XIII LEGISLATURA
RELAZIONE - N. 259 - 599 - 734 - 833 - 896 - 1170 - 1363 - 1938-ter - 2207-bis - 2208 - 2696 - 2838 - 3385 - 3685 - 3871 - 4624 - 5287-A




        Onorevoli Colleghi! - Il testo all'attenzione dell'Assemblea è il risultato di più di dieci anni di elaborazione teorica e di mobilitazione sociale. Basti sottolineare il fatto che la caratteristica di esprimere politiche dei tempi, che attraversa ed unifica le differenti disposizioni in esso contenute, dieci anni fa non avrebbe trovato nel linguaggio politico neppure le parole per essere detta.
        Il cammino che oggi ci consente di nominare le politiche dei tempi, di dare loro concretezza di norma, è stato lungo e prima di giungere a quest'Assemblea ha attraversato il Paese, incrociandosi con le trasformazioni sociali ed economiche più significative dell'ultimo scorcio di secolo: la continua crescita sia del tasso di scolarizzazione sia dell'occupazione femminile, l'aumento della speranza di vita, la suburbanizzazione delle residenze, le nuove opportunità dell'informatizzazione e la riorganizzazione della produzione industriale con lo sviluppo dell'economia diffusa, del decentramento dei servizi e della specializzazione flessibile.


1. Ambito di intervento normativo e rapporto con la legislazione vigente.

Le donne cambiano i tempi.

        A partire dagli anni '80, dentro i più generali processi della modernizzazione del welfare e della frammentazione produttiva, con le loro implicazioni positive e negative di flessibilità e deregolamentazione crescenti, le donne per prime hanno proclamato il diritto di ergere a principio ordinatore di una diversa organizzazione dei tempi sociali la libertà di scelta sottesa ad ogni progetto di vita, sostenendo che il ciclo vitale, in tutte le sue stagioni, ha il diritto di vedere riconosciuti i suoi tempi come esperienza piena, cui corrispondano diritti, risorse e poteri.
        Di fronte all'esigenza di un nuovo sistema di flessibilità dei tempi sociali, compatibile con le trasformazioni del mercato, delle città e dei bisogni individuali, esse per prime hanno sostenuto la necessità di riconoscere ai soggetti il potere di governarlo ed alle leggi il dovere di garantirne una regolazione socialmente condivisa, definendo una diversa distribuzione delle flessibilità e delle rigidità richieste ai diversi soggetti ed ambiti di vita.
        Quando nel '90 è approdata in Parlamento la prima proposta di legge, di iniziativa popolare, che proponesse un progetto di politica dei tempi, le donne comuniste che l'avevano promossa potevano dunque sostenere di portare all'attenzione delle istituzioni ben più di un testo condiviso da centinaia di migliaia di persone; prima, durante e dopo la loro iniziativa, all'interno del più vasto movimento delle donne, l'analisi soggettiva e quella sociologica avevano proposto all'attenzione della politica parole nuove per raccontare le ricchezze e i disagi della nuova quotidianità femminile, come doppia presenza di lavoro e di cura; parole che, approfondendo i mutamenti del corso di vita delle donne, individuavano ed aiutavano a comprendere processi di evoluzione sociale che stavano trasformando l'intera società.
        Facendola uscire dall'ambito privato della negoziazione intrafamiliare, le donne avevano scelto di dare evidenza politica all'opportunità di ciascuna di intrecciare il tempo del lavoro, il tempo per sé ed il tempo di cura, obbligando non più se stesse ma la comunità intera a progettare modelli organizzativi e di servizi compatibili con il desiderio di esistenze più ricche.
        Così facendo, esse smascheravano anche il carattere sessuato dei tempi sociali e delle loro gerarchie: il ciclo di vita tradizionale, rigido e lineare, fatto prima di studio e poi di lavoro, strutturato nel senso di organizzare intorno a quest'ultimo le priorità soggettive e sociali, si era affermato ignorando completamente il tempo della cura e della riproduzione della specie, svolti al di fuori del tempo sociale riconosciuto da soggetti destinati in via esclusiva a quella funzione.
        La valorizzazione sociale di quelle dimensioni del tempo che scandivano esclusivamente i giorni e le esistenze maschili, corrispondeva ad una divisione sessuale del lavoro rigida ed impari, che si sosteneva sull'esclusione obbligata delle donne dal mondo della formazione e del lavoro e sulla volontaria rinuncia degli uomini al tempo degli affetti e della cura.
        L'ingresso delle donne nel mondo del lavoro ha messo in crisi quel modello, imponendo una ridistribuzione dei tempi di vita tra i sessi; lo ha fatto attraverso un percorso congiunto di quotidiani conflitti individuali e di crescente consapevolezza collettiva della necessità di un'organizzazione diversa dei tempi dell'intera società.
        Inoltre, ponendo al centro di analisi e proposte l'individuo che quotidianamente ha a che fare coi vincoli, con le opportunità e con le scelte che accompagnano la conquista di tempi diversi, le donne hanno svelato che l'insostenibilità soggettiva di un'organizzazione dei tempi di lavoro, degli spazi urbani e dei servizi, disegnata sul disconoscimento di tempi vitali per la sopravvivenza della società stessa, costituisce in realtà la dimostrazione oggettiva della necessità di un loro radicale ripensamento.
        Negli ultimi due decenni, sono profondamente cambiati il mercato del lavoro e le forme di produzione, per mettere a frutto le nuove tecnologie e per meglio rispondere alle aspettative sempre meno standardizzate dei consumatori; ma la potente spinta economica che ha guidato e guida questa riorganizzazione non può permettersi di riprodurre un modello che esiga, come unica rigidità superstite, la tradizionale divisione sessuale del lavoro.
        Le donne pretendono ormai dalle proprie famiglie, dal sistema economico e dall'organizzazione complessiva della società il riconoscimento del loro diritto a tenere insieme tutte le dimensioni della loro esistenza; un'esistenza che la complessità e la pluralità dei tempi moderni destinano inesorabilmente ad implodere o a far esplodere il vecchio sistema di compatibilità.
        E' questo il debito che il testo oggi all'attenzione dell'Assemblea non può non riconoscere nei confronti della proposta di legge di iniziativa popolare "Le donne cambiano i tempi" e del dibattito nel Paese che l'ha preceduta e accompagnata: è grazie a quel lavoro che oggi ci troviamo a cercare la chiave di una migliore organizzazione dei tempi sociali nel superamento di rigidità normative, nel rafforzamento delle facoltà individuali di scelta e nella promozione di orari dei trasporti e dei servizi più rispondenti ai bisogni di chi ne usufruisce.
        E' a quest'elaborazione che hanno attinto anche i successivi testi di legge presentati dal gruppo del Partito Democratico della Sinistra prima e dai Democratici di sinistra poi.
        Sia nella struttura della proposta che nei contenuti, infatti, le diverse proposte depositate sono pervase da quest'idea della complessità e della pluralità dei tempi moderni e dalla volontà di contribuire a determinare un nuovo quadro di compatibilità ed un nuovo sistema di valori.
        Anch'esse, come quella di iniziativa popolare, intendono sollecitare l'insieme delle forze sociali, economiche e culturali ad elaborare un nuovo uso del tempo, a partire dal tempo di lavoro. Anche se questo testo, all'attenzione dell'Aula, non ha potuto affrontare il tema dell'orario di lavoro che è comunque all'ordine del giorno della Commissione Lavoro e segue un suo, separato iter parlamentare.
        Allo stesso modo, è importante comprendere il ruolo determinante esercitato dall'impianto normativo del disegno di legge n. 4624 presentato il 3 marzo 1998 dal Governo; in quel testo, infatti, non solo si riprendevano temi, analisi e soluzioni della proposta di legge popolare del 1988, ma si operava la scelta di ricollocarli in un nuovo contesto, fortemente segnato dal dibattito europeo tra le parti sociali in materia di formazione continua, di flessibilità dei tempi di lavoro e di conciliazione tra tempi di lavoro e di cura.
        A questi ultimi aspetti si devono la centralità acquisita dal tema dei congedi parentali - nel confronto con la direttiva 96/34/CE del Consiglio - e la scelta di intervenire sulla legge n. 1204 del 1971 a tutela delle lavoratrici madri, ma, soprattutto, il costruttivo percorso di scambio con le parti sociali, sullo sfondo del dibattito generale sui tempi di lavoro.
        In questo modo, intorno alla tematica della realizzazione personale e professionale dell'individuo attraverso una diversa gestione dei tempi di vita e di lavoro, si è venuto a creare un insieme convergente di disposizioni, che operano in ambiti trattati normalmente in modo separato dal legislatore, con il vantaggio di unire una forte istanza popolare, portata a più riprese ma senza risultato all'attenzione del Parlamento, ad una prospettiva considerevolmente innovativa in materia di recepimento delle nuove esigenze tecnico-organizzative del mondo del lavoro e dei nuovi bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici.
        Ancora. E' stato anche significativo che fin dall'inizio dell'assegnazione dei provvedimenti in Commissione si sia colta l'unitarietà della materia e quindi ci sia stata offerta l'opportunità di temere insieme anche nella legge ciò che fa parte dell'esperienza quotidiana di ciascuno: e cioè che i tempi di vita e di lavoro s'intrecciano inevitabilmente.

Tempi di cura e tempi di formazione: nuove flessibilità.

        Il primo obiettivo di questo testo è dunque quello di favorire un governo dei propri tempi di vita da parte del soggetto, promuovendo insieme un nuovo quadro di compatibilità e un nuovo sistema di valori; se la società postindustriale fa slittare il luogo principale del conflitto dalla sfera di soddisfazione dei bisogni economici verso bisogni più generali o globali, contemporaneamente generando una forte domanda di flessibilità dei tempi, dei luoghi e dei modi della produzione, una strategia sociale di conciliazione delle esigenze economiche con i bisogni umani non deve e non può prescindere da una forte riaffermazione della centralità del soggetto e del suo diritto alla realizzazione di autonomi progetti di vita.
        In questi anni, soprattutto in materia di lavoro e di formazione, si è lavorato alla creazione di regole in grado di garantire, ad un tempo, maggiori flessibilità e più estese garanzie, recuperando spazi per modelli formativi meno rigidi, offrendo al mercato del lavoro nuove forme di rapporto tra le parti.
        Questa maggiore articolazione dei tempi di formazione e di lavoro, che in modo non ancora compiuto prospetta cicli di vita sempre meno rigidi e prevedibili, risponde alla sempre più forte richiesta di flessibilità del mercato, ma apre anche nuovi spazi di libertà agli individui, non più ingabbiati in un unico lineare tempo di vita, fatto prima di formazione, poi di lavoro ed infine di riposo.
        Tuttavia, quel complesso di norme, regolando essenzialmente i rapporti di lavoro o le forme di qualificazione e di preparazione al lavoro, manca ancora di due importanti elementi: il pieno riconoscimento del tempo di cura e delle sue peculiari esigenze di autogoverno e la considerazione del peso determinante dell'organizzazione delle città e dei servizi sulla programmazione individuale dei tempi di vita.
        Da ciò discende, nella presente legge, il proposito di promuovere un equilibrio socialmente sostenibile tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione, offrendo al soggetto la possibilità di organizzare con maggiore autonomia vincoli ed opportunità riferibili ad ambiti diversi.

Conciliare i tempi di cura e i tempi di lavoro.

        Un nuovo patto tra gli uomini, le donne e lo Stato può mutare la gerarchia che regola i tempi della nostra vita, puntando sulla crescita delle libertà e dei poteri di donne e uomini, non più separatamente considerati cittadini, lavoratori o utenti.
        Il tempo di lavoro non può prevaricare gli altri tempi della vita; anche il tempo per la cura dei figli, per la cura familiare hanno un valore sociale che deve essere riconosciuto.
        Oggi, invece, l'esperienza della maternità e della paternità si trova troppo spesso in conflitto con l'impegno lavorativo ed è vissuta come puro costo da contenere, come ostacolo per il datore di lavoro.
        Ci possono essere fasi della vita - l'avvio al lavoro, l'uscita dal lavoro, la crescita dei figli, l'assistenza ad un familiare anziano o ammalato - in cui un individuo ha bisogno di ridurre il suo tempo di lavoro o di poterlo distribuire in modo più flessibile. Il testo oggi all'esame dell'Assemblea consente questa libertà.

Misure a sostegno della flessibilità d'orario.

        Dalla conciliazione dei bisogni degli individui, delle esigenze delle imprese e delle articolazioni del welfare può nascere anche una nuova cultura dell'impresa e dei servizi.
        Un pieno riconoscimento dei diritti e delle libertà di uomini e donne può divenire nei luoghi di lavoro garanzia di maggiore impegno e di migliore professionalità: individui completi, autonomi, capaci di esercitare il potere della scelta e di governare i vincoli delle necessità, costituiscono per una moderna organizzazione produttiva una risorsa di gran lunga più preziosa dei tempi di lavoro che per le loro esigenze sottraggono all'impresa.
        L'accantonamento specifico che la legge dispone sul Fondo per l'occupazione, in favore delle imprese che promuovono forme di articolazione produttiva finalizzate a conciliare tempi di vita e di lavoro, dimostra che lo Stato le considera di sicuro vantaggio per lo sviluppo economico e sociale del Paese; sarebbe particolarmente auspicabile un analogo atteggiamento da parte di quelle organizzazioni imprenditoriali che ancora guardano con una certa diffidenza a questi nuovi strumenti di libertà dentro l'impresa.
        Il testo all'esame dell'Assemblea riconosce inoltre il lavoro di cura come tempo sociale, introducendo nuove e più flessibili forme di permesso e di congedo ed ampliando i diritti dei genitori naturali, adottivi o affidatari, senza mancare di promuoverne espressamente una distribuzione più equa tra uomini e donne, attraverso meccanismi di "premio" alla fruizione maschile dei congedi parentali.
        Si tratta di un'esplicita azione positiva in favore di una migliore divisione dei compiti all'interno del nucleo familiare, che offre alla coppia la possibilità di fruire di un mese di congedo parentale in più, purché sia il padre a farne uso.

Il diritto alla formazione.

        L'introduzione di congedi formativi consente invece di superare la rigidità della successione tra tempo dello studio e tempo del lavoro, riconoscendo a ciascuno la possibilità ed il diritto a distaccarsi temporaneamente dal suo lavoro per ricominciare a studiare o per qualificarsi.
        E' questo un aspetto assai qualificante del testo in discussione: l'Italia deve colmare il deficit che la investe nell'ambito del contesto europeo in merito agli interventi formativi e alla loro qualità ed efficacia.
        Per rendere competitiva la nostra economia è necessario realizzare forti investimenti nel capitale umano: la formazione è la risorsa del futuro.
        In rapporto alla moderna organizzazione del lavoro, questa norma introduce un elemento di grande innovazione funzionale, rendendo concretamente possibile quella formazione lungo tutto l'arco della vita che tutti considerano ormai indispensabile per un utilizzo sociale pieno delle nuove tecnologie e per un rafforzamento delle opportunità formative ed occupazionali per i lavoratori.
        E' questo un primo importante passo in direzione di una riforma del welfare che moltiplichi le opportunità e renda protagonisti delle trasformazioni i lavoratori.
Tempi delle città.

        Infine, il testo predisposto dalla XI Commissione si propone di spezzare la tirannia degli orari delle città, che sottrae tempo e servizi a donne ed uomini; senza un governo che ascolti chi nella città ci vive, la babele degli orari, separatamente decisi da amministrazioni, aziende di trasporto, scuole, negozi ed altri infiniti erogatori di servizi, costringe il cittadino a fatiche e rinunce che limitano pesantemente la sua autonomia.
        Il testo all'attenzione dell'Assemblea, assegnando compiti di coordinamento degli orari delle città a regioni e comuni, chiamati rispettivamente a promuovere e a concertare piani territoriali degli orari negoziati tra erogatori ed utenti dei servizi, raccoglie le positive esperienze di numerose amministrazioni locali ed assume come valore per il Paese il principio che la società deve essere amica di chi ci vive.
        Il tempo della vita si può scandire in modo più consono alle complesse esigenze della persona e, laddove si rende necessario, conciliare differenti esigenze, è possibile porre la democrazia al servizio della qualità della vita.

L'impostazione del testo unificato.

        Il testo all'attenzione dell'Assemblea interviene dunque con univoca ispirazione su materie differenziate e propone in un unico articolato disposizioni che riguardano tempi di vita normalmente unificati solo nell'esperienza del soggetto che li vive.
        Nel confronto con la legge 1204 del 1971 sulla tutela delle lavoratrici madri, che pure ha rappresentato negli anni '70 uno dei momenti più alti della stagione delle riforme, questo testo dimostra di aver saputo raccogliere trasformazioni profonde della società italiana.
        Il tempo che quella legge sottraeva al lavoro, ed al solo lavoro dipendente, era in fondo standardizzato come quello della produzione, disegnato su madri e figli astrattamente omogenei nei bisogni e nei desideri.
        Incontriamo qui una delle prime verità sociali cui il testo unificato cerca di adeguare la norma: il tempo di cura è meno rigido, meno prevedibile e molto più personalizzato del tempo di lavoro; l'esigenza che esso porta nel mondo della produzione è dunque quella di flessibilità capaci di assorbire emergenze ed imprevisti e, soprattutto, maggiormente governabili dagli individui in ragione dei loro specifici bisogni.
        Il testo unificato sviluppa strategie di conciliazione che da un lato promuovono i mutamenti sociali positivi e dall'altro tutelano i soggetti da quelli che positivi non sono:

            riconoscendo ad entrambi i genitori il diritto individuale al congedo parentale per la nascita o l'adozione di un bambino, promuove anche attraverso specifici incentivi un modello di genitorialità piena che si va sempre più affermando, con il diffondersi della cosiddetta "paternità responsabile";

            parificando i diritti di genitori naturali, adottivi e affidatari, rimuove i negativi effetti di un'ingiusta gerarchia di valori, che fortunatamente non ha più corso nel Paese;

            lasciando alla donna la scelta della distribuzione, prima e dopo il parto, del tempo complessivo di astensione obbligatoria dal lavoro, riconosce a ciascuna madre il diritto di autonoma gestione di tempi così personali, pur nella salvaguardia della salute del nascituro;

            estendendo i tempi di astensione facoltativa per la cura dei figli, più compiutamente riconosciuti anche ai padri ed ai lavoratori autonomi, ridisegna la gerarchia tra tempi di lavoro e tempi di cura prevedendo a vantaggio di questi ultimi nuovi diritti e risorse: la legge infatti garantisce, oltre al diritto, pari facoltà di scelta anche ai lavoratori con redditi medio bassi, assicurando loro l'indennità pari al 30 della retribuzione, prevista di norma solo fino al terzo anno del bambino, anche nei casi di godimento dell'astensione facoltativa entro l'ottavo anno;
            estendendo il diritto all'astensione facoltativa dal lavoro per l'assistenza ai figli alle lavoratrici autonome, non solo prende atto del numero crescente di donne che scelgono di esercitare attività in proprio, senza più identificare il mondo del lavoro con quello del lavoro dipendente, ma concretamente opera un primo passo nella più universale direzione del riconoscimento pieno del valore sociale della maternità, a prescindere dalla condizione lavorativa della donna;

            riconoscendo l'esistenza di parti gemellari e prematuri prende atto della necessità di riscrivere norme che standardizzavano l'evento della nascita senza rapporto con la realtà;

            consentendo ed incentivando l'assunzione di lavoratori a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in astensione obbligatoria o facoltativa dal lavoro, riconosce le crescenti esigenze di affiancamento formativo generate dalla sempre maggiore qualificazione e specializzazione del lavoro, con il proposito di ridurre i costi sia vivi sia indiretti che le imprese in quei casi sono chiamate a sostenere;

            accantonando un fondo specifico in favore delle aziende che scelgono di favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, riconosce ad un tempo il valore sociale della concertazione ed il ruolo insostituibilmente creativo della contrattazione decentrata in una materia tanto segnata dalle particolarità dei bisogni e della produzione;

            disponendo il controllo delle dimissioni volontarie dei lavoratori durante il primo anno di vita del figlio e vietando il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione dei congedi parentali, utilizzabili fino all'ottavo anno di età del bambino, sottrae i genitori ed il loro diritto alla cura dei figli agli effetti più negativi della precarizzazione del mercato del lavoro.

        Da un attento e proficuo confronto con le differenziate necessità della cura di sé e degli altri, il testo all'attenzione dell'Assemblea ha saputo trarre inoltre una serie di disposizioni che rendono meno gravose da un lato situazioni dolorose, come decessi e gravi infermità di familiari e conviventi, e più facili dall'altro scelte di arricchimento personale, col riconoscimento ai lavoratori, occupati e non, del diritto a proseguire percorsi di formazione per tutto l'arco della vita.
        La doppia istituzione dei congedi per eventi e cause particolari e dei congedi per formazione sposta risorse e poteri a favori dei tempi individuali del non lavoro, riconoscendo il valore sociale della solidarietà e della crescita individuale. Essa inoltre rende possibile l'entrata o l'uscita dal sistema occupazionale in base ai bisogni familiari, di cura e di formazione di uomini e donne, ritagliando nuovi spazi di libertà per gli individui.
        Assai marcata nel testo è anche la tendenza a favorire le scelte individuali nei casi di conflitto con le rigidità dei tempi di lavoro e di riposo obbligatorio.
        Le nuove consentono:

            ai soggetti che hanno usufruito dei congedi previsti di prolungare il rapporto di lavoro di un periodo corrispondente, anche in deroga alle disposizioni concernenti l'età di pensionamento obbligatoria;

            ai lavoratori in congedo di anticipare il trattamento di fine rapporto per sostenere le spese nel periodo di astensione facoltativa;

            ai contratti collettivi di lavoro di introdurre condizioni di maggior favore rispetto a quelle previste dalla legge.

        Il complesso di nuove libertà nell'uso dei propri tempi di vita che scaturisce dall'insieme di queste disposizioni si esercita però in uno spazio troppo spesso ostile alle scelte degli individui. Le nostre città sottraggono tempo ed energie a ciascuno di noi, disperdendoli nei tempi morti degli ingorghi, delle code, degli spostamenti obbligati, delle lungaggini burocratiche o delle frammentazioni irrazionali di competenze.
        Per quanto la nostra società tenda ad essere sempre più incessante, distribuendo le attività umane nell'intero arco della giornata, questo processo, governato dalle convenienze del mercato e della produzione, normalmente non tiene conto delle diverse dimensioni di vita di ciascuno: ognuno di noi è lavoratore, familiare, amico, consumatore, utente, ma tutti affrontiamo solitamente in solitudine l'ardua impresa di far entrare nelle nostre giornate tutto ciò che dobbiamo o che vogliamo fare.
        D'altra parte, in ogni città, dimensioni, struttura e composizione sociale diverse generano vincoli e problemi differenziati; non c'è modo, dunque, di calare dall'alto modelli uniformi di organizzazione
degli spazi e dei tempi.
        Il testo propone una soluzione che valorizza l'autonomia locale e la composizione negoziata dei conflitti: esso attribuisce ai sindaci il potere ed il dovere di coordinare gli orari degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici e degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, avvalendosi di un tavolo di concertazione cui partecipano rappresentanti di erogatori ed utenti dei servizi.
        La regolazione dei tempi della città, allo stesso modo della regolazione dei suoi spazi, diviene oggetto di pianificazione vincolante, approvata dal consiglio comunale e dunque soggetta alla verifica di eletti ed elettori.
        Lo scopo finale è la definizione di un orario della città fatto per chi ci vive, all'interno del quale ciascuno possa liberamente essere cittadino del proprio tempo.

Le Banche dei Tempi.

        Con specifici finanziamenti, la legge promuove l'attuazione dei piani territoriali degli orari, ma non manca di premiare la costituzione delle banche dei tempi, scegliendo anche in questo caso di valorizzare uno strumento inventato e sperimentato liberamente all'interno delle comunità locali da singoli e gruppi di cittadini.
        Questa nuova e ricca realtà associativa, nata dal principio dello scambio alla pari di ore, chieste ed offerte sulla base dei bisogni e delle capacità di ciascuno, reintroduce in modo ingegnoso e moderno nelle nostre città il mutuo aiuto tipico delle antiche relazioni di buon vicinato.
        Si tratta di un'esperienza generalmente promossa da gruppi di donne ed attivamente sostenuta dalle istituzioni locali, che ad oggi conta ben 284 banche sparse sull'intero territorio nazionale.
        Esse costituiscono ormai una rete di cittadinanza attiva e solidale che è interesse dello Stato sostenere, poiché favorisce la qualità della vita dei singoli e delle comunità locali, attraverso il libero scambio di prestazioni utili ma senza valore di mercato.
        Ancora una volta dunque, la norma corrisponde alla scelta di dare valore a tempi non monetizzabili di cura, solidarietà, dono e scambio di servizi, assumendo il principio che il tempo è molto più che danaro.


2. Istruttoria legislativa svolta.

        I progetti di legge assegnati alla XI Commissione che, in vario modo, riguardano la materia dei tempi di vita e di lavoro sono molto più numerosi di quelli poi confluiti nel testo unificato in esame.
        La Commissione, infatti, ha ritenuto di dover razionalizzare i propri lavori, dedicando un esame separato, rispetto agli altri, ai progetti di legge in materia di disciplina dell'orario di lavoro e di tutela delle lavoratrici madri assunte a tempo determinato. Questa scelta, tra l'altro, ha comportato lo stralcio di alcune disposizioni delle proposte di legge n. 1938, d'iniziativa dei deputati Mussi ed altri, e n. 2207, d'iniziativa dei deputati Cordoni ed altri, che attenevano specificamente alla materia dell'orario di lavoro.
        Sui restanti diciassette progetti di legge, ai quali è stata abbinata la petizione n. 138, la Commissione ha svolto un approfondito esame, condotto in parte nella sede del Comitato ristretto incaricato di redigere un testo unificato. L'indubbio rilievo degli argomenti affrontati e la relativa novità di alcuni di essi ha consigliato di svolgere numerose audizioni informali, che hanno consentito di acquisire elementi di valutazione preziosi, dei quali si è tenuto il massimo conto nella predisposizione delle norme oggi sottoposte all'Assemblea.
        Le audizioni informali hanno coinvolto organizzazioni sindacali dei lavoratori, associazioni degli imprenditori, organismi di rappresentanza delle autonomie territoriali, esponenti di alcuni enti locali che hanno già maturato significative esperienze nel coordinamento dei tempi delle città, associazioni di volontariato, nonché luminari della ginecologia e dell'ostetricia, per verificare la praticabilità di un'articolazione del periodo di astensione obbligatoria diversa da quella contemplata dalla legislazione vigente. Il Comitato ristretto si è anche avvalso della fattiva collaborazione dei Ministeri del lavoro e della previdenza sociale e per la solidarietà sociale.
        Sono stati, poi, espressi i pareri delle Commissioni competenti in sede consultiva. La II e la IV Commissione hanno espresso un parere di nulla osta.
        Sono state tutte accolte le osservazioni che accompagnavano il parere favorevole della I Commissione.
        E' stata accolta la condizione espressa dalla VI Commissione, mentre l'osservazione è da ritenersi almeno in parte soddisfatta dalla nuova formulazione dell'articolo 28, che attribuisce una priorità nell'assegnazione delle risorse del Fondo per l'armonizzazione dei tempi delle città agli interventi sugli orari che contribuiscano alla riduzione delle emissioni di gas inquinanti. Lo stesso può dirsi per l'osservazione che accompagnava il parere favorevole della X Commissione.
        Alcune priorità segnalate nell'osservazione della IX Commissione compaiono nel testo dell'articolo 28; la Commissione Lavoro, tuttavia, ha ritenuto che non fosse opportuno privilegiare esclusivamente i progetti che attengono alla mobilità e ai trasporti, poiché l'obiettivo dell'armonizzazione dei tempi delle città richiede anche misure di diversa natura.
        Non sono state accolte, invece, le osservazioni contenute nel parere della XII. Non è apparso condivisibile, infatti, un indirizzo legislativo volto a incentivare le madri a preferire una specifica forma di allattamento, poiché ciò comporterebbe un'intrusione del legislatore in una scelta che è operata sulla base di una molteplicità di motivazioni individuali. Del pari, la Commissione Lavoro ha ritenuto di mantenere il comma 1 dell'articolo 12, in quanto le audizioni informali svolte hanno evidenziato come una diversa articolazione del periodo di astensione obbligatoria non comporti in sé un incremento dei rischi di nascite premature, se è accompagnata dalle cautele che il comma in questione e il successivo comma 2 stabiliscono tassativamente.
        La XI Commissione ha poi richiesto di sua iniziativa l'espressione di un parere sul testo unificato da parte del Comitato per la legislazione e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
        Riguardo al parere favorevole del Comitato per la legislazione, ne sono state accolte la condizione sub 1) e l'osservazione sub b). Non è stata recepita, invece, la condizione sub 2), poiché la XI Commissione ha ritenuto più opportuno che l'espressa indicazione delle disposizioni abrogate per effetto ed in conseguenza del provvedimento in esame sia rinviata al testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, alla cui emanazione il Governo è delegato dall'articolo 15.
        Né è apparsa condivisibile l'osservazione sub a), con la quale veniva suggerito di suddividere la materia in distinti provvedimenti, per garantire una maggiore chiarezza normativa e un più efficace coordinamento con la legislazione vigente: l'osservazione, infatti, non coglie assolutamente l'importanza di ricomprendere in un unico contesto legislativo disposizioni che, ben lungi dall'essere disomogenee le une rispetto alle altre, solo nel loro complesso possono rappresentare il primo vero esempio di attuazione di quelle politiche dei tempi alle quali accennavo all'inizio di questa relazione.
        In merito al parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali, segnalo che ne è stata accolta l'osservazione sub b). La XI Commissione ha ritenuto, invece, di non poter recepire le restanti due osservazioni, non perché non ne condividesse la ratio, bensì per il fondato timore che, attenuando ulteriormente il contenuto precettivo delle disposizioni del capo VII, ci si limitasse ad enunciazioni tanto evanescenti da non poter essere qualificate quali norme giuridiche.
        La V Commissione non ha potuto esprimere il parere di competenza a causa del ritardo con il quale il Governo ha trasmesso la relazione tecnica sugli effetti finanziari determinati dal testo unificato. Mi preme, tuttavia, sottolineare che il Comitato dei nove è pienamente disponibile a tenere conto delle indicazioni della Commissione Bilancio, qualora questa fosse in grado di esprimere il proprio parere all'Assemblea.


3. L'articolato definito dalla Commissione.

        L'articolo 1 indica le finalità del testo unificato, per l'illustrazione delle quali rinvio alla prima parte di questa relazione.
        Il capo II è intitolato ai congedi parentali, familiari e formativi e raccoglie gli articoli da 2 a 7.
        L'articolo 2 modifica le disposizioni della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 in materia di assenze dal lavoro per astensione facoltativa e per assistenza ai bambini in caso di malattia. Il testo corrisponde sostanzialmente a quello dell'articolo 1 del disegno di legge n. 4624, fatte salve alcune significative correzioni introdotte dalla XI Commissione. E' da segnalare che sulla medesima materia (e nel comune intento di allargare la platea di lavoratrici e lavoratori che beneficiano della tutela legislativa) intervengono anche le proposte di legge n. 259, d'iniziativa dei deputati Pozza Tasca ed altri, n. 2207-bis, d'iniziativa dei deputati Cordoni ed altri, n. 2838, d'iniziativa dei deputati Barral e Balocchi e n. 3871, d'iniziativa dei deputati Prestigiacomo ed altri.
        In particolare, al comma 1 si stabilisce che è possibile usufruire di tali assenze, con il relativo trattamento economico, anche se l'altro genitore non ne ha diritto: questa formulazione mi sembra suscettibile di miglioramento. La medesima tutela viene estesa alle lavoratrici autonome; peraltro la Commissione ha ritenuto di limitare l'estensione ad un periodo massimo di tre mesi nel primo anno di vita del bambino e in relazione ai soli figli nati a decorrere dal 1^ gennaio 2000. Tale modifica è giustificata dalle diverse caratteristiche del lavoro autonomo rispetto a quello dipendente e tiene conto delle disponibilità finanziarie accertate nel corso dell'istruttoria legislativa.
        Il comma 2 detta una nuova disciplina dell'astensione facoltativa e delle assenze dal lavoro per malattia del bambino, sostituendo con una nuova formulazione l'articolo 7 della legge n. 1204 del 1971. Viene sancito il diritto per ciascun genitore di assentarsi dal lavoro - anche contemporaneamente all'altro, come precisato dalla Commissione - nei primi otto anni di vita del bambino. Nel complesso le assenze dal lavoro non possono eccedere i dieci mesi, continuativi o frazionati. La madre ne può fruire per non più di sei mesi e solo dopo che sia trascorso il periodo di astensione obbligatoria. Anche il padre ne può fruire per non più di sei mesi, ma se si assenta dal lavoro per almeno tre mesi, tale limite viene elevato a sette mesi. Nel caso vi sia un solo genitore, questi può utilizzare tutti i dieci mesi di astensione facoltativa.
        Vengono poi dettate le modalità di preavviso del datore di lavoro in caso di esercizio del diritto all'astensione facoltativa, ed è altresì affermato il diritto per i genitori ad assentarsi dal lavoro - purché non contemporaneamente - durante le malattie del bambino di età inferiore ad otto anni (il limite attuale è di tre anni), certificate da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato. Il ricovero ospedaliero del bambino interrompe le ferie in godimento da parte del genitore. Nel caso di malattia del bambino, il padre o la madre sono tenuti ad autocertificare che l'altro genitore non è assente dal lavoro negli stessi giorni per il medesimo motivo.
        Tutti i periodi di assenza per astensione facoltativa e per malattia del bambino sono computati nell'anzianità di servizio.
        Ricordo che la previsione di appositi congedi in caso di malattia del bambino è contenuta anche nelle proposte di legge n. 599, d'iniziativa dei deputati Cordoni ed altri, e n. 1938-ter, d'iniziativa dei deputati Mussi ed altri.
        Il comma 3 sostituisce l'articolo 15 della legge n. 1204 del 1971, in tema di indennità economiche per l'astensione dal lavoro. Si conferma che la lavoratrice ha diritto ad un'indennità giornaliera pari all'ottanta per cento della retribuzione per il periodo di astensione obbligatoria, mentre per l'astensione facoltativa sono previsti importi differenziati:

            trenta per cento della retribuzione nei primi tre anni di vita del bambino, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi, coperto da contribuzione figurativa piena;

            in tutti gli altri casi (periodi di astensione oltre il terzo anno di vita del bambino o, indipendentemente dall'età di quest'ultimo, a partire dal settimo mese di assenza dal lavoro), trenta per cento della retribuzione se il reddito individuale dell'interessato è inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione dell'INPS; se il reddito è superiore a tale limite, non spetta alcuna indennità; i casi di astensione di cui si tratta, tuttavia, sono coperti in ogni caso da una contribuzione figurativa rapportata ad un valore retributivo convenzionale, fatta salva la possibilità di versamenti integrativi da parte del lavoratore.

        Per i periodi di assenza connessi a malattie del bambino di età non superiore a tre anni è dovuta la sola contribuzione figurativa piena; se, invece, il bambino ha un'età superiore a tre anni e inferiore a otto la contribuzione figurativa è rapportata ad un valore retributivo convenzionale.
        Sono poi stabiliti i criteri per la determinazione del reddito dell'interessato e per l'erogazione delle indennità.
        Il comma 4, integrando l'articolo 10 della legge n. 1204 del 1971, provvede alla copertura previdenziale (figurativa, fatta salva la facoltà di riscatto o di versamento volontario dei contributi) dei periodi di riposo giornaliero spettanti ai genitori fino al compimento di un anno di età del bambino.
        Il comma 5, infine, estende tutte le disposizioni recate dall'articolo 2 del testo unificato ai genitori adottivi o affidatari. La XI Commissione ha ritenuto, peraltro, di dover integrare il testo del Governo precisando che, qualora all'atto dell'adozione o dell'affidamento il minore abbia un'età compresa fra sei e dodici anni, il diritto all'astensione facoltativa o per malattia del bambino può essere esercitato nei primi tre anni dall'ingresso del minore nel nucleo familiare.
        Restano ferme le disposizioni vigenti in materia di lavoratori a domicilio e degli addetti ai servizi domestici e familiari.
        E' da sottolineare che il principio della parità dei diritti dei genitori naturali, adottivi e affidatari in tema di congedi parentali è alla base della proposta di legge n. 896, d'iniziativa dei deputati Nardini ed altri. L'articolo 3 (corrispondente all'articolo 5, commi 1, 3, 4 e 5 del disegno di legge n. 4624) introduce l'istituto dei congedi per eventi e cause particolari. Il testo del Governo è stato preferito alle formulazioni che in proposito si rinvengono nelle citate proposte di legge n. 599, 1938-ter e 2207-bis.
        Il comma 1 prevede un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all'anno in caso di decesso o di documentata grave infermità del coniuge, di un parente entro il secondo grado o del convivente; nell'ipotesi di grave infermità, il permesso può essere sostituito, d'intesa con il datore di lavoro, con diverse modalità di espletamento dell'attività lavorativa.
        Il comma 2 stabilisce, a favore dei lavoratori dipendenti con almeno cinque anni di anzianità di servizio, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni per gravi e documentati motivi familiari; il congedo implica il diritto alla conservazione del posto di lavoro, ma non è computato ai fini dell'anzianità di servizio, né ai fini previdenziali, salva la facoltà di riscatto o di versamento volontario dei contributi da parte del lavoratore. La disciplina della partecipazione dei lavoratori ad eventuali corsi di formazione, una volta terminato il periodo di congedo, è rimessa dal comma 3 ai contratti collettivi.
        Il comma 4 stabilisce le modalità di attuazione delle disposizioni dell'articolo in esame.
        L'articolo 4 reca norme in materia di congedi per la formazione e riproduce, con limitate modifiche, l'articolo 6 del disegno di legge n. 4624, anche in questo caso preferito alle analoghe disposizioni recate da alcune delle proposte di legge abbinate.
        Ai sensi del comma 1, è riconosciuta ai lavoratori dipendenti con almeno cinque anni di anzianità di servizio presso la stessa azienda o amministrazione una sospensione del rapporto di lavoro per congedi non retribuiti finalizzati alla formazione nel limite di undici mesi, continuativi o frazionati, nell'arco dell'intera vita lavorativa.
        Il comma 2 detta la nozione di "congedi per la formazione", mentre il comma 3 ne regola gli aspetti attinenti alla conservazione del posto di lavoro e al rapporto con l'anzianità di servizio, le ferie, la malattia e i congedi riconosciuti ad altro titolo.
        Il comma 4 stabilisce le condizioni alle quali il datore di lavoro può non accogliere ovvero differire la richiesta di congedo per la formazione, mentre tutte le altre modalità di fruizione saranno definite dalla contrattazione collettiva.
        In base al comma 5, il lavoratore può riscattare i periodi di congedo per la formazione o procedere al versamento volontario dei contributi previdenziali.
        L'articolo 5 istituisce i congedi per la formazione continua, sviluppando alcuni spunti contenuti nell'articolo 49 della proposta di legge n. 1938-ter e negli articoli 2 e 16 della proposta n. 2207-bis. Il comma 1 detta una disposizione volta ad affermare il diritto di tutti i lavoratori, occupati e non occupati, a proseguire i percorsi di formazione per tutto l'arco della vita, per accrescere conoscenze e competenze. Vengono poi definite le caratteristiche dell'offerta formativa che lo Stato, le regioni e gli enti locali sono tenuti ad assicurare ed è poi chiarito che le attività di formazione possono corrispondere ad una libera scelta del lavoratore ovvero essere inserite nei piani formativi aziendali o territoriali concordati fra le parti, ai sensi dell'articolo 17 della legge 24 giugno 1997, n. 196.
        Il comma 2 enumera gli aspetti relativi ai congedi per la formazione continua che sono rimessi alla contrattazione collettiva, mentre il comma 3 stanzia 30 miliardi di lire annue per il cofinanziamento di accordi contrattuali che prevedano quote di riduzione dell'orario di lavoro finalizzate alla formazione dei lavoratori.
        Il comma 4, infine, consente l'integrazione del Fondo interprofessionale per la formazione continua, di cui al regolamento di attuazione del citato articolo 17 della legge n. 196 del 1997, attraverso l'apporto di risorse non solo finanziarie, ma anche professionali, di tempo, logistiche e organizzative.
        L'articolo 6 corrisponde all'articolo 8 del disegno di legge n. 4624 e consente un'anticipazione del trattamento di fine rapporto (o delle indennità equipollenti) per far fronte alle spese connesse alla fruizione dei periodi di astensione facoltativa o dei congedi per la formazione e per la formazione continua. Per analoghe finalità, i fondi di previdenza complementare possono concedere anticipazioni delle prestazioni da essi erogate.
        I medesimi obiettivi perseguiti dall'articolo 6 del testo unificato sono alla base di alcune disposizioni delle proposte di legge n. 1938-ter e 2207-bis.
        L'articolo 7 riproduce una norma contenuta nelle proposte di legge appena citate (nonché nella proposta n. 599) e stabilisce che i lavoratori i quali fruiscano dei congedi per la formazione hanno diritto a prolungare il rapporto di lavoro per un periodo corrispondente, anche in deroga alle disposizioni in materia di età pensionabile.
        Il capo III reca norme riguardanti la flessibilità di orario e comprende l'articolo 8, che riserva una quota pari a 40 miliardi di lire annue del Fondo per l'occupazione a favore delle aziende che applichino accordi contrattuali che prevedano azioni positive per la flessibilità: la finalità è quella di incentivare forme di articolazione della prestazione lavorativa atte a conciliare tempo di vita e tempo di lavoro. Si tratta di una disposizione che ricalca quella recata dall'articolo 2 del disegno di legge n. 4624, ma presente pure in alcune delle proposte di legge abbinate; la modifica di maggior rilievo apportata dalla Commissione riguarda la possibilità di finanziare, tra gli altri, anche progetti che consentano la sostituzione dell'imprenditore o del lavoratore autonomo che benefici dell'astensione obbligatoria o dei congedi parentali con altro imprenditore o lavoratore autonomo.
        Il capo IV reca ulteriori disposizioni a sostegno della maternità e della paternità e raccoglie gli articoli da 9 a 18.
        In particolare, l'articolo 9 disciplina l'assunzione a tempo determinato di lavoratori in sostituzione di quelli in astensione obbligatoria o facoltativa, riprendendo con modifiche l'articolo 3 del disegno di legge n. 4624: l'assunzione può essere anticipata fino ad un mese rispetto al termine iniziale del periodo di astensione, salvo che la contrattazione collettiva non preveda anticipi maggiori. Se tali assunzioni sono effettuate da aziende con meno di venti dipendenti, è concesso uno sgravio contributivo del 50 per cento fino al compimento di un anno di vita del bambino o fino ad un anno dall'accoglienza del minore adottato o in affidamento (quest'ultimo termine è stato aggiunto dalla Commissione). Le medesime agevolazioni spettano alle imprese che effettuino assunzioni in coincidenza con la maternità delle lavoratrici autonome della cui collaborazione si avvalgono.
        Sottolineo, peraltro, che il tema della sostituzione dei lavoratori in astensione è affrontato anche in alcune delle proposte di legge abbinate: le già citate n. 259, 2838 e 3871 e la n. 3385, d'iniziativa del deputato Saonara.
        L'articolo 10 integra il corrispondente articolo della legge n. 1204 del 1971, stabilendo che in caso di parti plurimi i periodi di riposo giornaliero sono raddoppiati e le ore aggiuntive a quelle ordinarie possono essere utilizzate anche dal padre. In questo caso lo spunto è stato offerto dalla proposta di legge n. 5287, d'iniziativa dei deputati Nardini ed altri, oltre che dalla più volte citata proposta n. 599.
        L'articolo 11 riguarda il computo del periodo di astensione obbligatoria in caso di parto prematuro e stabilisce che i giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del parto vengono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto. Si tratta di una disposizione contenuta nel disegno di legge n. 4624 (articolo 4) e nella proposta di legge n. 2696, d'iniziativa dei deputati Schmid ed altri.
        L'articolo 12, comma 1, raccoglie un'indicazione presente nella già citata proposta di legge n. 3871, volta a consentire una diversa articolazione del periodo di astensione obbligatoria (ora suddivisa in due mesi prima e tre mesi dopo il parto) a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale attesti che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro. Il comma 2 del medesimo articolo prevede poi l'aggiornamento dell'elenco dei lavori pericolosi, faticosi ed insalubri ai quali in nessun caso possono essere addette le lavoratrici in stato di gravidanza.
        L'articolo 13 concerne l'astensione dal lavoro del padre lavoratore e a tal fine aggiunge due articoli alla legge 9 dicembre 1977, n. 903, recependo disposizioni recate dalle proposte di legge n. 599 e 1938-ter. In sintesi, è riconosciuto il diritto del padre lavoratore di astenersi dal lavoro nei primi tre mesi dalla nascita del figlio in caso di morte, grave infermità della madre o di abbandono da parte di quest'ultima, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre. Si applicano al padre le disposizioni in materia di computo nell'anzianità di servizio del periodo di astensione obbligatoria e di indennità economiche per l'astensione obbligatoria e per i congedi per malattia del bambino. Al padre spettano, inoltre, i periodi di riposo giornaliero e i relativi trattamenti economici nel caso in cui figli siano affidati solo a lui ovvero in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga ovvero nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente.
        L'articolo 14, corrispondente ad un emendamento approvato dalla Commissione, estende alle lavoratrici madri appartenenti ai corpi di polizia municipale il divieto di essere adibite a compiti operativi nel corso della gravidanza, già previsto per le appartenenti alla polizia di Stato. L'articolo 15 delega il Governo ad emanare un testo unico delle norme in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità; il testo riprende con consistenti modifiche l'articolo 9 del disegno di legge n. 4624.
        L'articolo 16 (corrispondente all'articolo 10 del disegno di legge n. 4624) attribuisce all'ISTAT il compito di assicurare un flusso informativo quinquennale sull'organizzazione dei tempi di vita della popolazione.
        L'articolo 17, che raccoglie con modifiche le disposizioni contenute nell'articolo li del disegno di legge n. 4624 e nella proposta di legge n. 599, stabilisce in via generale, al comma 1, il diritto alla conservazione del posto del lavoro, al rientro nella medesima unità produttiva e all'assegnazione alle medesime mansioni o a mansioni equivalenti per i lavoratori che si assentino dal lavoro in base alle disposizioni del testo unificato.
        Il comma 2 fa salve, per le materie disciplinate dal testo all'esame dell'Assemblea, eventuali condizioni di maggior favore per i lavoratori previste dai contratti collettivi di lavoro.
        Il comma 3 abroga le disposizioni incompatibili con quelle del testo unificato. Segnalo all'Assemblea l'opportunità di sopprimere il comma in questione, poiché l'abrogazione espressa delle norme incompatibili rappresenta uno dei criteri direttivi cui il Governo deve uniformarsi nella redazione del testo unico di cui all'articolo 15.
        L'articolo 18 (articolo 7 del disegno di legge n. 4624) qualifica come nullo il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione dei congedi parentali disciplinati dagli articoli 2 e 13 del testo unificato. Disposizioni analoghe sono presenti nelle proposte di legge n. 599 e 1938-ter.
        Il capo V reca modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (legge quadro sull'handicap), riproducendo disposizioni contenute nell'articolo 5, commi 2 e 6, del disegno di legge n. 4624 e nelle proposte di legge n. 1170, d'iniziativa dei deputati Di Capua ed altri, n. 1363, d'iniziativa del deputato Gambale, e n. 599.
        L'articolo 19, comma 1, dispone la copertura figurativa dei giorni di permesso - tre al mese - spettanti nel caso di assistenza di bambini o parenti e affini con handicap grave. Il comma 2, invece, interviene sui permessi spettanti alle persone maggiorenni affetti da handicap grave, alle quali la legislazione vigente estende i permessi riconosciuti ai genitori di bambini affetti dal medesimo genere di handicap. L'effetto della disposizione è di rendere alternativi, per i maggiorenni con handicap grave, i permessi mensili sopra ricordati e le due ore di permesso giornaliero retribuito previsti per i genitori di bambini con handicap grave di età non superiore a tre anni.
        L'articolo 20 sancisce che tutte le agevolazioni previste dall'articolo 33 della legge n. 104 del 1992 (prolungamento fino a tre anni di età del bambino del periodo di astensione facoltativa o, in alternativa, concessione di due ore di permesso giornaliero; successivamente al compimento del terzo anno di età, concessione di tre giorni di permesso al mese) si applichino anche se l'altro genitore non ne abbia diritto.
        L'articolo 21, l'unico del capo VI, reca la norma di copertura finanziaria. Come ho avuto modo di anticipare, l'espressione del parere della Commissione Bilancio direttamente per l'Assemblea potrebbe comportare la necessità di aggiornare la quantificazione degli oneri recati dal testo unificato.
        Il capo VII è dedicato al tema dei tempi delle città e comprende i restanti articoli (da 22 a 28) del testo all'esame dell'Assemblea. La struttura del capo in esame è mutuata dalla proposta di legge n. 2208, d'iniziativa dei deputati Cordoni ed altri, e dalla citata proposta n. 2207-bis, ma le modifiche apportate dal Comitato ristretto, prima, e dalla Commissione, poi, sono state numerose e significative.
        L'articolo 22, al comma 1, stabilisce i compiti delle regioni, le quali sono tenute (ove non vi abbiano già provveduto) a definire, con proprie leggi, norme per il coordinamento da parte dei comuni degli orari degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici e degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, nonché norme per la promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale. Il quadro legislativo di riferimento per le regioni è costituito dalle disposizioni della legge 8 giugno 1990, n. 142, oltre che da quelle del testo unificato in esame.
        Il comma 2 prevede la possibilità di stabilire incentivi finanziari per l'adozione da parte dei comuni dei piani territoriali degli orari, mentre il comma 3 consente la costituzione di comitati tecnici, con compiti consultivi in materia di coordinamento degli orari delle città e di valutazione degli effetti delle misure adottate sulle comunità locali.
        Il comma 4 attribuisce poi alle regioni il compito di promuovere corsi di qualificazione del personale impiegato per l'esercizio delle funzioni in materia di coordinamento degli orari. Il comma 5 individua il contenuto minimo delle leggi regionali, mentre il comma 6 fa salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome.
        L'articolo 23 definisce i compiti dei comuni, distinguendoli a seconda che essi abbiano o meno una popolazione superiore a 30 mila abitanti. Per i comuni maggiori viene stabilito l'obbligo di attuare le disposizioni della legge n. 142 del 1990 in materia di coordinamento degli orari entro il termine indicato dalle leggi regionali e, comunque, entro un anno dall'entrata in vigore della nuova normativa. In caso di inadempienza, il presidente della giunta regionale nomina un commissario ad acta.
        Per i comuni con popolazione non superiore a 30 mila abitanti l'adozione di forme di coordinamento degli orari ha carattere facoltativo; qualora, tuttavia, tali comuni scelgano di predisporre il piano territoriale degli orari, dovranno operare in forma associata.
        L'articolo 24 detta, al comma 1, la nozione di piano territoriale degli orari (strumento unitario articolato in progetti per il funzionamento dei sistemi orari dei servizi urbani, in vista di una loro progressiva armonizzazione).
        I commi 2 e 3 chiamano le amministrazioni comunali ad individuare un responsabile cui è assegnata la competenza in materia di tempi e orari.
        I commi 4 e 5 attribuiscono al sindaco il compito di elaborare le linee guida del piano degli orari, attraverso consultazioni con le amministrazioni pubbliche, le parti sociali e le associazioni di cittadini e tenendo conto degli effetti sul traffico, sull'inquinamento e sulla qualità della vita cittadina. Il piano, ai sensi del comma 6, è approvato dal consiglio comunale, è attuato con ordinanze del sindaco ed è vincolante per l'amministrazione comunale.
        L'articolo 25, comma 1, prevede l'istituzione di un apposito tavolo di concertazione per l'attuazione e la verifica del piano territoriale degli orari. All'organismo partecipano rappresentanti di tutte le entità pubbliche e private coinvolte nella definizione del sistema degli orari dei servizi urbani.
        Il comma 2 prevede come modalità ordinaria di attuazione del piano la stipula di accordi fra l'amministrazione comunale e i diversi soggetti che partecipano al tavolo di concertazione, ma al sindaco è comunque attribuito (comma 3) il potere di emanare, in caso di emergenze o di straordinarie necessità dell'utenza, ordinanze di modificazione degli orari, vincolanti anche per le altre amministrazioni pubbliche (comma 4). Nel caso dei comuni capoluogo di provincia, la riorganizzazione degli orari deve essere concertata con i comuni limitrofi (comma 5).
        L'articolo 26 detta disposizioni di carattere generale sugli orari della pubblica amministrazione, che devono tenere conto delle esigenze dei cittadini che risiedono od operano nel territorio di riferimento (comma 1) e possono essere articolati in modo differenziato, a seconda dei servizi, in sede di definizione del piano territoriale degli orari (comma 2). Le pubbliche amministrazioni, attraverso l'informatizzazione dei propri servizi, possono garantire informazioni anche negli orari di chiusura e, attraverso la semplificazione delle procedure, possono consentire agli utenti tempi di attesa più brevi e modalità di accesso più agevoli.
        L'articolo 27 definisce, al comma 1, il concetto di "banche dei tempi" e ne indica le finalità: favorire lo scambio di servizi di vicinato, facilitare l'utilizzo dei servizi della città e il rapporto con le pubbliche amministrazioni, estendere la solidarietà nelle comunità locali, attraverso lo scambio di parte del proprio tempo da parte degli aderenti alla "banca" per impieghi di reciproca solidarietà e di reciproco interesse.
        Gli enti locali, ai sensi del comma 2, possono sostenere le banche dei tempi assicurando ad esse l'utilizzo di locali, la disponibilità di servizi o attività di promozione, formazione e informazione. Possono, inoltre, aderire alle banche dei tempi, stipulando con esse accordi che prevedano scambi di tempo da destinare a prestazioni di mutuo aiuto a favore di singoli cittadini o della comunità locale. Affinché l'identità delle banche dei tempi non venga snaturata, è previsto che tali prestazioni non possano essere in contrasto con gli scopi statutari delle banche stesse, né possano costituire una stabile modalità di esercizio delle attività istituzionali degli enti locali.
        L'articolo 28, infine, istituisce il Fondo per l'armonizzazione dei tempi delle città, nel limite di lire 15 miliardi annue a decorrere dall'anno 2001, alle quali si sommano le risorse finanziarie che le regioni intendano eventualmente stanziare a tal fine.
        I contributi erogati a valere sul Fondo sono destinati a finanziare le misure di armonizzazione degli orari che contribuiscano alla riduzione delle emissioni di gas inquinanti, nonché, più in generale, l'attuazione dei progetti inclusi nei piani territoriali degli orari. Le priorità da rispettare nell'erogazione dei finanziamenti sono indicate dal comma 4.
        Annualmente la Conferenza unificata Stato-regioni-città ed autonomie locali è chiamata a valutare i risultati conseguiti attraverso l'impiego delle risorse del Fondo e a definire le linee di intervento futuro (comma 5). Il comma 6 stabilisce che il Governo è tenuto annualmente a riferire al Parlamento sui progetti di riorganizzazione dei tempi e degli orari delle città, mentre il comma 7 pone la dotazione del Fondo a carico delle maggiori entrate derivanti dalla cosiddetta "carbon-tax".


4. Rispondenza del testo agli aspetti indicati nell'articolo 79, comma 4, del Regolamento.

        Per le parti in cui realizza l'ambizioso intento di consentire ai cittadini nuove libertà nell'uso dei propri tempi di vita, il testo all'attenzione dell'Assemblea contiene disposizioni che possono ben considerarsi attuative del principio fondamentale che assegna alla Repubblica il compito di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana" (articolo 3).
        Esso risponde inoltre ad alcuni principi enunciati nella parte I, titoli II e III della Costituzione, segnatamente laddove si assicurano i diritti dei figli all'educazione e alla cura da parte dei genitori, con la garanzia del sostegno anche economico della Repubblica (articoli 30 e 31), la tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività (articolo 32), la cura della formazione e dell'elevazione professionale dei lavoratori (articolo 35) e l'adattamento delle condizioni di lavoro alle esigenze delle madri e dei loro bambini (articolo 37).
        Facendo proprio lo spirito di diverse sentenze della Corte Costituzionale in merito all'illegittimità di alcune disposizioni della legge n. 903 del 1977, che non estendevano al padre lavoratore, in alternativa alla madre, il diritto ai riposi giornalieri consentiti per l'assistenza ai figli, questo testo prevede sistematicamente pari diritti per entrambi i genitori, anche in relazione alle nuove tipologie di astensione dal lavoro introdotte, se motivate dalla cura dei figli.
        Può essere interpretata in modo analogo, in altra materia, la previsione che il ricovero ospedaliero del bambino interrompa il periodo di ferie in godimento dal genitore, poiché con tale norma si raccoglie e si estende al caso del ricovero dei figli la motivazione sulla base della quale la giurisprudenza costituzionale ha introdotto la previsione che la malattia del lavoratore interrompa il periodo di ferie, dal momento che essa non gli consente di recuperare le energie psico-fisiche spese nell'attività lavorativa.
        In rapporto alla legislazione italiana, questo testo interviene riformulando la normativa in materia di assenze dal lavoro consentite in relazione alla nascita ed alle malattie dei figli, contenuta nelle leggi n. 1204 del 1971, n. 903 del 1977 e n. 104 del 1992; esso ne coordina inoltre le disposizioni, in materia di contribuzione figurativa, riscatto e prosecuzione volontaria, con le norme contenute nel decreto legislativo n. 184 del 1997.
        In più di un luogo, si utilizzano infine strumenti introdotti dalla recente legislazione in materia di lavoro, come il Fondo per l'occupazione di cui all'articolo 1, comma 7, della legge n. 236 del 1993, la possibilità di ottenere anticipazioni sul trattamento di fine rapporto (legge n. 297 del 1992) o quella di introdurre norme specifiche negli statuti delle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo n. 124 del 1993.
        Ma è soprattutto in relazione alla legislazione regionale che è possibile valutare l'apporto del testo all'attenzione dell'Assemblea in materia di disciplina dei tempi delle città.
        In effetti, su impulso del movimento d'opinione connesso con la proposta di legge di iniziativa popolare e profittando degli spazi normativi aperti dall'articolo 36, comma 3, della legge n. 142 del 1990, che delegava ai sindaci il compito di coordinare gli orari degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici e degli orari di apertura al pubblico degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche "al fine di armonizzare l'esplicazione dei servizi alle esigenze complessive e generali degli utenti", tra il 1992 ed il 1996 numerose regioni hanno scelto di legiferare in materia di regolamentazione dei tempi delle città.
        Nell'ordine, Marche, Toscana, Valle d'Aosta, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Emilia Romagna e Piemonte, interpretando in senso assai ampio la norma della legge n. 142 del 1990 e combinandola con i poteri già delegati dal Parlamento alle regioni ed ai comuni, soprattutto in materia di orari dei negozi e dei pubblici esercizi, hanno saputo dare valore al governo dei tempi delle città, esplicitamente finalizzandolo al miglioramento non solo della fruibilità dei servizi, ma anche della vita di relazione, della cura delle persone, della crescita culturale individuale e dell'organizzazione del lavoro.
        In molti casi, le normative regionali avevano già introdotto modalità di raccordo con gli strumenti di programmazione urbanistica del territorio, prevedendo la possibilità o l'obbligo di definire piani comunali di coordinamento degli orari.
        E' anche per questo che il testo all'attenzione dell'Assemblea prevede una specifica funzione di programmazione e di impulso da parte delle regioni, chiamate da un lato a dettare criteri e procedure per la definizione dei piani territoriali di coordinamento degli orari, e dall'altro a premiare sia la loro attuazione che la costituzione delle banche dei tempi, con specifici incentivi finanziari.
        Resta comunque nelle mani dei comuni il potere e l'obbligo di attuare le disposizioni del comma 3 dell'articolo 36 della legge n. 142 del 1990, attraverso un percorso omogeneo che prevede in ogni comune l'individuazione di un responsabile, l'attivazione di un tavolo di concertazione e l'adozione di un piano vincolante per l'amministrazione.
        In ogni ambito, si privilegia nettamente come strumento la promozione di accordi locali con i soggetti pubblici e privati; tuttavia, le superiori esigenze di tutela della salute dei cittadini e della vivibilità delle città sono opportunamente riconosciute mediante l'attribuzione del potere di modifica coercitiva degli orari "in caso di emergenze o di straordinarie esigenze dell'utenza o di gravi problemi connessi al traffico e all'inquinamento".
        Infine, in rapporto alla normativa comunitaria, questo testo testimonia il carattere particolarmente avanzato della nostra legislazione su temi di questa natura.
        L'articolo 1 del Protocollo sulla politica sociale allegato al Trattato sulla Unione Europea assegna all'azione della comunità obiettivi come il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, una protezione sociale adeguata, lo sviluppo delle risorse umane e la lotta contro le esclusioni.
        Tuttavia, una forte resistenza alle innovazioni in materia sociale e di lavoro, radicata nella accentuata disomogeneità delle legislazioni nazionali, ha spesso limitato in questo ambito il contributo delle istituzioni europee alla focalizzazione dei problemi ed alla indicazione di strategie, comunque spesso di ampia utilità e respiro.
        Così è stato per la "risoluzione Rocard" del Parlamento europeo, nel 1996, o per il libro verde sul partenariato per una nuova organizzazione del lavoro, presentato alla Commissione il 16 aprile del 1997, che tocca anche alcuni dei temi affrontati con la presente legge.
        Esso poneva infatti tra le sfide sul piano politico le modalità di organizzazione delle necessarie azioni di formazione e di riqualificazione della manodopera, la valorizzazione delle nuove tendenze occupazionali nell'ottica delle pari opportunità e lo sviluppo di organizzazioni più flessibili dei servizi pubblici, sostenendo che "in particolare, la sfida consiste nel trovare il modo di sviluppare o adattare politiche che sostengano, piuttosto che ostacolare, un rinnovamento organizzativo fondamentale e di raggiungere un equilibrio positivo tra gli interessi delle aziende e quelli dei lavoratori, agevolando nel contempo la modernizzazione della vita lavorativa".
        Di questo rinnovamento, fanno sicuramente parte il superamento delle rigidità imposte a lavoratori ed imprese dalla standardizzazione dei diritti all'uso del tempo e l'introduzione dei congedi formativi, così come l'intero impianto della legge traduce in norma la convinzione che "il lavoro flessibile può essere sia vantaggioso per le economie europee sia interessante per i singoli lavoratori", che "non dovrebbero perciò essere penalizzati per il fatto di adottare tali modelli lavorativi".
        Il testo unificato, infine, raccoglie positivamente lo spirito del Libro Verde in quanto comprende che "è necessario organizzare non solo le aziende, ma l'intera infrastruttura sociale per garantire condizioni di parità tra le donne e gli uomini: ciò comprende ad esempio aspetti quali la formazione, la custodia dei figli e i trasporti, l'equilibrio tra i sessi nel processo decisionale, l'individualizzazione dei diritti e così via".
        In tutte queste direzioni, il testo all'attenzione dell'Assemblea va oltre la normativa comunitaria, che si è finora limitata ad intervenire su poche questioni particolari, tra cui quella dei congedi parentali.
        In quest'ultima materia, esso dunque recepisce la direttiva 96/34/CE del Consiglio, concernente l'accordo quadro sul congedo parentale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES, e finalizzata ad "offrire, agli uomini e alle donne, la possibilità di conciliare le loro responsabilità professionali e i loro obblighi familiari" e ad introdurre "nuovi modi flessibili di organizzazione del lavoro e dell'orario, più adattati ai bisogni della società in via di mutamento e rispondenti sia alle esigenze delle imprese che di quelli dei lavoratori", scegliendo di superarne le prescrizioni minime.
        Così, laddove la direttiva prevede un periodo minimo di congedo parentale di tre mesi, accordabile a tempo parziale, frammentato o nella forma di un credito di tempo, subordinato ad una determinata anzianità lavorativa e rinviabile per giustificati motivi attinenti al funzionamento dell'impresa, il testo prevede dieci mesi, elevabili ad undici per favorirne l'uso da parte del padre lavoratore, non condizionati in alcun modo.


5. Conclusioni.

        Non v'è dubbio che l'aspettativa del Paese per questo provvedimento è grande. Per il percorso che ha avuto, per le speranze e le discussioni che ha suscitato, per l'impostazione strategica che ha assunto e per l'originalità del contributo che porta al confronto sui temi della qualità della vita e della flessibilità del lavoro, esso rappresenta certamente un momento alto della politica di riforme avviata da questo Parlamento ed un'occasione importante per dimostrare la nostra capacità di cogliere e di dare risposta alle trasformazioni della società, del mondo produttivo e dei bisogni degli uomini e delle donne di questo Paese.
        Lo scopo principale che ha guidato l'azione prima del Governo e poi della XI Commissione Lavoro, è stato quello di portare la legislazione italiana a quel superiore livello di rappresentazione e di elaborazione della realtà, che il dibattito sui tempi di vita e di lavoro ha saputo raggiungere nel Paese negli ultimi dieci anni; un livello che possiamo oggi con orgoglio considerare tra i più elevati in Europa.
        Sarebbe ingiusto dimenticare che questo provvedimento affronta temi sui quali l'Italia delle città ha fatto scuola nel mondo; così come lo sarebbe non valorizzare il percorso di mobilitazione popolare che solo in Italia ha accompagnato l'elaborazione di modelli di organizzazione sociale più adeguati al nuovo rapporto tra i sessi ed alle trasformazioni delle città e dei luoghi di lavoro.
        Sento quindi l'obbligo di ringraziare, insieme con la Ministra Turco ed i componenti della Commissione Lavoro, che con me hanno condiviso l'impegno a tradurre in norme questo ricco insieme di analisi e di aspettative, tutte quelle donne e quegli uomini che dal 1988 attendono da quest'Aula una riforma che li aiuti a districarsi meglio tra i vincoli e le opportunità del loro quotidiano.
        Certo, in questo provvedimento manca una risposta al problema, che pure la proposta di legge di iniziativa popolare poneva, della riduzione dell'orario di lavoro.
        Noi tutti conosciamo sia l'ampio dibattito che quella istanza ha suscitato sia le vicende che hanno indotto l'Assemblea a stralciare da questo testo le disposizioni che intervenivano in materia.
        Ora quei contenuti sono iscritti in un contesto che tiene conto del decennio trascorso e del confronto che si è sviluppato tra le parti sociali sulla base di analisi che nel 1988 era solo possibile abbozzare.
        Tuttavia l'Assemblea, che tra poco sarà chiamata ad affrontare anche quel capitolo della politica di riforme che il Paese attende, dovrà dimostrare di saper ricomporre nel proprio agire legislativo quell'unità di prospettiva che, con ragione, allora si era scelto di derivare dall'esperienza quotidiana di ciascuno: perché se è possibile fare una legge che si occupi soltanto dell'orario di lavoro, nella vita tutti devono occuparsi, oltre che di lavoro, anche di cura, degli altri e di sé.
        Presentiamo dunque, consapevolmente, una riforma importante ma incompiuta: ciascuno di noi, da domani, avrà nelle proprie mani la possibilità di portarla a compimento.

Elena Emma CORDONI, Relatore.




Frontespizio Testo articoli Pareri