EDIZIONE NON DEFINITIVA |
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MASSIMO D'ALEMA
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Seguito dell'esame del progetto di legge di revisione della parte seconda della Costituzione (C. 3931 - S. 2583).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame del progetto di legge di revisione della parte seconda della Costituzione.
Onorevoli colleghi, proseguiamo l'esame degli emendamenti riferiti alle disposizioni in materia di giustizia: mentre si provvede alla distribuzione del nuovo testo dell'ultimo comma dell'articolo 127, ieri accantonato in attesa di una sua riformulazione sulla base dei suggerimenti emersi nel corso della discussione, vorrei chiedere se vi sono osservazioni per passare intanto all'articolo 128...
LUCIANO GASPERINI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIANO GASPERINI. Signor presidente, se oggi sono in quest'aula non è certo per la volontà di un principe o per concorso o per diritto di nascita: sono qui perché eletto dal popolo italiano. È proprio in questa veste di rappresentante del popolo italiano che io protesto e dichiaro la mia indignazione per un fatto di estrema gravità. Ho letto e sentito da organi di informazione che la giunta esecutiva di una associazione di magistrati ha rassegnato le dimissioni per protesta in ordine a decisioni adottate da questa Commissione in materia di giustizia. Ebbene, di fronte al dramma di alcune persone che soffrono la carcerazione per avere espresso le loro idee (mi riferisco ad alcuni signori che sono saliti sul campanile di San Marco), di fronte al fatto che i massimi dirigenti...
ANTONIO SODA. Quella è una libera associazione. Non dica menzogne.
LUCIANO GASPERINI. Mi lasci parlare. Non le permetto di offendere.
ANTONIO SODA. Quelli sono stati condannati da un tribunale italiano per detenzione di armi e per sequestro...
LUCIANO GASPERINI. Lei pensi a parlare quando sarà il suo turno. Io l'ho sempre ascoltata in dignitoso silenzio.
PRESIDENTE. Onorevole Soda, lasci parlare il senatore Gasperini.
LUCIANO GASPERINI. Rispetti le mie parole!
ANTONIO SODA. E lei rispetti prima la verità!
LUCIANO GASPERINI. Io tolgo a lei il diritto di criticare!
PRESIDENTE. Onorevole Soda!
ANTONIO SODA. Non confonda le libere associazioni con la detenzione delle armi ed il sequestro!
PRESIDENTE. Senatore Gasperini, pertanto lei intende dimettersi da membro di questa Commissione ipso facto? Ci lascia?
LUCIANO GASPERINI. Mi dispiace farlo, signor presidente.
PRESIDENTE. Anche a me dispiace e le auguro una buona giornata. La informo, tuttavia, che deve dimettersi presso il Presidente del Senato e non presso di me. Infatti, è il Senato della Repubblica che deve provvedere a sostituirla secondo le norme previste dalla legge costituzionale.
LUCIANO GASPERINI. Per il momento l'ho fatto davanti a lei.
PRESIDENTE. La ringrazio per avermene informato.
L'associazione dei magistrati non è un'istituzione dello Stato, ma di cittadini privati. In questa sede noi non abbiamo discusso dello sciopero promosso dagli avvocati a sostegno della separazione delle carriere dei magistrati: si è trattato di una libera iniziativa, per cui ora non vedo perché dovremmo discutere della presa di posizione di un'associazione privata qual è l'ANM. Essa può essere giudicata opportuna o inopportuna: io stesso in una mia dichiarazione, al di fuori di quest'aula, l'ho giudicata eccessiva. Tuttavia, tale atteggiamento, pur facendo parte del dibattito politico, non ha alcuna rilevanza istituzionale, per cui non capisco le ragioni della sua protesta in questa sede che è una sede istituzionale dove ognuno opera liberamente e senza condizionamenti, né degli avvocati, né dei magistrati, né di altre categorie le quali legittimamente e nel rispetto delle leggi dello Stato possono protestare, emettere comunicati, prendere posizioni. Ci troviamo in un paese libero e ciò può essere fatto finché non si violano le leggi: quando ciò accade, vi è un controllo di legalità e si può andare in carcere come le persone alle quali lei ha fatto riferimento con parole elogiative che, secondo me, non erano ben indirizzate.
LUCIANO GASPERINI. Per le loro idee essi possono soffrire. Una persona condannata comunque soffre!
PRESIDENTE. L'ho ascoltata con garbo ed ho pregato l'onorevole Soda di lasciarla parlare, ma debbo dire che in Italia non vi sono persone incarcerate per le loro idee: ci sono stati alcuni cittadini che sono stati incarcerati per aver sequestrato e presidiato con le armi un monumento.
LUCIANO GASPERINI. Signor presidente, queste persone sono inquisite anche per il delitto - pensate bene! - di guerra civile davanti alla magistratura di Verona. Tale delitto, un tempo, era punito con la pena di morte, ora solo - si fa per dire - con l'ergastolo.
PRESIDENTE. È in corso un'indagine. Queste persone hanno diritto alla difesa. Resto comunque dell'avviso che in questa sede non si possa parlare di persone incarcerate per le loro idee: essi sono stati condannati per aver commesso un reato, previsto come tale. Non credo che nel Parlamento della Repubblica italiana si possa difendere o valorizzare l'azione di chi, con le armi, ha occupato il campanile di San Marco. Non credo sia ragionevole farlo. Il tema è esaurito!
LUCIANO GASPERINI. Forse, non ci siamo compresi! Queste persone (colpevoli o innocenti, lo dirà il giudice) soffrono per le loro idee. Che le abbiano messe in atto in maniera sbagliata...
PRESIDENTE. Soffrono per gli atti che hanno compiuto, non per le loro idee. Soffrono per aver compiuto degli atti contro la legge, con le armi in pugno, senatore! Per le loro idee non soffrono. In altri paesi si soffre per le proprie idee, non nel nostro nel quale vi è libertà!
Torniamo all'esame degli emendamenti (già pubblicati nell'apposito fascicolo) riferiti all'articolo 128, il cui testo è pubblicato nell'allegato della seduta dello scorso 28 ottobre. Vi sono osservazioni?
MARCELLO PERA. Signor presidente, questa querelle mi ha distratto. Che ne è del nuovo testo del relatore riferito all'ultimo comma dell'articolo 127?
PRESIDENTE. Ho annunciato all'inizio della seduta che, poiché il nuovo testo del relatore sull'articolo 127 era in distribuzione, avremmo esaminato l'articolo successivo. Questo avevo detto prima «dell'invasione del campanile di San Marco»!
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Chiederei al presidente di consentire anche la distribuzione di una nuova versione dell'articolo 124 con una lievissima modifica rispetto al testo proposto ieri. Poiché non se ne è ancora discusso, pregherei che il nuovo testo fosse distribuito ora.
PRESIDENTE. Mentre si distribuiscono questi testi, vorrei sapere se i colleghi intendono svolgere osservazioni all'articolo 128. Era stata avanzata una puntualizzazione di carattere linguistico, nel senso che appariva inelegante l'espressione «degli estranei» che, peraltro, è tecnicamente propria essendo stata ripresa dalla Costituzione.
Tuttavia, qualora vi fossero ipotesi più «eleganti», le potrete prospettare in sede di coordinamento. In questa fase mi interessa sapere se vi siano obiezioni sostanziali.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Vorrei ricordare che la formulazione dell'articolo in esame non ha subito alcuna modifica rispetto al testo approvato nel mese di giugno.
MARCELLO PERA. Da parte nostra, non ci sono osservazioni: abbiamo sopportato l'espressione «estranei» per 50 anni e possiamo ancora continuare a farlo!
PRESIDENTE. Pongo in votazione l'articolo 128.
(È approvato).
Risultano conseguentemente respinti tutti gli emendamenti ad esso riferiti.
Passiamo all'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 129.
Il testo di tale articolo (già pubblicato nell'allegato della seduta dello scorso 28
FAUSTO MARCHETTI. Credo che un elemento importante da salvaguardare sia quello, già previsto, in base al quale l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria. Prevedere, come fa la formulazione in esame, che «la legge ne stabilisce le modalità», sembrerebbe far emergere una preoccupazione sul versante - come dire? - della tutela della polizia giudiziaria. Ripeto: a mio avviso, va salvaguardata pienamente la possibilità, in capo all'autorità giudiziaria, di disporre della polizia giudiziaria. Non avverto quindi la preoccupazione che sembrerebbe emergere dal secondo periodo dell'articolo e, anzi, ritengo che l'attuale testo della Costituzione presenti un carattere prescrittivo più netto rispetto al testo complessivo qui proposto. Mi auguro che l'intento perseguito non sia quello di limitare la possibilità dell'autorità giudiziaria di disporre direttamente della polizia giudiziaria ma, piuttosto, di assicurare che tale possibilità sia effettiva. La mia preoccupazione è, non tanto quella di una possibilità eccessiva dell'autorità giudiziaria di disporre della polizia, quanto, piuttosto, che le polizie si sottraggano alla dipendenza che, ai fini previsti in questo caso, è disposta rispetto all'autorità giudiziaria.
In definitiva, ritengo sia da preferire il testo attuale e mi auguro comunque che l'intenzione perseguita sia quella alla quale ho fatto riferimento. Ci troviamo di fronte ad una norma che - come dire? - riemerge, in coda, dopo essere apparsa nei testi da noi esaminati e, successivamente, eliminata. Nel momento in cui si poteva ritenere che tale norma non sarebbe stata reintrodotta, la ritroviamo invece nel testo. Certo, non si tratta di una vicenda particolare: nei nostri lavori accade anche questo. Ciò che ho voluto dire è che preferisco il testo vigente.
MARIO GRECO. Rilevo, con un apprezzamento al relatore, che l'integrazione della norma in base alla quale «la legge ne stabilisce le modalità», ha accolto in pratica, a mio parere in modo opportuno, alcuni degli emendamenti proposti. Nel mio emendamento 129.1 avevo suggerito di modificare una dizione che per la prima volta compare nella nuova Costituzione che ci accingiamo a definire. Mi riferisco all'espressione «autorità giudiziaria», con riferimento alla quale - ripeto - mi sono permesso di suggerire di adoperare - a fini meramente formali - l'espressione: «i pubblici ministeri e i giudici». È vero che nei codici penale e di procedura penale si usa l'espressione «autorità giudiziaria» per indicare indifferentemente sia il pubblico ministero sia il giudice. Tuttavia, considerato che, almeno così mi pare, in altre disposizioni non è indicato... (Commenti del relatore Boato). Forse c'è qualche altro articolo?
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sì, l'articolo 13.
MARIO GRECO. Ad ogni modo, si trattava di un'indicazione di carattere formale, al fine di un coordinamento tra le norme.
Presidente, mi sono distratto nel momento in cui siamo passati all'approvazione dell'articolo 128, con riferimento al quale vorrei suggerire...
PRESIDENTE. Visto che abbiamo già approvato l'articolo 128, potrà farlo in sede di coordinamento.
MARIO GRECO. Proporrei di utilizzare l'espressione «cittadini estranei», già utilizzata nel comma 3 dell'articolo 120. Chiedo se sia possibile accogliere questo suggerimento in sede di coordinamento.
PRESIDENTE. Certo, senatore Greco.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non ho alcuna contrarietà al riguardo.
PRESIDENTE. A questo punto, credo che i termini della questione siano chiari.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Accetto la proposta del collega Greco con riferimento all'articolo 128 e, a mia volta, propongo che in sede di coordinamento formale sia introdotta nel testo la dizione «dei cittadini estranei».
GIULIO MACERATINI. Attenzione: gli interpreti o i periti spesso sono stranieri!
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. L'obiezione del collega Maceratini fa comprendere come il costituente abbia sempre misurato le parole. Si tratta di un'obiezione, per la quale ringrazio Maceratini e sulla quale invito il senatore Greco a riflettere un attimo, che considero fondata. Indubbiamente, potrebbe accadere che gli interpreti o i periti utilizzati siano cittadini non italiani. L'obiezione del senatore Greco sembrava fondata sotto il profilo linguistico, ma credo che Maceratini ci abbia opportunamente spiegato la ragione per la quale il costituente abbia utilizzato l'espressione «estranei» e non, invece, «cittadini estranei». A questo punto, quindi, può rimanere inteso di attenerci all'articolo 128 nella formulazione approvata. Del resto, vedo che lo stesso senatore Greco fa cenni di assenso... Grazie.
Quanto all'articolo 129, vorrei dire che l'aggiunta al testo della Costituzione vigente era già stata da me proposta il 10 settembre scorso - non si tratta, quindi, di una novità di oggi - su richiesta di alcuni colleghi...
FAUSTO MARCHETTI. Non ho detto che si tratta di una novità di oggi: ho solo detto che la norma è ritornata fuori dopo essere stata eliminata...!
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Posso replicare, oppure mi è impedito? (Commenti del senatore Marchetti). La ringrazio.
Nella formulazione del 10 settembre appariva un unico periodo, la cui parte finale, preceduta da una virgola, così recitava: «secondo modalità stabilite dalla legge». Alcuni colleghi hanno obiettato che tale formulazione poteva essere interpretata in modo limitativo, per cui abbiamo diviso la formulazione in due periodi: il primo, riproduce il dettato della Costituzione vigente, se non ricordo male l'articolo 119; il secondo, volto a prevedere: «La legge ne stabilisce le modalità», per le ragioni che colleghi di vario orientamento e lo stesso presidente hanno opportunamente sottolineato. Propongo quindi che il testo sia approvato in questi termini.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione per parti separate dell'articolo 129.
PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo periodo dell'articolo 129.
(È approvato).
Pongo in votazione il rimanente periodo dell'articolo 129.
(È approvato).
Risultano censeguentemente respinti tutti gli emendamenti riferiti a tale articolo, non integralmente assorbiti come da elenco in allegato.
Riprendiamo l'esame dell'ultimo comma dell'articolo 127, nella nuova formulazione elaborata dal relatore sulla scorta del dibattito svoltosi (v. allegato Commissione bicamerale).
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ho riformulato l'ultimo comma dell'articolo 127 in base al dibattito svoltosi ieri sera; in particolare, ho riformulato sia i primi due periodi che riguardano le incompatibilità, sia l'ultimo periodo che concerne invece la partecipazione alle competizioni elettorali. Il testo che propongo è, pertanto, il seguente: «I giudici ordinari e amministrativi e i magistrati del pubblico ministero non possono svolgere attività arbitrali o di controllo né essere distaccati presso ministeri o altre pubbliche amministrazioni, fatta eccezione per il Ministero della giustizia, i Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa e le amministrazioni che svolgono attività imparziali o di garanzia. La legge determina le incompatibilità con qualunque altro ufficio, incarico e professione. Non possono partecipare alle competizioni elettorali nella regione in cui hanno esercitato le loro funzioni negli ultimi cinque anni né essere assegnati, per i successivi cinque anni, a sedi comprese nelle regioni nei cui territori siano stati candidati o eletti».
In questo modo ho anche recepito l'emendamento del collega Greco, le osservazioni del collega Villone e varie istanze emerse nel corso del dibattito di ieri.
È evidente che, alla luce di tale formulazione, non vi è più alcuna necessità di mantenere in vita la seconda disposizione transitoria.
LEOPOLDO ELIA. Nella formulazione proposta dal relatore, in particolare nella parte preceduta dall'espressione «fatta eccezione», sarebbe opportuno introdurre un riferimento alla Corte costituzionale, visto che, in gran parte, tutti gli assistenti sono magistrati; se non vi fosse tale specificazione, sarebbe impossibile avvalersi di questi ultimi. Credo che l'espressione «le amministrazioni che svolgono attività imparziale o di garanzia» si riferisca alle autorities.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non sarei contrario ad accogliere la proposta del senatore Elia.
MASSIMO VILLONE. Anch'io credo che si tratti di una giusta indicazione.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. A questo punto, allora, si tratta di inserire le parole «per la Corte costituzionale,» subito dopo le parole «fatta eccezione».
GIULIO MACERATINI. Quando si elencano le eccezioni ci si accorge che ci si dimentica sempre qualcosa. Ovviamente, c'era da aspettarsi che il riferimento alla Corte costituzionale fosse suggerito dal collega Elia, in ragione delle sue ben note e meritorie radici. Tuttavia, anche qualcun altro se ne era accorto. A me sembra che forse sarebbe più saggio stabilire prima il principio che i magistrati non possono avere distrazioni presso ministeri o altre pubbliche amministrazioni, poi indicare una riserva di legge per casi tassativi che poi spetta alla saggezza del legislatore ordinario indicare, altrimenti ci troveremo sempre nei guai.
Colgo l'occasione per dichiarare la mia adesione all'ultima parte dell'articolo, che
FAUSTO MARCHETTI. Con la formulazione del relatore si andrebbe a costituzionalizzare proprio quello che invece bisogna evitare, cioè in primo luogo il fatto che i magistrati siano distaccati presso il Ministero della giustizia; ciò è in netta contraddizione con la discussione generale che abbiamo svolto sul problema dell'indipendenza della magistratura. Da un lato vogliamo sottolineare l'indipendenza della magistratura e le attribuiamo ad un organo di autogoverno, dall'altro consentiamo che i magistrati vadano a svolgere funzioni amministrative presso il Ministero della giustizia.
Credo allora che la formula proposta dal collega Maceratini, in linea di massima mi sembra condivisibile; stabilire il divieto netto e poi rimettere eventuali eccezioni alla legge mi sembra preferibile alla soluzione indicata dal relatore, anche se personalmente preferisco il testo attuale.
Quanto all'ultimo periodo, invece, mi sembra che la soluzione prospettata dal relatore possa risolvere il problema, almeno per il momento salvo migliore riflessione.
STAFANO PASSIGLI. Anch'io penso sia forse preferibile che la Costituzione sancisca un principio, rimettendo al legislatore ordinario le deroghe. Qualora invece mantenessimo il testo proposto dal relatore, consiglierei di non parlare di amministrazioni che svolgono attività imparziale, poiché in un altro articolo abbiamo riaffermato il principio che tutta la pubblica amministrazione è imparziale; se si intende far riferimento alle amministrazioni di garanzia, credo si possa omettere questo inciso che potrebbe creare confusione.
MARCELLO PERA. Aderisco alla proposta del collega Maceratini, anche perché questo argomento è stato trattato a lungo e ricordo perfettamente...
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Il rinvio alla legge ordinaria riapre tutta quella pluralità che volevamo impedire con una più rigorosa incompatibilità, se rinviamo alla legge ordinaria non abbiamo risolto nulla.
MARCELLO PERA. Vorrei far osservare che per mesi e mesi in Comitato ristretto siamo andati avanti immaginando un regime di rigida incompatibilità, ricordo che la ragione di questa rigida incompatibilità soprattutto per quel che riguarda il distacco dei magistrati presso il Ministero della giustizia era voler evitare che i magistrati intervenissero nel processo di formazione delle leggi, sia pure in maniera surrettizia come consiglieri del principe o della classe politica. Ricordo che il relatore era concorde su questo.
Ricordo anche che ci ponemmo un problema: se si fissa un rigido regime di incompatibilità, da un giorno all'altro, dal momento dell'approvazione della Costituzione, organi importanti come il Ministero di grazia e giustizia vengono a trovarsi privi dell'ausilio rappresentato dai magistrati. Quando fu posto questo problema, rinviammo ad una norma transitoria e questa mi sembrava una buona soluzione sulla quale avevo capito che tutti fossero d'accordo.
FAUSTO MARCHETTI. A quanto ho capito, la proposta del collega Maceratini rimanda ad una riserva di legge escludendo comunque i ministeri.
MARCELLO PERA. La mia proposta è di tornare all'antico, cioè alla formulazione immediatamente precedente a quella distribuita questa mattina dal relatore, perché il problema è stato a lungo esaminato e delibato ed una soluzione è stata individuata. In Comitato ristretto si era pensato di far entrare questo regime di rigida incompatibilità a scadenza futura attraverso una norma transitoria, ritenendo che nel frattempo potessero essere approntate quelle scuole di formazione alla professione giudiziaria e forense le
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ha comunque ascoltato il dibattito di ieri sera?
MARCELLO PERA. Se cominciamo con le eccezioni, sono qui a dimostrarle che ci sono tante altre eccezioni non previste nella sua ultima formulazione dell'articolo 127 e se andiamo avanti con le riserve di legge introdurremo una infinità di eccezioni. Allora perché non essere coraggiosi come siamo stati per mesi e mesi pensando di aver obiettivamente risolto il problema non facendo entrare immediatamente in vigore una norma di rigida incompatibilità e concedendo al legislatore il tempo per approntare quella classe di funzionari esperti o magari nel frattempo utilizzare professori universitari, avvocati o altri per supplire a questa incompatibilità?
Chiedo quindi al relatore e ai colleghi di tornare alla formulazione precedente.
PRESIDENTE. La questione presenta due aspetti distinti. Il primo riguarda la norma in materia di partecipazione alle competizioni elettorali, sulla quale mi pare non ci sia discussione nel senso che si dà atto al relatore di aver risolto con la nuova formulazione le obiezioni sollevate. Sono invece in discussione le norme sull'incompatibilità: nulla impedisce di ripristinare il testo precedente dell'articolo 127, essendo chiaro che quello comporta la norma transitoria, mentre il nuovo testo non la comporterebbe.
MASSIMO VILLONE. Credo che i termini siano chiari, ma forse bisogna sottolineare un punto. Il ritorno alla formulazione originaria a mio avviso è davvero insostenibile perché credo che essa vada al di là delle stesse intenzioni di chi l'ha proposta. Inserire nella Costituzione un divieto formulato in modo tale che un magistrato non può più nemmeno far parte della commissione per l'esame di procuratore legale mi pare sia al di là di ogni ragionevole intenzione. Credo pertanto che la formula, pensata a fin di bene, sarebbe destinata a produrre effetti sicuramente non ragionevoli e non ragionati, quindi va superata.
Lo si può fare o con la tecnica dell'eccezione per elenco, che è quella in qualche misura usata nella nuova formulazione del relatore, in cui si è cercato di individuare alcune ipotesi in cui sembrava comunque chiaro che potesse accettarsi la presenza di magistrati attraverso lo strumento del distacco; oppure con un rinvio alla legge come mi pare proponesse il collega Maceratini; oppure con un rinvio alla legge che abbia una limitazione specifica, come «salvo le eccezioni stabilite dalla legge limitatamente a...». Dobbiamo quindi scegliere tra queste diverse tecniche di redazione legislativa, sempre assumendo che è davvero singolare che si voglia mettere in Costituzione un divieto assoluto per qualunque magistrato per tutta la vita di questa Costituzione a prendere parte in qualche modo alle attività del Ministero di grazia e giustizia. Non mi sembra siano questioni da stabilire in Costituzione in questa forma, anche nel caso si preferisse la scelta radicale del divieto; credo siano da lasciare ad una sede legislativa ordinaria che ha la necessaria flessibilità.
Conclusivamente mi sembra che la scelta utile potrebbe essere quella di un rinvio alla legge con un ambito limitato, cioè porre in principio il divieto di attività arbitrale o di controllo e di distacco presso ministeri o altre pubbliche amministrazioni, innestando il rinvio alla legge per quanto riguarda le eccezioni limitatamente alla Corte costituzionale, al Ministero di grazia e giustizia, ai Consigli superiori di magistratura ed alle autorità di garanzia. Mi fermerei a questi perché se si va oltre, e si va sul terreno degli organi costituzionali in generale, si impatta
ORTENSIO ZECCHINO. Presidente, questo è un punto sul quale abbiamo discusso a lungo nel Comitato. Vorrei ribadire alcuni principi e fare una proposta. Non solo ci siamo ispirati, nei nostri lavori, al mantenimento dell'indipendenza più assoluta, totale, dell'ordine giudiziario, ma per certi versi abbiamo anche sottolineato questa indipendenza in modo più evidente nelle norme che abbiamo predisposto. Ma proprio per la condizione particolare che continuiamo a riservare agli appartenenti dell'ordine giudiziario, dobbiamo evitare qualunque contaminazione e non possiamo utilizzare, in questa delicata materia, la tecnica del rinvio alla legge ordinaria.
Il dibattuto problema della presenza di magistrati in pubbliche amministrazioni è stato oggetto di valutazioni approfondite che ci hanno condotto al testo in esame. È fin troppo notorio il dato oggettivamente contaminante (e uso questo termine che dovrebbe essere interpretato nel senso più neutrale, cioè nel senso della compenetrazione in funzioni che non sono proprie): la presenza di magistrati negli uffici legislativi finisce per essere di orientamento delle politiche legislative, e questo non giova a nessuno. Quindi, dobbiamo mantenere rigida questa preclusione, con una sola eccezione. Il bagaglio culturale di cui dispongono i magistrati non può essere ghettizzato e non utilizzato nelle sole istituzioni in cui non influisce direttamente sulla vita politico-istituzionale, bensì sull'accrescimento culturale. Intendo riferirmi agli incarichi didattici: per utilizzare la formula dell'articolo 33, direi «istituzioni di alta cultura, università e accademie».
La storia, anche giuridica, la cultura giuridica del nostro paese non si è formata nelle università soltanto ad opera degli accademici professionali, ma molto anche per l'apporto dato da grandi magistrati. Chi appartiene, più o meno, alla mia generazione sa che il diritto privato, per esempio, lo abbiamo studiato e appreso in molti da un grande testo scritto da Andrea Torrente, grande magistrato che svolgeva anche funzioni didattiche. Credo che sarebbe un grave errore utilizzare una formula totalmente preclusiva che impedisca l'utilizzo di queste grandi esperienze. L'unica eccezione che farei, perciò, dato che non è contaminante con le attività politico-istituzionali, e che consente l'utilizzo di questo grande bagaglio che esiste nella magistratura, l'unico utilizzo che farei dei magistrati al di fuori dei compiti di istituto è quello della possibile partecipazione ad attività didattiche in queste istituzioni e, va da sé, anche nelle scuole di formazione (ma credo che questo sia implicito, anche se non lo diciamo).
La formulazione che proporrei è dunque la seguente: dopo il primo periodo dell'ultimo comma dell'articolo 127, aggiungere le parole «eccezion fatta per gli incarichi didattici in istituzioni di alta cultura, università e accademie».
GIORGIO REBUFFA. Tre questioni. In primo luogo, e mi rivolgo al relatore, non ho capito l'argomentazione per cui il testo originario è stato cambiato con l'aggiunta del regime delle eccezioni.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Le rispondo subito: a seguito del dibattito di ieri sera e dell'accantonamento del comma che abbiamo insieme deciso.
GIORGIO REBUFFA. Ho capito. Secondo. Scrivere in Costituzione un regime di eccezioni costituisce una tecnica di redazione francamente un po' sconcertante, a meno che non si preveda un regime di eccezioni generalizzato - è una tecnica che piace molto al common law - per cui, anche nella parte sulla pubblica amministrazione, stabiliamo che, per esempio nel Ministero della protezione civile, i dipendenti non possono essere distaccati se non in alcuni casi eccezionali. Questa tecnica delle eccezioni in Costituzione è proprio incongrua.
MARCELLO PERA. Soltanto una precisazione in merito alla proposta del collega Zecchino. Supponiamo che un giorno il legislatore voglia introdurre, per quanto riguarda l'università, una norma, che peraltro sarebbe ragionevole, che esiste in tutti i paesi, secondo la quale chi è professore universitario deve fare soltanto quello.
ORTENSIO ZECCHINO. Ma no!
MARCELLO PERA. Questa è una norma che varrebbe per tutti tranne i magistrati (Commenti del senatore Zecchino).
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sì, ma si tratta di contratti, di forme di insegnamento... non è che un magistrato fa il professore ordinario, perché ovviamente non lo può fare.
MARCELLO PERA. Con questa eccezione gli sarebbe concessa la facoltà di fare il professore incaricato, ogni anno, presso un'università. Può essere una buona cosa, ma è la prima eccezione ragionevole cui potrei aggiungere diverse altre eccezioni ragionevoli.
ORTENSIO ZECCHINO. Ma inseriamo solo questa, non altre!
RENATO GIUSEPPE SCHIFANI. Vorrei ricordare come di questo aspetto si sia parlato a maggio nel Comitato forma di Stato, in occasione della discussione della problematica attinente alla pubblica amministrazione. In quella occasione io stesso ebbi a rilevare come l'utilizzazione presso le alte gerarchie burocratiche dei magistrati presso il Ministero di grazie e giustizia determini anche una disparità di trattamento retributivo tra il direttore generale dipendente della pubblica amministrazione e il magistrato che svolge analoghe mansioni godendo, per il fatto di appartenere alla magistratura, di una retribuzione ben diversa, ben superiore a quella del primo. Questo aspetto è stato posto ed approfondito. L'eventuale utilizzazione del magistrato presso i ministeri, laddove vada a svolgere funzioni altamente burocratiche - perché nella maggior parte dei casi questa è l'utilizzazione della classe togata presso il Ministero di grazia e giustizia -, determina uno scompenso che dovrebbe costituire oggetto di attenta riflessione da parte della Commissione.
PRESIDENTE. Prima di dare la parola al relatore, vorrei rispondere all'onorevole Rebuffa, che si è rivolto al presidente. Mi pare che le ragioni per cui il relatore ha lavorato ad una ristesura risiedono nel fatto che è stato sollecitato da molti colleghi che sono intervenuti in questa sede. Personalmente, sono favorevole ad una norma rigida di incompatibilità (questa è la mia opinione personale). Penso che se ci incamminiamo sulla via dell'elencazione delle eccezioni non ne usciamo. Naturalmente, una norma rigida di incompatibilità comporta una norma transitoria, ma questa c'è. Tuttavia, forse è ragionevole che possano esservi delle eccezioni. Due sono state già prospettate: le attività formative e la Corte costituzionale. Se scegliamo la via di un'indicazione rigida di incompatibilità come norma costituzionale, possiamo forse prevedere la possibilità che, per legge, ci possano essere delle eccezioni. Questo rovescia completamente il criterio attuale, perché una cosa
MARCELLO PERA. Presidente, mi scusi: pensi anche al valore programmatico di quella norma con il vincolo rigido, cioè alla possibilità che finalmente lo Stato si attrezzi con una classe di funzionari che possono esercitare questi ruoli. Salva l'eccezione - capisco ragionevole - del collega Zecchino, la seconda eccezione, apparentemente anch'essa ragionevole (la Corte costituzionale), se avessimo una scuola di alta amministrazione o di educazione per la magistratura, non sarebbe più ragionevole. Intendo dire che un regime di incompatibilità rigida, salvo la norma transitoria, ha anche questo valore di stimolo programmatico per la classe politica attuale a creare una classe di pubblici funzionari che metterebbe il nostro Stato in condizione di competere con gli altri. Temo la strada sdrucciolevole rappresentata dal regime delle eccezioni affidate alla legge ordinaria: vedrà quel giorno quante ragionevoli eccezioni sarebbero in essa elencate! È esattamente la cosa che per mesi e mesi, in sede di Comitato, abbiamo cercato di escludere, ed io preferirei, proprio per queste ragioni anche programmatiche, che tale soluzione non fosse accettata.
PRESIDENTE. Però è diverso. Di fronte ad una norma generale che prevede l'incompatibilità, fare una legge che preveda le eccezioni comporta una volontà politica attiva. Molto diverso è dover fare una legge che prevede le incompatibilità: impresa non invidiabile nella quale qualche collega si adopera. Ma, stabilita l'incompatibilità, se si deve fare una legge approvata dalle Camere che stabilisce le eccezioni, questo comporta una volontà attiva: non è la stessa cosa. Comunque, ho avanzato un'ipotesi. Altrimenti, si vota sui due testi alternativi, non c'è problema.
SALVATORE SENESE. Credo che, molto realisticamente, dobbiamo porci alcune domande prescindendo dalle esigenze qui esposte in generale e che io personalmente condivido, essendo fautore del restringimento massimo di questa dispersione.
È immaginabile, domani, a regime, una volta superato il momento transitorio, che l'ufficio che abbiamo appena istituito di procuratore generale eletto dal Parlamento per la persecuzione degli illeciti disciplinari possa funzionare senza magistrati, cioè senza avvalersi di un sapere specifico alimentato non soltanto da studi specifici, ma anche da una particolare esperienza, da un vissuto?
È immaginabile che l'attività di formazione che abbiamo assegnato ai Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa possa prescindere da un ufficio studi formato da magistrati?
Potrei continuare con queste eccezioni. Voglio arrivare fino all'estremo, cioè quello che considero personalmente più opinabile. Chi di voi colleghi (tutti, visto che siamo in regime di alternanza), candidato possibilmente a ricoprire la carica di ministro di grazia e giustizia, pensa di poter gestire questo dicastero senza un magistrato, soltanto con le attuali competenze o con quelle che potranno uscire da una futura scuola della pubblica amministrazione?
SALVATORE SENESE. Sarò l'ultimo a dirlo, questo, per carità! So quanto sapere giuridico si disperde, per così dire, e non viene valorizzato nelle università.
Quindi, va bene, all'ultima domanda mi risponde il collega Zecchino: io, Zecchino, ministro di grazia e giustizia, sono sicuro di far funzionare al meglio la macchina senza nemmeno un magistrato. Ne prendo atto, ma rimangono le altre tre domande. Ecco, da qui, l'esigenza di prevedere, in qualche modo, un minimo di eccezioni. Allora, abbiamo due strade: o le prevediamo analiticamente, con gli inconvenienti di estetica istituzionale ed il rischio di dimenticare qualcosa, oppure prevediamo un divieto generale - come qui viene fatto - ed una possibilità per il legislatore di derogarvi, indicando, però, l'ambito entro cui la deroga è legittima. Io formulo una proposta, poi, naturalmente, non faccio alcuna difficoltà, anche perché credo di essere, tra tutti i presenti, quello che sulla materia ha le posizioni meno ferme, per così dire. Sono aperto, mi preoccupo solo di quello che può succedere, di come potrà funzionare questo Stato che si vuol costruire, non d'altro. Allora, l'eccezione cui facevo riferimento potrebbe essere a mio avviso così formulata: dopo aver indicato tassativamente i divieti, si potrebbe inserire l'espressione «salve le eccezioni stabilite dalla legge per incarichi o distacchi presso uffici che svolgono attività strettamente connesse con l'amministrazione della giustizia». Questo mi parrebbe (Commenti)... Allora, ditemi voi come il Consiglio superiore può effettuare la formazione dei magistrati...
ORTENSIO ZECCHINO. Ma quello non attiene all'amministrazione della giustizia!
SALVATORE SENESE. Come, non attiene all'amministrazione della giustizia! Ma, vivaddio, se fin dal primo anno di università si insegna che il Consiglio superiore della magistratura è organo di amministrazione della giurisdizione! Pizzorusso, il maggior costituzionalista italiano, l'ha spegato molto bene. È inutile richiamare l'università se poi non si leggono le cose che si fanno all'università! Abbiate pazienza, colleghi, io capisco tutto, però l'università significa sapere, competenza ed evitare di parlare a vanvera! Ho finito.
MARIO GRECO. Intervengo molto brevemente, replicando a quanto ha detto adesso il collega Senese a proposito della necessità di avere un apporto dei magistrati anche in materia di legislazione, magari proveniente dal Ministero di grazia e giustizia, quindi con riferimento ad iniziative governative. Un tale apporto lo abbiamo indirettamente già introdotto attraverso un organismo, il Consiglio superiore della magistratura, perché...
PRESIDENTE. Senatore Greco, il collega Senese non si riferiva all'attività legislativa, ma a quella amministrativa.
MARIO GRECO. La mia osservazione è valida anche per l'attività amministrativa. Nel momento in cui abbiamo un organismo come il Consiglio superiore della magistratura che in materia, appunto, di amministrazione può dare il suo apporto ed è formato anche da magistrati, credo che quel contributo di idee e di esperienza della magistratura, del potere giudiziario, possa essere fornito proprio attraverso questo organismo, non attraverso i singoli magistrati, che oltre tutto sono necessari all'amministrazione della giustizia nello svolgimento del loro compito di ufficio. Oggi ci lamentiamo tanto del fatto che la macchina giudiziaria non funziona bene anche per insufficienza di magistrati: ebbene, vi sono molti magistrati distaccati presso i ministeri e sarebbe bene che venissero fatti tornare al loro ruolo naturale.
PRESIDENTE. Analizziamo ora con ordine le possibili formulazioni sulle quali ci pronunceremo con il voto. Prego, onorevole relatore.
MARCELLO PERA. Scusi, onorevole relatore, l'espressione «fatta eccezione per la Corte costituzionale» sostituisce quella «fatta eccezione per il Ministero della giustizia», oppure si aggiunge?
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Si aggiunge.
PRESIDENTE. Senatore Pera, lei deve anche stare attento, indipendentemente dalla simpatia.
MARCELLO PERA. Ma io sto attento.
PRESIDENTE. L'onorevole Boato sta dicendo che verranno messe in votazioni due ipotesi: una è quella della norma rigida sull'incompatibilità e l'altra quella appena illustrata. Poi lei voterà, se crede, a favore della norma rigida.
MARCELLO PERA. Signor presidente, io stavo attento, ma siccome le cose che ci stupiscono spesso non si percepiscono, allora...
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ma lei non deve essere affatto stupito perché un relatore ascolta con attenzione il dibattito.
PRESIDENTE. Ed anche le opinioni degli altri, oltre alle sue, che sono certamente primarie.
MARCELLO PERA. Signor presidente, non sono soltanto le mie.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Se poi, per cortesia, mi lascia finire, potrà ascoltare cosa dirò sul resto.
MARCELLO PERA. Mi sta zittendo, signor relatore.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sì, la prego di lasciarmi finire. Ho detto che, nell'ipotesi in cui il presidente ponga in votazione in alternativa i due testi, per quanto riguarda quello distribuito questa mattina ho proposto le due modifiche poc'anzi ricordate, sempre che, ripeto, venga messo in votazione.
ORTENSIO ZECCHINO. Non ci dica che siamo distratti: può ripeterle?
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Per quanto riguarda il testo base proposto originariamente dal relatore (la nuova formulazione, infatti, è stata sollecitata dal dibattito di ieri sera, se qualcuno non era presente non è colpa mia, io ho ascoltato chi c'era), le modifiche che suggerisco sono le seguenti: innanzitutto, al sesto comma, all'espressione «non possono far parte di collegi arbitrali», propongo di sostituire la nuova formula utilizzata nel testo di questa mattina, ossia «non possono svolgere attività arbitrali o di controllo». Propongo inoltre che vengano modificate la parte iniziale e quella finale dello stesso periodo, per cui il testo risulterebbe, in definitiva, del seguente tenore: «Fermo restando che i giudici ordinari e amministrativi e i magistrati del pubblico ministero non possono svolgere attività arbitrali o di controllo, né essere distaccati presso ministeri o altre pubbliche amministrazioni, la legge può stabilire i casi in cui possono svolgere attività diverse da
PRESIDENTE. Va bene, è tutto chiaro.
MARCELLO PERA. Signor presidente, per non essere ulteriormente accusato di distrazione, poiché le modifiche suggerite sono state lette in fretta, potrebbe essere così gentile da ripeterle lentamente?
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Il primo dei testi, quello più rigido per intenderci, recita quanto segue: «L'ufficio di giudice ordinario ed amministrativo e di magistrato del pubblico ministero è incompatibile con qualunque altro ufficio, incarico e professione. Fermo restando che i giudici ordinari ed amministrativi e i magistrati del pubblico ministero non possono svolgere attività arbitrali o di controllo, né essere distaccati presso ministeri o altre pubbliche amministrazioni, la legge può stabilire i casi in cui possono svolgere attività diverse da quella di ufficio». C'è poi il periodo relativo alle elezioni, che però verrà votato separatamente.
Poi c'è l'altra formulazione, quella che è stata distribuita questa mattina, ma con l'aggiunta, che ho in precedenza proposto, del riferimento alla Corte costituzionale e con la soppressione dell'aggettivo «imparziale».
GIUSEPPE CALDERISI. Mi scusi, signor presidente: la questione è molto delicata, quindi credo sia necessario distribuire un testo scritto, altrimenti non si può votare.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. A me pare molto chiaro, però se volete predisporrò, alla luce del dibattito svoltosi, un'ulteriore formulazione dell'ultimo comma dell'articolo 127, si tratta solo di impiegare qualche minuto in più.
PRESIDENTE. Si tratta di due ipotesi alternative, chiaramente espresse, che tengono conto di quanto emerso dalla discussione: si tratta solo di effettuare, con il voto, una scelta.
GIOVANNI RUSSO. Presidente, in realtà c'era una terza ipotesi ed io vorrei che fosse nuovamente sottoposta all'attenzione della Commissione. Nel testo distribuito questa mattina, si proponeva di sostituire le parole da «fatta eccezione» in poi con le seguenti: «salve le eccezioni tassativamente stabilite dalla legge». In tal modo si eviterebbe un'indicazione analitica che è imperfetta. Cito, infatti, solo due esempi: il procuratore eletto dal Parlamento per l'esercizio dell'azione disciplinare ha bisogno di un ispettorato e non potrà utilizzare un magistrato; inoltre, la Corte di giustizia amministrativa (Commenti)... No, non è un'amministrazione pubblica. Allora, eventualmente, anziché «le amministrazioni», bisognerebbe dire «gli organi costituzionali che svolgono attività di garanzia», comprendendo così la Corte costituzionale, i consigli superiori, la Corte di giustizia amministrativa ed anche le autorità indipendenti previste dalla Costituzione. Tuttavia io credo che la formula cui ha fatto riferimento in precedenza il presidente, ossia «salve le eccezioni tassativamente» (o «espressamente») «stabilite dalla legge» sia quella che consente di indicare la necessità del rigore, lasciando però al legislatore ordinario la potestà di valutare i vari casi.
PRESIDENTE. Ma il relatore ha accolto la possibilità che vi siano eccezioni
CESARE SALVI. No, signor presidente, mi scusi.
PRESIDENTE. Sembrava una discussione animata.
Dicevo che la legge può indicare i casi in cui è possibile fare un'eccezione, tuttavia si stabilisce una limitazione, mantenendo ferma la proibizione di svolgere attività arbitrali o di essere distaccati presso i ministeri o altre pubbliche amministrazioni.
GIOVANNI RUSSO. Certamente una limitazione per i magistrati è necessaria e la legge in discussione...
MARCO BOATO. Collega Russo, lei sta dicendo una cosa del tutto legittima, ma che confligge con altre posizioni. Adesso dovremo votare. Come il collega Pera non può pretendere di imporre la sua posizione, neanche lei può farlo.
GIOVANNI RUSSO. Proponevo la terza formula.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Si può votare anche la terza ipotesi.
PRESIDENTE. Sì, sì; si può votare tutto, è naturale.
Per consentire che, secondo la richiesta avanzata dall'onorevole Calderisi, tutte queste formulazioni vengano messe per iscritto, accantoniamo l'argomento e passiamo all'esame, accantonato nella seduta di ieri, degli emendamenti riferiti all'articolo 124, del quale il relatore ha elaborato una nuova formulazione, alla luce delle modifiche introdotte all'articolo 122.
GIULIO MACERATINI. Signor presidente, desidero osservare che nel lodevole tentativo di dare razionalità al sistema che prevede due sezioni del CSM ed una composizione a sezioni riunite (cui occorrerà evidentemente assegnare delle funzioni che debbono essere di unità dell'ordine giudiziario), si fa una cosa rispetto alla quale nutro alcuni dubbi: più che un intervento, quindi, la mia è una richiesta di chiarimento al relatore.
Le funzioni che vengono attribuite alle sezioni riunite sono innanzitutto quelle relative alle assunzioni e mi pare che qui vi sia una logica, visto che il meccanismo di accesso alla magistratura è unitario; vi sono poi quelle inerenti alla formazione ed a questo proposito vale ciò che ho detto per le assunzioni, quindi siamo d'accordo; sono inoltre d'accordo per quanto concerne i passaggi di funzione, perché si passa dall'attività di pubblico ministero a quella di giudice con valutazione, appunto, complessiva. Vi è però un punto sul quale nutro forti dubbi, ma, come diceva quel comico napoletano, «voglio essere spiegato», ossia chiedo un chiarimento: non capisco perché le assegnazioni che riguardano i giudici o i pubblici ministeri non possano e non debbano essere effettuate dalle sezioni di appartenenza.
PRESIDENTE. Credo ci sia un equivoco, perché è evidente che ci si riferisce alle assegnazioni all'una o all'altra funzione (Commenti). Come, no...
GIULIO MACERATINI. Il termine, nella pratica del CSM, viene attribuito ad altre cose: si assegna un magistrato, per esempio, alla Corte d'appello di Catanzaro per un periodo transitorio... Allora, mi pare che vi sia un'invasione di campo, è questo il punto che volevo chiarire bene.
PRESIDENTE. Il relatore si riferisce alla previsione secondo cui, dopo un periodo di tirocinio, si assegna un magistrato all'una o all'altra funzione.
ORTENSIO ZECCHINO. No.
PRESIDENTE. Come, no. Nell'articolo 126 è scritto: «Tutti i magistrati ordinari esercitano inizialmente funzioni giudicanti
GIULIO MACERATINI. Su questo non c'è dubbio, però l'espressione non è chiara.
PRESIDENTE. Può darsi che non risulti chiara, ma poiché lei ha chiesto una spiegazione le faccio presente che il relatore si riferisce a quanto ho illustrato.
ORTENSIO ZECCHINO. Poiché, per la verità, tale formulazione riproduce quella dell'emendamento che io avevo presentato e rispetto al quale il relatore aveva il compito di coordinamento, desidero chiarire che nel mio testo le assegnazioni rientravano tra le competenze delle sezioni. Non ho fatto altro che riprodurre, per le competenze delle sezioni, la formulazione dell'attuale articolo 105 della Costituzione, in cui si dice che spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni, le promozioni, i trasferimenti. Quindi, il concetto di «assegnazione» è già attualmente codificato nel testo costituzionale, pur mancando la novità, da noi introdotta, dei due itinerari cui l'assegnazione è destinata. Occorre allora, quanto meno, una specificazione che possa fugare i dubbi che, mi sembra molto utilmente, ha sollevato il collega Maceratini. Credo che anche in merito alla funzione propria delle sezioni riunite dobbiamo, come sempre, intenderci sulla sostanza delle cose, poi ci sforzeremo di trovare le parole acconce. Dobbiamo esattamente riprodurre il meccanismo dell'articolo 126: concorso unico, tirocinio unico e, poi, avvio lungo i due itinerari e successivi passaggi. Dovremmo dire, allora, «l'assegnazione iniziale».
PRESIDENTE. Si potrebbe dire «l'assegnazione alla funzione giudicante ovvero inquirente».
ORTENSIO ZECCHINO. Mi pare che l'assunzione avvenga al momento dell'immissione in ruolo, che avviene prima del tirocinio. Espletato e vinto il concorso, c'è l'assunzione e l'avvio al tirocinio. Poi c'è l'assegnazione alle due funzioni.
Il termine assegnazione, però, sta ad indicare l'assegnazione della sede e dell'ufficio anche ad itinerari individuati; quindi dobbiamo differenziare questi due concetti.
PRESIDENTE. A me risulta abbastanza chiaro, poiché l'articolo parla di assegnazioni e passaggi di funzione, quindi è del tutto evidente che ci si riferisce alla assegnazione alle diverse funzioni ed ai passaggi tra di esse. Comunque, siccome dal punto di vista sostanziale c'è piena intesa, le formulazioni si possono studiare.
A me, lo ripeto, questa sembra chiarissima, poiché c'è un iter anche logicamente e cronologicamente scandito, di cui do atto al relatore. Le assunzioni vengono prima; poi seguono la formazione, le assegnazioni ed i passaggi di funzione. Naturalmente si tratta di assegnazioni alle due diverse funzioni, come è previsto dal secondo comma dell'articolo 126.
ORTENSIO ZECCHINO. Specifichiamolo perché, lo ripeto, il termine è già usato nell'attuale Costituzione con un significato diverso.
PRESIDENTE. Mentre invece trasferimenti e promozioni competono a ciascuna sezione, come è ovvio.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Si può scrivere semplicemente così: «...le assunzioni, la formazione, le assegnazioni alle due diverse funzioni e i relativi passaggi».
PRESIDENTE. Esatto. Mentre invece l'aggiornamento professionale, i trasferimenti e le promozioni competono ciascuno alla sezione competente. Mi pare che vi sia una logica abbastanza chiara.
PRESIDENTE. Il relatore ha proposto di rendere il testo ancora più esplicito. A mio giudizio è chiarissimo, tuttavia si può scrivere: «...l'assegnazione alla funzione giudicante e requirente e i relativi passaggi di funzione».
GIULIO MACERATINI. Ma perché la disposizione sia completa bisogna che nella seconda parte, quando si parla delle singole sezioni, si stabilisca che le assegnazioni dei magistrati... Perché un magistrato può essere trasferito a Napoli ma poi assegnato ...
PRESIDENTE. Ma l'articolo parla di trasferimenti!
GIULIO MACERATINI. D'accordo, ma assegnato a quale ufficio? È questo il punto fondamentale, perché a Napoli ci sono cinquanta uffici giudiziari. Altrimenti l'assegnazione torna alle sezioni riunite.
Chiamo a testimonianza tutto il CSM: è come dico io. Non sto scherzando perché ne ho parlato... (Commenti del deputato Folena).
Certo, perché con il trasferimento si dà la sede, ma poi c'è l'assegnazione all'ufficio.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Siccome nella sostanza mi pare che siamo d'accordo, al secondo comma si può dire: «...l'aggiornamento professionale, i trasferimenti e le relative assegnazioni e le promozioni». La logica è questa: quando si deve decidere se un magistrato, dopo il primo periodo, è assegnato alla funzione giudicante o a quella inquirente è ovvio che tale decisione compete alle sezioni riunite; quando si devono decidere, all'interno della funzione giudicante o all'interno della funzione inquirente, l'assegnazione, il trasferimento o la promozione è chiaro che ciò compete alla sezione rispettiva. Quando si deve decidere il passaggio da una funzione all'altra attraverso il concorso riservato, questo lo decidono le sezioni riunite. È il sistema che io ho ricavato da quanto abbiamo deciso ieri, tanto è vero che, per non creare equivoci, ho distinto il concetto di formazione da quello di aggiornamento professionale: la formazione è in capo alle sezioni riunite, l'aggiornamento professionale del giudice e quello del pubblico ministero sono in capo, rispettivamente, alla sezione per i giudici ed a quella per i pm.
PRESIDENTE. MI pare chiaro che il problema è quello di evitare l'equivoco tra l'uso del termine assegnazione così come si desume dal secondo comma dell'articolo 126 della Costituzione riformata, nel quale è evidente che ci si riferisce all'assegnazione del giudice ordinario alla funzione giudicante o a quella inquirente - compito che non può che spettare alle sezioni riunite -, e l'uso del termine assegnazione come risulta dalla Costituzione vigente, cioè assegnazione ad un ufficio. Quest'ultima, che chiaramente è connessa ai trasferimenti o alle promozioni dei magistrati, i quali comportano entrambi l'assegnazione ad un nuovo ufficio, non può che essere compito delle sezioni separate. Dato che non vi è dissenso di sostanza, lo possiamo rendere più chiaro.
CIRIACO DE MITA. Presidente, credo che questa discussione potrebbe essere risolta - diversamente dovremmo specificare troppo - riconducendo, lo voglio dire al relatore, alla parola «assunzione» il procedimento complessivo. L'assunzione, infatti, non consiste solo nel vincere il concorso: è superamento del concorso, periodo di formazione, assegnazione all'incarico. Quindi, poiché chi vince il concorso è assunto, in realtà, dal momento
PRESIDENTE. Abbiamo già usato, all'articolo 126, la parola «assegnazione» con riferimento alle due diverse funzioni, quindi penso che adesso si possa anche aggiungere qualche parola in più. Personalmente trovo che il testo sia chiarissimo; probabilmente non sono appassionato a questa materia come quasi tutti gli altri colleghi e quindi la esamino in modo più spassionato, ma a me il testo risulta chiarissimo (Commenti del senatore Zecchino).
Io non sono appassionato nella misura, ritengo eccessiva, in cui lo sono quasi tutti i colleghi. Il testo mi sembra di una chiarezza assoluta, ma siccome si ritiene che non lo sia sono per chiarirlo, magari usando una parola in più piuttosto che una in meno.
È chiaro che l'espressione assegnazione può essere usata in due sensi diversi, allora usiamola in due sensi diversi e specifichiamo: assegnazione alla funzione, che spetta alle sezioni riunite, e assegnazione all'ufficio o alla sede, che spetta alle sezioni separate. Così ognuno avrà assegnata la sua assegnazione, ci rassegneremo, saremo tutti contenti e sarà finita una guerra di religione sulle assegnazioni, che sinceramente mi pare al di là del ragionevole e del comprensibile fuori di qui.
ANTONIO SODA. Introduco un tema nuovo rispetto a questo dibattito. Noi qui abbiamo esplicitato le funzioni dei Consigli; nell'attuale sistema sono sempre state considerate le funzioni ausiliarie e tra tali funzioni ausiliarie erano ricompresi la formulazione di proposte sulla organizzazione dei servizi giudiziari e delle circoscrizioni e i pareri. Ora inseriamo in Costituzione espressamente, anche limitandola, la funzione relativa alla manifestazione di pareri su richiesta del ministro di grazia e giustizia, cioè introduciamo direttamente in Costituzione una delle funzioni che erano considerate ausiliarie.
Alla luce del dibattito che si è svolto devono essere intese tassativamente le funzioni specificate in Costituzione o resta un margine per il Consiglio, in sede di autoregolamentazione, per elaborare anche funzioni ausiliarie? Lo chiedo al relatore.
Se va intesa come una elencazione tassativa delle funzioni, proprio in virtù della introduzione in Costituzione del compito di esprimere pareri, l'altra funzione ausiliaria fondamentale, cioè quella di manifestare proposte sull'organizzazione dei servizi giudiziari va a nch'essa costituzionalizzata oppure no?
Se dal dibattito emerge che le funzioni che abbiamo voluto indicare sono tassative, per cui non vi è margine per una autoregolamentazione nell'ambito della quale ricavare alcune funzioni ausiliarie, allora introduciamo il potere-dovere dei Consigli di formulare proposte sull'organizzazione dei servizi. Se, al contrario, residua questo potere autorevolamentare, allora non insisterei nel proporre di aggiungere l'espressa indicazione del potere di formulare proposte sulla organizzazione dei servizi di giustizia.
ORTENSIO ZECCHINO. Ma non non abbiamo innovato rispetto alla struttura dell'attuale articolo 105, che è identico. Abbiamo soltanto innovato su un punto importante, che preciso se il presidente consente questa interruzione.
PRESIDENTE. Lei ha assolutamente il diritto di prendere la parola, anche perché l'onorevole Soda ha concluso il suo intervento, per cui non si tratta neanche di una interruzione.
ORTENSIO ZECCHINO. Quindi, noi non abbiamo innovato sulla struttura dell'articolo 105. Ci siamo molto fermati sul tema ed abbiamo posto una limitazione molto importante, che era già stata suggerita dalla Commissione Bozzi, rispetto ad un potere invasivo che il Consiglio
MARCELLO PERA. Poiché l'articolo 124 come ci viene oggi proposto dal relatore nasce dall'emendamento formulato ieri dal collega Zecchino e da altri ed ha un fine di coordinamento con il precedente articolo, vorrei fare alcune osservazioni.
La prima è che rispetto al testo dell'emendamento Zecchino vi è una inversione dell'ordine dei commi. IL testo Zecchino, dopo aver distinto le due sezioni, stabiliva cosa spetti all'una ed all'altra e cosa spetti successivamente - dove il termine «successivamente» fa riferimento a qualcosa di logicamente successivo - alle sezioni riunite o plenum. Il testo del relatore, invece, comincia con le sezioni riunite.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Questo è un articolo autonomo sui Consigli, quindi è ovvio che dobbiamo partire da questi.
PRESIDENTE. Poiché i Consigli sono due - c'è anche quello della magistratura amministrativa - è evidente che si parte dai compiti dei Consigli. L'emendamento Zecchino si inseriva esattamente dopo l'istituzione delle due sezioni, quindi è chiaro che ne definiva i compiti; questo, invece, è un articolo autonomo.
MARCELLO PERA. L'osservazione che facevo prima di questa precisazione, di cui la ringrazio, era finalizzata anche ad un altro punto. La riscrittura che comincia dalle competenze delle sezioni riunite ha una differenza rispetto alla stesura originaria del testo Zecchino - ed a questo riguardo avanzerò una proposta - perché mentre prima si indicava cosa spetti a ciascuna sezione e si aggiungeva che «la competenza delle sezioni riunite è limitata a ...» facendo seguire un elenco che, peraltro, era composto da una sola voce, se non vado errato, per cui era una competenza per così dire residuale, adesso l'inversione dei commi comporta un'inversione di tipo sostanziale. Pertanto, chiedo - rivolgendomi anche al presentatore dell'emendamento, cioè al collega Zecchino - se, invertendo i commi o anche non invertendoli, si possa lasciare inalterata la dizione per cui «la competenza delle sezioni riunite (del Consiglio superiore della magistratura ordinaria e del Consiglio superiore della magistratura amministrativa) è limitata a ...» Questo è il primo punto che intendevo richiamare.
Il secondo riguarda la nozione di formazione. In questo testo costituzionale a proposito dei magistrati ci troviamo di fronte a tre dizioni diverse: all'articolo 130 c'è l'espressione «formazione propedeutica», che è quella in capo al ministro; al primo comma dell'articolo 124, così come ora ci viene proposto, c'è la nozione di «formazione»; al secondo comma dell'articolo 124 vi è, poi, una terza espressione, quella di «aggiornamento professionale». Mentre riesco a capire la distinzione tra aggiornamento professionale e formazione, anche se è abbastanza sottile, non riesco a capire a quale formazione ci si riferisca, in questo articolo, che sia diversa dalla formazione propedeutica e dall'aggiornamento professionale, a meno che per formazione non si intenda il tirocinio.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Fase di formazione precedente alla assegnazione del magistrato che ha esercitato nei primi tre anni funzioni giudicanti ...
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ma abbiamo anche parlato di formazione, tanto è vero che essendo ridondante nel testo avevo tolto il termine solo per ragioni di coordinamento tecnico; ma c'era, ad esempio, nel testo di settembre. Bisognerà formarli questi magistrati, o pensiamo che si improvviseranno magistrati?
MARCELLO PERA. Dal punto di vista della successione cronologica, c'è una formazione propedeutica ...
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Quella è del laureato in giurisprudenza che si avvia, ma non ha ancora deciso, a fare l'avvocato, il magistrato, il notaio e così via. Non c'entra nulla con il magistrato come tale.
MARCELLO PERA. Signor relatore, se è così cortese ...
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Mi sta chiedendo dei chiarimenti e io glieli sto dando.
MARCELLO PERA. C'è un periodo di formazione propedeutica, e questo è prima del concorso...
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. È evidente.
MARCELLO PERA. ...ed è comune a tutti coloro che svolgono attività giudiziarie e forensi. Poi ci sono il concorso, il tirocinio e, successivamente, un aggiornamento professionale: è così oppure no?
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Certo. Mi pare che sia stato molto sottolineato che, oltre ad esserci una questione di formazione comune, c'è anche la necessità che il giudice approfondisca le qualità professionali che servono a fare il giudice ed il pubblico ministero approfondisca le qualità professionali, di investigazione ed altro, che servono a fare il pubblico ministero. Questo è ciò che si intende come aggiornamento professionale, quando si sia già nella funzione o di giudice o di pubblico ministero.
MARCELLO PERA. La nozione di aggiornamento professionale mi è chiara. Volevo che mi fosse chiarita quella di formazione: se sia sinonimo di tirocinio oppure no. Se è sinonimo di tirocinio, preferisco l'espressione tirocinio, per evitare che vi sia confusione tra formazione ed aggioramento professionale, visto che, come ho già detto, si parla anche di formazione propedeutica. Propongo, dunque, di sostituire la parola «formazione» con «tirocinio».
PRESIDENTE. Va bene.
MARCELLO PERA. Non ho finito, perché ci sono altre cose abbastanza delicate in questa riscrittura del relatore.
Per assegnazione - torno su un tema su cui si è svolto un ampio dibattito - si intende la prima assegnazione all'una e all'altra funzione o si intendono anche le assegnazini successive? Io propongo che sia specificato che si tratta della prima assegnazione alle funzioni, dal momento che le altre sono trasferimenti ed assegnazioni automatiche che a questi conseguono (Commenti).
Chiedo scusa ai colleghi, ma vorrei essere ascoltato, non perché meriti di esserlo, ma perché sto avanzando una proposta e non mi si può rispondere che è già stato chiarito e detto.
PRESIDENTE. Le manderò il processo verbale nel quale potrà leggere che ciò che lei chiede è stato già chiarito.
MARCELLO PERA. È possibile.
PRESIDENTE. Lei non ascolta quando gli altri parlano...
MARCELLO PERA. Non è vero!
MARCELLO PERA. Mi mandi quello che crede. Lei non può consentirsi ripetutamente di dirmi che non ascolto o sono disattento. Ascolto e mi riservo il diritto, perché credo di averlo, di ribadire anche cose che mi vengono dette da lei essere state già chiarite. La ringrazio.
Passo ad un altro punto. Nel testo si dice che le sezioni riunite del Consiglio non possono adottare atti di indirizzo politico. Anche su questo vi è stato un dibattito, parte del quale qui è scomparsa. Ricordo che nel Comitato ristretto fu chiesto ripetutamente - ed io lo chiedo ancora - che la dizione «atti di indirizzo politico» fosse completata con le parole «né di interpretazione delle leggi».
Ricordo anche che su questo punto coloro che chiedevano la eliminazione delle parole «non possono adottare atti di indirizzo politico», che consideravano una norma negativa, sostenevano che a ciò si poteva rimediare dicendo ciò che può fare esclusivamente il Consiglio superiore, cioè un elenco tassativo delle attività. Vi è però un punto più importante, sul quale richiamo l'attenzione del relatore e del collega Zecchino.
Il Consiglio superiore, a sezioni riunite - si dice - non può adottare atti di indirizzo politico: è un divieto, una norma negativa. Non piaceva a nessuno, neppure al collega Folena, ed ora ce la ritroviamo. Ma la stessa cosa non è detta per ciascuna delle due sezioni. Quindi sembrerebbe che mentre il Consiglio superiore a sezioni riunite non può adottare atti di indirizzo politico, non essendoci la stessa previsione negativa per ciascuna delle due sezioni, queste lo possano fare. Allora, o si toglie da un lato o dall'altro, oppure si mette lo stesso divieto ad entrambe.
Il modo con cui sembrava possibile raggiungere un accordo per evitare questo divieto, questa espressione negativa, era di aggiungere...
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Guardi, siccome è una questione puramente linguistica e non occorre dirla con tutta questa carica polemica, se vuole...
MARCELLO PERA. Ma quale carica polemica!
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. ... inseriamo un punto, scriviamo «i Consigli non possono adottare atti di indirizzo politico» e il problema è risolto.
MARCELLO PERA. I Consigli?
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Il Consiglio è diviso in due, quindi sono due i Consigli.
MARCELLO PERA. Va bene (Commenti). È un grande problema.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. La formulazione linguistica non è un grande problema.
MARCELLO PERA. È un problema per il fatto che...
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Lei lo ha posto ed io l'ho già risolto: «i Consigli non possono adottare atti di indirizzo politico».
MARCELLO PERA. Siete tutti veramente così bravi questa mattina, che mi date lezioni in ogni senso. Con questa sua soluzione, signor relatore, stiamo evitando una parte della discussione che ci fu in Comitato, su cui non vi fu accordo e che è stata risollevata dal collega Soda precedentemente; e cioè se l'elenco delle funzioni svolte dal Consiglio superiore sia tassativo o no. Questa fu la discussione; il collega Folena lo ricorderà: c'erano coloro che volevano introdurre l'avverbio «esclusivamente» riferito alle funzioni e indicare quindi un elenco tassativo e coloro che invece non volevano inserire quell'avverbio e proponevano di aggiungere, dopo
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Proporrà degli emendamenti e si voterà. Io ho proposto molteplici formulazioni dell'articolo 124, proprio in relazione a quel dibattito. Ieri ho proposto l'ultima formulazione, che è esattamente recepita nel testo in esame, essendo stato io obbligato dalla votazione sulle due sezioni a cambiare il testo coordinandolo con il testo dell'articolo 122, che io non ho votato, ma che la Commissione ha approvato. Ho fatto il mio dovere di relatore.
All'obiezione che il riferimento all'indirizzo politico non è chiaro ho risposto: se non è chiaro, il problema si risolve inserendo un punto e scrivendo: «I Consigli non possono adottare atti di indirizzo politico». La norma quindi vale per tutti.
MARCELLO PERA. Lei, relatore, ricorda il dibattito sul riferimento all'interpretazione delle leggi (Commenti del relatore sul sistema delle garanzie, Marco Boato).
MASSIMO VILLONE. Vorrei lasciare a verbale la mia opinione circa l'inopportunità della formula «indirizzo politico», che mi sembra del tutto inappropriata e tecnicamente non utilizzabile con riferimento ad un organo di quella natura. Lo dico a futura memoria, non ne faccio oggetto di altra iniziativa.
FAUSTO MARCHETTI. Desidero associarmi a quest'ultima considerazione del collega Villone. Nel corso dei lavori del Comitato ho sempre sostenuto l'inopportunità di inserire questo divieto di adottare atti di indirizzo politico.
TIZIANA PARENTI. Per quanto riguarda il problema della formazione, siccome anche con legge ordinaria, si è detto di fare una scuola nella magistratura, è evidente che la formazione non possa essere fatta dal Consiglio superiore, ma debba essere fatta dal Ministero di grazia e giustizia; ciò perché questo è un suo compito amministrativo e finanziario ed anche per evitare la lottizzazione che viene fatta con i magistrati che vengono mandati ad insegnare, molto spesso per lunghi periodi, per cui le sedi rimangono scoperte; la logica è del tutto spartitoria.
Al di là di questo che è un costume, credo comunque che la formazione dovrebbe avere un approccio molto più laico ed essere fatta con un maggiore pluralismo, in collegamento anche con l'università; cosa che purtroppo non avviene, per cui non vi è mai una compartecipazione fra la teoria e la pratica.
Non capisco perché si voglia assegnare questo compito, che è fondamentale, ancora al Consiglio superiore e mantenere questa logica spartitoria che forma molto poco, come è noto a tutti quelli che ci sono passati, e fornisce informazioni del tutto approssimative se non inutili, peraltro molto costose; coloro che dovrebbero provvedere alla formazione, infatti, comportano un costo elevato, senza risultati di alcun tipo. Altrettanto va detto per la formazione successiva, cioè per quello che dovrebbe essere l'aggiornamento costante, che oggi viene fatto con i medesimi metodi. Chiunque vi abbia partecipato sa quanto sia basso il livello e quale sia invece il costo.
Per queste ragioni direi che la formazione, così come quella propedeutica - io avrei parlato di formazione iniziale e permanente - vada tolta tra i compiti del Consiglio superiore, eliminando un sistema che finora si è dimostrato altamente negativo e non ha prodotto alcun tipo di formazione.
PRESIDENTE. Vediamo un attimo le questioni su cui si è chiesto di votare, prima di procedere alla votazione del testo del relatore.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Propongo innanzitutto la
PRESIDENTE. Il periodo è già retto dalle parole «I Consigli».
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Il collega Pera aveva la preoccupazione (Interruzione del deputato Pietro Folena)... Nel precedente testo dell'articolo 124 da me proposto vi era già questa formulazione; si tratta quindi di ripristinare quel testo. Non cambia assolutamente nulla.
PIETRO FOLENA. Ma allora vale anche per i pareri sui disegni di legge. Si parla dei Consigli, non delle sezioni riunite. Mi pare inequivocabile.
PRESIDENTE. Lo vedremo in sede di coordinamento.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sono d'accordo con il collega Folena e mi ero un po' arrabbiato con l'amico Pera proprio perché mi sembrava un po' tignosa quella sua osservazione. Il soggetto della frase è «I Consigli».
PRESIDENTE. Non ti ascolta.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non mi ascolta. Va bene. Allora propongo di rimanere al testo, viste le contro-obiezioni che sono state fatte. Il testo è chiarissimo; in esso si dice: «I Consigli».
PRESIDENTE. Rimangono da votare alcune proposte. Il collega Pera ha proposto di sostituire nel primo comma il periodo «e non possono adottare atti di indirizzo politico» (riferito, ripeto, ai Consigli) con il seguente: «I Consigli non possono adottare atti di indirizzo politico né di interpretazione delle leggi». La sostanza della proposta mi sembra il riferimento alla interpretazioni delle leggi.
Pongo in votazione questa proposta.
(È respinta).
Per quanto riguarda la questione della formazione (non ci si riferisce all'aggiornamento) di cui si parla nel primo comma, vi sono due proposte. La prima, della collega Parenti, tende a sottrarre al Consiglio superiore i compiti in materia di formazione in modo che restino assegnati esclusivamente al Ministero di grazia e giustizia.
La formazione propedeutica è affidata al ministero...
TIZIANA PARENTI. Quella è un'altra cosa. Qui si sta parlando della formazione di quelli che hanno superato il concorso.
PRESIDENTE. Esatto. Questo compito è affidato al Consiglio superiore in quanto è considerato inerente alle funzioni amministrative.
TIZIANA PARENTI. La formazione non è una funzione amministrativa.
PRESIDENTE. Chi gestisce una determinata amministrazione normalmente organizza anche la formazione del personale interno.
TIZIANA PARENTI. Si entra attraverso il Ministero di grazia e giustizia non attraverso il Consiglio superiore.
PRESIDENTE. Non voglio entrare nel merito. Pongo quindi in votazione la proposta che l'attività formativa dei magistrati sia in capo al Ministero di grazia e giustizia e non al Consiglio superiore.
(È respinta).
(È approvata).
Il primo periodo del primo comma risulterebbe del seguente tenore:«Il Consiglio superiore della magistraturta ordinaria a sezioni riunite e il Consiglio superiore della magistratura amministrativa esercitano le funzioni amministrative riguardanti le assunzioni, il tirocinio, le assegnazioni alle due diverse funzioni e i relativi passaggi rispettivamente per i giudici ordinari e i magistrati del pubblico ministero e per i magistrati amministrativi»; al secondo comma, alla parola «promozioni», seguirebbe «e le rispettive assegnazioni».
Pongo in votazione l'articolo 124 come risulta dalle correzioni apportate.
(È approvato).
Risultano conseguentemente respinti tutti gli emendamenti ad esso riferiti, non integralmente assorbiti come da elenco in allegato.
Torniamo alla questione dell'ulteriore riformulazione relativa all'ultimo comma dell'articolo 127 (v. allegato Commissione bicamerale).
Procederei innanzitutto alla votazione della nuova proposta in materia di incompatibilità, che non mi pare abbia raccolto grandi consensi. Qualora venga respinta la nuova proposta, si tornerà al testo base che era al nostro esame ieri. A quel punto dovremo votare le correzioni di quel testo.
Si tratta cioè di stabilire se adottiamo come testo base quello prospettato ieri dal relatore, ovviamente per quanto riguarda l'incompatibilità. Se vi è intesa in questo senso, scartiamo la nuova formulazione, salvo l'ultimo periodo; in altre parole, accogliamo l'ultimo periodo in materia di partecipazione alle competizioni elettorali, scartiamo la norma in materia di incompatibilità, torniamo al testo base e su quello ci pronunceremo, perché chiaramente vi è un dissenso.
GIOVANNI RUSSO. Proporrei che si voti il testo alternativo; il primo comma con quella sostituzione, salve le eccezioni tassativamente stabilite dalla legge.
PRESIDENTE. Sì, ma la formulazione è esattamente uguale al testo precedente, con la soppressione delle parole «fermo restando che (...)».
GIOVANNI RUSSO. A questo punto è uguale, presidente. Il testo base riformulato prevede in modo assoluto e rigido l'impossibilità di distacchi. Quindi non sarà possibile il distacco né al Ministero di grazia e giustizia, né alla Corte costituzionale, né al Consiglio superiore della magistratura.
LEOPOLDO ELIA. Che cosa intendi per «distacco», fuori ruolo?
PRESIDENTE. Ho capito, infatti mi apprestavo a porre in votazione il testo base con la proposta di sopprimere tutto il periodo dalle parole «fermo restando che» fino a «pubblica amministrazione». In questo modo resterebbe l'affermazione generale del principio di incompatibilità e la previsione che la legge può stabilire i casi in cui... Il problema è di stabilire su quale testo lavoriamo. Innanzitutto voteremo l'ultimo periodo della proposta presentata questa mattina dal relatore, da: «Non possono partecipare» fino a «candidati o eletti». Nel proporre che venga accolta, la pongo in votazione.
(È approvata).
Pongo in votazione la proposta emendativa Russo soppressiva del secondo periodo da «Fermo restando» fino a «pubbliche amministrazioni». È del tutto evidente che se essa viene approvata, viene mantenuto il principio generale di incompatibilità e la previsione di eccezione attraverso la legge.
GIOVANNI RUSSO. Vorrei fare un'osservazione. Anche se eliminiamo il secondo periodo, rimane un primo periodo che esclude in maniera radicale...
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Lo abbiamo spiegato molte volte questa mattina!
GIOVANNI RUSSO. Chiedo scusa, ma se formuliamo l'eccezione nel senso che «possono svolgere attività diverse da quelle d'ufficio», non introduciamo una deroga al principio precedente, perché è una cosa diversa. Quelle che possono essere svolte sono le attività didattiche, che non comprendono il distacco di magistrati presso organi costituzionali e presso il Ministero di grazia e giustizia.
La mia proposta è di lasciare alla legge l'individuazione di casi tassativi che fanno eccezione al principio. La formulazione in oggetto non dà luogo a questo risultato.
CESARE SALVI. Anche se comprendo le ragioni del collega Russo, un semplice rinvio alla legge per la definizione delle eccezioni con l'aggiunta dell'inquietante norma transitoria alla quale si è fatto riferimento,rischierebbe di lasciare le cose come stanno.
Mi pare che il testo del relatore, salvo forse un problema di riformulazione linguistica rispetto al testo costituzionale (mi rendo conto del modo affrontato con il quale è stato redatto), pone il principio, che viene fissato in Costituzione, del divieto di svolgere determinate attività. In tali casi si ritiene che esse debbano essere vietate in quanto possono mettere in discussione, anche soltanto in termini di immagine, l'imparzialità collegata al ruolo del giudice, relativamente, da una parte alle attività arbitrali o di controllo, e dall'altra a un ruolo nell'esecutivo, nel Governo e nelle sue diverse articolazioni.
Su tutte le altre ipotesi alle quali si è fatto riferimento (l'insegnamento, il distacco presso organi costituzionali, il procuratore eletto dal Senato), sarà poi la legge a decidere ed a prevedere o meno la possibilità per i magistrati di svolgere tali funzioni.
Pertanto, salvo una riserva di coordinamento relativamente alla formulazione del testo, mi pare che la soluzione sia equilibrata.
FAUSTO MARCHETTI. Intervengo per associarmi alle considerazioni svolte ora dal collega Salvi e per aderire all'ultima stesura del testo proposto dal relatore.
PRESIDENTE. Vorrei sapere dal collega Russo se insiste sulla sua proposta emendativa e se eventualmente può precisarla meglio.
GIOVANNI RUSSO. Rileggendo il testo, ho l'impressione che lei abbia ragione. Concordo quindi sull'eliminazione del secondo comma, ma mantengo l'ultimo periodo.
PRESIDENTE. La proposta del collega Russo prevede di sopprimere tutto il primo periodo da: «Fermo restando» fino a «pubbliche amministrazioni». Il relatore propone che eventuali leggi di deroga in materia di incompatibilità siano tuttavia vincolate al rispetto dei limiti da lui proposti, limiti che il collega Russo propone di sopprimere.
Pongo in votazione la proposta soppressiva del collega Russo.
(È respinta).
Pongo in votazione il testo, come ulteriormente riformulato dal relatore, dell'ultimo comma dell'articolo 127.
(È approvato).
Risultano conseguentemente respinti tutti gli emendamenti riferiti a tale articolo, non integralmente assorbiti come da elenco in allegato.
Passiamo ora all'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 130, già pubblicato nell'allegato alla seduta dello scorso 28 ottobre.
FAUSTO MARCHETTI. Intervengo soltanto per un'osservazione. È opportunamente previsto che il ministro della giustizia
PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta emendativa del collega Marchetti di sopprimere il riferimento all'esercizio dell'azione penale e all'uso dei mezzi di indagine, peraltro introdotto dopo ampia discussione, che ovviamente non ripeteremo ora.
FAUSTO MARCHETTI. La discussione, infatti, aveva portato all'eliminazione di queste ultime espressioni, che non capisco perché poi sono state reinserite.
CESARE SALVI. Senza voler riaprire la discussione, ritengo sensate le osservazioni del collega Marchetti. Pertanto voterò a favore della sua proposta emendativa soppressiva.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sono contrario alla proposta del collega Marchetti (anche se ovviamente rispetterò la volontà della Commissione se andasse in questa direzione) che sopprime il riferimento nella relazione annuale all'esercizio dell'azione penale e all'uso dei mezzi di indagine, perché questa esplicitazione è l'elemento fondamentale che avevamo introdotto in alternativa ad ipotesi di condizionamento preventivo da parte del Parlamento all'esercizio di tale azione. Si tratta di ipotesi legittime, che peraltro la Commissione non ha mai accolto. Abbiamo infatti sempre ritenuto fondamentale il fatto che il Parlamento annualmente venisse messo di fronte ai problemi che emergono... (Commenti del senatore Marchetti). Posso parlare anch'io, collega Marchetti?
PRESIDENTE. Onorevole Boato, lei non deve chiedere se può parlare, perché questa è una domanda retorica alla quale gli atti della Commissione forniranno una risposta. Restiamo calmi: ormai siamo in dirittura d'arrivo. Prosegua pure.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Questa non è una questione irrilevante, ma è materia su cui, è stato osservato giustamente, abbiamo discusso per mesi, respingendo ipotesi che prevedevano la possibilità che il Parlamento indicasse talune priorità in materia di azione penale, facoltizzandone l'esercizio. Si tratta - ripeto - di ipotesi legittime e vi sono addirittura priorità riconosciute all'esecutivo e non al Parlamento. In altri sistemi è così, come per esempio in Francia, ma in Italia noi abbiamo invece proposto di mantenere l'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale. Abbiamo anche riflettuto sulla necessità che il Parlamento, titolare del potere legislativo, ed il Governo, titolare del potere amministrativo, dispongano di un quadro di riferimento, perché le nuove norme penali e di procedura penale, gli stanziamenti di bilancio per il Ministero della giustizia, li decide il Parlamento su proposta del Governo.
Perciò è opportuno che annualmente il Parlamento sia messo di fronte ad una relazione predisposta dal ministro a posteriori e non a a priori rispetto all'esercizio dell'azione penale, in modo che vi sia un quadro di assunzione di responsabilità, da una parte della magistratura (in questo caso inquirente) che esercita obbligatoriamente l'azione penale, e dall'altra parte del potere esecutivo come relatore, e del potere legislativo, il Parlamento, come interlocutore. Sarà poi il Parlamento a compiere le scelte legislative ed il Governo ad effettuare quelle amministrative. Pertanto, ritenendo opportuno il mantenimento
SALVATORE SENESE. Capisco perfettamente le ragioni del relatore. Concordo sul fatto che il ministro riferisca sull'esercizio dell'azione penale, perché la politica penale di competenza del Parlamento può andare nel senso di deflazionare il carico o di estendere l'area delle condotte penalmente sanzionabili, mentre capisco meno la necessità di riferire sull'uso dei mezzi di indagine. Cosa significa esattamente riferire sull'uso dei mezzi di indagine? Significa che possono essere usati bene o male e, in questo caso, vi può essere la responsabilità disciplinare o soltanto un fatto di inadeguatezza professionale. A me pare che riferire anche sull'uso dei mezzi di indagine sia poco coerente. Nell'ambito dell'esercizio dell'azione penale, per esempio, i pubblici ministeri non ce la fanno a svolgere in maniera effettiva l'obbligatorietà di tale azione e ritengono debba essere ridotta. Invece l'ambito relativo all'uso dei mezzi di indagine, lo vedo un po' nebuloso ed esposto ai rischi che ho ora illustrato.
TIZIANA PARENTI. L'uso dei mezzi di indagine comporta anche la destinazione di decine di miliardi, che vengono spesi per le intercettazioni telefoniche di cui non conosciamo la fine; certamente non vengono utilizzate nel dibattimento. Decine o centinaia di miliardi vengono spesi anche per i collaboratori di giustizia e non sappiamo mai da quali fondi vengono prelevati.
Se vi fosse più trasparenza sull'uso dei mezzi di indagine e sapessimo quanto gravano sul cittadino, sarebbe già un passo avanti, soprattutto se conoscessimo il fine di tali attività. Per esempio le intercettazioni telefoniche non sempre sono autorizzate dal giudice, ma molto spesso solo dal procuratore della Repubblica. Credo non sarebbe male se venisse chiarito quale sia il loro uso, invece di leggerlo sui giornali,senza conoscerne la fondatezza o meno.
ORTENSIO ZECCHINO. Intervengo telegraficamente per dichiarare il mio assenso alla formulazione proposta dal relatore. In effetti, l'espressione mezzi di indagine significa tante cose, quello che ha indicato la collega Parenti, ma anche l'uso delle consulenze tecniche di cui si avvalgono i pubblici ministeri con una dovizia che comporta spese ingenti.
Se su tutta questa materia vi fosse maggiore chiarezza, ci guadagneremmo tutti, il Parlamento nella sua capacità di indirizzo e la giustizia nella sua maggiore trasparenza.
MARIO GRECO. Vorrei aggiungere anche un'altra considerazione, proprio per spiegare cosa significa l'espressione mezzi di indagine. Vi è per esempio la tecnica di tenere l'imputato a «bagno Maria» per lungo tempo con l'archiviazione e la riapertura delle indagini, anche se dovrebbero essere osservate le norme del codice di procedura penale. Mi chiedo quanti procedimenti disciplinari abbiamo avviato nei confronti dei pubblici ministeri che fanno continuo ricorso a questo sistema per ottenere ulteriori proroghe e tenere sotto pressione gli imputati. Anche questo può essere oggetto della relazione ed attribuire tale potestà al ministro significa che deve informare il Parlamento ed eventualmente fare intervenire chi di dovere per evitare inconvenienti e l'uso distorto dei mezzi di indagine.
PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta emendativa soppressiva del secondo comma dell'articolo 130 del senatore Marchetti, che si riferisce all'eliminazione dell'espressione «sull'esercizio dell'azione penale».
(È respinta).
Pongo in votazione la proposta emendativa soppressiva dell'espressione «sull'uso dei mezzi di indagine».
(È respinta).
Pongo in votazione, nella formulazione proposta dal relatore, l'articolo 130.
(È approvato).
KARL ZELLER. Non vorrei avanzare obiezioni di merito, ma di forma, che sono di competenza della Commissione, perché leggendo il testo di tale articolo ci si accorge subito che le materie ivi regolate fanno parte della prima sezione della Costituzione. Mi riferisco in particolare al comma 3, il quale prevede che: «Le norme penali non possono essere interpretate in modo analogico o estensivo». Tale previsione fa riferimento all'articolo 27 della Costituzione e dubito, anche rispetto all'articolo 130-ter, che la Commissione sia competente ad interferire in tale materia, poiché l'articolato si sovrappone - ripeto - alla prima parte della Costituzione.
MARIO GRECO. Mi permetto di avanzare due osservazioni, una formale e l'altra di merito. Ricordo che avevamo presentato un emendamento, peraltro accolto, con il quale proponevamo la non punibilità nel momento in cui vi fosse una concreta offensività. Lo stesso emendamento riguardava anche i casi di occasionalità del comportamento. Mi chiedo se sia possibile riconsiderare l'estensione da noi proposta.
Per quanto concerne l'osservazione formale, è vero che il codice non parla di perseguibilità, ma in questo caso ci stiamo riferendo all'inizio dell'azione penale. Mi chiedo perciò se non sia il caso di sostituire l'espressione «non è punibile» con «non è perseguibile chi ha commesso», per evitare appunto quell'uso prolungato dell'azione penale che porta a tenere l'imputato a «bagno Maria», prima ancora che si pronunci il GIP.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Stiamo affermando il principio che deve essere il giudice, non il PM, a stabilirlo.
MARCELLO PERA. Vorrei illustrare una proposta emendativa relativa all'articolo 130-bis, comma 2, che ho presentato questa mattina; non sono però certo che una copia sia stata distribuita ai commissari. Con tale proposta propongo che l'ordinamento penale sia ispirato al principio di determinatezza dei comportamenti punibili.
PRESIDENTE. Vorrei sottolineare che in questa sede discutiamo le proposte del relatore, elaborate in sede di Comitato ristretto, oppure gli emendamenti, pubblicati nel fascicolo, che vengono rimessi alla Commissione per essere esaminati. Il suo è un testo emendativo interessante, ma non rientra in nessuna delle due cate-gorie.
MARCELLO PERA. Questo vuol dire che non è ricevibile, presidente?
PRESIDENTE. Sarebbe così, se dovessimo rispettare le regole che ci siamo dati.
MARCELLO PERA. Ma nel Comitato ristretto, quando parlai di questo problema con il relatore, mi fu suggerito di presentare l'emendamento in Commissione. Onestamente, poi, non mi pare la prima volta che il testo è riformulato.
PRESIDENTE. Sì, diverse riformulazioni sono state discusse, ma questa introduce un altro principio, del quale non abbiamo discusso. Inoltre non fa parte degli emendamenti all'esame.
Qual è l'avviso del relatore sul problema?
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Nel Comitato ristretto l'emendamento non è stato mai presentato. Corrisponde al vero, come il collega ha rilevato con la consueta attenzione, che il collega Pera mi aveva parlato della questione. Tuttavia non è mai stato da lui presentato un emendamento nel Comitato
PRESIDENTE. Vorrei rispondere, con una breve osservazione sugli articoli 130-bis e 130-ter, a quanto sostenuto dall'onorevole Zeller.
Credo che l'osservazione dell'onorevole Zeller non sia priva di fondamento. Questi due articoli rappresentano senza dubbio, più che norme di carattere ordinamentale, uno sviluppo (in modo non contraddittorio) dei principi sanciti dalla prima parte della Costituzione. Siamo quindi sul filo del rasoio delle competenze della Commissione. Il presidente, che dovrebbe vigilare sul rispetto della legge costituzionale che ha istituito la Commissione, non ha inteso sollevare il problema di ammissibilità di queste proposte, interpretandole come uno sviluppo non contraddittorio con i principi contenuti nella prima parte della Costituzione. In sostanza ne ho colto il grande valore sul terreno di un'acquisizione in senso garantista.
Naturalmente una scelta di questo tipo - cioè un'interpretazione di ammissibilità, anch'io me ne rendo conto, ai limiti - regge se sul problema vi è un largo consenso. Sicuramente assumo le mie responsabilità: ma evidentemente possiamo renderci tutti corresponsabili di una scelta che si pone ai limiti delle nostre possibilità se su queste affermazioni di notevole valore culturale e civile si registra un ampio consenso (al di là di quanto potrà essere valutato in Assemblea). Se invece si dovesse aprire uno scontro di merito su questi problemi, nel quale qualcuno volesse far valere l'obiezione - a mio giudizio non manifestamente infondata - di legittimità, allora diventerebbe una scelta molto delicata.
In sostanza, se ci facciamo concordemente carico di uno sviluppo sul terreno garantista del nostro ordinamento e lo assumiamo come tale - muovendoci ai limiti delle nostre possibilità stabilite dalla legge -, questa determinazione potrà essere assunta. Ma se sul punto dovesse aprirsi una discussione o un contrasto di principi, la situazione diventerebbe delicata ed io stesso mi troverei in un qualche imbarazzo.
LEOPOLDO ELIA. Potremmo dare spazio all'uso di un criterio di prevalenza: come se queste norme riguardassero il modo di esercitare la giurisdizione.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sono perfettamente d'accordo.
MARCELLO PERA. Presidente, era proprio questo lo spirito che ha presieduto all'elaborazione dei due articoli in Comitato ristretto. Si trattava di disciplinare il modo della giurisdizione ed anche di dare veste ordinamentale a principi fissati nella prima parte, senza correggerli e senza aggiungerne di nuovi. In questo spirito le norme erano state formulate dal relatore ed accolte dal Comitato: si trattava di precisare i principi dando loro veste ordinamentale. Un esempio, tra gli altri: il principio della difesa gratuita per i meno abbienti; anch'esso richiama - addirittura in maniera esplicita - un principio fondamentale della prima parte della Costituzione; qui se ne danno veste, dignità e mezzi ordinamentali.
Ecco perché vorrei richiamarmi allo spirito che ha presieduto all'elaborazione dei due articoli.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sono tutte norme contenute nella sezione seconda (titolo IV), che già nella Costituzione vigente si intitola «Norme sulla giurisdizione».
ANTONIO LISI. Concordo perfettamente con la sua impostazione, presidente, nonché con quanto detto dal relatore Boato e dalla senatrice Salvato.
Sull'articolo 130-ter vorrei fare una richiesta di precisazione: ho l'impressione che manchi qualche parola nel testo. Solo questo. Quando arriveremo all'esame dell'articolo, la prego di darmi la parola per specificare di cosa si tratta.
MASSIMO VILLONE. Vorrei lasciare a verbale, presidente, che voterò a favore dei due articoli. Non posso esimermi tuttavia dal manifestare qualche perplessità sulla formulazione: per una parte sono punti già acquisiti nel nostro ordinamento costituzionale e nell'esperienza concreta (anche con riferimento alla giurisprudenza della Corte costituzionale), per altra parte forse non sono questioni da inserire nella Costituzione. Per quanto riguarda il primo comma dell'articolo 130-bis, si tratta della traduzione in una norma costituzionale di una teoria scientifica, o scientifico-politica, certamente apprezzabilissima. Credo però che dovrebbe essere lasciata alla riflessione scientifica e non certo essere consacrata in una norma costituzionale.
PRESIDENTE. A questo punto, prego il relatore Pera di acconsentire alla reiezione del suo emendamento in modo da renderne possibile la ripresentazione in Assemblea. Propongo invece che il testo dell'articolo 130-bis sia approvato nella formulazione del relatore.
MARCELLO PERA. La ringrazio, presidente. Accetto l'invito.
PRESIDENTE. L'emendamento è pertanto considerato respinto ai fini della sua ripresentazione in Assemblea.
SALVATORE SENESE. Concordo con la formulazione dei due articoli di cui ci stiamo occupando, presidente, e con il significato che essi assumono. Anch'io ho una perplessità di ordine lessicale. L'ho lungamente argomentata nelle scorse sedute: riguarda l'interpretazione estensiva, che a me francamente pare un errore, un errore secondo le categorie usuali. Su questo punto, quindi, annuncio la presentazione di un emendamento, che eventualmente potrà essere considerato respinto dalla Commissione ai fini della ripresentazione in Assemblea. Tenterò così di risolvere questo problema - minimo - in altra sede.
AGAZIO LOIERO. Signor presidente, ho avuto l'impressione che la prima parte della Costituzione sia già stata «lambita» da altri temi che abbiamo affrontato: penso alla sussidiarietà, per esempio. Il collega Zeller credo sarebbe d'accordo a sancire questi principi, allora, con un voto nell'ultima seduta della Commissione in sede plenaria: questo ci esimerebbe dalla possibilità di trovarci in aula in una situazione di difficoltà.
PRESIDENTE. La questione sarà valutata.
Per ora, non essendovi obiezioni, consideriamo respinte le due proposte emendative presentate dal senatore Pera e dal senatore Senese.
(È approvato).
Risultano conseguentemente respinti tutti gli emendamenti non integralmente assorbiti, riferiti alle corrispondenti disposizioni del testo approvato lo scorso 30 giugno, come da elenco in allegato.
Passiamo all'esame dell'articolo 130-ter, già pubblicato nell'allegato della seduta dello scorso 28 ottobre, e dei relativi emendzamenti.
Do la parola al senatore Lisi, il quale aveva anticipato di dover chiedere una precisazione al riguardo.
ANTONIO LISI. Si tratta di una questione che sottopongo al relatore e che non ha formato oggetto di emendamento (perché non credo possa essere tradotta in una proposta di modifica).
Mi riferisco al terzo capoverso dell'articolo: «La legge assicura che la persona accusata di un reato sia informata, nel più breve tempo possibile, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa». Fin qui non vi sono questioni da sollevare. Prosegue poi la norma: «... abbia la facoltà di fare interrogare le persone da cui provengono le accuse a suo carico». Ho qualche difficoltà a comprendere da chi queste persone dovrebbero essere interrogate: se le accuse sono state rivolte a suo carico, già provengono da qualche dichiarazione resa agli organi di polizia giudiziaria o al pubblico ministero. La facoltà che introduciamo, quindi, dovrebbe essere rivolta a far sì che le persone da cui provengono le accuse siano interrogate dal difensore dell'imputato. Ma se lasciamo il testo nell'attuale formulazione, non aggiungiamo nulla di nuovo rispetto a quanto accade già oggi.
Consiglierei quindi al relatore di riformulare il testo in tal senso: «... abbia la facoltà di interrogare o di far interrogare dal suo difensore...». Infatti la facoltà di interrogare spetterebbe alla persona accusata.
GIOVANNI RUSSO. Il testo del mio emendamento era proprio di questo tenore. Evidentemente le parole sono saltate nella trasposizione a stampa.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. In effetti è occorso un errore tipografico nella riproduzione del testo proposto dal senatore Russo, il quale tendeva sostanzialmente a recepire l'articolo 6 della convenzione europea. Quindi l'osservazione del collega Lisi è accolta.
SILVIO BERLUSCONI. Vorrei chiedere al relatore se non si sia verificata una svista al secondo comma dell'articolo 130-ter, laddove si prevede che «il processo» si svolga nel contraddittorio fra le parti. Ricordo che con la proposta del 27 ottobre ed anche nella discussione svoltasi nel Comitato ristretto il riferimento al processo riguardava tutte le fasi del procedimento. Il relatore rammenterà che noi avevamo chiesto di aggiungere alla parola «procedimento» l'aggettivo «penale». Vorrei sapere se è questa la versione definitiva.
PRESIDENTE. Una volta terminati gli interventi dei colleghi il relatore risponderà a tutte le osservazioni.
SALVATORE SENESE. Vorrei esprimere la mia opinione sul problema ora sollevato dall'onorevole Berlusconi. Mi soffermerò poi su due questioni che mi hanno indotto a richiedere la parola.
Scrivere che «il procedimento penale» si svolge nel contraddittorio tra le parti in condizioni di parità e che è ispirato al principio dell'oralità significherebbe rendere in pratica estremamente difficoltosa la fase iniziale delle indagini, nella quale il pubblico ministero non ha l'obbligo di informare l'indagato; soprattutto si renderebbe impossibile la fase delle indagini, caratterizzata proprio dalla non- oralità. Quindi mi pare che l'utilizzo del termine «processo» fa salva questa prima fase - rispetto alla quale, però, sussistono i diritti fondamentali stabiliti con i commi successivi - e consente di estendere questo
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sarebbe favorevole a scrivere «concentrazione e immediatezza»?
SALVATORE SENESE. Sì, sarei favorevole. La concentrazione, soprattutto, varrebbe ad evitare le udienze dibattimentali che si trascinano negli anni e che in qualche modo diluiscono il tema decidendum in una infinità di rivoli.
MICHELE SALVATI. Presidente, vorrei intervenire brevemente sul primo comma dell'articolo 130-ter ai fini di una valutazione generale dell'intera normativa che stiamo licenziando.
Non ho partecipato alla discussione di questo problema per mia evidente incompetenza, non per mancanza di passione. C'è però un aspetto dell'intera materia che stiamo trattando in cui la mia incompetenza è minore: attiene alla giustizia come organizzazione, come azienda che deve erogare servizi, i quali devono anche soddisfare le domande legittime degli utenti. Sotto questo profilo la magistratura è un pezzo della pubblica amministrazione, di quella parte più intimamente pubblica che deve fornire servizi in condizione di monopolio (monopolio della giustizia e della violenza legittima, che pertiene ai caratteri definitori dello Stato).
Per tutti i servizi forniti in condizioni di monopolio si pone il problema della fornitura efficiente, che soddisfi la domanda di minimo costo. Normalmente ciò è garantito da una situazione di concorrenza, ma non può essere così nel caso in questione. Il problema rischia di somigliare a una fatica di Sisifo, nel senso che non potrà mai essere risolto in modo definitivo: le soluzioni saranno sempre provvisorie e soggette a continui adattamenti.
In questo campo non può intervenire se non per esprimere attenzione o segnalare indirizzi. Così si è fatto con le norme relative alla pubblica amministrazione che, a mio modo di vedere, rappresentano un importante progresso rispetto al precedente dettato costituzionale. Io non vedo la stessa attenzione - arrivo al punto - per quel comparto della pubblica amministrazione costituito dall'amministrazione giudiziaria. In questo campo le soluzioni che possono essere adottate in altri comparti della pubblica amministrazione sono escluse se vogliamo garantire l'indipendenza della giustizia e, per conseguenza, un grado di autogoverno che è sconosciuto in altri rami dell'amministrazione pubblica.
Precluse quindi le soluzioni che abbiamo adottato per altri rami della pubblica amministrazione, il problema tuttavia rimane ed è di particolare gravità, perché, come tutti sanno, nella materia di cui discutiamo efficienza è giustizia. Capisco la passione che ha alimentato il dibattito tra ipergarantisti e, come vengono chiamati, giustizialisti - anche se l'espressione è del tutto impropria - ma non capisco perché una passione ancor maggiore non sia stata riversata sul problema dell'efficienza dei processi, dell'insopportabile, dannosa lunghezza di tutti i processi, sull'estrema difficoltà a sollecitare ritmi di lavoro e adeguatezza di risorse nel campo di cui stiamo trattando. Ripeto: efficienza è giustizia.
Esclusi, per la peculiarità del campo, gli indirizzi che abbiamo adottato in altri settori della pubblica amministrazione, quali strumenti, quali indirizzi si forniscono per l'azienda giustizia? Come si può far sentire la voce dei cittadini? Nella giustizia civile assistiamo a massicci fenomeni di esodo - di exit per usare l'antinomia - di arbitrati e compromessi stragiudiziari. E questo è spesso inefficiente e ingiusto perché ricatta le parti più deboli al di fuori della giustizia. Ma l'exit (l'uscita) non è consentito nella giustizia penale ed è molto difficoltoso nella giustizia amministrativa. Come provvediamo? E qui arrivo alla formulazione del primo comma.
MARIO GRECO. Mi riservo di svolgere alcune osservazioni anche con alcuni emendamenti che il relatore sa essere stati depositati in materia di custodia cautelare e che non è il caso che esponga qui proprio per non far perdere tempo. Vi sarà modo di presentarli poi in aula.
ORTENSIO ZECCHINO. Il nuovo testo del relatore innova in due punti: nella sostituzione della parola «procedimento» con la parola «processo»; con il riferimento diverso al principio dell'oralità, che prima era, in qualche modo, più tassativo e che ora diventa più sfumato essendo «ispirato» al principio di oralità.
So a quali ragioni rispondono queste due modifiche, però debbo esprimere qualche riserva. Sulla sostituzione della parola «procedimento» con la parola «processo» pesa un dibattito dottrinario e giurisprudenziale che non ha esiti univoci e chiari. Credo che noi nel testo costituzionale dovremmo badare almeno alla coerenza terminologica che il testo ha in altre parti. E l'unica parte in cui vi è un richiamo che può essere utilizzato per noi è quella dell'articolo 24 (ne ha parlato in Comitato ristretto il senatore Pera). Ritengo di dover dare atto che per noi dovrebbe essere questo il parametro. All'articolo 24 abbiamo infatti la sanzione forte dell'inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento. È questa l'espressione usata, sicché nella vaghezza che c'è nel dibattito dottrinario, noi non possiamo che far riferimento alla nozione che il testo costituzionale, nella parte che non siamo abilitati a modificare, utilizza. Io farei riferimento al procedimento.
Capisco che sorgano problemi soprattutto rispetto al principio dell'oralità, nella versione sfumata o più rigida della precedente, per quanto riguarda il processo civile. Ma credo che sia forse impossibile, in uno stesso comma, affrontare o fissare i principi che possono valere per i due processi, che hanno struttura, finalità e aggiungerei anche filosofie diverse. Ritengo che questa norma, nella sua alta funzione di garanzia, debba essere espressamente riferita al procedimento penale. Utilizzare l'espressione «procedimento» con l'aggettivo «penale» mi sembrerebbe la formulazione più propria.
MARCELLO PERA. Gli argomenti che volevo esporre sono stati in gran parte anticipati dal collega Zecchino, perciò non mi dilungherò troppo. Però vorrei anch'io far riferimento all'appello che lei ci ha rivolto, signor presidente, a proposito dell'accordo su questi due fondamentali articoli, cioè il 130-bis e il 130-ter, e del modo di interpretarli in relazione alla parte prima della Costituzione. Io ho apprezzato quanto lei ha detto, cioè che qui siamo ai limiti, per cui non varchiamoli in tanto e in quanto cerchiamo qui di scrivere norme che non correggono né modificano in alcun modo i principi fondamentali stabiliti dalla parte prima della Costituzione. Tali limiti non vengano toccati solo se in questa seconda parte introduciamo previsioni e norme che inverino quei principi. Ma la sostituzione del termine «procedimento» con «processo» darebbe proprio la sensazione, dando poi luogo ad interpretazioni di giurisprudenza, che noi stiamo superando quei limiti, perché l'espressione «procedimento» è adoperata espressamente nella prima parte della Costituzione, all'articolo 24.
Son consapevole del fatto che l'espressione «il procedimento» con l'elencazione dei principi che segue può creare problemi circa il procedimento civile. Ricordo che, in sede di Comitato ristretto, lo stesso relatore aveva sempre insistito, fino al giorno 27, sull'espressione procedimento intendendo con ciò coprire anche il procedimento civile, eventualmente estendere questi principi a tale procedimento che soffre di gravi inefficienze in questo paese. Quindi, raccomanderei il ritorno alla dizione originaria, che era stata concordata nel Comitato ristretto proprio per il raccordo fondamentale che attua con la prima parte della Costituzione, proprio per non varcare quei limiti ai quali lei ci ha richiamato, signor presidente.
Aggiungo - ma anche quanto sto per dire è stato anticipiato dal collega Zecchino - che tra questi principi vi è quello del giudice imparziale, come qua è detto. Preferirei adoperare l'espressione «giudice terzo», oppure parlare di terzietà del giudice, in quanto il predicato «imparziale» si riferisce certamente a soggetti, a individui e a persone ed è sinonimo di non pregiudicato, di non fazioso, di sopra le parti, di non coinvolto, di galantuomo, eccetera, mentre il predicato «terzo» non si applica a individui o a persone ma a figure o a ruoli istituzionali. Un giudice potrebbe anche essere soggettivamente imparziale senza essere istituzionalmente terzo. Ecco perché sarebbe preferibile, per il raccordo con la prima parte della Costituzione, evitare di non varcare quei limiti. In questo caso, quindi, preferirei che mantenessimo la dizione «procedimento» e che parlassimo di giudice terzo o di principio della terzietà del giudice accanto a quello della oralità. Ripeto: proprio accogliendo l'appello che lei ci ha fatto, signor presidente, raccomanderei il ripristino del testo del relatore, che per mesi ci ha accompagnato - grazie anche al suo lavoro, gliene do atto volentieri -
PIETRO FOLENA. Sono state poste due questioni tra loro diverse. La prima riguarda il principio di oralità riferita al processo civile. La soluzione proposta nell'ultima formulazione del relatore, pur non rispondendo pienamente alle osservazioni che su questo punto ha svolto il collega Zecchino, e che anch'io condivido, è comunque tale da immaginare uno sviluppo del processo civile che non sia tassativamente riferito ad un principio di oralità in ogni aspetto, in ogni fase del procedimento civile nella precedente formulazione, così come poteva sembrare prima. Quindi, su questo punto difendo il testo del relatore, nel senso che lo considero un testo di mediazione; poi ci si può anche riferire solo al processo o al procedimento penale, però è anche vero che nel momento in cui nelle norme sulla giurisdizione parliamo solo del penale dovremmo inventare una norma che ci dica come dobbiamo regolarci sul civile. Questa formulazione mi sembra quindi equilibrata.
Per quanto attiene all'altra questione sollevata prima dal collega Berlusconi e adesso dai colleghi Pera e Zecchino, io ho un'opinione diversa. Del resto, non è vero che in Comitato ristretto si fosse giunti ad un punto di convergenza sulla definizione: in sede di Comitato ristretto, in ogni passaggio da parte nostra è stato sollevato questo tema.
Vorrei un attimo di attenzione, da parte dei colleghi che hanno sollevato la questione, sull'argomento che voglio adesso affrontare. Credo infatti che il secondo comma sia volto a rispondere ad un'esigenza sollevata da più parti, in particolare dall'avvocatura penalistica italiana nell'audizione che qui avevamo svolto (quella dell'Unione delle camere penali) circa la necessità di costituzionalizzare i principi del processo accusatorio. Il secondo comma - lo dico al collega Berlusconi e al collega Pera - serve alla necessità di costiutzionalizzare il processo accusatorio in ogni fase e a stabilire che nel momento stesso in cui interviene il giudice terzo, il giudice imparziale, quei diritti di contraddittorio tra le parti, di parità e di oralità siano fino in fondo rispettati. Questo è l'obiettivo che ci proponiamo anticipando anche il più possibile - aggiungo io - l'intervento del giudice terzo.
Il terzo comma, invece, non riguarda la costituzionalizzazione dei principi del processo accusatorio ma proprio il tentativo, traducendo normative internazionali ( proposta fatta inizialmente dal collega Russo) di realizzare norme garantistiche anche prima e, comunque, al di là dell'intervento del giudice terzo, proprio in riferimento al secondo comma dell'articolo 24, giustamente citato, che parla di procedimento. Di fatto, il terzo comma è un tentativo di intervenire anche nel procedimento, laddove non c'è ancora il processo vero e proprio, per garantire che la persona accusata di un reato possa subito intervenire, sapere perché è stata accusata, disporre del tempo per difendersi, controinterrogare e interrogare chi lo accusa.
Quindi, da un lato disegnamo un intervento sul procedimento di netto allargamento delle garanzie e di realizzazione dell'articolo 24 della Costituzione, dall'altro costituzionalizziamo il processo accusatorio. Se invece dovessimo stabilire che il procedimento si svolge nel contraddittorio, e via dicendo il secondo comma, troverei in parte ridondante il riferimento al terzo comma, che sarebbe una ulteriore specificazione, e credo anche che entreremmo in contraddizione con la necessità, tipica del processo accusatorio, di un pubblico ministero parte che deve intervenire - anzi, nel nostro ordinamento deve obbligatoriamente intervenire - fatte salve, però , alcune garanzie che noi descriviamo al terzo comma.
Queste ragioni mi portano quindi a dire che l'attuale formulazione sul processo nel secondo comma e questa lunga elencazione nel terzo comma permettano di far capire che vogliamo il massimo di
GIOVANNI PELLEGRINO. Intervengo brevemente sulle vari questioni affrontate dai colleghi. A proposito di processo o procedimento, indubbiamente quest'ultimo era un errore ed è stato opportunamente corretto. Nel processo civile abbiamo procedimenti a contraddittorio eventuale (penso al decreto ingiuntivo), abbiamo procedimenti a contraddittorio differito (penso a tutto l'ambito delle misure cautelari). Introdurre necessariamente il principio del contraddittorio e rendere quindi incostituzionali queste norme aggraverebbe, priverebbe di effettività e di garanzia il sistema processuale.
Sono allo studio riforme del processo amministrativo in cui si prevede addirittura la possibilità di un intervento cautelare del presidente dell'organo collegiale che sia contraddittorio differito. Anche nel procedimento penale vi sono fasi in cui assicurare il principio del contraddittorio e l'oralità significa poi renderlo sostanzialmente impraticabile o inefficace. L'importante è che anche nel processo penale il bene della libertà, che è quello in discussione, non venga mai leso, se non in esito a contraddittorio e all'applicazione del principio dell'oralità.
Vorrei aggiungere che, addirittura, stabilire in Costituzione che il processo è ispirato al principio della oralità pone il problema di processi che per il loro contenuto necessariamente si svolgono meglio attraverso la forma scritta, piuttosto che orale; penso, ad esempio, ad un giudizio di legittimità. Cosa accadrebbe se un ricorso per cassazione si potesse motivare succintamente e poi illustrare oralmente? Avremmo soltanto un giudizio meno meditato da parte del giudice della legittimità.
Quanto al terzo comma, al punto in cui siamo anch'io accetto il testo del relatore. Però mi auguro che nel corso successivo della vicenda di riforma costituzionale questa disposizione possa essere asciugata. Non si scrivono i codici di procedura penale in Costituzione.
Un asciugamento della norma che la renda più chiara non è, evidentemente, cosa che possiamo fare oggi; però, nella fase successiva, recuperando emendamenti dell'aula credo che potremo arrivare ad una riscrittura della norma più asciugata e più consona ad un testo costituzionale.
Una mia osservazione personale riguardo al penultimo comma, secondo il quale: «la legge assicura che la custodia cautelare venga disposta in appositi istituti». Sembra quasi che nell'apposito istituto debba stare chi la dispone. È chiaro che il senso è che la custodia debba essere eseguita negli appositi istituti, ma la formula lessicale utilizzata non mi sembra di particolare eleganza. A meno che non vogliamo stabilire che il giudice che dispone la misura debba provare la comodità o la scomodità dell'istituto prima di disporla.
GIULIO MACERATINI. Cercando di essere, a questo punto, il più sintetico possibile, devo dire che per quanto riguarda i primi due commi mi pare che ci troviamo di fronte ad una evidente difficoltà, che nasce dal fatto che alcuni principi si applicano a tutti i processi ed altri solo o prevalentemente al processo penale. Lo sforzo che io chiedo al relatore dovrebbe essere quello di allargare il primo comma, laddove si parla della giurisdizione, per cui siamo in un ambito complessivo non discutibile e non controvertibile, portando in quella sede il concetto della imparzialità del giudice e della ispirazione al principio della oralità. Queste, infatti, riguardano i vari tipi di processi - civili, penali, amministrativi - dei quali ci dobbiamo occupare.
Invece il secondo comma, che inizia con le parole «il processo», coinvolge necessariamente il termine «procedimento» di cui all'articolo 24 della Costituzione, che ci consente di dare una sistemazione sistematica - chiedo scusa per l'aggettivo interno - che è necessaria per far capire che non abbiamo invaso il terreno della prima parte, anzi abbiamo recepito quel concetto. E parlando di procedimento si dovrebbe, semmai, aggiungere
PRESIDENTE. Dopo l'intervento del collega Russo credo che procederemo alla votazione, per cui invito i colleghi a prendere posto.
GIOVANNI RUSSO. L'intervento del collega Pellegrino, richiamando l'attenzione sul quarto comma, mi ha suggerito una obiezione. Tale norma stabilendo che la custodia cautelare venga disposta in appositi istituti potrebbe, certamente contro l'intenzione del redattore, essere letta come un divieto di custodia cautelare nella propria abitazione; oggi, infatti, la custodia cautelare avviene anche nella forma degli arresti domiciliari, oltre che in carcere. L'intenzione è chiaramente quella di stabilire che laddove sia disposta la custodia cautelare in carcere, questa avvenga in appositi istituti; forse sarebbe il caso di specificarlo, stabilendo che «la custodia cautelare in carcere venga eseguita in appositi istituti».
Circa la proposta del senatore Maceratini, vorrei osservare che non dà risposta al problema posto dai colleghi Senese, Folena e Pellegrino. Se noi intendiamo riferire il principio del contraddittorio e della oralità all'intero arco del procedimento penale, cadiamo in una grave contraddizione con i principi stessi del processo accusatorio, il quale prevede una fase di indagini preliminari che non entra nel processo e non si svolge davanti al giudice. Pensare ad introdurre in quella fase il contraddittorio tra le parti e l'oralità è una contraddizione in termini. Se diciamo «davanti al giudice», questo potrebbe addirittura portare a ricreare la figura del giudice istruttore, stabilendo che anche le indagini debbono svolgersi davanti ad un giudice, ma allora altereremmo completamente la struttura del processo accusatorio. Ecco perché è necessario parlare di «processo», perché sia chiaro che questi principi devono avere attuazione, e attuazione piena, nella fase in cui le parti vanno davanti al giudice: lì ci deve essere il contraddittorio e, in quanto possibile, l'oralità. Questo mi pare sia un punto chiaro se vogliamo definire una norma che non soltanto stabilisca bei principi ma sia anche attuabile e coerente con il sistema complessivo che vogliamo definire. Quindi, la suddivisione tra i due commi non risolverebbe il problema.
A me pare che il secondo comma così come proposto dal relatore vada bene, perché l'espressione «ispirato al principio dell'oralità» fa salve le eccezioni alle quali si riferiva il collega Pellegrino. Del resto il processo civile, che è prevalentemente scritto, prevede comunque, poi, una presenza delle parti davanti al giudice; quindi si può proprio dire che è ispirato al principio dell'oralità, anche se questa non esaurisce l'intero processo.
SILVIO BERLUSCONI. Lei ha detto, presidente, che dopo l'intervento del senatore Russo saremmo passati al voto, ma, anche per eventuali ulteriori interventi, noi attendevamo la risposta del relatore.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Prima del voto, come lei sa, c'è sempre la replica del relatore.
SILVIO BERLUSCONI. Approfittando di avere la parola, vorrei allora confermare la nostra posizione. Insistiamo sul ritorno al precedente testo, in cui si parla di «procedimento penale» anziché di «processo»: probabilmente, per riferirci più direttamente all'articolo 24 della Costituzione si potrebbe inserire subito dopo «in ogni suo stato e grado».
Approviamo anche la proposta di introdurre l'aggettivo «terzo», quindi di dire «davanti a giudice terzo», e non ci sembra in contraddizione il mantenimento dell'aggettivo «imparziale». Quindi: «davanti
PRESIDENTE. C'è una proposta Berlusconi, che è apprezzabile.
ERSILIA SALVATO. Proprio prendendo le mosse dall'ultima proposta dell'onorevole Berlusconi, mi dichiaro favorevole a che si riprenda il testo dell'articolo 24, cioè si parli di «procedimento». A mio avviso era già implicito che la fase delle indagini fosse inclusa, però mi sembra molto importante che la norma parli di «procedimento», in modo da assicurare che anche nella fase in cui interviene il GIP vi sia una reale, possibile parità tra le parti, cosa che oggi non è assicurata. Resto tanto più convinta di questa necessità dopo aver ascoltato le obiezioni di alcuni colleghi, i quali parlando del processo accusatorio si sono riferiti soltanto al momento del processo, il che a mio avviso è una limitazione. Se diciamo che «il procedimento penale, esaurita la fase delle indagini preliminari, si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità davanti a giudice terzo» credo che abbiamo svolto al meglio il nostro ruolo.
PRESIDENTE. Si è venuta precisando una proposta ed io vorrei avanzare un dubbio dal punto di vista di organizzazione del discorso. Il secondo comma si riferisce al processo non esclusivamente penale ed afferma principi che hanno una validità generale; capisco che per quanto riguarda il procedimento penale si voglia sottolineare, come ha fatto l'onorevole Berlusconi, che tali principi si applicano a partire dal momento in cui si esaurisce l'indagine preliminare, per non lasciare il dubbio che, invece, ci si riferisca solo al dibattimento. Si potrebbe sostenere che la parola «processo» è comprensiva delle fasi...
MARIO GRECO. Si potrebbe parlare di «processo in ogni stato e grado».
MARIO GRECO. Io non sto obiettando.
PRESIDENTE. Io penso che questa specificazione potrebbe intervenire lasciando il secondo comma così com'è ed aggiungendo successivamente: «Tali principi si applicano nel procedimento penale una volta esaurita la fase delle indagini preliminari». Giustamente, infatti, il relatore si è preoccupato di indicare norme di carattere generale, non esclusivamente relative al procedimento penale ma, più in generale, alla giurisdizione. Dunque, si potrebbe accogliere la proposta dell'onorevole Berlusconi lasciando immodificato l'attuale secondo comma ed aggiungendo, come ho detto: «Tali principi si applicano al procedimento penale una volta esaurita la fase delle indagini preliminari».
TIZIANA PARENTI. Mi scusi, presidente, ma forse si sta facendo un po' di confusione. Finita la fase investigativa siamo al processo e una persona può essere arrestata anche prima perché eviti di inquinare le investigazioni, per cui il contraddittorio non si instaurerebbe mai in quella fase. Quindi, ripetendo esattamente l'espressione dell'articolo 24 - «in ogni stato e grado del procedimento» - eliminiamo ogni problema. Non dimentichiamo che la Costituzione vigente ha come punto di riferimento il codice Rocco, nel quale il pubblico ministero aveva una fase limitatissima di indagine, essendo questa affidata al giudice. Però, se ripetiamo quella formula forse recuperiamo tutta la situazione. Non si può fare riferimento, infatti, a quando siano finite le indagini.
PRESIDENTE. Questo non l'ho detto io, l'ha detto l'onorevole Berlusconi. Avevamo recepito una proposta dell'onorevole Berlusconi.
SILVIO BERLUSCONI. Deve essere chiaro, presidente, che deve esserci per il cittadino la garanzia che quando può essere sottoposto ad un provvedimento restrittivo della sua libertà, allora deve esserci la possibilità di controdedurre. Cioè, quando c'è nella fase investigativa l'intervento di un giudice, lì il cittadino deve poter contrapporre alle accuse che gli vengono rivolte la sua difesa. Questo è il momento discriminante rispetto alle due dizioni.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Prima di arrivare a formulazioni tecniche, che, come sapete, è sempre difficile improvvisare in base a una risposta sull'istante ai vari interventi, vorrei, per correttezza nei confronti dei colleghi e per la delicatezza della materia, fare qualche osservazione.
Riguardo alla primissima osservazione, mi pare fatta dal collega Pera, che io avrei cambiato rispetto a cose già acquisite, ricordo che nella relazione stampata che correda il testo di giugno ho scritto: «Si tratta del principio del giusto processo, della ragionevole durata dello stesso, della necessità che il procedimento si svolga nel contraddittorio tra le parti in condizioni di parità davanti a un giudice imparziale e che sia informato al principio dell'oralità. Peraltro gli unici punti sui quali è emersa una differenziazione critica riguardano il riferimento al »procedimento« anziché al »processo« e l'eventuale previsione del principio dell'oralità riferito soltanto al processo penale». Quindi ho dato atto, nella relazione stampata, di questo dibattito che è rimasto aperto e non ho fatto alcuna forzatura. Anzi, ho tenuto conto dello sviluppo di questo dibattito.
Sulla obiezione del senatore Pera...
MARCELLO PERA. Onorevole Boato...
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Collega Pera, mi lasci svolgere
MARCELLO PERA. Io ho un testo del 27 ottobre, ultimo giorno in cui si è svolta una riunione del Comitato ristretto, e poi un testo da lei consegnato il 28 ottobre che reca una formulazione diversa, quella attualmente al nostro esame. Ecco perché...
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non è facile che ogni collega, legittimamente, impicchi il relatore alla formulazione di un testo, perché questo dovrebbe valere per tutto. Ad esempio, le norme contenute negli articoli 130-bis e 130-ter inizialmente non erano previste nel testo di giugno così organizzate, così ampie e così garantiste. Bisognerebbe sapere tutti che l'evoluzione del dibattito non è mai una risposta solo a Pera o solo a Russo ma è il crescere comune di una consapevolezza e di una elaborazione tecnica sui vari problemi. Dopo di che, mi lasci dire, perché sono temi delicati, su cui non si può fare il botta e risposta.
Rileggendo una relazione depositata il 30 giugno ho dato atto che questa problematica era presente in tutti i lavori della Commissione.
Non ho mai lasciato cadere il principio della concentrazione e, anzi, rispondendo alla giusta sollecitazione del collega Senese ho suggerito di prevedere anche l'immediatezza. In tutto il dibattito ho fatto riferimento ai principi di oralità, concentrazione e immediatezza e, non essendo tutti così sensibili come il collega Senese a queste tematiche, ho recepito un principio che trovava un universale accordo, sia pure con diverse formulazioni, quella della oralità. Per quanto riguarda me, come relatore, sono favorevolissimo ad introdurre il riferimento, sia pure con la dizione «ispirato ai principi», non solo alla concentrazione ma anche alla immediatezza. Questo risponde anche all'intervento del collega Salvati, il quale lamenta una sottovalutazione dei problemi dell'azienda, che, invece, non abbiamo affatto sottovalutato; infatti, quando si scrive in Costituzione che «la legge assicura la ragionevole durata» - sottolineo «assicura» - si obbliga il legislatore ordinario a quel tipo di interventi che il collega Salvato, in uno splendido discorso, ci ha ricordato ma che non possiamo inserire in Costituzione. Dobbiamo scrivere il principio... (Interruzione del senatore Senese). Sì, questo avrebbe aiutato molto il principio della «ragionevole durata» di cui al primo comma. La questione dei giudici speciali possiamo riesaminarla in aula; su di essa si è svolta una votazione controversa, ma è prevalsa quella posizione.
Sono quindi totalmente d'accordo con l'intervento della collega Salvato. Peraltro della problematica ci siamo fatti carico nella redazione del testo (uso il plurale, non per superbia, ma perché molti colleghi hanno contribuito alla sua elaborazione) ed il principio, quello per cui siamo più frequentemente condannati dalla Corte di giustizia di Strasburgo, l'abbiamo ora «scolpito» in Costituzione.
Per quanto riguarda la questione procedimento-processo, in tutte le fasi, anche quelle ricordate dalla collega Salvato (fermo restando che chiederò al presidente di far votare la Commissione sulla proposta alternativa), che ha citato opportunamente alcuni esempi, e quelle citate dal collega Berlusconi, pure nella fase precedente al dibattimento, vi è un momento processuale. Quando interviene il giudice, quello è un momento processuale in cui vale la parità delle parti, il contraddittorio, l'oralità eccetera. Quindi, quando usiamo il termine processo, non utilizziamo la parola dibattimento, un punto questo spiegato molto bene anche dal collega Folena.
Questa è una risposta positiva alle sollecitazioni degli onorevoli Salvato e Berlusconi, che esprimono due posizioni molto diverse, ma che su tale punto convergono. Essi hanno posto il problema che l'espressione «processo» non è equivalente a quella di «dibattimento», ma per tutti gli aspetti sacrosanti che riguardano la fase preprocessuale a quella dell'indagine, vi prego di non svincolare il secondo comma dal terzo.
VALDO SPINI. Posso avanzare una proposta, presidente?
PRESIDENTE. Certamente.
VALDO SPINI. Lo spirito è quello di aiutare i nostri lavori. Poiché giustamente l'onorevole Parenti e la senatrice Salvato hanno fatto riferimento all'articolo 24 della Costituzione, che non possiamo ignorare, a me sembra che l'articolo 130-ter proposto dal relatore si componga in realtà di due parti. I primi due commi sono ispirati al problema del processo, mentre il terzo comma riguarda il procedimento penale. Potremmo pertanto scindere i primi due commi, che concernono il processo, e nel terzo comma, relativo al procedimento penale, richiamare i principi dell'articolo 24.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Questa è un'altra questione, la mia proposta è più dettagliata. Non possiamo ora riaprire il problema...
VALDO SPINI. Mi ascolti prima di dire che non possiamo riaprire il problema!
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non possiamo adesso affrontare una discussione sull'articolo 24 per le questioni richiamate dal terzo comma, un problema su cui abbiamo lavorato per mesi.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non lo stiamo affatto abolendo.
VALDO SPINI. Se lei motiva...
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Anzi, stiamo da sempre...
VALDO SPINI. Mi lasci dire una cosa. Se lei afferma che il processo riguarda sia il penale sia il civile, dice una cosa giusta, che io rispetto. Quindi, ripeto, il processo riguarda sia il penale, sia il civile, ma se al terzo comma si parla del procedimento penale, mi permetta di affermare che forse si tratta di questione ancora regolata dall'articolo 24 della Costituzione.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Continua ad essere regolata, ma in questa fase stiamo esaminando le norme sulla giurisdizione. Si tratta di una fase che sviluppa questo tipo di principi dal punto di vista delle garanzie del cittadino.
ERSILIA SALVATO. Ho ascoltato con attenzione il relatore. È stato chiarito che il secondo comma si riferisce al processo penale e civile. Il terzo comma, invece, potrebbe essere riformulato nel seguente modo: «La legge assicura che la persona accusata di un reato, in ogni stato e grado del procedimento penale, sia informata...». Non credo si preveda nulla di ultroneo, siamo soltanto più chiari, perché riportiamo nell'ambito del procedimento penale l'articolo 24.
PRESIDENTE. La proposta emendativa della senatrice Salvato, che specifica l'intervento svolto dall'onorevole Spini, riformula il testo dell'articolo dell'articolo 130-ter. Di conseguenza, i primi due commi si riferiscono in generale al processo civile e penale, mentre il terzo comma riguarderebbe il procedimento penale in ogni suo stato o grado, secondo quanto previsto dall'articolo 24 della Costituzione.
Pertanto, fermo restando che il relatore ha accolto la proposta di riferirsi anche al principio di concentrazione e di immediatezza, personalmente ritengo si possa utilizzare l'espressione «giudice terzo o imparziale», ed anche se il termine «terzo» in Costituzione non è brillante, serve a chiarire il senso.
A questo punto, dobbiamo decidere se la proposta emendativa della senatrice Salvato risolve il problema posto.
ORTENSIO ZECCHINO. Apprezzo lo sforzo della collega Salvato, peraltro anticipato dall'onorevole Spini, ma ho una sola preoccupazione. Anche nella recente modifica apportata all'articolo 513 del codice di procedura penale, abbiamo ampliato i casi di intervento del GIP nella fase delle indagini, cioè i casi dell'incidente probatorio. Di conseguenza, oggi nella fase delle indagini preliminari, la figura del GIP, che è già immanente, acquista una immanenza, se così posso esprimermi, più pregnante per le possibilità di un suo intervento in una gamma di situazioni che prima non esistevano. Questo significa che in quelle fasi dobbiamo garantire il rispetto del principio del contraddittorio.
Da tale punto di vista, riterrei che la querelle processo-procedimento, nonostante gli indubbi chiarimenti e le interpretazioni che sono state date circa la non coincidenza tra processo e dibattimento (che nessuno peraltro aveva mai immaginato), non mi pare risolvano il problema, anche dopo la formulazione proposta dalla senatrice Salvato, che pure è un passo avanti.
Vorrei allora suggerire, nella logica della proposta della collega Salvato, di inserire nel terzo comma la formula «in ogni stato e grado del procedimento penale» (in questo caso, finalmente, ci riferiamo soltanto di quello penale) e provare a prevedere alcune necessità imprescindibili del processo penale indicate nel secondo comma. Mi riferisco, per esempio, ad una più forte sottolineatura del
LEOPOLDO ELIA. Forse non è chiaro a tutti che nell'articolo 24 il diritto di difesa è affermato come inviolabile, ma non è affermata (il che costituisce un passo ulteriore, peraltro compiuto dopo) la parità tra difesa ed accusa. Nell'articolo 24 cioè si vuole tutelare la difesa, senza specificare la parità tra accusa e difesa. In questo testo si compie - ripeto - un passo ulteriore. Quindi è bene lasciare l'articolo 24 da parte e capire che in questo caso si va oltre tale articolo.
PRESIDENTE. A questo punto dobbiamo votare, oppure aggiornare la seduta, perché non credo che possiamo, in un dibattito così confuso, riscrivere la Costituzione. Se si ritiene necessario apportare correzioni sostanziali, è preferibile aggiornare la seduta alle 16.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Suggerirei, in modo che tutti possano riflettere informalmente sulla questione, di accogliere la proposta del presidente.
MARCELLO PERA. Se dobbiamo aggiornare i lavori della Commissione, dal momento che si è posto un problema di stesura del testo e di definizione di una norma, sarebbe opportuno convocare prima il Comitato ristretto.
PRESIDENTE. Potete certamente riunirvi con il relatore anche subito.
MARCELLO PERA. Credo che in questo modo risulterà più facile anche la riformulazione del testo.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sono favorevole alla sospensione della seduta e ad incontrare immediatamente i colleghi interessati.
PRESIDENTE. Resta inteso che la Commissione riprenderà i suoi lavori alle ore 16 e presumibilmente li esaurirà in breve tempo. Prima dell'inizio della seduta si riunirà il Comitato ristretto.
La seduta, sospesa alle 12.45, è ripresa alle 16.10.
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori. Il relatore ha presentato un'ulteriore riformulazione dell'articolo 130-ter (v. allegato Commissione bicamerale), sulla base del dibattito svoltosi.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. La nuova formulazione è frutto di un lavoro collegiale con i colleghi dei vari gruppi che hanno ritenuto di fermarsi nella riunione informale svoltasi al termine dei lavori antimeridiani.
Nella nuova formulazione abbiamo unificato il primo ed il secondo comma del testo precedente del relatore; abbiamo introdotto i principi sollecitati dal collega Senese; abbiamo aggiunto nell'ex terzo comma, ora secondo comma, il riferimento al «procedimento penale», venendo incontro alle sollecitazioni emerse dagli interventi dei colleghi Pera, Berlusconi, Salvato ed altri.
A questo punto l'articolo consta quindi di quattro commi. Il primo, come ho già detto, unifica il primo ed il secondo comma del testo precedente; il secondo
PRESIDENTE. Vi sono osservazioni sul nuovo testo? Ottimo ed abbondante, secondo il collega Ossicini.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. È stato un successo collegiale.
PRESIDENTE. Vediamo come va a finire, prima di parlare di successo.
FRANCESCO SERVELLO. Non so se si tratti di una disattenzione o se il fatto sia voluto, ma il secondo comma inizia con il riferimento al procedimento penale e si conclude con quello al processo, per quanto riguarda la lingua impiegata. È chiaro che il procedimento fa parte del processo.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. In quel caso ci riferiamo esclusivamente alla lingua impiegata nel processo; il termine non è riferito all'insieme del comma e la terminologia è quella adottata all'articolo 6 della Convenzione internazionale per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà (Commenti del senatore Francesco Servello). In questo caso non è la stessa cosa perché, proprio per venire incontro alle esigenze manifestate da vari colleghi questa mattina, l'espressione «procedimento penale» copre fasi precedenti a quella processuale.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Nulla osta a scrivere in questo senso, inserendo il termine «procedimento penale» anche nell'ultimo periodo del comma.
ORTENSIO ZECCHINO. Credo si potrebbe far riferimento alla «lingua utilizzata»; il riferimento al procedimento penale è contenuto nella parte precedente dello stesso comma.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Anche l'osservazione del collega Zecchino è puntuale. Avendo aggiunto all'inizio del comma il riferimento al «procedimento penale», lo possiamo togliere alla fine.
PRESIDENTE. D'accordo. Pongo in votazione l'articolo 130-ter, in quest'ultima stesura.
(È approvato).
Risultano conseguentemente respinti gli emendamenti non integralmente assorbiti (come da elenco in allegato), riferiti alle corrispondenti disposizioni del testo approvato lo scorso 30 giugno.
Passiamo all'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 131, già pubblicato nell'allegato della seduta dello scorso 28 ottobre.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Rispetto al testo del giugno scorso, i commi terzo, quarto e quinto sono rispettivamente assorbiti dagli articoli 130-bis e 130-ter già approvati. Per quanto riguarda l'ultimo comma era emerso l'orientamento - che chiedo se sia confermato - di sopprimerlo. Ovviamente bisognerà che la legge ordinaria regoli la materia dei conflitti di giurisdizione che togliamo dalla Costituzione.
Per quanto riguarda il secondo comma, vi è la novità - già contenuta in formulazioni precedenti - che «contro le sentenze è ammesso ricorso in cassazione nei casi previsti dalla legge» con l'aggiunta «che la legge assicura comunque un doppio grado di giurisdizione». Tutto il resto è uguale alla Costituzione vigente.
Se viene confermata l'opportunità di sopprimere l'ultimo comma, il relatore non si oppone.
GIOVANNI RUSSO. Credo sia utile sopprimere l'ultimo comma perché nella Costituzione vigente esso ha la sua ragion d'essere nel fatto che è sempre prevista la possibilità di ricorso in Cassazione. Il senso dell'ultimo comma, quindi, è limitativo nella Costituzione vigente, che prevede che «contro le decisioni del Consiglio di Stato (...) il ricorso in cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione». Nel momento in cui non è più previsto prescrittivamente il ricorso in cassazione contro tutte le sentenze, non è più il caso di prevedere questa ipotesi nella Costituzione, perché sarà prevista dalla legge ordinaria. Per queste ragioni mi sembra corretto sopprimere l'ultimo comma.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Se il presidente è d'accordo, considererei il testo del relatore con la soppressione dell'ultimo comma già acquisita. Chiederei quindi siano posti in votazione solo il primo e il secondo comma, quest'ultimo modificato, come suggerisce il collega Maceratini, con il riferimento al doppio grado di «giudizio» anziché di «giurisdizione».
PRESIDENTE. Pongo in votazione l'articolo 131 nel testo ora delineato dal relatore.
(È approvato).
Risultano conseguentemente respinti gli emendamenti ad esso riferiti, non
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ho già illustrato ieri l'altro le novità di questo testo. È stata soppressa la frase «la legge stabilisce le misure idonee ad assicurarne l'effettivo esercizio», che qualche collega riteneva inefficace allo scopo, mentre ho introdotto, dopo la conferma dell'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale, l'espressione «ed a tal fine» (cioè al fine dell'obbligatorietà) «il pubblico ministero avvia le indagini quando ha notizia di un reato», cioè quando ha la notizia criminis. Anche su tale innovazione credo si sia registrata l'unanimità del Comitato ristretto.
TIZIANA PARENTI. La mia posizione sull'argomento è già nota e quindi non voglio intrattenervi su questo punto. A prescindere da ciò, però, vorrei capire cosa significa «... ed a tal fine avvia le indagini quando ha notizia di un reato». È l'ovvio che si costituzionalizza. Quando viene avviata l'azione penale? Quando c'è una notizia di reato.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Questa precisazione è stata chiesta dal gruppo di forza Italia e dal gruppo dei popolari .
TIZIANA PARENTI. Mi sembra un po' eccessivo, però, costituzionalizzare l'ovvio.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Secondo alcuni colleghi, anche del suo gruppo, a volte accade che le indagini siano avviate anche senza notizia di reato, magari per perseguire qualcuno o qualcosa.
TIZIANA PARENTI. Sì, ho capito. Ma in questo caso ci si fa fare l'articolo dall'amico giornalista o ci si fa mandare un rapporto dalla polizia giudiziaria...
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Lo sappiamo anche noi...
TIZIANA PARENTI. Allora è inutile scriverlo.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Se intende sopprimere queste parole, posso chiedere al suo gruppo se la sua posizione è condivisa. Sta di fatto che l'ho inserita su richiesta del suo gruppo, oltre che su proposta del collega Zecchino.
PRESIDENTE. Ovviamente l'onorevole Parenti può proporre di sopprimere una parte dell'articolo senza l'autorizzazione del suo gruppo.
TIZIANA PARENTI. Non sapevo della posizione assunta dal mio gruppo, tuttavia questo non fa cambiare la mia idea.
PRESIDENTE. In questo caso si tratterebbe sostanzialmente di ripristinare il testo attuale della Costituzione.
TIZIANA PARENTI. Volevo chiedere anche un'altra cosa al relatore. Non ho fatto parte del Comitato ristretto e quindi non conosco quali posizioni abbiano espresso i diversi gruppi. Nel testo di giugno l'obbligatorietà dell'azione penale era stata messa in rapporto a fatti che abbiano determinato una concreta offensività.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Questa parte è stata introdotta al secondo comma dell'articolo 130-bis.
TIZIANA PARENTI. Perché non lo riferiamo a questa parte del testo? Avrebbe un senso dal punto di vista sistematico.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. È già stato approvato, questa mattina.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. L'esercizio obbligatorio dell'azione penale è stato regolamentato con l'articolo 130-bis, perché sarà il giudice - e non il pubblico ministero - a dichiarare la non punibilità.
TIZIANA PARENTI. Anche l'archiviazione viene chiesta al giudice, però...
PRESIDENTE. Onorevole Parenti, lei insiste per la soppressione della seconda parte dell'articolo 132?
TIZIANA PARENTI. Abbiamo costituzionalizzato tante cose sbagliate: costituzionalizziamo anche l'ovvio. Mi limito a formulare questa osservazione.
PRESIDENTE. Io devo soltanto procedere alla votazione nel caso in cui lei lo richieda. Insiste?
TIZIANA PARENTI. Non insisto, presidente.
PRESIDENTE. La ringrazio.
Pongo pertanto in votazione l'articolo 132 nel testo proposto dal relatore.
(È approvato).
Passiamo all'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 133.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. L'unica modifica rispetto al testo approvato dalla Commissione è contenuta nel terzo comma ed è stata introdotta su proposta della collega Dentamaro. Dopo le parole: «La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione», sono state aggiunte le seguenti: «e disporre altri strumenti di reintegrazione...».
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, pongo in votazione l'articolo 133 nel testo proposto dal relatore.
(È approvato).
Risultano conseguentemente respinti gli emendamenti ad esso relativi, non integralmente assorbiti, come da elenco in allegato.
Il relatore ha proposto delle modifiche relativamente al titolo di questa parte della Costituzione e per quanto riguarda la prima sezione.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Le modifiche riguarderebbero la denominazione del titolo, che da «La magistratura» diventerebbe «La giustizia», ed il titolo della sezione prima, che da «Ordinamento giurisdizionale» diventerebbe «Gli organi» (si tratta di un suggerimento del collega Zecchino, poiché in questa parte si fa riferimento non soltanto a magistrati).
GIOVANNI RUSSO. Concordo sul titolo del titolo («La giustizia»), mentre come titolo della sezione mi sembrerebbe più appropriato «La magistratura», perché questa parte è dedicata appunto alla magistratura. Non è, comunque, una questione di grande rilevanza.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Nella sezione prima si parla anche del ministro. In questo senso la dizione «Organi» è stata ritenuta comprensiva dei diversi aspetti disciplinati.
GIOVANNI RUSSO. Chiaramente faccio riferimento ad un concetto di prevalenza.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Da parte mia non ho nulla in contrario: se lei lo propone, il presidente potrà porre alternativamente in votazione le due dizioni del titolo. Nel qual caso mi rimetterei al voto della Commissione.
GIOVANNI RUSSO. Mi sembrerebbe semplicemente più elegante e più corretto.
PRESIDENTE. Indubbiamente il ministro non è un organo giudiziario, ma politico, che tuttavia esercita determinate funzioni nell'ambito della giustizia. In realtà in questa parte si parla della magistratura, dei Consigli, del ministro, della Corte, del Procuratore generale eletto dal Parlamento con responsabilità sull'azione disciplinare. Credo che nel complesso il titolo «Gli organi» potrebbe essere più appropriato, pur essendo prevalente la parte di normativa riguardante la magistratura.
GIOVANNI RUSSO. Non insisto nella mia richiesta, che non ha valore sostanziale.
PRESIDENTE. Vorrei rimanesse a verbale che ho fatto un intervento a favore di Zecchino... È il primo, e forse anche l'ultimo!
ETTORE ANTONIO ROTELLI. Voterò contro la nuova titolazione, presidente, perché ritengo che la giurisdizione non abbia nulla a che fare con la giustizia.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Pongo in votazione le nuove denominazioni del titolo VI («La giustizia») e della sezione I («Gli organi»).
(Sono approvate).
Passiamo ora all'esame delle disposizioni transitorie; il relatore ne ha predisposta un'ulteriore (v. allegato Commissione bicamerale).
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. L'ultimo testo che è stato distribuito (riguardante il quarto comma dell'articolo 130-bis) deriva da una semplice dimenticanza materiale ed è ispirato da un emendamento del collega Senese sull'attuazione della riserva di codice.
PIETRO FOLENA. Presidente, vorrei proporre una integrazione dopo il primo periodo della prima disposizione transitoria, volta a dare copertura costituzionale alla commissioni tributarie dopo il voto che la Commissione ha espresso nella giornata di ieri l'altro. La proposta consiste nell'aggiungere, dopo le parole «alla revisione degli organi giurisdizionali amministrativi e contabili attualmente esistenti», il seguente periodo: «Le commissioni tributarie previste dalla legge 30 dicembre 1991, n. 413, continuano a operare fino a tale revisione».
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Personalmente non mi oppongo. Sperando che questa disposizione aggiuntiva sia resa inutile da un eventuale pronunciamento dell'aula che riconsideri meglio il voto sulle giurisdizioni speciali.
PRESIDENTE. L'Assemblea potrebbe rendere inutili tutte le disposizioni transitorie. Se, per esempio, ripristinasse l'attuale ruolo del Consiglio di Stato e della Corte dei conti...
SERGIO MATTARELLA. È un auspicio molto intenso, presidente!
PRESIDENTE. Ho appena anticipato l'onorevole Mattarella! Comunque è evidente che l'aula sarà sovrana.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. In ogni caso concordo, presidente, con la proposta dell'onorevole Folena.
SALVATORE SENESE. Un'osservazione, presidente, sulla disposizione transitoria relativa all'articolo 130-bis. Al secondo comma, anziché di «leggi per la organica attuazione», parlerei di «leggi organiche per l'attuazione».
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. No, perché rischiamo di
SALVATORE SENESE. Ma l'aggettivo «organica» non si capisce.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Possiamo sopprimerlo, lasciando semplicemente: «... sono emanate leggi per l'attuazione».
PRESIDENTE. Sono d'accordo. Tutte le teorie che hanno fatto riferimento all'organicismo hanno dato cattiva prova di sé nel corso di questo secolo...
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Pertanto il secondo comma della disposizione transitoria, sulla cosiddetta riserva di codice, recita come segue: «Entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale sono emanate leggi per l'attuazione del quarto comma dell'articolo 130-bis».
PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, pongo in votazione le disposizioni transitorie nel testo proposto dal relatore, come riformulato.
(Sono approvate).
FRANCESCO SERVELLO. Resta la definizione della composizione di Camera e Senato, presidente.
PRESIDENTE. Ha ragione. Per quanto concerne la questione del numero dei parlamentari, l'emendamento generosamente predisposto dall'onorevole Calderisi per spirito di servizio (raccogliendo un'istanza di altri parlamentari, non come espressione di una sua ispirazione primaria) ha incontrato moltissime obiezioni, alcune delle quali anche sostanziali. Si ritiene che l'estrema variabilità del numero dei parlamentari porterebbe tutto il sistema in una condizione di fluttuazione estremamente incerta. A conti fatti si configurerebbe infatti un numero variabile fra 400 e 570 deputati e fra 200 e 285 senatori; conseguentemente la variabilità si ripercuote anche sui rappresentanti delle regioni. Ora, la fluttuazione cui ho fatto riferimento finirebbe per far dipendere il sistema da leggi ordinarie che potrebbero essere modificate di volta in volta dalle diverse maggioranze, con conseguenti cambiamenti dei collegi. Francamente la norma è stata pensata per ragioni lodevoli, ma rischia di creare una grande confusione. Incontra inoltre - come ho ricordato - moltissime obiezioni.
Si è anche obiettato che nei paesi in cui sono presenti sistemi elettorali uninominali maggioritari il numero dei parlamentari generalmente è fisso - e non variabile - proprio per l'estrema delicatezza del problema della definizione dei collegi. Naturalmente, non per questo significa fissato in Costituzione. Però in questo momento introduciamo un principio di variabilità in Costituzione, un principio sulla base del quale ogni volta è possibile variare il numero. Vi sono dubbi su questo, per cui se si ritiene pongo in votazione l'emendamento che l'onorevole Calderisi ha ritirato ma che chiunque può fare proprio. Ma, allo stato delle cose, nel Comitato l'elaborazione non si è spinta oltre questa proposta che incontra tante perplessità e che, certamente, non rappresenta un punto di approdo unitario per la Commissione.
Se vogliamo votare possiamo farlo, perché abbiamo due proposte su cui esprimerci, cioè sul testo di giugno, che prevedeva 400 deputati e 200 senatori, e sulla proposta nota, in quanto illustrata e discussa nella precedente riunione. Se vogliamo compiere un estremo tentativo abbinando questa questione al coordinamento e rinviandola a martedì possiamo darci un ulteriore tempo di riflessione, altrimenti temo che andremmo ad un dibattito senza rete, per così dire, perché allo stato attuale della elaborazione le proposte in campo sono la ex proposta
GIULIANO URBANI. Signor presidente, naturalmente non ho nulla in contrario a che si faccia questo tentativo fino a martedì, in modo da istruire anche altre possibilità. Però credo che fin da adesso ci troviamo o potremmo trovarci di fronte non solo alle due possibilità note ma a una terza possibilità che deriva dalle sue premesse quando ha descritto le difficoltà che abbiamo fin qui incontrato nel definire questo problema attraverso un articolo costituzionale.
La terza possibilità, molto semplice, sta nell'opportunità di non mettere in Costituzione il numero dei componenti il Parlamento. Che cosa, a mio parere, spinge un po' a favore di questa terza ipotesi da considerare accanto alle altre due? Il fatto è che non vogliamo mettere in Costituzione, anche perché non la conosciamo, la soluzione, che giudichiamo ottimale, da dare alla scelta dei sistemi elettorali per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato. Non avendo idee sufficientemente definite e consentite su questi due strumenti, il buon senso richiederebbe che non fissassimo il numero dei parlamentari perché facendolo ci pregiudicheremmo la possibilità di adottare, sia per il Senato sia per la Camera (mi scuso di riferirmi ad una terminologia tecnica, ma immagino che tutti la conosciamo), i sistemi elettorali che si basano su un numero di parlamentari variabile (sono infiniti, praticamente sono tutte le varianti delle grandi famiglie dei sistemi elettorali).
Allora, perché pregiudicare una decisione che in questo momento non siamo in condizione di assumere? Sembrerebbe veramente strano farlo, perché ci costruiremmo un vincolo ulteriore su una decisione che già di per sé è difficile e complessa. Quindi, se vogliamo istruire questa decisione fino a martedì credo, tutto sommato, che possa essere la soluzione più saggia, però fin d'ora pregherei tutti noi di considerare non solo le prime due ipotesi ma soprattutto la terza, che si presenta molto consigliabile sotto il profilo del buon senso.
PRESIDENTE. In effetti, la questione ha un fondamento. Aggiungo un'altra considerazione: siccome noi non abbiamo cambiato, anche perché non ci compete, le leggi elettorali, possiamo auspicare - anzi, abbiamo auspicato - con un ordine del giorno firmato da diversi colleghi che il Parlamento approvi una nuova legge elettorale per la Camera dei deputati. Però non sappiamo se questo auspicio avrà poi buon fine. Potremmo correre il rischio di trovarci in una situazione di incostituzionalità, naturalmente non della legge elettorale ma della attuale ripartizione del territorio in collegi. Potremmo cioè trovarci di fronte ad una situazione in cui l'approvazione del nuovo testo costituzionale non seguita dall'approvazione di una nuova legge elettorale renderebbe indisponibile la legge elettorale attuale, se non attraverso una nuova procedura di definizione dei collegi, che dovrebbe essere disposta.
Quindi, a mio avviso la questione è abbastanza delicata. Dobbiamo un po' riflettere, per questo e per altri aspetti, su come sarà questa transizione istituzionale, nella quale non possiamo certo creare una situazione di impasse tale per cui, di fatto, stabiliamo una proroga dell'attuale Parlamento per una quindicina d'anni. Infatti, rischiamo di rendere inutilizzabile la legge elettorale, ineleggibili gli organi costituzionali, quindi di creare una situazione di ingorgo istituzionale abbastanza complessa. È anche per questo che rinvierei questo tema ad una riflessione, che dovremo fare in questi giorni, che ci consenta di esaminare questi aspetti contestualmente.
GIUSEPPE CALDERISI. Allora lasciamo aperto il problema, non mettiamo 400 deputati...
ETTORE ANTONIO ROTELLI. Vorrei soltanto far osservare, perché se ne tenesse conto, che abbiamo approvato il penultimo comma dell'articolo 86 relativo alla composizione del Senato. In tale articolo è detto che i seggi sono ripartiti secondo la popolazione e che ad ogni regione sono comunque attribuiti quattro senatori, ad eccezione del Molise che ne ha due e della Val d'Aosta che ne ha uno. Nella fase finale dei lavori del Comitato e della Commissione il presidente D'Alema esibì un calcolo dal quale risultava che l'alterazione della proporzione sarebbe stata molto limitata: la Lombardia, in particolare, risultava penalizzata di uno o due senatori, e in generale non vi erano altre penalizzazioni. Ma ciò dipendeva dal fatto che il calcolo era stato fatto su 200; quindi, se adesso il calcolo non fosse più fatto su tale numero, l'alterazione interna ai rapporti fra le regioni potrebbe ulteriormente aumentare. Questo collegamento andrebbe tenuto presente.
PRESIDENTE. Se mi consente, senatore, questo rischio esiste soltanto nel caso, che mi sembra quanto mai improbabile, di una riduzione dei 200 senatori previsti, perché se vi fosse un aumento non vi è dubbio che esso andrebbe tutto a beneficio delle regioni più popolose. Siccome a occhio l'ipotesi di una riduzione di questo numero non mi sembra quella prevalente, credo che la sua preoccupazione possa essere considerata non così incombente. Se aumenta il numero, evidentemente la garanzia minima che copre le regioni più piccole risulta meno penalizzante per le regioni più grandi.
Se siamo d'accordo - come mi sembra - a rinviare questa rilevante questione alla seduta di martedì, vorrei qui affrontare una questione che credo di più facile soluzione ma che richiede una deliberazione della Commissione. Sulla base dell'articolo 3, comma 2, della legge istitutiva della Commissione, dobbiamo costituire formalmente un Comitato che ci rappresenti davanti alle assemblee. Naturalmente, tale Comitato avrà tutte le funzioni normalmente previste per il Comitato dei nove, anche se la legge ci consente di decidere sul numero dei suoi membri, nel senso che non siamo vincolati al principio dei nove. I poteri di questo Comitato sono rilevanti perché rappresenta la Commissione, e quest'ultima può presentare emendamenti o subemendamenti fino a 48 ore prima dell'inizio della seduta in cui è prevista la votazione degli articoli o degli emendamenti ai quali si riferiscono. Quindi, come avviene per il Comitato dei nove, la Commissione ha poteri rilevanti anche durante l'esame dell'aula. Tali poteri debbono intendersi delegati a questo Comitato, salvo che, di fronte a questioni particolarmente rilevanti, non si ritenga, in base ad una facoltà del presidente, che, come è evidente, sarà esercitata in relazione al consenso dei gruppi, di riconvocare la Commissione stessa nel suo plenum, per l'esercizio dei poteri di cui al terzo comma dell'articolo 3, durante l'esame da parte delle aule. È quindi evidente come, anche allo scopo di garantire tutti, questo Comitato debba essere ampiamente rappresentativo. Credo, in particolare, che dovrebbe essere costituito oltre che dal presidente e dai relatori - ciò è già previsto dalla legge - anche dai vicepresidenti e, comunque, dai parlamentari che hanno presieduto i diversi gruppi di lavoro (tra questi tre sono vicepresidenti della Commissione, ad eccezione della senatrice Salvato); in più dovrebbero esservi i capigruppo di tutti i gruppi rappresentati in Commissione.
Naturalmente per i gruppi è fatta salva la possibilità, in discussioni di natura particolare, di farsi rappresentare nelle riunioni interne da altri parlamentari. Ciò non è però possibile nelle aule della Camera e del Senato. Il fatto che il Comitato rappresenti la Commissione nelle aule dei due rami del Parlamento significa che quando, per esempio, al
MARCO BOATO. È il banco delle Commissioni.
TIZIANA PARENTI. Sedersi in un luogo...
MARCO BOATO. In cinquant'anni di storia repubblicana, non è mai accaduto che un deputato partecipi ai lavori dell'aula del Senato, e viceversa.
PRESIDENTE. Sì, quindi è un fatto di portata storica.
Il Comitato esprime pareri sugli emendamenti. Come lei sa, nel corso del dibattito, il Comitato che siede in aula esprime pareri sugli emendamenti man mano che vengano presentati. E questa, come lei comprende, è una funzione molto importante nella procedura parlamentare.
GIUSEPPE CALDERISI. Forse è bene precisare, signor presidente, che il Comitato, salvo l'eventualità di dover convocare la Commissione, decide, se vi è bisogno, con riferimento alla composizione della Commissione. Mi riferisco al voto ponderato con riferimento alla composizione della Commissione.
PRESIDENTE. La valutazione è con il voto ponderato, e si tratta di una scelta cospicua, perché parliamo di venti persone, un numero a proposito del quale avremmo potuto fare una scelta più riduttiva. Tuttavia, data la rilevanza della materia sarebbe sbagliato seguire un criterio di ponderazione maggioranza-opposizione, che finirebbe con il penalizzare i gruppi minori. Credo sia giusto che tutti siano rappresentati, per cui questo Comitato diventa di venti persone; è l'unica soluzione che sia all'altezza della portata dei problemi, nonché rispettosa del lavoro che è stato svolto dai relatori, dai presidenti dei gruppi e da tutti i colleghi.
In sostanza, questa è la proposta che vi sottopongo.
TIZIANA PARENTI. Con l'augurio, però, che non ci siano gli ordini dei gruppi. Poiché non si tratta di una legge ordinaria, poiché la stragrande maggioranza dei colleghi non ha partecipato alle sedute della Commissione e poiché la Costituzione non è riservata agli ordini dei partiti, mi auguro che questo non si verifichi in Assemblea.
PRESIDENTE. In questa sede ognuno ha votato secondo coscienza. I casi nei quali i gruppi hanno votato compattamente sono stati la minoranza; non si può certo dire che vi sia stata disciplina di gruppo e credo che in aula, da questo punto di vista, sarà ancor peggio, o meglio, a seconda di come la si intenda.
FRANCESCO SERVELLO. Desidero rassicurare la collega Parenti sui poteri di questo Comitato, che sono quelli previsti dal regolamento: valutare gli emendamenti e la loro ammissibilità, presentare eventuali subemendamenti o, addirittura, formulare nuovi emendamenti.
Per quanto riguarda l'indicazione operativa che lei ha fornito, presidente, penso che i capigruppo si avvarranno dei colleghi, deputati o senatori, che di una
PRESIDENTE. Questo è certamente vero, con la precisazione, tuttavia, che nelle aule parlamentari dovranno essere i capigruppo, se lo ritengono, a prendere posto ed esprimere il parere. Non potranno farsi sostituire perché c'è una definizione formale: siamo regolati da una legge la quale stabilisce che la Commissione è rappresentata da un Comitato, che viene eletto.
Se non vi sono obiezioni, pongo in votazione la proposta di costituzione del Comitato di cui all'articolo 3, comma 2, della citata legge istitutiva nei termini indicati.
(È approvata).
Mi riservo di nominare i componenti, una volta pervenute le designazioni dei gruppi.
La Commissione è nuovamente convocata per martedì prossimo: propongo per le 10.30, poiché penso - per l'esattezza, spero - che il lavoro preliminare sia molto più impegnativo di quello che svolgerà poi la Commissione, che dovrebbe consistere, salvo questioni controverse, in una presa d'atto.
ORTENSIO ZECCHINO. Fissiamo allora alle 11.
PRESIDENTE. Sta bene, la Commissione è convocata per martedì 4 novembre prossimo, alle 11.
Il Comitato ristretto, invece, è convocato per questo pomeriggio alle 17.30, per avviare il lavoro di coordinamento del testo.
La seduta termina alle 17.