.
Sono poi stabiliti i criteri per la determinazione del
reddito dell'interessato e per l'erogazione delle
indennità.
Il comma 4, integrando l'articolo 10 della legge n. 1204
del 1971, provvede alla copertura previdenziale (figurativa,
fatta salva la facoltà di riscatto o di versamento volontario
dei contributi) dei periodi di riposo giornaliero spettanti ai
genitori fino al compimento di un anno di età del bambino.
Il comma 5, infine, estende tutte le disposizioni recate
dall'articolo 2 del testo unificato ai genitori adottivi o
affidatari. La XI Commissione ha ritenuto, peraltro, di dover
integrare il testo del Governo precisando che, qualora
all'atto dell'adozione o dell'affidamento il minore abbia
un'età compresa fra sei e dodici anni, il diritto
all'astensione facoltativa o per malattia del bambino può
essere esercitato nei primi tre anni dall'ingresso del minore
nel nucleo familiare.
Restano ferme le disposizioni vigenti in materia di
lavoratori a domicilio e degli addetti ai servizi domestici e
familiari.
E' da sottolineare che il principio della parità dei
diritti dei genitori naturali, adottivi e affidatari in tema
di congedi parentali è alla base della proposta di legge n.
896, d'iniziativa dei deputati Nardini ed altri. L'articolo 3
(corrispondente all'articolo 5, commi 1, 3, 4 e 5 del disegno
di legge n. 4624) introduce l'istituto dei congedi per eventi
e cause particolari. Il testo del Governo è stato preferito
alle formulazioni che in proposito si rinvengono nelle citate
proposte di legge n. 599, 1938-ter e 2207-bis.
Il comma 1 prevede un permesso retribuito di tre giorni
lavorativi all'anno in caso di decesso o di documentata grave
infermità del coniuge, di un parente entro il secondo grado o
del convivente; nell'ipotesi di grave infermità, il permesso
può essere sostituito, d'intesa con il datore di lavoro, con
diverse modalità di espletamento dell'attività lavorativa.
Il comma 2 stabilisce, a favore dei lavoratori dipendenti
con almeno cinque anni di anzianità di servizio, un periodo di
congedo, continuativo o frazionato, non
superiore a due anni per gravi e documentati motivi
familiari; il congedo implica il diritto alla conservazione
del posto di lavoro, ma non è computato ai fini dell'anzianità
di servizio, né ai fini previdenziali, salva la facoltà di
riscatto o di versamento volontario dei contributi da parte
del lavoratore. La disciplina della partecipazione dei
lavoratori ad eventuali corsi di formazione, una volta
terminato il periodo di congedo, è rimessa dal comma 3 ai
contratti collettivi.
Il comma 4 stabilisce le modalità di attuazione delle
disposizioni dell'articolo in esame.
L'articolo 4 reca norme in materia di congedi per la
formazione e riproduce, con limitate modifiche, l'articolo 6
del disegno di legge n. 4624, anche in questo caso preferito
alle analoghe disposizioni recate da alcune delle proposte di
legge abbinate.
Ai sensi del comma 1, è riconosciuta ai lavoratori
dipendenti con almeno cinque anni di anzianità di servizio
presso la stessa azienda o amministrazione una sospensione del
rapporto di lavoro per congedi non retribuiti finalizzati alla
formazione nel limite di undici mesi, continuativi o
frazionati, nell'arco dell'intera vita lavorativa.
Il comma 2 detta la nozione di "congedi per la
formazione", mentre il comma 3 ne regola gli aspetti attinenti
alla conservazione del posto di lavoro e al rapporto con
l'anzianità di servizio, le ferie, la malattia e i congedi
riconosciuti ad altro titolo.
Il comma 4 stabilisce le condizioni alle quali il datore
di lavoro può non accogliere ovvero differire la richiesta di
congedo per la formazione, mentre tutte le altre modalità di
fruizione saranno definite dalla contrattazione collettiva.
In base al comma 5, il lavoratore può riscattare i periodi
di congedo per la formazione o procedere al versamento
volontario dei contributi previdenziali.
L'articolo 5 istituisce i congedi per la formazione
continua, sviluppando alcuni spunti contenuti nell'articolo 49
della proposta di legge n. 1938-ter e negli articoli 2 e
16 della proposta n. 2207-bis. Il comma 1 detta una
disposizione volta ad affermare il diritto di tutti i
lavoratori, occupati e non occupati, a proseguire i percorsi
di formazione per tutto l'arco della vita, per accrescere
conoscenze e competenze. Vengono poi definite le
caratteristiche dell'offerta formativa che lo Stato, le
regioni e gli enti locali sono tenuti ad assicurare ed è poi
chiarito che le attività di formazione possono corrispondere
ad una libera scelta del lavoratore ovvero essere inserite nei
piani formativi aziendali o territoriali concordati fra le
parti, ai sensi dell'articolo 17 della legge 24 giugno 1997,
n. 196.
Il comma 2 enumera gli aspetti relativi ai congedi per la
formazione continua che sono rimessi alla contrattazione
collettiva, mentre il comma 3 stanzia 30 miliardi di lire
annue per il cofinanziamento di accordi contrattuali che
prevedano quote di riduzione dell'orario di lavoro finalizzate
alla formazione dei lavoratori.
Il comma 4, infine, consente l'integrazione del Fondo
interprofessionale per la formazione continua, di cui al
regolamento di attuazione del citato articolo 17 della legge
n. 196 del 1997, attraverso l'apporto di risorse non solo
finanziarie, ma anche professionali, di tempo, logistiche e
organizzative.
L'articolo 6 corrisponde all'articolo 8 del disegno di
legge n. 4624 e consente un'anticipazione del trattamento di
fine rapporto (o delle indennità equipollenti) per far fronte
alle spese connesse alla fruizione dei periodi di astensione
facoltativa o dei congedi per la formazione e per la
formazione continua. Per analoghe finalità, i fondi di
previdenza complementare possono concedere anticipazioni delle
prestazioni da essi erogate.
I medesimi obiettivi perseguiti dall'articolo 6 del testo
unificato sono alla base di alcune disposizioni delle proposte
di legge n. 1938-ter e 2207-bis.
L'articolo 7 riproduce una norma contenuta nelle proposte
di legge appena citate (nonché nella proposta n. 599) e
stabilisce che i lavoratori i quali fruiscano dei congedi per
la formazione hanno diritto a prolungare il rapporto di lavoro
per un periodo corrispondente, anche in deroga
alle disposizioni in materia di età pensionabile.
Il capo III reca norme riguardanti la flessibilità di
orario e comprende l'articolo 8, che riserva una quota pari a
40 miliardi di lire annue del Fondo per l'occupazione a favore
delle aziende che applichino accordi contrattuali che
prevedano azioni positive per la flessibilità: la finalità è
quella di incentivare forme di articolazione della prestazione
lavorativa atte a conciliare tempo di vita e tempo di lavoro.
Si tratta di una disposizione che ricalca quella recata
dall'articolo 2 del disegno di legge n. 4624, ma presente pure
in alcune delle proposte di legge abbinate; la modifica di
maggior rilievo apportata dalla Commissione riguarda la
possibilità di finanziare, tra gli altri, anche progetti che
consentano la sostituzione dell'imprenditore o del lavoratore
autonomo che benefici dell'astensione obbligatoria o dei
congedi parentali con altro imprenditore o lavoratore
autonomo.
Il capo IV reca ulteriori disposizioni a sostegno della
maternità e della paternità e raccoglie gli articoli da 9 a
18.
In particolare, l'articolo 9 disciplina l'assunzione a
tempo determinato di lavoratori in sostituzione di quelli in
astensione obbligatoria o facoltativa, riprendendo con
modifiche l'articolo 3 del disegno di legge n. 4624:
l'assunzione può essere anticipata fino ad un mese rispetto al
termine iniziale del periodo di astensione, salvo che la
contrattazione collettiva non preveda anticipi maggiori. Se
tali assunzioni sono effettuate da aziende con meno di venti
dipendenti, è concesso uno sgravio contributivo del 50 per
cento fino al compimento di un anno di vita del bambino o fino
ad un anno dall'accoglienza del minore adottato o in
affidamento (quest'ultimo termine è stato aggiunto dalla
Commissione). Le medesime agevolazioni spettano alle imprese
che effettuino assunzioni in coincidenza con la maternità
delle lavoratrici autonome della cui collaborazione si
avvalgono.
Sottolineo, peraltro, che il tema della sostituzione dei
lavoratori in astensione è affrontato anche in alcune delle
proposte di legge abbinate: le già citate n. 259, 2838 e 3871
e la n. 3385, d'iniziativa del deputato Saonara.
L'articolo 10 integra il corrispondente articolo della
legge n. 1204 del 1971, stabilendo che in caso di parti
plurimi i periodi di riposo giornaliero sono raddoppiati e le
ore aggiuntive a quelle ordinarie possono essere utilizzate
anche dal padre. In questo caso lo spunto è stato offerto
dalla proposta di legge n. 5287, d'iniziativa dei deputati
Nardini ed altri, oltre che dalla più volte citata proposta n.
599.
L'articolo 11 riguarda il computo del periodo di
astensione obbligatoria in caso di parto prematuro e
stabilisce che i giorni non goduti di astensione obbligatoria
prima del parto vengono aggiunti al periodo di astensione
obbligatoria dopo il parto. Si tratta di una disposizione
contenuta nel disegno di legge n. 4624 (articolo 4) e nella
proposta di legge n. 2696, d'iniziativa dei deputati Schmid ed
altri.
L'articolo 12, comma 1, raccoglie un'indicazione presente
nella già citata proposta di legge n. 3871, volta a consentire
una diversa articolazione del periodo di astensione
obbligatoria (ora suddivisa in due mesi prima e tre mesi dopo
il parto) a condizione che il medico specialista del Servizio
sanitario nazionale attesti che tale opzione non arrechi
pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro. Il
comma 2 del medesimo articolo prevede poi l'aggiornamento
dell'elenco dei lavori pericolosi, faticosi ed insalubri ai
quali in nessun caso possono essere addette le lavoratrici in
stato di gravidanza.
L'articolo 13 concerne l'astensione dal lavoro del padre
lavoratore e a tal fine aggiunge due articoli alla legge 9
dicembre 1977, n. 903, recependo disposizioni recate dalle
proposte di legge n. 599 e 1938-ter. In sintesi, è
riconosciuto il diritto del padre lavoratore di astenersi dal
lavoro nei primi tre mesi dalla nascita del figlio in caso di
morte, grave infermità della madre o di abbandono da parte di
quest'ultima, nonché in caso di affidamento esclusivo del
bambino al padre. Si applicano al padre le disposizioni in
materia di computo nell'anzianità di servizio del periodo di
astensione
obbligatoria e di indennità economiche per l'astensione
obbligatoria e per i congedi per malattia del bambino. Al
padre spettano, inoltre, i periodi di riposo giornaliero e i
relativi trattamenti economici nel caso in cui figli siano
affidati solo a lui ovvero in alternativa alla madre
lavoratrice dipendente che non se ne avvalga ovvero nel caso
in cui la madre non sia lavoratrice dipendente.
L'articolo 14, corrispondente ad un emendamento approvato
dalla Commissione, estende alle lavoratrici madri appartenenti
ai corpi di polizia municipale il divieto di essere adibite a
compiti operativi nel corso della gravidanza, già previsto per
le appartenenti alla polizia di Stato. L'articolo 15 delega il
Governo ad emanare un testo unico delle norme in materia di
tutela e sostegno della maternità e della paternità; il testo
riprende con consistenti modifiche l'articolo 9 del disegno di
legge n. 4624.
L'articolo 16 (corrispondente all'articolo 10 del disegno
di legge n. 4624) attribuisce all'ISTAT il compito di
assicurare un flusso informativo quinquennale
sull'organizzazione dei tempi di vita della popolazione.
L'articolo 17, che raccoglie con modifiche le disposizioni
contenute nell'articolo li del disegno di legge n. 4624 e
nella proposta di legge n. 599, stabilisce in via generale, al
comma 1, il diritto alla conservazione del posto del lavoro,
al rientro nella medesima unità produttiva e all'assegnazione
alle medesime mansioni o a mansioni equivalenti per i
lavoratori che si assentino dal lavoro in base alle
disposizioni del testo unificato.
Il comma 2 fa salve, per le materie disciplinate dal testo
all'esame dell'Assemblea, eventuali condizioni di maggior
favore per i lavoratori previste dai contratti collettivi di
lavoro.
Il comma 3 abroga le disposizioni incompatibili con quelle
del testo unificato. Segnalo all'Assemblea l'opportunità di
sopprimere il comma in questione, poiché l'abrogazione
espressa delle norme incompatibili rappresenta uno dei criteri
direttivi cui il Governo deve uniformarsi nella redazione del
testo unico di cui all'articolo 15.
L'articolo 18 (articolo 7 del disegno di legge n. 4624)
qualifica come nullo il licenziamento causato dalla domanda o
dalla fruizione dei congedi parentali disciplinati dagli
articoli 2 e 13 del testo unificato. Disposizioni analoghe
sono presenti nelle proposte di legge n. 599 e
1938-ter.
Il capo V reca modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n.
104 (legge quadro sull'handicap), riproducendo disposizioni
contenute nell'articolo 5, commi 2 e 6, del disegno di legge
n. 4624 e nelle proposte di legge n. 1170, d'iniziativa dei
deputati Di Capua ed altri, n. 1363, d'iniziativa del deputato
Gambale, e n. 599.
L'articolo 19, comma 1, dispone la copertura figurativa
dei giorni di permesso - tre al mese - spettanti nel caso di
assistenza di bambini o parenti e affini con handicap grave.
Il comma 2, invece, interviene sui permessi spettanti alle
persone maggiorenni affetti da handicap grave, alle quali la
legislazione vigente estende i permessi riconosciuti ai
genitori di bambini affetti dal medesimo genere di handicap.
L'effetto della disposizione è di rendere alternativi, per i
maggiorenni con handicap grave, i permessi mensili sopra
ricordati e le due ore di permesso giornaliero retribuito
previsti per i genitori di bambini con handicap grave di età
non superiore a tre anni.
L'articolo 20 sancisce che tutte le agevolazioni previste
dall'articolo 33 della legge n. 104 del 1992 (prolungamento
fino a tre anni di età del bambino del periodo di astensione
facoltativa o, in alternativa, concessione di due ore di
permesso giornaliero; successivamente al compimento del terzo
anno di età, concessione di tre giorni di permesso al mese) si
applichino anche se l'altro genitore non ne abbia diritto.
L'articolo 21, l'unico del capo VI, reca la norma di
copertura finanziaria. Come ho avuto modo di anticipare,
l'espressione del parere della Commissione Bilancio
direttamente per l'Assemblea potrebbe comportare la necessità
di aggiornare la quantificazione
degli oneri recati dal testo unificato.
Il capo VII è dedicato al tema dei tempi delle città e
comprende i restanti articoli (da 22 a 28) del testo all'esame
dell'Assemblea. La struttura del capo in esame è mutuata dalla
proposta di legge n. 2208, d'iniziativa dei deputati Cordoni
ed altri, e dalla citata proposta n. 2207-bis, ma le
modifiche apportate dal Comitato ristretto, prima, e dalla
Commissione, poi, sono state numerose e significative.
L'articolo 22, al comma 1, stabilisce i compiti delle
regioni, le quali sono tenute (ove non vi abbiano già
provveduto) a definire, con proprie leggi, norme per il
coordinamento da parte dei comuni degli orari degli esercizi
commerciali, dei servizi pubblici e degli uffici periferici
delle amministrazioni pubbliche, nonché norme per la
promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale.
Il quadro legislativo di riferimento per le regioni è
costituito dalle disposizioni della legge 8 giugno 1990, n.
142, oltre che da quelle del testo unificato in esame.
Il comma 2 prevede la possibilità di stabilire incentivi
finanziari per l'adozione da parte dei comuni dei piani
territoriali degli orari, mentre il comma 3 consente la
costituzione di comitati tecnici, con compiti consultivi in
materia di coordinamento degli orari delle città e di
valutazione degli effetti delle misure adottate sulle comunità
locali.
Il comma 4 attribuisce poi alle regioni il compito di
promuovere corsi di qualificazione del personale impiegato per
l'esercizio delle funzioni in materia di coordinamento degli
orari. Il comma 5 individua il contenuto minimo delle leggi
regionali, mentre il comma 6 fa salve le competenze delle
regioni a statuto speciale e delle province autonome.
L'articolo 23 definisce i compiti dei comuni,
distinguendoli a seconda che essi abbiano o meno una
popolazione superiore a 30 mila abitanti. Per i comuni
maggiori viene stabilito l'obbligo di attuare le disposizioni
della legge n. 142 del 1990 in materia di coordinamento degli
orari entro il termine indicato dalle leggi regionali e,
comunque, entro un anno dall'entrata in vigore della nuova
normativa. In caso di inadempienza, il presidente della giunta
regionale nomina un commissario ad acta.
Per i comuni con popolazione non superiore a 30 mila
abitanti l'adozione di forme di coordinamento degli orari ha
carattere facoltativo; qualora, tuttavia, tali comuni scelgano
di predisporre il piano territoriale degli orari, dovranno
operare in forma associata.
L'articolo 24 detta, al comma 1, la nozione di piano
territoriale degli orari (strumento unitario articolato in
progetti per il funzionamento dei sistemi orari dei servizi
urbani, in vista di una loro progressiva armonizzazione).
I commi 2 e 3 chiamano le amministrazioni comunali ad
individuare un responsabile cui è assegnata la competenza in
materia di tempi e orari.
I commi 4 e 5 attribuiscono al sindaco il compito di
elaborare le linee guida del piano degli orari, attraverso
consultazioni con le amministrazioni pubbliche, le parti
sociali e le associazioni di cittadini e tenendo conto degli
effetti sul traffico, sull'inquinamento e sulla qualità della
vita cittadina. Il piano, ai sensi del comma 6, è approvato
dal consiglio comunale, è attuato con ordinanze del sindaco ed
è vincolante per l'amministrazione comunale.
L'articolo 25, comma 1, prevede l'istituzione di un
apposito tavolo di concertazione per l'attuazione e la
verifica del piano territoriale degli orari. All'organismo
partecipano rappresentanti di tutte le entità pubbliche e
private coinvolte nella definizione del sistema degli orari
dei servizi urbani.
Il comma 2 prevede come modalità ordinaria di attuazione
del piano la stipula di accordi fra l'amministrazione comunale
e i diversi soggetti che partecipano al tavolo di
concertazione, ma al sindaco è comunque attribuito (comma 3)
il potere di emanare, in caso di emergenze o di straordinarie
necessità dell'utenza, ordinanze di modificazione degli orari,
vincolanti anche per le altre amministrazioni pubbliche (comma
4). Nel caso dei comuni capoluogo di provincia, la
riorganizzazione
degli orari deve essere concertata con i comuni limitrofi
(comma 5).
L'articolo 26 detta disposizioni di carattere generale
sugli orari della pubblica amministrazione, che devono tenere
conto delle esigenze dei cittadini che risiedono od operano
nel territorio di riferimento (comma 1) e possono essere
articolati in modo differenziato, a seconda dei servizi, in
sede di definizione del piano territoriale degli orari (comma
2). Le pubbliche amministrazioni, attraverso
l'informatizzazione dei propri servizi, possono garantire
informazioni anche negli orari di chiusura e, attraverso la
semplificazione delle procedure, possono consentire agli
utenti tempi di attesa più brevi e modalità di accesso più
agevoli.
L'articolo 27 definisce, al comma 1, il concetto di
"banche dei tempi" e ne indica le finalità: favorire lo
scambio di servizi di vicinato, facilitare l'utilizzo dei
servizi della città e il rapporto con le pubbliche
amministrazioni, estendere la solidarietà nelle comunità
locali, attraverso lo scambio di parte del proprio tempo da
parte degli aderenti alla "banca" per impieghi di reciproca
solidarietà e di reciproco interesse.
Gli enti locali, ai sensi del comma 2, possono sostenere
le banche dei tempi assicurando ad esse l'utilizzo di locali,
la disponibilità di servizi o attività di promozione,
formazione e informazione. Possono, inoltre, aderire alle
banche dei tempi, stipulando con esse accordi che prevedano
scambi di tempo da destinare a prestazioni di mutuo aiuto a
favore di singoli cittadini o della comunità locale. Affinché
l'identità delle banche dei tempi non venga snaturata, è
previsto che tali prestazioni non possano essere in contrasto
con gli scopi statutari delle banche stesse, né possano
costituire una stabile modalità di esercizio delle attività
istituzionali degli enti locali.
L'articolo 28, infine, istituisce il Fondo per
l'armonizzazione dei tempi delle città, nel limite di lire 15
miliardi annue a decorrere dall'anno 2001, alle quali si
sommano le risorse finanziarie che le regioni intendano
eventualmente stanziare a tal fine.
I contributi erogati a valere sul Fondo sono destinati a
finanziare le misure di armonizzazione degli orari che
contribuiscano alla riduzione delle emissioni di gas
inquinanti, nonché, più in generale, l'attuazione dei progetti
inclusi nei piani territoriali degli orari. Le priorità da
rispettare nell'erogazione dei finanziamenti sono indicate dal
comma 4.
Annualmente la Conferenza unificata Stato-regioni-città ed
autonomie locali è chiamata a valutare i risultati conseguiti
attraverso l'impiego delle risorse del Fondo e a definire le
linee di intervento futuro (comma 5). Il comma 6 stabilisce
che il Governo è tenuto annualmente a riferire al Parlamento
sui progetti di riorganizzazione dei tempi e degli orari delle
città, mentre il comma 7 pone la dotazione del Fondo a carico
delle maggiori entrate derivanti dalla cosiddetta
"carbon-tax".
4. Rispondenza del testo agli aspetti indicati
nell'articolo 79, comma 4, del Regolamento.
Per le parti in cui realizza l'ambizioso intento di
consentire ai cittadini nuove libertà nell'uso dei propri
tempi di vita, il testo all'attenzione dell'Assemblea contiene
disposizioni che possono ben considerarsi attuative del
principio fondamentale che assegna alla Repubblica il compito
di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana" (articolo
3).
Esso risponde inoltre ad alcuni principi enunciati nella
parte I, titoli II e III della Costituzione, segnatamente
laddove si assicurano i diritti dei figli all'educazione e
alla cura da parte dei genitori, con la garanzia del sostegno
anche economico della Repubblica (articoli 30 e 31), la tutela
della salute come fondamentale diritto dell'individuo e
interesse della collettività (articolo 32), la cura della
formazione e dell'elevazione professionale dei lavoratori
(articolo 35) e l'adattamento delle condizioni
di lavoro alle esigenze delle madri e dei loro bambini
(articolo 37).
Facendo proprio lo spirito di diverse sentenze della Corte
Costituzionale in merito all'illegittimità di alcune
disposizioni della legge n. 903 del 1977, che non estendevano
al padre lavoratore, in alternativa alla madre, il diritto ai
riposi giornalieri consentiti per l'assistenza ai figli,
questo testo prevede sistematicamente pari diritti per
entrambi i genitori, anche in relazione alle nuove tipologie
di astensione dal lavoro introdotte, se motivate dalla cura
dei figli.
Può essere interpretata in modo analogo, in altra materia,
la previsione che il ricovero ospedaliero del bambino
interrompa il periodo di ferie in godimento dal genitore,
poiché con tale norma si raccoglie e si estende al caso del
ricovero dei figli la motivazione sulla base della quale la
giurisprudenza costituzionale ha introdotto la previsione che
la malattia del lavoratore interrompa il periodo di ferie, dal
momento che essa non gli consente di recuperare le energie
psico-fisiche spese nell'attività lavorativa.
In rapporto alla legislazione italiana, questo testo
interviene riformulando la normativa in materia di assenze dal
lavoro consentite in relazione alla nascita ed alle malattie
dei figli, contenuta nelle leggi n. 1204 del 1971, n. 903 del
1977 e n. 104 del 1992; esso ne coordina inoltre le
disposizioni, in materia di contribuzione figurativa, riscatto
e prosecuzione volontaria, con le norme contenute nel decreto
legislativo n. 184 del 1997.
In più di un luogo, si utilizzano infine strumenti
introdotti dalla recente legislazione in materia di lavoro,
come il Fondo per l'occupazione di cui all'articolo 1, comma
7, della legge n. 236 del 1993, la possibilità di ottenere
anticipazioni sul trattamento di fine rapporto (legge n. 297
del 1992) o quella di introdurre norme specifiche negli
statuti delle forme pensionistiche complementari di cui al
decreto legislativo n. 124 del 1993.
Ma è soprattutto in relazione alla legislazione regionale
che è possibile valutare l'apporto del testo all'attenzione
dell'Assemblea in materia di disciplina dei tempi delle
città.
In effetti, su impulso del movimento d'opinione connesso
con la proposta di legge di iniziativa popolare e profittando
degli spazi normativi aperti dall'articolo 36, comma 3, della
legge n. 142 del 1990, che delegava ai sindaci il compito di
coordinare gli orari degli esercizi commerciali, dei servizi
pubblici e degli orari di apertura al pubblico degli uffici
periferici delle amministrazioni pubbliche "al fine di
armonizzare l'esplicazione dei servizi alle esigenze
complessive e generali degli utenti", tra il 1992 ed il 1996
numerose regioni hanno scelto di legiferare in materia di
regolamentazione dei tempi delle città.
Nell'ordine, Marche, Toscana, Valle d'Aosta, Veneto,
Friuli Venezia Giulia, Lazio, Emilia Romagna e Piemonte,
interpretando in senso assai ampio la norma della legge n. 142
del 1990 e combinandola con i poteri già delegati dal
Parlamento alle regioni ed ai comuni, soprattutto in materia
di orari dei negozi e dei pubblici esercizi, hanno saputo dare
valore al governo dei tempi delle città, esplicitamente
finalizzandolo al miglioramento non solo della fruibilità dei
servizi, ma anche della vita di relazione, della cura delle
persone, della crescita culturale individuale e
dell'organizzazione del lavoro.
In molti casi, le normative regionali avevano già
introdotto modalità di raccordo con gli strumenti di
programmazione urbanistica del territorio, prevedendo la
possibilità o l'obbligo di definire piani comunali di
coordinamento degli orari.
E' anche per questo che il testo all'attenzione
dell'Assemblea prevede una specifica funzione di
programmazione e di impulso da parte delle regioni, chiamate
da un lato a dettare criteri e procedure per la definizione
dei piani territoriali di coordinamento degli orari, e
dall'altro a premiare sia la loro attuazione che la
costituzione delle banche dei tempi, con specifici incentivi
finanziari.
Resta comunque nelle mani dei comuni il potere e l'obbligo
di attuare le disposizioni del comma 3 dell'articolo 36 della
legge n. 142 del 1990, attraverso un percorso omogeneo che
prevede in ogni comune l'individuazione di un responsabile,
l'attivazione di un tavolo di concertazione e l'adozione di un
piano vincolante per l'amministrazione.
In ogni ambito, si privilegia nettamente come strumento la
promozione di accordi locali con i soggetti pubblici e
privati; tuttavia, le superiori esigenze di tutela della
salute dei cittadini e della vivibilità delle città sono
opportunamente riconosciute mediante l'attribuzione del potere
di modifica coercitiva degli orari "in caso di emergenze o di
straordinarie esigenze dell'utenza o di gravi problemi
connessi al traffico e all'inquinamento".
Infine, in rapporto alla normativa comunitaria, questo
testo testimonia il carattere particolarmente avanzato della
nostra legislazione su temi di questa natura.
L'articolo 1 del Protocollo sulla politica sociale
allegato al Trattato sulla Unione Europea assegna all'azione
della comunità obiettivi come il miglioramento delle
condizioni di vita e di lavoro, una protezione sociale
adeguata, lo sviluppo delle risorse umane e la lotta contro le
esclusioni.
Tuttavia, una forte resistenza alle innovazioni in materia
sociale e di lavoro, radicata nella accentuata disomogeneità
delle legislazioni nazionali, ha spesso limitato in questo
ambito il contributo delle istituzioni europee alla
focalizzazione dei problemi ed alla indicazione di strategie,
comunque spesso di ampia utilità e respiro.
Così è stato per la "risoluzione Rocard" del Parlamento
europeo, nel 1996, o per il libro verde sul partenariato per
una nuova organizzazione del lavoro, presentato alla
Commissione il 16 aprile del 1997, che tocca anche alcuni dei
temi affrontati con la presente legge.
Esso poneva infatti tra le sfide sul piano politico le
modalità di organizzazione delle necessarie azioni di
formazione e di riqualificazione della manodopera, la
valorizzazione delle nuove tendenze occupazionali nell'ottica
delle pari opportunità e lo sviluppo di organizzazioni più
flessibili dei servizi pubblici, sostenendo che "in
particolare, la sfida consiste nel trovare il modo di
sviluppare o adattare politiche che sostengano, piuttosto che
ostacolare, un rinnovamento organizzativo fondamentale e di
raggiungere un equilibrio positivo tra gli interessi delle
aziende e quelli dei lavoratori, agevolando nel contempo la
modernizzazione della vita lavorativa".
Di questo rinnovamento, fanno sicuramente parte il
superamento delle rigidità imposte a lavoratori ed imprese
dalla standardizzazione dei diritti all'uso del tempo e
l'introduzione dei congedi formativi, così come l'intero
impianto della legge traduce in norma la convinzione che "il
lavoro flessibile può essere sia vantaggioso per le economie
europee sia interessante per i singoli lavoratori", che "non
dovrebbero perciò essere penalizzati per il fatto di adottare
tali modelli lavorativi".
Il testo unificato, infine, raccoglie positivamente lo
spirito del Libro Verde in quanto comprende che "è necessario
organizzare non solo le aziende, ma l'intera infrastruttura
sociale per garantire condizioni di parità tra le donne e gli
uomini: ciò comprende ad esempio aspetti quali la formazione,
la custodia dei figli e i trasporti, l'equilibrio tra i sessi
nel processo decisionale, l'individualizzazione dei diritti e
così via".
In tutte queste direzioni, il testo all'attenzione
dell'Assemblea va oltre la normativa comunitaria, che si è
finora limitata ad intervenire su poche questioni particolari,
tra cui quella dei congedi parentali.
In quest'ultima materia, esso dunque recepisce la
direttiva 96/34/CE del Consiglio, concernente l'accordo quadro
sul congedo parentale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla
CES, e finalizzata ad "offrire, agli uomini e alle donne, la
possibilità di conciliare le loro responsabilità professionali
e i loro obblighi familiari" e ad introdurre "nuovi modi
flessibili di organizzazione del lavoro e dell'orario, più
adattati ai bisogni della società in via di mutamento e
rispondenti sia alle esigenze delle imprese che di quelli dei
lavoratori", scegliendo di superarne le prescrizioni
minime.
Così, laddove la direttiva prevede un periodo minimo di
congedo parentale di tre mesi, accordabile a tempo parziale,
frammentato o nella forma di un credito di tempo, subordinato
ad una determinata anzianità lavorativa e rinviabile per
giustificati motivi attinenti al funzionamento dell'impresa,
il testo prevede dieci mesi, elevabili ad undici per favorirne
l'uso da parte del padre lavoratore, non condizionati in alcun
modo.
5. Conclusioni.
Non v'è dubbio che l'aspettativa del Paese per questo
provvedimento è grande. Per il percorso che ha avuto, per le
speranze e le discussioni che ha suscitato, per l'impostazione
strategica che ha assunto e per l'originalità del contributo
che porta al confronto sui temi della qualità della vita e
della flessibilità del lavoro, esso rappresenta certamente un
momento alto della politica di riforme avviata da questo
Parlamento ed un'occasione importante per dimostrare la nostra
capacità di cogliere e di dare risposta alle trasformazioni
della società, del mondo produttivo e dei bisogni degli uomini
e delle donne di questo Paese.
Lo scopo principale che ha guidato l'azione prima del
Governo e poi della XI Commissione Lavoro, è stato quello di
portare la legislazione italiana a quel superiore livello di
rappresentazione e di elaborazione della realtà, che il
dibattito sui tempi di vita e di lavoro ha saputo raggiungere
nel Paese negli ultimi dieci anni; un livello che possiamo
oggi con orgoglio considerare tra i più elevati in Europa.
Sarebbe ingiusto dimenticare che questo provvedimento
affronta temi sui quali l'Italia delle città ha fatto scuola
nel mondo; così come lo sarebbe non valorizzare il percorso di
mobilitazione popolare che solo in Italia ha accompagnato
l'elaborazione di modelli di organizzazione sociale più
adeguati al nuovo rapporto tra i sessi ed alle trasformazioni
delle città e dei luoghi di lavoro.
Sento quindi l'obbligo di ringraziare, insieme con la
Ministra Turco ed i componenti della Commissione Lavoro, che
con me hanno condiviso l'impegno a tradurre in norme questo
ricco insieme di analisi e di aspettative, tutte quelle donne
e quegli uomini che dal 1988 attendono da quest'Aula una
riforma che li aiuti a districarsi meglio tra i vincoli e le
opportunità del loro quotidiano.
Certo, in questo provvedimento manca una risposta al
problema, che pure la proposta di legge di iniziativa popolare
poneva, della riduzione dell'orario di lavoro.
Noi tutti conosciamo sia l'ampio dibattito che quella
istanza ha suscitato sia le vicende che hanno indotto
l'Assemblea a stralciare da questo testo le disposizioni che
intervenivano in materia.
Ora quei contenuti sono iscritti in un contesto che tiene
conto del decennio trascorso e del confronto che si è
sviluppato tra le parti sociali sulla base di analisi che nel
1988 era solo possibile abbozzare.
Tuttavia l'Assemblea, che tra poco sarà chiamata ad
affrontare anche quel capitolo della politica di riforme che
il Paese attende, dovrà dimostrare di saper ricomporre nel
proprio agire legislativo quell'unità di prospettiva che, con
ragione, allora si era scelto di derivare dall'esperienza
quotidiana di ciascuno: perché se è possibile fare una legge
che si occupi soltanto dell'orario di lavoro, nella vita tutti
devono occuparsi, oltre che di lavoro, anche di cura, degli
altri e di sé.
Presentiamo dunque, consapevolmente, una riforma
importante ma incompiuta: ciascuno di noi, da domani, avrà
nelle proprie mani la possibilità di portarla a compimento.
Elena Emma CORDONI, Relatore.