RESOCONTO STENOGRAFICO SEDUTA N. 59

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La seduta comincia alle 10.


(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Seguito dell'esame dei progetti di legge di revisione della parte seconda della Costituzione (C. 931 - S. 2583).


PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame dei progetti di legge di revisione della parte seconda della Costituzione.
Inizieremo oggi l'esame degli emendamenti, già pubblicati nell'apposito fascicolo, riferiti agli articoli concernenti il Parlamento e la partecipazione dell'Italia all'Unione europea (v. allegato Commissione bicamerale). Ricordo che in precedenza mi sono riservato di dichiarare l'inammissibilità degli emendamenti riferiti alla parte di volta in volta in esame. Con riferimento agli articoli da 84 a 118, dichiaro l'inammissibilità degli emendamenti che incidono sulla prima parte della Costituzione (elencati in allegato, con le motivazioni per cui sono stati dichiarati inammissibili).
Comunico che in sede di Comitato ristretto è stato deciso di accantonare, per ora, la discussione e l'eventuale voto sulla questione più rilevante, cioè quella rispetto alla quale la relatrice, come avrete visto, prospetta due diverse ipotesi di superamento della soluzione costruita a giugno: quella del Senato delle garanzie e quella della Commissione speciale delle autonomie. Come noto, queste due diverse ipotesi sono, l'una, quella dell'elezione contestuale e collegata del Senato in occasione delle elezioni delle assemblee regionali e, l'altra, quella di un Senato misto, integrato, quando affronta determinate materie di cui all'articolo 97, da una rappresentanza del sistema delle autonomie. Prima di arrivare - se si dovrà arrivare - ad una scelta alternativa tra queste due ipotesi, si sta cercando di approfondire la possibilità di punti di incontro. Pertanto si propone, per questa mattina, di accantonare la materia.
Tuttavia numerosi sono gli articoli che possono essere esaminati ed approvati, a partire dall'articolo 84, di cui il Comitato ristretto ha elaborato un nuovo testo sulla base degli emendamenti presentati.
L'onorevole Calderisi ha chiesto la parola sull'ordine dei lavori.


GIUSEPPE CALDERISI. Sono d'accordo, presidente, nell'accantonare questa materia, che deve ancora essere elaborata, perché possa essere portata all'attenzione ed alla decisione della Commissione. Ma, alla luce della discussione che si è svolta fin qui in Comitato ristretto, vorrei fare alcune brevissime osservazioni, anche per lasciare una traccia dei problemi che abbiamo di fronte rispetto a questo nodo del Senato.


PRESIDENTE. Noi non abbiamo informato i colleghi della discussione svoltasi in Comitato ristretto ed ora lei la commenta di fronte a colleghi che non vi hanno partecipato.


GIUSEPPE CALDERISI. Voglio porre un problema politico, presidente, circa alcuni criteri che devono presiedere al tentativo di elaborare una soluzione che credo debba essere di larga convergenza. Mi sembra cioè difficile che su un tema quale quello relativo al Senato si possa


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procedere, come su altre questioni, a votazioni per cui una tesi o l'altra prevalgono per pochi voti. Giustamente, in una precedente riunione del Comitato lei ha fatto presente che le ipotesi a confronto devono avere pari dignità, ma questo non è accaduto; quindi voglio invitare a far sì che la discussione per trovare una soluzione - che può essere attorno all'una, all'altra o, magari, ad una terza ipotesi - si avvii sulla base della pari dignità fra le diverse proposte.
Soprattutto, mi richiamerei ad un minimo senso di equilibrio: non c'è senso di equilibrio nel momento in cui si tende a precostituire, con meccanismi particolari, una situazione per la quale il Senato sarebbe, di fatto, appannaggio di una parte politica per i prossimi cinquant'anni. Non si possono proporre meccanismi definendoli equilibrati qualora in Lombardia si voti un senatore ogni 600 mila abitanti e in Umbria uno ogni 120 mila, tanto per fare un esempio, per cui l'Umbria elegge un numero di senatori cinque volte superiore a quello della Lombardia. Se si devono trovare soluzioni di convergenza, bisogna partire da una logica di equilibrio e non di predominio e di egemonia.


CESARE SALVI. Capisco tutto, ma arrivare a dire che su tali questioni non si possono esprimere voti a maggioranza dopo che si è voluto a tutti i costi che su una questione cruciale come quella della forma di governo ci fosse un voto a maggioranza risicata e chi in quell'occasione ha perso ha dato la sua disponibilità ad andare avanti, è talmente pretestuoso che non c'è alcun bisogno di commento.


PRESIDENTE. Stendiamo un velo. È evidente. Comunque non mi fermerei qui.
Passiamo all'esame dell'articolo 84 nel testo del Comitato ristretto.
Secondo un intendimento che già si era manifestato da parte della Commissione, la relatrice Dentamaro propone di sostituire, al secondo comma, l'espressione «rappresentanza elettorale» con «rappresentanza elettiva».
Pongo in votazione tale emendamento.


(È approvato).


FAUSTO MARCHETTI. Presidente, prima che lei indìca la votazione dell'articolo 84, le chiedo di porre in votazione la proposta di adottare il principio monocamerale, contenuta negli emendamenti presentati dai parlamentari del gruppo di rifondazione comunista.


PRESIDENTE. Abbiamo seguito un criterio diverso. Poiché non siamo in condizione di rifare il dibattito, che invece si svolgerà in aula, su questa grande questione, abbiamo stabilito che approvando il testo proposto dalla relatrice si respingono principi e proposte alternativi.


GIOVANNI RUSSO. Sarebbe una inversione totale dei criteri fin qui seguiti.


PRESIDENTE. Infatti, abbiamo proprio deliberato di invertire i criteri fin qui seguiti. Ne abbiamo discusso insieme e posso mandarle il verbale. Comunque, la sua non è una richiesta drammatica, c'è di peggio al mondo!
Pongo dunque in votazione la proposta di adottare il principio monocamerale.


(È respinta).


Pongo in votazione l'articolo 84, nel testo del Comitato ristretto.


(È approvato).


Risultano pertanto assorbiti gli emendamenti elencati in allegato, e respinti gli altri, relativi all'articolo 84.
Passiamo all'esame dell'articolo 85, nel testo del Comitato ristretto.
Si propone di mantenere il testo così come formulato, ma io vorrei fornire una breve motivazione di tale proposta, adottata dal Comitato ristretto dopo una lunga discussione.
L'articolo 85 contiene la determinazione del numero dei deputati ed a questo proposito sono stati presentati moltissimi emendamenti. In effetti, la valutazione che è emersa, anche nella discussione del Comitato ristretto, è che la determinazione


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del numero dei deputati in 400 sia formulata in termini non motivati, casuali. Pur rispondendo la riduzione del numero dei parlamentari ad una comprensibile spinta della pubblica opinione, tuttavia questo numero è determinato senza che sia collegato ad alcun criterio e si è considerata con particolare interesse la possibilità, invece, di arrivare ad una diversa formulazione, che non definisca il numero ma indichi un criterio sulla base del quale arrivare a questa determinazione. Si è discusso, in particolare, di due criteri: quello della proporzione tra un determinato numero di abitanti e rappresentante, magari con una possibile (poi dirò perché) banda di oscillazione, e quello di collegare il numero dei parlamentari alla media ponderata del numero dei parlamentari dei parlamenti europei, in particolare dei paesi più simili al nostro per consistenza di popolazione.
In considerazione anche dell'ordine del giorno sottoscritto da molti capigruppo in materia di legge elettorale, che configura un sistema elettorale per il quale, probabilmente, il numero dei parlamentari non dovrebbe essere fisso - se lo si varerà mai, quel sistema elettorale, non voglio entrare nel merito della discussione; ho mie personali riserve ma non c'è dubbio che quel sistema elettorale difficilmente si concilia con un numero fisso - si dovrebbe pensare ad una correzione. Ma attualmente noi non siamo in grado di prospettare una soluzione tecnicamente ben costruita e discussa, per cui, per evitare di entrare qui in Commissione in una disputa sui numeri che si può prestare anche ad una rincorsa demagogica - a dire di meno, per avere il consenso della gente, o a dire di più, per conquistare il favore dei parlamentari - la proposta che si fa è quella di lasciare identico il testo da sottoporre alle aule. Siccome saranno queste a decidere, nel frattempo sarà possibile studiare le ipotesi che ho qui riportato e che sono state formulate ieri dal Comitato, per arrivare, eventualmente, ad una soluzione concordata.
Credo che questo sia uno di quei temi sui quali, davvero, è meglio ricercare un'intesa e non esporsi ad una rincorsa che inevitabilmente avrebbe risvolti di carattere demagogico. La proposta, pertanto, è di lasciare il testo così com'è ma con le motivazioni che ho indicato. Fermo restando che c'è l'impegno, da parte di tutti i gruppi, di studiare una soluzione che consenta di inserire nella Costituzione non un numero ma un parametro di riferimento, un criterio che consenta la determinazione del numero in un modo non casuale.


FRANCESCO SERVELLO. Signor presidente, convengo sulla opportunità di varare l'articolo così come è stato formulato, ma non sono del tutto d'accordo sulle motivazioni, soprattutto per il passaggio in cui, mi è parso di capire, si collega il numero dei parlamentari al tipo di legge elettorali che si va ipotizzando. O il principio è di ordine generale, qualunque sia la legge elettorale, ed allora ha un senso, è un messaggio alla pubblica opinione che aspetta una riduzione di questo tipo, oppure, se oggi lo affermiamo soltanto pro forma, non ha senso.
Ritengo che la riduzione del numero dei deputati debba essere prevista: per l'esperienza che ho, come tutti voi del resto, è evidente che bisogna andare verso lo snellimento delle aule parlamentari. Anche il trasferimento di tante potestà legislative alle regioni, evidentemente, porta infatti allo snellimento dei lavori parlamentari. A prescindere quindi dal numero di 400, 420, e così via, secondo i vari emendamenti presentati, penso che in questa sede si possa varare l'articolo 85; verificheremo poi in Assemblea se possono intervenire criteri per eventuali riduzioni od aumenti, comunque prescindendo dalle opportunità delle leggi elettorali e dei marchingegni che in esse possono essere contenuti.


CIRIACO DE MITA. Ho ascoltato le motivazioni del presidente e osservo che hanno un loro fondamento; sono però ragioni che non evitano un rischio, poiché non credo che la discussione sul numero sia legata ad una valutazione funzionale


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dell'Assemblea. Se non erro, il primo Parlamento italiano aveva 438 componenti, a fronte di 2 milioni di elettori: il numero dei componenti le Assemblee parlamentari non è minimo, un po' ovunque. Con l'ordinamento che ci diamo, sostanzialmente andiamo verso una forma di monocameralismo politico, quindi tutte le ragioni porterebbero a non ipotizzare la riduzione come soluzione.
La riduzione del numero dei deputati contiene in sé un argomento irrazionale forte: nella pubblica opinione, essa ha come radice la motivazione dell'antiparlamentarismo, non il recupero dell'efficienza. Credo che tutti noi sappiamo che l'accettazione di questa logica non ha limite: l'inizio della riduzione porterebbe conseguentemente alla cancellazione; non è che ci si appaghi di uno in più o di uno in meno. Proprio perché ho questa preoccupazione, che ho raccolto anche nelle motivazioni del presidente, considero estremamente rischioso il discorso sul numero. Dico subito che, se si decidesse per il numero di 400, non avrei alcuna preoccupazione, non sarei contrario: la mia preoccupazione è che il 400 non basti. Ed allora il rischio che vogliamo evitare, anziché ridursi, si ingigantisce, perché se l'Assemblea vota poi, anziché 400, 410, il giudizio negativo si accresce e non si riduce.
Riterrei quindi preferibile - evidentemente tutte le opinioni hanno un loro valore relativo, non ho la pretesa di esprimere un'opinione verità - che la Commissione definisse un numero in condizioni di sostenerlo e farlo passare. Può essere anche 400, a patto che su questo numero ci si fermi, ma l'idea di andare in Aula, dove gli umori sul numero sono di una variabilità infinita, con un'ipotesi aperta temo potrebbe portarci a giocare alla lotteria, senza alcun argomento forte. Potremmo scegliere la rappresentanza in rapporto alla popolazione; vi è un argomento che non sottovaluterei: con il sistema uninominale maggioritario, fare collegi infiniti contraddice un po' al collegio uninominale maggioritario; altro è il collegio uninominale maggioritario dove il rapporto è diretto, altro è dove il rapporto è con l'universo.
Ragioniamo allora su questi criteri: sarei di questa opinione, la sostengo con molta serenità e nel voto la confermerò. Ritengo che il rinvio del problema all'Aula, con la possibilità che il numero cambi, aumenti anziché ridurre il rischio dell'impatto negativo sulla pubblica opinione, poiché l'argomento dominante rispetto al numero è l'antiparlamentarismo, che è la motivazione forte degli antidemocratici (storicamente è sempre stato così); non vi sono ragioni diverse. A mio avviso, la Commissione commetterebbe quindi un errore se scegliesse di rinviare il problema all'Assemblea con l'illusione che essa lo risolva.


FRANCESCO D'ONOFRIO. Signor presidente, ho le medesime preoccupazioni espresse dall'onorevole De Mita. Capisco le motivazioni indicate dal presidente e le condivido, ma temo molto la possibilità che, quando si andrà a discutere questo articolo in Assemblea, tutta l'attenzione sarà concentrata sul numero, e non sulle funzioni, sulla funzionalità, sul rapporto Governo-Parlamento e Stato-regioni. Quin-di, siccome il numero è conseguenza di un insieme di considerazioni, mi sembra importante che portiamo in aula il senso del cambiamento, di come siamo entrati nel problema, indicando il numero di 400 nella logica della riduzione come un bene. Qualche volta, è capitato anche a me, con persone che mi dicevano di apprezzare la riduzione del numero dei deputati come un bene, di rispondere: allora, andiamo al meglio e arriviamo a zero, perché questa è la logica; se il bene è la riduzione, il meglio è andare ancora più giù.
Mi sembra allora che possa essere utile il criterio, che stava emergendo nel corso di queste settimane e che credo sia inserito in qualche emendamento (certamente vi si è fatto riferimento nel dibattito in Comitato ristretto), di ancorare il numero dei parlamentari al rapporto con la popolazione nella media dei paesi aderenti all'Unione europea. Il dibattito


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allora si sposta dall'eccezionalità della classe politica italiana alla media europea, che è considerata di per sé un obiettivo da raggiungere, rispetto al quale non dovremmo distaccarci. Se il rapporto deputati-abitanti nella media europea ci porta a 400, o a 500 deputati, abbiamo un criterio obiettivo di ambito europeo, che mi sembra molto migliore di qualunque altro criterio legato a contingenze italiane. Si potrebbe quindi prevedere che il numero dei deputati è rapportato alla popolazione sulla base della media dei paesi aderenti all'Unione europea: questo sarebbe l'emendamento da valutare, un modo per impostare il dibattito della Camera diverso da quanto abbiamo fatto finora.


FRANCESCO SERVELLO. Questo dovrebbe valere anche per il Senato?


FRANCESCO D'ONOFRIO. Parlo della Camera politica europea; per il Senato, si può fare riferimento alla Camera dei lord, al Bundesrat, alla Camera spagnola o belga: si può scegliere uno di questi sistemi, o un altro italiano e ne discuteremo a parte. Il numero dei deputati è raccordato ad una forma di governo, indicata in questi articoli, che sostanzialmente dà ad una sola Camera il compito di dare o negare la fiducia. Il numero dei deputati, quindi, è legato ad un sistema che non ha più nulla in comune con il bicameralismo che abbiamo attualmente. Mi sembra pertanto che la coerenza porti ad un numero raccordato alle nuove funzioni della Camera e non al vecchio sistema.


PRESIDENTE. In sostanza, se capisco bene, lei propone di scrivere in Costituzione: il numero dei parlamentari è rapportato alla popolazione in relazione alla media dei Paesi europei.


FRANCESCO D'ONOFRIO. Questo consentirebbe l'elasticità del numero dei parlamentari, per cui una legge elettorale che dovesse prevedere un premio, rendendo flessibile il numero dei parlamentari, sarebbe compatibile; il numero rigido esclude una legge elettorale flessibile.


PRESIDENTE. Pongo soltanto un problema di formulazione.


LUIGI GRILLO. Signor presidente, credo che si debba essere grati all'onorevole De Mita per aver detto questa mattina in modo molto chiaro ed esplicito cose che, credo, pensiamo in tanti in Commissione e che sono patrimonio di pressoché della totalità dei parlamentari delle nostre Assemblee. Questa storia della riduzione del numero dei parlamentari, come ben sa la relatrice Dentamaro, è stata sollevata in modo critico, con perplessità in qualche modo mirate, all'interno sia del Comitato ristretto, sia della Commissione plenaria.
Dobbiamo registrare questa mattina che i numeri proposti - su questo credo che nessuno possa argomentare diversamente in maniera efficace - sono casuali, non rispondono ad alcuna logica; dietro essi non vi è alcuna elaborazione, sono numeri buttati in aria per soddisfare in qualche modo un'esigenza emotiva che la dice lunga sul livello di antiparlamentarismo che è presente nel nostro Paese, soprattutto nelle prime pagine dei quotidiani. Se così stanno le cose, la proposta del presidente D'Alema è apprezzabile perché non chiude in ordine ad un problema estremamente delicato, che sappiamo tutti di dover risolvere nella maniera più appropriata. Però, come è stato osservato, presenta un rischio se anche in questo passaggio si considera l'opinione che 200 e 400 sono numeri che in qualche modo rispondono a criteri di funzionalità e di rappresentanza, cosa di cui dubito perché non credo che nel nostro Paese questi numeri aderiscano in maniera coerente al concetto di rappresentanza del-la popolazione. Credo quindi che, pur assumendo positivamente la proposta D'Alema, nel senso di rivedere comunque questa definizione, si possa fare un ulteriore sforzo, di qui al completamento dell'esame delle norme, per vedere, attraverso una valutazione più puntuale, eventualmente


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in sede ristretta, se non siamo in grado, come osservava l'onorevole De Mita, di individuare già adesso in sede di Commissione plenaria un numero un po' più coerente. Va tenuto conto che, come mi sono permesso di ricordare ieri all'interno del Comitato ristretto, che l'ufficio studi del Senato ha elaborato una ricerca che dimostra (cosa stranamente mai comparsa sui quotidiani) che il numero dei parlamentari italiani non è superiore al numero di parlamentari di quei Paesi della comunità che hanno una popolazione analoga a quella italiana; quindi, riducendo il numero dei parlamentari, andremmo in controtendenza rispetto alla situazione consolidata nel nostro Paese.
Non credo, però, che possiamo scrivere in Costituzione riferimenti alla media europea: dobbiamo sforzarci di trovare un parametro oggettivo, che non può essere la media europea, ma in questo tentativo, prima di andare nelle Assemblee, all'interno delle quali a mio avviso, su questo argomento, può accadere di tutto, vale la pena di fare uno sforzo nei giorni che ci rimangono per vedere se riusciamo a definire una proposta che risponda ad una logica più organica rispetto ai numeri che ci sono stati proposti questa mattina.


ARMANDO COSSUTTA. Credo che dobbiamo confermare quanto è scritto nel testo circa il numero dei componenti la Camera dei Deputati; la motivazione che in questo caso va portata credo da parte di nessuno di noi possa essere riferita ad una certa tendenza, ben nota e ben presente nell'opinione pubblica, di tipo antiparlamentare. Sappiamo benissimo che questa esiste, ma non credo che dobbiamo farcene carico oggi, nel momento in cui andiamo ad indicare il numero dei componenti l'Assemblea legislativa. La ragione mi pare consista nel fatto che la Camera dei deputati, rispetto a quella attuale, vede modificate profondamente la quantità e la qualità delle sue funzioni, nel momento in cui gran parte delle sue competenze legislative è trasferita alle assemblee legislative regionali. Da qui discende il fatto che il corpo legislativo nazionale deve essere visto - come fin qui non è stato - come un insieme di 400 deputati nazionali e oltre mille consiglieri regionali con poteri legislativi di primissimo rilievo, come tutti sappiamo, dato che ne abbiamo parlato quando abbiamo affrontato il precedente tema.
Per questo ragioni ritengo si debba confermare il numero di 400 deputati.


CESARE SALVI. Credo che quella formulata dal presidente sia una proposta giusta. Ritengo infatti corretto procedere ad una riduzione del numero dei parlamentari per diverse ragioni, compresa quella testé ricordata dall'onorevole Cossutta e cioè per il fatto che la riorganizzazione di tipo federale dei poteri dà molto peso anche legislativo ed in termini di garanzie e tutela alle rappresentanze elettive regionali e per le altre ragioni di cui abbiamo discusso prima dell'estate.
Può darsi che i numeri indicati non siano frutto di un approfondito dibattito sulle ragioni sia di funzionalità e di rapporto con gli elettori - come ricordava il collega De Mita - sia di comparazione con i dati europei, per cui credo che sia necessario un approfondimento. Però ho l'impressione che non siano questi il momento e la sede per farlo, intanto perché dobbiamo ancora sciogliere il nodo del tipo di bicameralismo rispetto alla composizione delle Camere, ma anche perché lo stesso indice europeo al quale si fa riferimento non può essere riprodotto in modo drastico, con un semplice calcolo aritmetico. Infatti, tutte le democrazie europee comparabili all'Italia hanno sistemi bicamerali molto differenziati fra di loro, le funzioni delle due Camere sono diverse e i dibattiti che si svolgono sono segnati da motivazioni differenti.
Credo che sia giusto confermare in questa sede le decisioni assunte prima dell'estate non rinviando ad un generico dibattito in aula, ma dando mandato alla relatrice e al comitato che seguirà i lavori anche in aula di svolgere gli approfondimenti necessari alla luce delle osservazioni


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emerse per formulare eventualmente una nuova proposta a nome della Commissione.
Mi pare che l'orientamento del presidente e quello che si è formato nella riunione di ieri del comitato vadano in tale direzione, per cui propongo di procedere in questo senso.


GIULIO MACERATINI. A nostro giudizio, quando si parla di numeri, specie per determinare la consistenza di un'assemblea, è fatale che le suggestione e le idee siano molte, ma poi alla fine dovremo domandarci come all'inizio fu determinato il numero di parlamentari componenti la Camera, prima del regno d'Italia, e poi della Repubblica italiana. La soluzione, peraltro suggestiva, del collega D'Onofrio non mi pare risolutiva, perché se ci parametriamo con le assemblee degli Stati dell'Unione europea, ammesso che vi sia omogeneità, ci troveremo in difficoltà, perché una cifra stabilita adesso potrebbe essere in seguito censurabile nel caso in cui perdesse questo collegamento, mentre non mi pare opportuno determinare in Costituzione un parametro (Interruzione dell'onorevole De Mita).
Tutto cambia in questo mondo ed io immagino che fra trent'anni l'est europeo farà parte dell'Unione europea, per cui il collegamento non sarà più possibile. Abbiamo fissato la cifra di quattrocento e abbiamo detto che comunque il Parlamento è sovrano e, se riterrà, potrà modificarla. Fermiamoci qui, perché tutte le idee sono teoricamente apprezzabili, ma nessuna ci farà uscire dall'impasse.


GIORGIO REBUFFA. Mi limiterò a fare un'osservazione. Quella del numero è la questione concettualmente più semplice fra quelle che abbiamo di fronte, ma è emotivamente la più difficile. Infatti, molto facilmente possiamo trovare una soluzione, come quella che il collega D'Onofrio ha proposto. Uscire da quest'aula senza una determinazione politica su questo punto significa affrontare le demagogie, le paure e anche - concordo con il presidente De Mita - una certa vena antiparlamentarista che è presente nella nostra cultura politica. Se usciamo da qui senza una determinazione politica e senza la capacità di portarla in aula, ciò significa che siamo indifferenti al contenuto della nostra riforma costituzionale.


PRESIDENTE. Onorevole Rebuffa, non avevo proposto questo. Ho proposto che il numero rimanga quello deciso, però si stabilisca contestualmente - attraverso un ordine del giorno o dando incarico ad un gruppo di parlamentari - di fare uno studio, che ora non siamo in condizioni di fare, sui Parlamenti europei e su altri aspetti per giungere ad una proposta più fortemente motivata da portare congiuntamente in aula.
Trovo invece discutibile scrivere in Costituzione che il numero dei parlamentari sarà determinato con legge tenendo conto Penso che una proposta numerica convergente - che può anche non essere fissa - frutto di uno studio sulla composizione dei Parlamenti stranieri, sia più sostenibile nel rapporto con l'opinione pubblica e non dia luogo a quella rincorsa demagogica, con venature antiparlamentari, di cui si corre il rischio.
Allo stato delle cose, o scriviamo un altro numero superiore a questo ma non meno casuale, oppure dobbiamo inserire in Costituzione una formula complessa, rinviando alla legge la determinazione del numero dei parlamentari: non so se attualmente questa sia una scelta opportuna.


GIORGIO REBUFFA. Siamo al 25 settembre e dobbiamo concludere i nostri lavori il 16 ottobre, per cui presumibilmente entro i primi di novembre dovremo andare in aula e dobbiamo farlo con un testo: qual è il momento in cui definiamo questo numero? Dobbiamo andare in aula con un numero definito e dobbiamo essere in grado di difenderlo.


PRESIDENTE. Le opinioni sono diverse, tanto che vi sono numerosissimi emendamenti che io potrei mettere in votazione. Si potrebbe anche proporre di


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difendere il numero di 400, ma non tutti siamo d'accordo. Per arrivare alla determinazione di una quantità che sia difendibile possiamo lavorare intorno ad un criterio e approfondirlo ma, ad oggi, ritengo, anche in base alla discussione, che non siamo in grado di determinare una proposta che tutti intendiamo difendere. Possiamo determinare un metodo, dopo di che, se si ritiene, porrò in votazione qualsiasi emendamento.


CIRIACO DE MITA. Signor presidente, la fragilità del numero - perché davvero è un «numero dato», come direbbero i napoletani - sta nel fatto che esso non fa riferimento ad alcun criterio. Normalmente le Assemblee sono definite in rapporto alla popolazione; la vecchia norma costituzionale era così, tanto che quando è cresciuta la popolazione vi è stata la variazione. Il numero 400, potrebbe anche essere 399, perché non vi è alcuna motivazione razionale a suo sostegno.
Nel merito, sono preoccupato per il buon fine dei nostri lavori. Posso sbagliare, ma ritengo che incroceremo due ostacoli di cui dobbiamo tenere conto adesso, prima che il lavoro passi all'aula: il numero dei parlamentari nell'aula di Montecitorio e la definizione del Senato. Questo non mi porta ad immaginare che l'irrazionalità diffusa debba governare i nostri lavori, però un gruppo dirigente deve farsi carico delle difficoltà ed individuare il percorso sul quale attestarsi per riuscire. Se presentiamo due proposte che hanno effetti deflagranti sul numero alla Camera e sulle competenze al Senato, corriamo qualche rischio.


PRESIDENTE. L'idea della riduzione del numero dei parlamentari - al del fatto che essa ci porti a 400 o a 435, nel senso che la determinazione è stata casuale - nasce, come ha ricordato l'onorevole Cossutta, coerentemente con un'ispirazione di decentramento in senso federalista della funzione legislativa. Alleggeriamo il Parlamento nazionale di una serie di compiti e parallelamente riduciamo il numero dei parlamentari, con l'idea che ciò possa aiutare anche una qualificazione maggiore del Parlamento. Questa era la ratio che tra l'altro è stata assunta d'intesa a suo tempo; non si è trattato quindi di un cedimento allo spirito antiparlamentare. Se la questione fosse stata posta in questi termini, avremmo ragionato e resistito.
Una volta scelto questo indirizzo, in relazione ad un orientamento generale che tende a rafforzare la potestà legislativa delle regioni, come ha detto Cossutta, i legislatori sono non solo 400 ma il complesso delle Assemblee legislative, ciascuna nell'ambito delle proprie distinte potestà ed è evidente che la determinazione del numero di 400 può ragionevolmente essere messa in discussione e problematizzata. Si può cercare di approfondire la questione sulla base di un criterio e siamo in grado di farlo. Sono d'accordo sul fatto che dobbiamo governare d'intesa la questione del numero e non aprire una rincorsa demagogica tra diverse forze politiche a chi voglia cattivarsi le simpatie dell'opinione pubblica o quella dei parlamentari.
Ritengo, come suggerito, che un gruppo dirigente debba cercare di individuare una soluzione e di difenderla, senza rincorse che potrebbero deflagrare. Per far questo ho indicato un criterio: agganciare la determinazione del numero ad una valutazione oggettiva, come d'altro canto suggeriscono molti emendamenti. Si potrebbe, ad esempio, prendere in considerazione un parametro che faccia riferimento ai grandi paesi europei che per popolazione sono simili a noi e non la media europea, perché in questo caso verremmo immediatamente «infilzati», poiché in tale media entrano anche paesi piccolissimi nei quali il rapporto tra numero di parlamentari e numero di cittadini è molto diverso dal nostro per ragioni comprensibili.
Potremmo, quindi, effettuare uno studio dalle cui risultanze ricavare un numero orientativo, sulla base di una valutazione di confronto con gli altri grandi sistemi politici europei. In alternativa, potremmo, anche ricorrendo ad un ordine


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del giorno, incaricare i gruppi di procedere ad un approfondimento del tema, nel contempo lasciando inalterato il numero attualmente configurato, con l'obiettivo di arrivare all'esame in aula con un emendamento comune, sì da evitare una rincorsa tra posizioni divergenti: un emendamento comune e motivato sulla base di uno studio, di un'analisi, che possano consentire di difenderlo in modo adeguato anche nel rapporto con l'opinione pubblica.
In sostanza, ho indicato una procedura che credo possa consentire di affrontare insieme la questione. Se siamo in grado di determinare un numero diverso sulla base di determinati parametri, possiamo votare anche subito (non sarò certo io ad impedirlo). Ciò che temo è che in questo momento si finisca per raccogliere spinte del tutto legittime ma che forse non saremmo in grado di motivare di fronte alla pubblica opinione in termini sufficientemente robusti. Questa è la mia preoccupazione. Ripeto: poiché le preoccupazioni non sono dissimili, si tratta ora di valutare le proposte.


MARIO GRECO. Nel dichiarare di condividere entrambi gli interventi svolti dall'onorevole De Mita, osservo come, in particolare, il secondo di essi stimoli la nostra attenzione su alcuni emendamenti. Ci stiamo confrontando per verificare se esistano criteri diversi da quello indicato in maniera rigida e, a mio avviso, anche casuale nel testo che stiamo esaminando. In particolare, l'emendamento Grillo S.85.11 recepisce di fatto il suggerimento dell'onorevole De Mita, nel momento in cui prevede che la determinazione del numero dei deputati sia rapportata al numero degli abitanti. Ripeto: il testo in discussione fornisce un'indicazione rigida, a mio avviso difficilmente sostenibile in aula.
Nelle prime fasi della discussione mi ero permesso di stimolare i commissari ad essere più coraggiosi nella determinazione del numero dei deputati e dei senatori. In particolare, ricordo di aver preso la parola nella fase in cui si parlava di 200 parlamentari, ma è evidente che il discorso vale anche nel caso che stiamo esaminando. Se si riuscisse a fornire un'indicazione all'Assemblea nel senso di seguire in via subordinata anche il criterio del rapporto con la popolazione, credo che daremmo indicazioni meno rigide rispetto ad un testo che - ripeto - solleva notevoli perplessità.


LUIGI GRILLO. A questo punto della discussione, la proposta emergente è sicuramente visibile. Se concordiamo sul fatto che l'indicazione del numero è casuale e se accettiamo le considerazioni formulate in merito alla pericolosità di affidarci ad un criterio casuale scevro da un'analisi specifica, non possiamo non considerare ulteriori possibilità di soluzione del problema. Vorrei ricordare che l'ufficio studi del Senato ha effettuato ricerche in ordine a possibili ancoraggi a dati oggettivi, a parametri riferiti a paesi della Comunità europea con popolazione pressoché identica, dal punto di vista della consistenza, alla nostra. Considerato che è già a nostra disposizione una documentazione utilizzabile, credo potremmo convenire sulla necessità di approfondire l'argomento, sospendendone quindi l'esame, sì da avere un periodo di circa 10 giorni perché un gruppo di lavoro o un comitato ristretto possano individuare una proposta che faccia registrare l'adesione di tutti i gruppi e da creare le condizioni perché la stessa possa essere difesa in modo convinto nel momento in cui inizierà l'esame in Assemblea.


PRESIDENTE. Il senatore Grillo propone che il punto in discussione sia accantonato e che sullo stesso si deliberi prima della conclusione dei lavori della Commissione, dando nel frattempo incarico ad alcuni colleghi di approfondire la questione, anche studiando ciò che avviene nei sistemi politici europei più simili al nostro, in modo da determinare un parametro oggettivo che possa aiutarci ad individuare un numero motivabile e difendibile.


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FRANCESCO SERVELLO. Vorrei sapere se ella, presidente, a fronte della proposta del collega Grillo, ritiri la sua, alla quale, francamente, ero più favorevole.


PRESIDENTE. Il collega Grillo ha formulato una proposta che, ovviamente, metto in discussione. Se la stessa non fosse accolta, si tornerebbe ad esaminare la mia proposta: non voglio contrapporre la mia proposta a quella di Grillo, per l'amor del cielo! Se la maggioranza dei colleghi ritiene che la soluzione proposta da Grillo sia la più conveniente, la adotteremo.


ROLANDO FONTAN. Credo che la proposta del senatore Grillo sia saggia e che, quindi, sia giusto accoglierla. Nella discussione è stato più volte fatto riferimento al concetto di numero occasionale. Credo che questa caratteristica valga per alcuni ma non per altri, i quali magari hanno già fatto qualche conteggio sulle ripartizioni territoriali e sui collegi. Sarebbe opportuno che tutti i parlamentari, non solo i componenti di questa Commissione, comprendessero la portata effettiva di un'eventuale norma che introducesse una riduzione del numero. Per quanto ci riguarda, siamo favorevoli alla riduzione di tale numero e, al limite, saremmo favorevoli anche all'ipotesi di ridurlo a 400. Sottolineo comunque l'esigenza di far comprendere a tutti, in modo chiaro, dove si vada a parare ed i risultati che conseguirebbero da riformulazioni di questo tipo. È evidente che non è possibile determinare un numero senza far riferimento a parametri adeguati, che vanno quindi individuati.


ARMANDO COSSUTTA. Non credo si possa e si debba accantonare la questione che stiamo esaminando. Ovviamente, possono essere introdotti elementi di precisazione, ricorrendo ad ordini del giorno o ad altre iniziative idonee a conferire alla nostra scelta una motivazione più accettabile, comprensibile e valida. Ritengo anche non pertinente il riferimento alla situazione di altri paesi europei. Ciò anzitutto perché, come lei, presidente, ha detto, ci sono paesi grandi ed altri meno grandi, per cui non si può pensare ad una media europea, per la semplice ragione che un paese piccolo - penso, ad esempio, al Lussemburgo - ha comunque bisogno di una Camera formata da un certo numero di componenti che, nel rapporto con l'entità della popolazione, avrà una percentuale sicuramente ben superiore a quella dei paesi più grandi. Si tratta di un dato tanto ovvio da non rendere necessari commenti ulteriori.
Vi è un'altra ragione che va considerata. Il numero dei componenti va riferito alle funzioni dell'organo. Se si volesse quindi realizzare un raffronto con gli altri paesi europei, bisognerebbe capire, ad esempio, quale ruolo abbia la Camera dei comuni inglese rispetto alla Camera dei Lord e quale funzione abbia il Senato francese rispetto a quello italiano, o anche quale sia il ruolo del sistema federale tedesco. Si tratta - è evidente - di funzioni diverse rispetto a quelle che la nostra legislazione sta definendo.
Oggi proponiamo di attribuire alla Camera dei deputati un ruolo diverso rispetto a quello svolto fino ad oggi. Tale diversità è profonda, dal momento che una infinità di questioni non sarebbero più esaminate dalla Camera, in quanto ricondotte alla competenza delle regioni. Si tratta, quindi, di un ruolo del tutto diverso e, in relazione a questo, va proposto un numero di deputati ragionevole. Attualmente il Senato della Repubblica ha gli stessi poteri della Camera dei deputati e svolge lo stesso, identico lavoro. Tale attività è esercitata da 315 senatori, a fronte di 630 deputati; ciò dimostra come la Camera composta da 315 membri, il Senato della Repubblica, sia in grado di svolgere tutta l'attività legislativa. È evidente che una Camera dei deputati alla quale saranno assegnati compiti ridotti rispetto a quelli attuali, potrà benissimo svolgere le sue funzioni con un numero di componenti (400), addirittura superiore a quello attuale dei senatori. Non vedo


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argomenti - mi si perdoni - che possano contrastare questa valutazione.
È vero che non dobbiamo correre dietro l'antiparlamentarismo, ma è altrettanto vero che non dobbiamo assolutamente accedere alla pressione fortissima, riscontrabile in questo Parlamento, volta a mantenere invariato l'attuale numero dei deputati.


GIORGIO REBUFFA. Dietro la questione del numero, se ne pone un'altra, di carattere politico ed estranea alla discussione. Mi riferisco alla necessità di ridisegnare i collegi elettorali. Se dovessi cominciare a discutere oggi su questo tema, notoriamente uno dei più delicati in qualsiasi sistema politico, dal Giappone agli Stati Uniti, solleverei problemi infiniti, anche in relazione alle garanzie ed al rapporto tra maggioranza ed opposizione.
Probabilmente, visto che siamo in una fase di fluida meditazione, la saggezza consiglierebbe di mantenere la situazione attuale. Si tratta di un'opinione assolutamente personale; ma, se penso alla gravità delle questioni che sono dietro al ridisegnamento dei collegi, credo che sarebbe questa la soluzione più saggia. Ripeto: si tratta di un'opinione personalissima.


PRESIDENTE. Se si dovesse procedere ad una riforma della legge elettorale sulla scorta dell'ordine del giorno sottoscritto, la rivisitazione dei collegi e del numero dei parlamentari sarebbe inevitabile. Il mantenimento della situazione attuale, così come lei propone, contrasta gravemente con l'indirizzo, espresso concordemente, di riformare la legge elettorale.


GIORGIO REBUFFA. Ho voluto sollevare un problema di carattere politico. Lavoriamo in una Commissione nella quale, come accade in tutte le altre, alcuni di noi sollevano problemi, in parte tecnici e in parte politici; di norma, qualcuno propone anche soluzioni, altri non le propongono. Spetta quindi al presidente, il quale è qui come uomo politico, non come esperto giurista o come professore di statistica, avvertire la sensibilità per comprendere il problema politico che viene sollevato.


PRESIDENTE. Il presidente deve porre in votazione le proposte mano a mano che le stesse sono avanzate.
Pongo in votazione la proposta del collega Grillo di accantonare l'articolo in esame e di conferire al Comitato ristretto l'incarico di studiare più approfonditamente la questione, in modo da avanzare una proposta prima che la Commissione esaurisca i suoi lavori.


(È approvata).


La questione è pertanto accantonata.
Passiamo all'articolo 86 di cui il Comitato ristretto propone l'accantonamento: in mancanza di obiezioni, s'intende accantonato.
Passiamo all'articolo 87, la cui riformulazione appare più appropriata poiché il riferimento in esso contenuto all'articolo 73 era ambiguo (può essere infatti proprio per la Camera, ma non per il Senato).
Lo pongo in votazione.


(È approvato).


Passiamo all'articolo 88, che la relatrice propone di mantenere nel testo approvato a giugno.


FRANCESCO D'ONOFRIO. L'approvazione di questo articolo non dovrebbe risultare in pregiudizio all'eventualità di una scelta di elezione del Senato che, non essendo contestuale, non potrebbe consentire il rinnovo in questo modo. Se dovesse essere accolta l'idea di un Senato eletto contestualmente ai consigli regionali, ovviamente questa norma sarebbe inapplicabile.
Volevo solo segnalare che questo testo non dovrebbe essere inteso in pregiudizio dell'eventualità di una formazione del Senato tale da non consentire la rielezione contestuale. Non vorrei cioè che approvato questo testo si ritenesse impropriamente preclusa la strada di una diversa formazione del Senato.


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PRESIDENTE. Mi sembra di no, perché si parla di elezione di ciascuna Camera.


FRANCESCO D'ONOFRIO. Questo fa pensare che ci sia l'elezione del Senato, che non ci sarebbe nel caso della contestualità, perché si tratterebbe di elezioni in tempi diversi.


PRESIDENTE. A mio giudizio, poiché le prime elezioni non potrebbero che essere ad una stessa data anche nel caso che si accedesse all'idea di elezioni contestuali.


FRANCESCO D'ONOFRIO. Volevo solo sottolineare che questo articolo non deve significare aver deciso, in termini procedurali e non politici, l'inammissibilità di emendamenti relativi...


PRESIDENTE. Assolutamente no, anche perché a mio giudizio è compatibile con quella ipotesi.


GIUSEPPE CALDERISI. Si può anche approvare questo articolo, ma con la stessa avvertenza indicata dal senatore D'Onofrio. Il problema è della norma a regime: se dovessimo adottare la scelta del Senato eletto contestualmente ai consigli regionali, in ogni regione quella rappresentanza verrebbe eletta insieme al consiglio regionale. Questa norma quindi sarebbe inapplicabile. Pertanto, o si accantona l'articolo perché è strettamente connesso alla scelta che dobbiamo fare, oppure lo si approva con l'intesa di riscriverlo qualora venisse adottata quella soluzione; ma questo articolo 88 non può essere la soluzione nel caso di un Senato eletto contestualmente ai consigli regionali.


MARCO BOATO. Credo che sia su questo articolo sia sempre da ora in poi tutte le votazioni che facciamo in sede referente devono essere conclusivamente coordinate non in senso soltanto formale, ma anche sostanziale, con l'impianto complessivo. L'esigenza prospettata dai colleghi Calderisi e D'Onofrio, che condivido, dovremmo considerarla un criterio generale; non a caso si è prospettato di riservare tre giorni al lavoro di coordinamento finale che non sia solo formale ma riguardi l'impianto sistematico del testo. Sono quindi favorevole a votare l'articolo con questa riserva di carattere generale.


PRESIDENTE. Ove necessario si procederà al coordinamento sulla base del modello.


STEFANO PASSIGLI. Presidente, mi consenta comunque di sottolineare, come del resto lei ha già fatto, che il testo conferma assolutamente l'interpretazione da lei data...


PRESIDENTE. Non aprirei una disputa su un tema così ipotetico.


STEFANO PASSIGLI. Parliamo comunque di «fine della precedente», ciascuna Camera; le scansioni temporali sono per le due Camere.


PRESIDENTE. Siamo d'intesa che l'approvazione dell'articolo 88 nel testo attuale non è preclusiva di nessuna delle due ipotesi e, ove necessario, in sede di coordinamento il testo sarà coordinato rispetto al modello scelto. Questo è il punto in linea di principio.


ETTORE ROTELLI. Intervengo per escludere quello che ha detto il collega Boato, che il coordinamento possa essere sostanziale e non solo formale. Nell'Assemblea costituente, in sede di coordinamento fu addirittura abolita l'esclusione della legge elettorale e delle materie oggetto di referendum; è del tutto inopportuna qualcosa di simile.
Fin da ora deve risultare agli atti una precisa contestazione...


PRESIDENTE. Onorevole Rotelli, abbiamo già seguito una procedura, abbiamo operato un coordinamento - è stato già fatto - e laddove questo ha avuto carattere sostanziale abbiamo sottoposto alla


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discussione, al voto della Commissione le correzioni che in quella sede erano state apportate. Così faremo anche questa volta: se in sede di coordinamento interverranno non virgole, ma modificazioni di rilevanza sostanziale le sottoporremo al voto della Commissione; non si cambierà il testo con il coordinamento.
Pongo in votazione l'articolo 88.


(È approvato).


Passiamo all'esame dell'articolo 89, di cui è riproposto il testo precedentemente appprovato.


ETTORE ROTELLI. Non ho presentato emendamenti, ma osservo che la convocazione di ciascuna Camera da parte del Presidente della Repubblica è comunque tale da ledere la separazione dei poteri.


PRESIDENTE. Lei è contrario? Non è un problema di emendamenti, è un problema di principio. È una questione rilevante, se lei ritiene...


ETTORE ROTELLI. Abbiamo votato a favore di un Presidente eletto direttamente. Escluderei che possa convocare il Parlamento. Onestamente non lo so: suppongo che la norma sia stata scritta quando non si pensava che il Presidente dovesse essere eletto direttamente. Comunque, un presidente eletto direttamente che può convocare...: il re nello Stato assoluto lo poteva fare; la monarchia inglese era nel Parlamento, ma qui siamo in un regime di separazione dei poteri.


FAUSTO MARCHETTI. Desidero associarmi alle osservazioni espresse dal collega Rotelli per il caso in cui restasse il Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo.


LUCIANO GASPERINI. Ritengo signor presidente, che al Presidente della Repubblica sia dato un potere eccessivo che contrasta con il principio della separazione dei poteri, anche in virtù delle nuove norme che verranno approvate per l'elezione.
Si potrebbe però proporre un rimedio: indicare perché e in base a quali motivazioni il Presidente della Repubblica può avvalersi di questo straordinario potere di convocazione. Chiariremmo quindi con una motivazione ben specifica le ragioni, le motivazioni, le condizioni in cui il Presidente della Repubblica può invadere il «tappeto» riservato ad altra autorità.
Quanto meno proporrei di indicare in quali condizioni e per quali regioni il Presidente può esercitare questo potere, che per me è comunque eccessivo.


FRANCESCO SERVELLO. Vorrei far notare che già la Costituzione vigente prevede questa facoltà all'articolo 62, il quale recita: «Ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o del Presidente della Repubblica o di un terzo dei suoi componenti. Quando si riunisce in via straordinaria una Camera, è convocata di diritto anche l'altra». Non capisco per quale motivo non sia stata inserita anche quest'ultima frase (ci può essere una differenziazione anche nella composizione, nei poteri e quant'altro).
Mi sembra veramente strano che, essendoci una norma di questa natura con un Presidente eletto dall'attuale collegio del Parlamento in seduta comune con le rappresentanze regionali, questa facoltà in via straordinaria non venga data ad un Presidente che, come è ipotizzato nella forma di Governo, viene eletto direttamente dal popolo. Allora diciamo che questo Presidente ha minori poteri dell'attuale, il che mi pare abbastanza probabile.
Sarei per insistere su questa formulazione che - ripeto - non è nuova, né sarà certamente praticata per fare scherzi o dire barzellette; dovrebbe esserci veramente una ragione straordinaria per poter convocare.


PRESIDENTE. Dipende dagli italiani, se eleggono un Presidente spiritoso!


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GIORGIO REBUFFA. Non c'è dubbio che l'osservazione espressa dal collega Rotelli ha una serie infinita di fondamenti. Qualunque siano le funzioni del Presidente della Repubblica, è eletto con un meccanismo diverso da quello con cui vengono elette le Assemblee. La ragione di questa diversità è stata enfatizzata evitando la contestualità e consiste nel fatto che devono farsi da contrappeso.
Vorrei solo sapere quale sia l'argomentazione che ha portato alla previsione della convocazione da parte del Presidente della Repubblica, argomentazione che - evidentemente per colpa mia - mi è sfuggita.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. La norma riproduce quella della Costituzione vigente e non ritengo che l'elezione diretta modifichi da questo punto di vista i fondamenti di questo potere.
Il Presidente della Repubblica eletto direttamente nella configurazione che emerge dal testo fin qui votato dalla Bicamerale ha poteri ulteriori rispetto a quelli del Presidente attuale, certamente non ha minori poteri; svolge anche una serie di rilevanti funzioni di garanzia, nell'ambito delle quali può rientrare un'attività che tra l'altro è di stimolo e di impulso del funzionamento dell'Assemblea parlamentare. Avrei delle preoccupazioni se il Presidente della Repubblica potesse intralciare il funzionamento dell'Assemblea, non certamente nell'ipotesi contraria.
Non mi sembra che la norma indebolisca in alcun modo il Parlamento e il suo rapporto con il Governo, né tanto meno che rafforzi in maniera pericolosa i poteri del Presidente della Repubblica. Sarei quindi per il mantenimento di questo potere.


GIORGIO REBUFFA. Indebolisce quelli del Parlamento!


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Il Parlamento è indebolito dall'essere chiamato a pronunciarsi? Non mi pare proprio (Commenti dell'onorevole Servello).


GIORGIO REBUFFA. Posso dire semplicemente la mia opinione: si tratta di un errore tecnico. Non intendo replicare al relatore; poiché non inficia l'impalcatura, si potrebbe tranquillamente togliere, sarebbe saggio.


MARCO BOATO. Concordo con le osservazioni della relatrice, non solo perché questa norma è già nella Costituzione vigente e non ha mai creato nessuna ipotesi o concreta possibilità di indebolimento del Parlamento, ma anche perché si tratta di un caso straordinario di convocazione, rispetto al quale i poteri di deliberazione sono totalmente autonomi da parte del Parlamento; non è che il Presidente della Repubblica possa decidere al posto del Parlamento. In casi straordinari - che potrebbero essere di inerzia rispetto a questioni assolutamente eccezionali - il Presidente della Repubblica mette il Parlamento di fronte alla sua responsabilità, ma questo è sovrano del decidere come ritenga.
Sono quindi favorevole a mantenere questa previsione, sia pure eccezionale come è nel testo costituzionale sia vigente sia nuovo, così come proposto dalla relatrice.


CESARE SALVI. Anch'io condivido la posizione espressa dalla relatrice. È vero che ha un fondamento la questione del nuovo sistema, della legittimazione, delle caratteristiche del Presidente della Repubblica, che non saranno più quelle avute fino a questo momento. Tuttavia, non farei francamente una guerriglia su ogni norma per affermare o negare un principio.
Il punto è molto semplice: il potere presidenziale di convocare le Camere, che può essere utile in determinate circostanze, non implica l'intenzione di sterminarle; vengono convocate perché possano


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deliberare. Se poi le Camere non dovessero gradire questa convocazione, troverebbero il modo per farlo sapere, anche ufficialmente e in quel caso quella del Presidente non sarebbe stata una buona scelta. Francamente mi pare una questione che non meriti peculiare approfondimento.


ETTORE ROTELLI. Osservo sommessamente che gli uffici hanno trattato in modo strano le proposte emendative da me presentate: avendo presentato alcuni emendamenti relativi alla sostituzione dell'intero titolo - così come avevano fatto in precedenza anche i gruppi parlamentari - questi sono stati scomposti. Risulta così che ho presentato un emendamento esattamente conforme al testo della Costituzione vigente!
Dopo aver osservato che non avrei diritto a formulare osservazioni avendo presentato un emendamento di tale natura, rilevo in linea generale che il Governo presidenziale è anzitutto una forma per il Parlamento: il Parlamento non ha il potere di mandare a casa il Governo, ma ha il potere di essere separato a tutti gli effetti dal Governo.
Faccio osservare che, nel corso degli ultimi mandati presidenziali, si è ripetutamente verificato un fatto che quasi tutta la dottrina di diritto costituzionale ha contestato, cioè la convocazione dei Presidenti della Camera e del Senato da parte del Presidente della Repubblica. Naturalmente in sede politica possiamo criticare la disponibilità dei Presidenti delle Camere ad essere convocati; comunque, per decisioni che poteva o non poteva prendere il Presidente della Repubblica ha convocato i Presidenti delle Camere, per esempio in materia di giustizia, materia delicatissima, è inutile dirlo.
Bene, non è che in quell'occasione sia stato invocato l'articolo 89 della Costituzione, non mi risulta che ciò sia avvenuto. Tuttavia, il problema della convocazione da parte del Quirinale non delle Assemblee parlamentari ma dei loro Presidenti è esistito ed è stato commentato negativamente dai costituzionalisti di tutti gli orientamenti. Si è parlato addirittura della costituzione di fatto di un organo che non esisteva; quindi, la questione non è davvero marginale.


LEOPOLDO ELIA. Si potrebbe chiarire che il Presidente della Repubblica è stato sempre considerato al di fuori dei poteri tradizionali (lasciamo stare l'interpotere), comunque in una posizione singolare che lo estrania da tutti e tre i poteri, pur avendo alcune competenze che possono riguardare i poteri tradizionali. Quindi, non avendo potestà di incidere sulle sessioni, come ha invece il Presidente francese, né quella di chiedere la fissazione di un ordine del giorno, di un'agenda, rimaniamo nella situazione di garanzia come caso estremo precedente, mentre nella normalità dei casi sarà il Primo ministro, sarà il Governo a chiedere eventualmente una convocazione al Presidente della Camera, qualora ritenga di avere dei problemi particolarmente urgenti, posto che il Parlamento non sia in permanenza in sessione, come attualmente avviene. In conclusione, dichiaro di aderire alla proposta della relatrice.


LUCIANO GASPERINI. La coltissima osservazione del senatore Elia merita ovviamente la massima considerazione e tuttavia vorrei far presente che già due autorità, in base all'articolo 89, hanno il potere di convocare in via straordinaria le Camere: i loro Presidenti ed un quinto dei componenti. Pertanto, se nella configurazione che s'ipotizza al Capo dello Stato sono negati alcuni poteri e si pretende, sulla base dell'articolo 89, di attribuirgli quello di convocare la Camera e il Senato, secondo me poniamo in essere una contraddizione: in primo luogo, perché diamo alla figura del Presidente della Repubblica un'autorità che potrebbe essere ultronea, in quanto disponiamo già di due garanzie della serietà dei lavori parlamentari, cioè della figura dei Presidenti della Camera o del Senato e l'istituzione dell'autorità di un quinto dei componenti di ciascuna Camera; voglio dire che abbiamo già la garanzia che in casi eccezionali ben due


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autorità possano convocare il Parlamento. Peraltro, l'intervento del Presidente della Repubblica, a parte l'invasione del potere, mi pare sia del tutto ultroneo, perché non si comprende cosa in concreto egli possa fare, visto che non ha il potere di formulare l'ordine del giorno, di dettare un indirizzo, di stabilire quale argomento debba essere discusso dalla Camera o dal Senato.
Quindi, ritengo che vi sia un'invasione di poteri, un «disprezzo» dell'autonomia del Parlamento, nonché una sottovalutazione del fatto che già due entità (il Presidente della Camera o quello del Senato ed un quinto dei loro componenti) possono sopperire ad un'eventuale inerzia. Ribadisco, pertanto, il nostro orientamento contrario rispetto al fatto di conferire un ulteriore potere al Presidente della Repubblica.


PRESIDENTE. Vorrei prospettare un'ipotesi perché, a mio giudizio, si pongono forse due problemi: uno è relativo al fatto che la formulazione «Ciascuna Camera può essere convocata per iniziativa di» non mi pare significhi necessariamente che il Presidente della Repubblica convochi la Camera o il Senato, ma è una formula che mantiene una certa ambiguità. In secondo luogo, credo abbia ragione il senatore Elia il quale ha accennato al fatto che in quest'articolo non si prevede in alcun modo che il Governo o il Primo ministro possano chiedere una convocazione straordinaria delle Camere.
Penso, quindi, che si potrebbe articolare diversamente la norma distinguendo tra Presidenti della Camera o del Senato e un quinto dei componenti di ciascuna Assemblea, i quali hanno il potere di prendere l'iniziativa della convocazione, e la facoltà attribuita al Presidente della Repubblica ed al Primo ministro di chiedere la convocazione straordinaria dell'Assemblea, in modo che risulti chiaro che poi la potestà di convocare è del Presidente dell'Assemblea, ma si riconosce che in determinate circostanze straordinarie il Capo dello Stato o il Primo ministro possano chiedere la convocazione straordinaria del Parlamento.
In relazione al nuovo sistema, mi pare che si potrebbe formulare meglio l'articolo: «Ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o di un quinto dei suoi componenti. Il Presidente della Repubblica o il Primo ministro possono chiedere la convocazione in seduta straordinaria». Mi pare che con questa formulazione si terrebbe conto delle esigenze che sono state sollevate senza, tuttavia, privare il Presidente della Repubblica o il Capo del Governo della possibilità di richiedere la convocazione dell'Assemblea e senza, nello stesso tempo, conferire loro il potere di convocarla.


STEFANO PASSIGLI. Vorrei solo osservare che forse la formula «o su richiesta» sarebbe preferibile, perché non è neppure pensabile che una simile richiesta del Capo dello Stato possa essere disattesa dal Presidente della Camera, cosa che invece l'altra formula consentirebbe.


MARCO BOATO. Quella in discussione è una materia su cui forse non abbiamo riflettuto a sufficienza nell'ipotesi di rielaborarla. In linea di principio, non ho nulla in contrario alla proposta da lei formulata, però ho qualche perplessità, che vorrei manifestare in modo interlocutorio. Proprio perché si tratta in via straordinaria di un'ipotesi mai verificatasi in cinquant'anni di vita repubblicana, sarei dell'avviso di mantenere il testo così com'è perché, se il Presidente della Repubblica o il Primo ministro (e, introducendo anche quest'ultimo, potrebbero riemergere le obiezioni, svolte prima impropriamente sul Presidente della Repubblica e che più propriamente riguarderebbero il Capo del Governo, su possibili interferenze tra due poteri dello Stato) ritengono che, di fronte ad un'inerzia - perché questo bisogna presupporre - delle Camere nella propria convocazione da parte dei Presidenti o di minoranze parlamentari, le Camere vadano convocate, niente vieta, senza che vi sia un'esplicita previsione


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costituzionale, che sollecitino i Presidenti della Camera o del Senato ad una convocazione da loro ritenuta necessaria, ma questo non occorre prevederlo in Costituzione.
Peraltro, questo potere straordinario mai esercitato fino ad oggi e previsto in Costituzione è un potere che presuppone l'inerzia: o che le Camere non siano convocate in via ordinaria, o che i rispettivi Presidenti non le convochino in via straordinaria o che, nella medesima fattispecie, neanche minoranze parlamentari di un quinto si autoconvochino, e proprio in questo sta l'eccezionalità della norma che prevede che sia il Presidente della Repubblica a convocare le Camere, salvo che esse sono comunque sovrane di deliberare sul proprio ordine del giorno e su ciò che vogliono decidere.
In ogni caso, la formula da lei proposta, alla quale in linea di principio ribadisco di non oppormi, mi sembra che forse dica troppo, perché mette in causa direttamente anche il Primo ministro, e, nello stesso tempo, dica troppo poco perché, se vi è un'inerzia, rischiamo di aprire un conflitto tra poteri. Infatti, ipotizziamo che il Presidente della Repubblica o il Primo ministro chiedano la convocazione straordinaria ed il Presidente della Camera o quello del Senato non adempiano a questa richiesta perché non la condividono: in tal caso, si aprirebbe un conflitto costituzionale di portata inimmaginabile, cosa che nell'altra ipotesi non avverrebbe, perché il Presidente della Repubblica convoca in via straordinaria, ma ordinariamente le Camere possono deliberare in senso diverso da quello che il Presidente della Repubblica ritiene. In questo caso si tratterebbe tutt'al più di un conflitto politico che non inciderebbe sui poteri costituzionali, perché la Costituzione prevede che il Presidente della Repubblica possa convocare le Camere, queste si convocano e poi assumono le deliberazioni che ritengono opportune. Suggerirei, quindi, di mantenere il testo proposto dalla relatrice.


GIUSEPPE CALDERISI. Concordo con il collega Boato: ho qualche perplessità sul testo, ma ne ho molte di più sulle ipotesi di modifica che erano state avanzate, e ciò per le medesime ragioni testé illustrate dal collega Boato, che quindi non ripeterò. Pertanto, anche sotto il profilo del metodo, visto che nel Comitato non abbiamo affrontato il problema, mi parrebbe difficile giungere qui ad una diversa formulazione.


PRESIDENTE. Passiamo al voto sul testo dell'articolo 89 proposto dalla relatrice.


FAUSTO MARCHETTI. Credo che le considerazioni svolte dal collega Elia dovrebbero invece indurci a riflettere sul fatto di mantenere l'attuale testo della Costituzione su questo punto. Giustamente egli osservava che il Presidente della Repubblica è sempre stato considerato in qualche modo al di fuori dei tre poteri tradizionali, mentre invece, per come tale organo è configurato nel nuovo testo, è un Presidente della Repubblica che certamente assume una caratteristica del tutto particolare, ma di natura affatto diversa da quella che ha avuto fin qui: infatti, verrebbe eletto direttamente dal popolo ed investito di un mandato molto politicizzato; un potere speciale che viene creato, un potere nuovo, che mantiene talune prerogative che spettano all'attuale Presidente della Repubblica e che ne assume di nuove.
In questo quadro si pone l'esigenza che il Parlamento, che peraltro viene abbastanza ridimensionato quanto ad una serie di possibilità di intervento rispetto al ruolo che assume il Governo (sappiamo quale rapporto complessivamente si delinei tra Presidente della Repubblica e Governo: tutto si sposta contro - starei per dire - i poteri del Parlamento), venga al massimo salvaguardato nella sua autonomia nell'ambito del quadro complessivo che viene a configurarsi. In questo senso mantenere al Presidente della Repubblica anche la possibilità di convocare il Parlamento, sia pure in via straordinaria (il


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che significa quanto ritiene che vi siano motivi straordinari per convocarlo), potrebbe indurlo molto di più che nel passato ad esercitare questa sua facoltà, proprio per sottolineare maggiormente il ruolo politico che viene ad assumere nel nuovo contesto che si va a delineare. Il potere viene dunque ad essere connotato in maniera del tutto diversa rispetto a quella con la quale viene configurato nell'attuale testo della Costituzione.
Credo che la proposta che aveva avanzato il presidente tenesse conto di molte perplessità che nel corso del dibattito erano state manifestate. È vero comunque che sul punto non c'è stata discussione e probabilmente nella complessità dei nostri lavori e nella ristrettezza del tempo non si è prestata sufficiente attenzione alla questione, sulla quale bisognerà tornare.
Ormai il presidente ha posto in votazione il testo dell'articolo 89, ma avremmo gradito che mantenesse l'ipotesi che aveva da ultimo formulato. Perciò il nostro voto sull'articolo 89 sarà negativo, se il testo resta questo, e la negatività dipende esclusivamente dall'estensione di questo potere al Presidente della Repubblica.


GIOVANNI RUSSO. Vorrei soltanto ricordare che l'attuale norma costituzionale si apre con un primo comma che prevede la convocazione di diritto; il che spiega la convocazione straordinaria.
Questa norma che prevede la convocazione in via straordinaria senza la previsione della convocazione ordinaria mi pare, per così dire, zoppa. Mi domando se non converrebbe prevedere che ciascuna Camera è convocata per iniziativa del suo Presidente e, nel comma successivo, che può essere convocata in via straordinaria su richiesta di un terzo dei suoi componenti ovvero su richiesta del Presidente della Repubblica o del primo ministro. Prevedere infatti la convocazione in via straordinaria per iniziativa del Presidente sullo stesso piano del Presidente della Repubblica non ha senso se non c'è una norma che regoli le convocazioni in via ordinaria.


PRESIDENTE. Il collega Russo ha fatto un'osservazione giusta. Effettivamente abbiamo desunto dall'attuale testo costituzionale il concetto di convocazione in via straordinaria, che nell'articolo 62 fa da pendant alla previsione della convocazione di diritto delle sessioni. Tale previsione è poi venuta meno ed in sostanza il Parlamento è riunito in sessione costante, per cui tutta l'impalcatura dell'articolo 62 è stata nei fatti superata. Si trattava della previsione delle sessioni parlamentari di diritto, quella che si apriva a febbraio e quella che si apriva ad ottobre, in relazione alle quali c'era la facoltà di convocazione in via straordinaria.
Quindi effettivamente questo riportare una parte delle disposizioni contenute nell'articolo 62 rischia di ingenerare equivoci. Penso che la riformulazione che propone il collega Russo alla fine sia la più efficace.


ANTONIO SODA. Nel primo comma dell'articolo 88 del testo che stiamo esaminando è prevista la convocazione della prima riunione, nella logica della sessione ordinaria e permanente. La convocazione ordinaria è quella di cui al secondo inciso del primo comma, nella logica della sessione unica, superando le due sessioni. Poi interviene eventualmente la sessione straordinaria.


PRESIDENTE. Quella dell'articolo 88 è una norma di garanzia. Non vuol dire che da quel momento in poi l'Assemblea parlamentare è convocata in seduta permanente.


ANTONIO SODA. In seduta permanente no, ma la sessione ordinaria si apre così.


PRESIDENTE. La proposta Russo è la seguente: «Ciascuna Camera è convocata in via ordinaria dal proprio Presidente. Può essere convocata in via straordinaria su richiesta di un quinto dei suoi componenti o del Presidente della Repubblica».


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MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Condividendo pienamente l'osservazione del collega Russo, mentre per quanto riguarda l'osservazione del collega Soda mi sembra che ci si dovrebbe far carico poi almeno della sospensione feriale, la formulazione che propongo è: «Ciascuna Camera è convocata dal proprio Presidente e può essere convocata in via straordinaria su richiesta del Presidente della Repubblica o di un quinto dei suoi componenti». Non è necessario precisare «in via ordinaria».


PRESIDENTE. Si tratta di decidere se vogliamo giungere che in via straordinaria è convocata anche su richiesta del primo ministro.


MARCO BOATO. Signor presidente, anziché «può essere» dovremmo prevedere «è convocata in via straordinaria su richiesta...». Se un quinto dei componenti di una Camera ne fa richiesta, è automatica la convocazione.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Avendo posto il problema di cancellare l'iniziativa del Presidente della Repubblica, non vorrei che la facoltà sia estesa anche al primo ministro. Occorre evitare tutte le situazioni in cui si accentua quel dualismo (vedo che il professor Elia acconsente) che è il difetto maggiore del semipresidenzialismo francese. Andrebbe quindi previsto o il Presidente della Repubblica o il primo ministro, ma opterei per il Presidente della Repubblica perché se fosse il primo ministro si porrebbe il problema che la richiesta potrebbe essere avanzata con un atto autorizzato dal Presidente della Repubblica.


MARCO BOATO. Non occorre estendere la previsione anche al primo ministro perché, mentre il Presidente della Repubblica ha un'altra legittimazione, il primo ministro ha una sua maggioranza. Se il Presidente della Camera o del Senato non convocano le rispettive Camere, la maggioranza si farà carico di farla convocare.


PRESIDENTE. L'osservazione è giusta. Mi sembra che abbiamo trovato la formulazione dell'articolo 89, che dovrebbe essere del seguente tenore: «Ciascuna Camera è convocata dal proprio Presidente ». Qui si potrebbe dire: « o in via straordinaria su richiesta...».


SERGIO MATTARELLA. Mettiamo un punto, presidente.


PRESIDENTE. La relatrice propone: «Ciascuna Camera è convocata dal proprio Presidente e in via straordinaria dal Presidente della Repubblica o da un quinto dei suoi componenti».
Preferirei però mantenere l'espressione «su richiesta», perché se diciamo che la Camera è convocata dal proprio Presidente, è pur sempre il Presidente che convoca, anche recependo la richiesta.


MARCO BOATO. Bisognerebbe togliere il «può» e dire «è convocata su richiesta».


PRESIDENTE. «...e in via straordinaria su richiesta del Presidente della Repubblica o di un quinto dei suoi componenti».


GIOVANNI RUSSO. Siccome dicendo «su richiesta» la Camera è sempre convocata dal Presidente, suggerirei: «...è convocata per iniziativa del proprio Presidente. Può essere convocata in via straordinaria su richiesta...».


PRESIDENTE. Non mettiamo «per iniziativa» ma «è convocata dal proprio Presidente».


LUCIANO GASPERINI. Ciò significa che i Presidenti delle Camere sono obbligati ad aderire alla richiesta?


PRESIDENTE. Significa che normalmente i Presidenti delle Camere accolgono la richiesta.


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FRANCESCO SERVELLO. Sottolineo che la richiesta del Capo dello Stato costituisce un elemento di collegamento tra il vertice dello Stato e il Parlamento, e non un elemento di indebolimento del sistema.


PRESIDENTE. Comunque il fatto che su richiesta il Presidente convochi è diverso dal punto di vista costituzionale dall'ipotesi che il Capo dello Stato convoca le Camere.


LUCIANO GASPERINI. Mi scusi presidente. Si può dare anche la facoltà di rifiuto al Presidente delle Camere?


PRESIDENTE. Sì, ma si è obiettato da parte di numerosi colleghi che questo può innescare un rischio di conflitto istituzionale. Quindi ho recepito l'osservazione di molti colleghi che hanno osservato che in questo modo si gettano le basi di un possibile conflitto istituzionale.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. L'uomo del colle non deve mai chiedere e non deve mai sentirsi rifiutare.


PRESIDENTE. Pongo dunque in votazione la seguente formulazione dell'articolo 89: «Ciascuna Camera è convocata dal proprio Presidente e, in via straordinaria, su richiesta del Presidente della Repubblica o di un quinto dei suoi componenti».


(È approvata).


Risultano pertanto assorbiti gli emendamenti elencati in allegato, e respinti gli altri, relativi all'articolo 89.
Passiamo all'articolo 90, sul quale c'è una correzione formale proposta dalla relatrice e poi c'è un punto un po' più di sostanza che il Comitato ha discusso, relativo alla validità delle deliberazioni che, come vedete, nel testo dell'articolo 90 è collegata all'approvazione della maggioranza dei partecipanti al voto, non della maggioranza dei presenti, sulla base del meccanismo che attualmente vige al Senato, che è diverso da quello della Camera.
Si è lungamente discusso di tale questione. Lo dico perché l'onorevole Boato propone, invece, di sostituire questa formula con la seguente: «se non sono adottate a maggioranza dei presenti».


MARCO BOATO. Che è la formula della Costituzione vigente.


PRESIDENTE. Tuttavia, alla fine della discussione il Comitato ha scartato questa proposta, dal collega avanzata anche in quella sede, perché la relatrice ha fatto osservare che l'articolo 90 così come proposto contiene una forte innovazione, cioè l'abbassamento del quorum di validità delle sedute ad un terzo dei componenti.
Non c'è dubbio che si tratti di due questioni distinte, tuttavia esse sono connesse. La relatrice sostiene che riducendo il quorum per la validità della seduta ad un terzo dei componenti sia giusto mantenere il criterio che per la validità delle decisioni occorre la maggioranza dei partecipanti al voto, non dei presenti, che è un criterio più severo. È per questa ragione che si è ritenuto di non accettare la proposta del collega Boato, che ora egli ora ripropone.


MARCO BOATO. La questione del quoziente per il numero legale - al cui abbassamento sono favorevole - e quella della validità per l'approvazione sono due questioni distinte. Personalmente, credo che non possa, anzi non debba - perché potrebbe, ma io non sono d'accordo - essere omologato il meccanismo della Camera o del Parlamento in seduta comune a quello legittimamente oggi vigente al Senato.
Al Senato - sono stato senatore ed ho fatto questa esperienza direttamente - si vota a favore, contro o astenuto e si sommano i contrari e gli astenuti rispetto ai favorevoli. Se la somma dei contrari e degli astenuti è superiore ai favorevoli, il provvedimento o l'articolo sono bocciati.


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Alla Camera chi si astiene si astiene, cioè decide di essere indifferente alla votazione, quindi se i voti favorevoli prevalgono sui contrari il provvedimento o articolo o quant'altro è approvato, viceversa è respinto. A me pare che la formulazione della Costituzione vigente, che ho riproposto, sia più corretta, in quanto permette al Senato di mantenere nel proprio regolamento, se lo riterrà, la forma di votazione attuale, ma alla Camera ed al Parlamento in seduta comune di non costringere chi vuole astenersi ad uscire dall'aula, così come deve fare chi al Senato voglia segnare una astensione vera e propria e non dare valenza di voto contrario alla sua scelta.
A me pare più saggia l'attuale formulazione della Costituzione e quindi suggerirei di ripristinarla, tenendo distinto il problema della valutazione dalla questione del numero legale, che è appunto questione diversa ed a proposito della quale concordo con la proposta della relatrice.


LEOPOLDO ELIA. C'è anche una sentenza della Corte che ammette queste due possibilità.


GIUSEPPE CALDERISI. Concordo con l'osservazione del collega Boato. La formulazione che egli propone, come l'attuale testo della Costituzione, consente poi alla Camera e al Senato di adottare l'una o l'altra delle due formule; mentre se accogliessimo quella della relatrice saremmo vincolati ad una impostazione che, come il collega Boato ha evidenziato, costringerebbe chi si vuole astenere ad uscire dall'aula. Non mi sembra una soluzione migliore e adeguata.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Io insisto sulla necessità di collegare le due determinazioni e di non tenerle distinte. Infatti, se si abbassa ad un terzo il quorum di validità della seduta - proposta che mi pare i colleghi in linea di massima condividano, poiché evidentemente risponde a criteri di funzionalità delle aule parlamentari, rendendo più difficili manovre ostruzionistiche - e poi si consente di tenere in vita il metodo di computo dei voti attualmente in vigore alla Camera, veramente si rischia che le deliberazioni siano adottate da un numero di parlamentari assai esiguo. La Costituzione attuale lascia quello spazio ai regolamenti in quanto il quorum per la validità delle sedute è più elevato. Chiedo, dunque, che non si decida sulla seconda parte, cioè quorum per la deliberazione, indipendentemente dalla prima e, se si deve arrivare ad una votazione, che si metta ai voti alternativamente il testo da me proposto con il testo della Costituzione vigente (cioè maggioranza assoluta per la validità della seduta, con quel che segue per il computo dei voti). Tra le due soluzioni continuo a preferire quella da me proposta.


PRESIDENTE. Sono due ipotesi alternative e si potrebbe anche votare, come si fa nei Parlamenti democratici.


MARCO BOATO. Vorrei fare ancora una brevissima osservazione.


PRESIDENTE. Non è possibile, perché dovrei dare la parola prima ai colleghi che ne hanno fatto richiesta.


MARCO BOATO. Non la faccio.


PRESIDENTE. Io propongo di votare.


ERSILIA SALVATO. Se lei propone di votare, io chiedo che si voti in modo disgiunto, cioè che si voti prima la proposta di abbassamento del quorum per il numero legale e poi sull'altra questione. Siamo infatti contrari a quell'abbassamento; pensiamo, ad esempio, ad un Senato di 200 componenti: con l'abbassamento del quorum avremo in aula 66-67 persone e, accogliendo la proposta della relatrice, 33-34 persone potranno deliberare su leggi a volte anche molto importanti.


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PRESIDENTE. Quindi lei chiede di votare anche sul quorum. Si tratta di una richiesta che in precedenza non era stata avanzata.


FRANCESCO SERVELLO. Faccio soltanto osservare che la proposta Boato può essere accolta anche perché il nuovo articolo 90 dà potere regolamentare quasi pieno, se non pienissimo, alla Camera e al Senato, che appunto in sede regolamentare dovranno adottare questi principi generali. C'è solo un cambiamento in ordine alla validità della seduta e, per esperienza, credo di poter rilevare che una norma di questo tipo sia opportuna e necessaria.


GIUSEPPE CALDERISI. Ritengo che il problema del quorum vada votato disgiuntamente.


PRESIDENTE. Infatti lo abbiamo appena deciso.


GIUSEPPE CALDERISI. Concordo anch'io sul fatto che bisognerebbe tentare di evitare che, con l'approvazione del quorum di un terzo, si possano approvare leggi con il voto favorevole di un sesto dei deputati.


PRESIDENTE. Quindi lei è contrario all'abbassamento del quorum.


GIUSEPPE CALDERISI. Sono favorevole ad introdurre tutti i meccanismi che evitino l'uso ostruzionistico della mancanza del numero legale - per intenderci -, ma sono perché le leggi siano votate almeno con il consenso di un quarto dei componenti l'Assemblea, cioè la metà della metà. Un sesto mi sembra un numero troppo esiguo.


PRESIDENTE. Domando se vi siano obiezioni alla riformulazione formale del secondo comma.
Poiché non vi sono obiezioni, possiamo procedere in ordine.
Pongo pertanto in votazione la proposta, avanzata dall'onorevole Salvato, di sostituire l'espressione «non sono valide se non è presente un terzo dei componenti» con «non sono valide se non è presente la metà dei componenti», tornando così all'attuale formulazione.


(È respinta).


Alcuni colleghi contestano l'esito di tale votazione, ma io mi fido dell'onorevole Boato, che sa contare ed è uomo d'onore. È l'uomo delle garanzie!


GIUSEPPE CALDERISI. Non per sfiducia nei confronti del collega Boato, ma perché un errore è possibile, chiedo la controprova.


PRESIDENTE. Poiché ne viene fatta richiesta, invito i segretari a procedere alla controprova.


(È respinta).


I commissari si sono espressi a favore e contro in egual numero, pertanto la proposta è respinta. Resta il testo attuale e decideranno le Camere.
Pongo in votazione la proposta, presentata dall'onorevole Boato, di sostituire l'espressione «e se non sono approvate dalla maggioranza dei partecipanti al voto» con la seguente: «e se non sono adottate a maggioranza dei presenti», cioè la formulazione della Costituzione vigente.


(È approvata).


Il combinato disposto dei due voti fa sì che le leggi potrebbero essere approvate con un numero assai esiguo di deputati!


SERGIO MATTARELLA. Se è possibile osservarlo, presidente, anche il testo proposto dalla relatrice si presterebbe a dubbi interpretativi, così come quello attuale della Costituzione.


PRESIDENTE. Avremo comunque possibilità di tornare con più attenzione sulla materia.


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ANTONIO SODA. Vorrei richiamare l'attenzione della relatrice sul quinto comma, secondo il quale «Il regolamento garantisce ». Il riferimento deve essere al regolamento della Camera dei deputati, perché l'altro sarà il regolamento del Senato delle garanzie, comunque sia esso composto.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Si fa riferimento alle opposizioni, al plurale, comunque ai gruppi di minoranza.


ANTONIO SODA. Mi sembra che, per un organo di garanzia, sia una contraddizione introdurre delle garanzie di altri, ma all'opposizione.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Altro è la garanzia rispetto al sistema complessivo, altro è la garanzia interna fra le componenti di un organo: sono due piani completamente diversi.


ANTONIO SODA. Il riferimento, in questo caso, è alle Commissioni: non credo che si possa parlare per il Senato, che ha una funzione di garanzia, di Commissioni permanenti aventi funzioni legislative e Commissioni di garanzia, atteso che l'intero ruolo del Senato è di garanzia.
La garanzia per le opposizioni che viene qui prevista è con riferimento alla distinzione tra Commissioni che svolgono le funzioni legislative e Commissioni che svolgono le funzioni di vigilanza, di controllo e di garanzia; oppure prevedete anche per il Senato una duplicità di funzioni?


PRESIDENTE. L'onorevole Soda obietta che il concetto di opposizione si possa applicare anche al Senato quale organo di garanzia, dove non si incardina la dialettica maggioranza-opposizione.


ANTONIO SODA. Vorrei aggiungere un'altra osservazione: quando si specifica «dispone l'iscrizione all'ordine del giorno di proposte e iniziative autonomamente determinate», i termini sono veramente ambigui perché sembra quasi che vi siano delle iniziative coattivamente determinate. Bisogna chiarire invece che ci si riferisce alle iniziative delle opposizioni.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Iniziative che non devono essere discusse in sedi come la Conferenza dei capigruppo.


ANTONIO SODA. Tutte le iniziative sono autonome; è inimmaginabile l'iniziativa di un parlamentare, o di un gruppo parlamentare, determinata non autonomamente ma coattivamente.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Autonomamente determinate ai fini dell'iscrizione all'ordine del giorno.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Innanzitutto, naturalmente, non si può partire dall'affermazione di un Senato delle garanzie: io che non sono quasi mai d'accordo con quanto dicono le regioni, lo sono invece nel ritenere che la definizione di Senato delle garanzie sia un'amenità. In secondo luogo, anche a prescindere dalla definizione e a voler accettare l'idea che vi sia un Senato delle garanzie, è del tutto evidente che si tratta di una garanzia fra i soggetti dell'ordinamento, non di una garanzia al proprio interno; quindi, non c'entra assolutamente niente la garanzia nei rapporti tra maggioranza e minoranza, o fra Governo e opposizioni, con la garanzia tra regioni, province, comuni e altri soggetti dell'ordinamento.
Inoltre, posso garantire che al Senato vi sarà l'opposizione, qualunque sia il Governo in carica: è quindi bene che al Senato le opposizioni vengano tutelate; non si vede perché al Senato non debbano


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esserlo. Visto che la funzione complessiva del Senato è di garanzia, non vi deve essere garanzia delle opposizioni? È un ragionamento che non sta assolutamente in piedi. La norma deve valere per Camera e Senato.


GIUSEPPE CALDERISI. Signor presidente, desidero segnalare due questioni relative all'articolo 90. In primo luogo, mi sembra possa essere utile prendere in considerazione un emendamento dei colleghi Petruccioli e Morando del seguente tenore: «Le votazioni hanno luogo a scrutinio palese; sono effettuate a scrutinio segreto le sole votazioni riguardanti le persone». Questo se vogliamo inserire in Costituzione la limitazione del voto segreto per le sole votazioni riguardanti persone.
In secondo luogo, quando all'ultimo comma si fa riferimento alle Commissioni aventi funzioni di controllo o di garanzia (a parte che manca un «e/o»), chiedo se questa formula includa anche le Commissioni d'inchiesta: a mio avviso deve includerle. Non so se bisogna precisarlo e, se si ritiene che questa formulazione già le includa, è bene che questo rimanga agli atti: se non vi dovesse essere accordo su tale aspetto, bisognerà decidere al riguardo.
Per quanto concerne la questione posta dal collega Soda, mi sembra che essa abbia un fondamento, perché indubbiamente il concetto di opposizione è in rapporto al Governo, quindi ad una Camera dove vi è un rapporto fiduciario. Per il Senato, bisognerebbe forse parlare di minoranze: certamente, infatti, suscita degli interrogativi il concetto di opposizione riferito ad una Camera priva del rapporto fiduciario.


FRANCESCO D'ONOFRIO. Sono pienamente d'accordo con l'osservazione del collega Soda: non vi è dubbio che un Senato di garanzia, sia federalistica sia delle libertà, non è strutturabile in opposizioni e maggioranza, perché non ha un Governo di fronte. Non so, se passa la tesi del Senato misto, quali compiti potrebbero avere i 200 non eletti dal punto di vista delle Commissioni, ma è bene chiarire che qui stiamo discutendo ancora di un sistema parlamentare che sa di bicameralismo perfetto, mentre occorre capire che dobbiamo distinguere di più fra la Camera politica, con una maggioranza ed una opposizione di fronte al Governo, ed un Senato che è un'altra cosa. La collega Dentamaro dovrebbe cercare di affinare questa distinzione dei due organi parlamentari in modo che sia chiaro che la regola per uno non vale automaticamente per l'altro. Soda, quindi, diceva cose totalmente condivisibili.


SERGIO MATTARELLA. Ritengo che l'ultimo comma dell'articolo 90 meriti un'attenzione particolare da parte della Commissione. Temo che l'attuale formulazione sia foriera di rischi interpretativi e di conflitti molto aspri nella vita parlamentare; ripropongo quindi il nostro emendamento C.90.66, perché l'indicazione che i presidenti delle Commissioni di controllo o di garanzia debbano essere designati dalle opposizioni è vaga, imprecisa, susciterà gravi problemi applicativi. Lo conferma l'intervento di poc'anzi dell'onorevole Calderisi, che assume entro questo ambito e confine anche le Commissioni d'inchiesta.
L'altra considerazione è che l'ultimo comma dell'articolo 90 non varrebbe per il Senato, dove non vi sono maggioranza e opposizione politicamente qualificate e che secondo il testo della relatrice è l'unica Camera che può svolgere inchieste parlamentari. La definizione di cosa è controllo e garanzia è talmente imprecisa, potenzialmente onnicomprensiva o di ridottissimo ambito, da mettere le Camere nella sostanziale impossibilità, nello scrivere il regolamento, di precisare questi aspetti.
Credo sia giusto affermare il principio, che va definito con chiarezza nei regolamenti, del ruolo delle opposizioni nelle Commissioni di controllo e garanzia, demandando però tutto al regolamento di ciascuna Camera, che così definirà cosa è controllo e garanzia, quali Commissioni


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hanno questa natura, che ruolo devono avere in esse le opposizioni. Ma dettare oggi in Costituzione, in maniera rigida, e nel contempo con termini così vaghi, questa prescrizione è a nostro avviso un errore: chiediamo quindi che in Costituzione vi sia una più saggia indicazione di principio e di orientamento per i regolamenti, entro cui si esplicherà la sovranità di ciascuna Camera nella sua specifica funzione.


MAURIZIO PIERONI. Signor presidente, mi sembra che le posizioni degli onorevoli Mattarella e Calderisi siano suscettibili dell'accusa di opposto estremismo. Ritengo che le prerogative delle opposizioni vadano seriamente salvaguardate: vi è un impegno collettivo in materia che non può essere disatteso. L'obiezione del collega Soda, però, è fondata: che le presidenze delle Commissioni di controllo e garanzia, alla Camera, vadano alle opposizioni, mi sembra indiscutibile nella nuova dialettica parlamentare che andiamo ad instaurare; si deve però scrivere il testo in maniera tale che si comprenda chiaramente che si prescinde da ciò per il Senato. Infatti, ove passasse, per esempio, l'ipotesi Nania di un Senato strettamente proporzionale, nessuno comprenderebbe più quali sono le opposizioni, quali le maggioranze: non sarebbe una Camera politica, non avrebbe un ruolo fiduciario nei confronti del Governo e le presidenze delle Commissioni d'inchiesta finirebbero addirittura per essere affidate quasi obbligatoriamente al gruppo più minoritario. Sono quindi per mantenere la presidenza delle Commissioni di controllo e di garanzia alle opposizioni, così come nel testo della relatrice, ma con esplicito riferimento alla Camera.


SERGIO MATTARELLA. Voglio fare una domanda al collega Pieroni: non è detto che vi sia solo un'opposizione, possono esservi più opposizioni; si rischia di creare una paralisi nella vita parlamentare.


MAURIZIO PIERONI. Appunto per questo rispondo serenamente al collega Mattarella che il problema sarà risolto con la stesura del regolamento; a mio avviso, è importante distinguere Camera e Senato, perché il principio va salvaguardato in Costituzione per la Camera . Si può quindi riferire questo comma soltanto alla Camera: è chiaro che per il Senato siamo in una logica totalmente diversa.


GIORGIO REBUFFA. Innanzitutto, sono d'accordo con l'intervento del collega Soda cui sono poi seguite le precisazioni del collega Pieroni: non possiamo permetterci di confondere la natura della Camera e del Senato; sono contrarissimo, come ho già detto molte volte, a un'idea del Senato delle garanzie intesa in senso lato, mentre sono favorevolissimo ad un Senato delle garanzie relativamente ai rapporti fra centro e periferia. È ovvio che in questa seconda Assemblea il carattere delle opposizioni non è quello proprio alla prima Camera: l'opposizione è al Governo, alla maggioranza ed in questo caso si tratta di gruppi di minoranza che su varie questioni hanno opinioni diverse.
Per quanto riguarda la questione sollevata dal collega Mattarella, ho letto con attenzione l'emendamento C.90.66, ma vi è un problema che il collega Mattarella conosce meglio di me: è noto che la trasformazione del nostro sistema parlamentare, a Costituzione vigente, è avvenuta attraverso le modifiche regolamentari e che il rapporto tra maggioranza e opposizioni si è giocato sulle modifiche regolamentari. Siccome tutti abbiamo a cuore, da diversi punti di vista, che il rapporto tra maggioranza e opposizione sia quello che vogliamo scrivere in Costituzione, rinviare tutto al regolamento, senza fissare in Costituzione i principi di quel rapporto è il pericolo massimo che possiamo correre di infrangere il destino della volontà costituzionale che qui esprimiamo. Sono quindi dell'opinione (senza essere estremista in alcun senso, senatore Pieroni) che l'emendamento Mattarella vada respinto, poiché dobbiamo invece seguire la via costituzionale.


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NATALE D'AMICO. Non mi pare che si possa parlare di funzioni delle opposizioni nella Camera delle garanzie, così come è intesa in questo testo, né mi pare aiuti parlare di minoranze (come presidente della commissione verrebbe eletto non il primo ma il secondo, in base ad un criterio alquanto strano). La norma dovrebbe essere riferita, quindi, solo alla Camera politica, a quella cioè che dà la fiducia al Governo.
Una seconda questione è riferita ai numerosi emendamenti che propongono che si voti in entrambi le Camere solo a scrutinio palese, con l'eccezione delle votazioni sulle persone. Mi sembrerebbe utile che la Commissione votasse su questo principio.


ANTONIO ENRICO MORANDO. La Commissione ha fatto emergere un orientamento che presumo favorevole ad un subemendamento al comma che stiamo discutendo che stabilisca semplicemente che le garanzie per le opposizioni sono riferite esclusivamente alla Camera dei deputati. Propongo che si metta in votazione il testo con questa modifica «Il regolamento della Camera dei deputati garantisce...».


MASSIMO VILLONE. Per cercare di rispondere all'obiezione del collega Mattarella che credo abbia qualche fondamento potremmo far riferimento ai presidenti «di» Commissione aventi funzioni di controllo e garanzia. In questo modo eviteremmo di dover esaustivamente indicare il contenuto di questa categoria che rimane in un certo senso indeterminata. Lasciamo poi al regolamento l'individuazione di quali possano essere, con l'ovvia esclusione delle Commissioni permanenti.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Desidero precisare il ragionamento attraverso il quale si è arrivati a questa formulazione. Poiché mi pare di capire che molti colleghi facciano riferimento soprattutto alla previsione di leggi elettorali completamente diverse per Camera e Senato - ciò senza dubbio è sullo sfondo dei nostri ragionamenti - sottolineerei il fatto che ciò rimane sullo sfondo del problema. Del resto la Costituzione vigente presuppone sistemi elettorali di tipo proporzionale ma non li costituzionalizza; essa comunque è stata applicata negli ultimi anni anche in presenza di sistemi elettorali più fortemente maggioritari.
Anche in questa fase dobbiamo sforzarci di trovare formule che diano una cornice istituzionale a ipotesi plurime, diverse, non ancora del tutto prevedibili, di legge elettorale e, a maggior ragione, di quadro politico. Il Senato non avrà certamente un'opposizione rispetto al Governo in senso tecnico, ma avrà delle minoranze. Mi pare che questa formulazione del quinto comma, riferendosi genericamente al regolamento e alle opposizioni, consenta che ogni regolamento si adatti alle situazioni di ciascuna Camera quali si delineeranno soprattutto a seguito dell'adozione delle leggi elettorali.
Voglio anche ricordare che questa disposizione ha preso le mosse da una serie di emendamenti che prevedevano garanzie - sempre rinviando ai regolamenti - per l'attività non solo delle minoranze ma addirittura dei singoli parlamentari. Quindi, mi sembrava che questa cornice, che lascia qualche flessibilità a entrambi i regolamenti pur dando indicazioni precise circa la garanzia di quelle parti delle assemblee che non si coaugulano in una maggioranza, potesse essere sufficientemente rispettosa dello spirito di tutte le proposte formulate dai vari colleghi nel corso dei lavori.
Per rispondere a Calderisi, che sottolineava la necessità di una precisazione, mi pare che le Commissioni d'inchiesta non possano in alcun modo non considerarsi incluse nelle Commissioni di controllo.
Sulla dizione «autonomamente determinate» ho già accennato una risposta: «autonomamente determinate ai fini dell'iscrizione all'ordine del giorno». Si tratta non di una mera riserva di spazi per le iniziative delle opposizioni, che poi debbono


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concordare con altri come riempirli, ma di uno spazio riservato anche nella determinazione del contenuto.
Mi è parso di capire che vi è la proposta di aggiungere alle parole «al regolamento», le parole «della Camera dei deputati». Ho spiegato le ragioni per le quali sono contraria.


PRESIDENTE. È difficile configurare nel Senato, che non ha rapporto fiduciario con il Governo, una dialettica maggioranza-opposizione. La prospettata ipotesi che il Senato, in quanto Assemblea delle garanzie, sia eletto con un metodo elettorale diverso di tipo più proporzionale rispetto a quello adottato alla Camera, rende ancora più problematico applicare questo concetto, perché, per esempio, l'attuale maggioranza di Governo non sarebbe maggioranza al Senato e quindi sarebbe una minoranza da tutelare.
Il riferimento è sufficientemente generico, tuttavia ho la sensazione che qualche distinzione andrebbe introdotta, almeno fino a quando manteniamo l'ipotesi di un Senato delle garanzie, ipotesi che Rotelli considera coerentemente insussistente.
Poiché prevediamo che le Commissioni d'inchiesta appartengano al Senato, in costanza del testo che abbiamo sotto agli occhi, non le aggiungerei perché ciò sarebbe palesemente contraddittorio con il concetto di cui sopra.


SERGIO MATTARELLA. A prescindere da questo dato, non sarebbe opportuno ugualmente.


PRESIDENTE. La posizione di Mattarella è chiara, è più drastica. La mia personale opinione è che, mantenendo il testo attuale ma precisando che il riferimento è alla Camera dei deputati, laddove si incardina la dialettica maggioranza opposizione (Commenti). A mio parere è la correzione più adeguata. Naturalmente prima di discutere di questo, vi è l'ipotesi più radicale contenuta nell'emendamento Mattarella e prima ancora la richiesta di Calderisi di votare sull'emendamento Morando e Petruccioli sul voto segreto, questione di grande rilevanza perché, come voi ricorderete, il delicato compromesso raggiunto alla Camera salvaguardava il voto segreto non soltanto sulla materia regolamentare ma anche sulle decisioni attinenti ai diritti fondamentali (uso quest'espressione impropria per la nostra Costituzione). Si tratta, quindi, di un mutamento molto radicale.


MARCO BOATO. Ieri alla Camera abbiamo votato a scrutinio segreto sul regolamento.


PRESIDENTE. Infatti, ho parlato di materia regolamentare e di diritti fondamentali previsti dalla I parte della Costituzione.


GIUSEPPE CALDERISI. Sulla questione che ha posto il collega Soda, un'ipotesi potrebbe essere quella - suggerita anche dal collega D'Onofrio - di una distinzione per cui potremmo approvare il comma facendo riferimento alla Camera e, nell'ambito delle norme che dovremo predisporre per il Senato, aggiungere una previsione di salvaguardia, ma diversamente impostata, da sviluppare in relazione al modo in cui verrà concepito il Senato. Riserverei quindi questo comma solo alla Camera, lasciando la possibilità di prevedere alcune norme - simili ma più specifiche - per il Senato.


PRESIDENTE. Dovremmo parlare di minoranze.
Sinceramente mi sembra difficile l'estensione per analogia, perché viene introdotto un concetto forte e innovativo, cioè l'idea che nel regolamento della Camera dei deputati debba riflettersi quella concezione dello statuto dell'opposizione che è legata ad una democrazia di tipo bipolare. Così come lo abbiamo configurato, il Senato è un'altra cosa. È chiaro che si dovranno garantire i diritti dei singoli e delle minoranze, ma è un fatto normale che non credo si debba specificare in Costituzione.


SERGIO MATTARELLA. Dovrebbe essere in re ipsa nella vita del Parlamento.


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PRESIDENTE. È evidente: dovrebbe essere normalmente attinente alla vita del Parlamento.
Vedo il valore della novità riferita alla Camera e quindi anche il valore di una previsione costituzionale legata all'idea di una democrazia bipolare. Per il Senato lascerei perdere.


FRANCESCO SERVELLO. Poiché l'espressione «il regolamento» non è necessariamente riferita ad una Camera piuttosto che all'altra, né ad entrambe, lasciamola così com'è. Al Senato eventualmente potremo tornare sulla questione e specificare se questo tipo di garanzia o di privilegio sia limitato ad una Camera.


PRESIDENTE. Nell'ultima ora abbiamo discusso proprio di questo, nel senso che numerosi colleghi contestano proprio questa proposta della relatrice.


LUCIANO GUERZONI. Credo sia logico porsi il problema della possibilità di definire le garanzie che riguardano il Senato nel testo che formuleremo allorché arriveremo a quel ramo del Parlamento. Ora definiamo le garanzie che riguardano la Camera.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. L'articolo riguarda entrambe le Camere, quindi la distinzione verrebbe posta soltanto nell'ultimo comma. Il riferimento alla democrazia bipolare - dato e non concesso che la democrazia sia classificabile in bipolare e non bipolare - sarebbe giustificato nel caso in cui si parlasse di «opposizione» al singolare. In ogni caso, invito a riflettere sul fatto che, nel momento in cui si prevede che il regolamento garantisca i diritti delle opposizioni relativamente alla Camera, si finisce per sottintendere che la stessa cosa non debba necessariamente avvenire al Senato. Credo si tratti di una formulazione pericolosa, considerato che comunque in un'assemblea vi sono sempre delle opposizioni.


PRESIDENTE. Senatore Rotelli, in realtà possono esservi delle minoranze, ma siccome il Senato non ha un rapporto fiduciario con il Governo, è difficile che le minoranze in Senato si configurino come opposizione.


FRANCESCO SERVELLO. Però il Senato vota le leggi e, quindi, è chiaro che vi saranno una maggioranza e un'opposizione!


PRESIDENTE. Si possono determinare maggioranze e minoranze, ma il concetto di opposizione è relativo al rapporto con il Governo.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Opposizione al singolare...?


PRESIDENTE. Possono anche esservi più opposizioni al Governo, ma in un'assemblea che non ha rapporto fiduciario con il Governo potranno esservi maggioranze e minoranze. Si tratta di una nozione diversa rispetto a quella di opposizione.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Erroneamente si collega la parola «maggioranza» ad «opposizione»: in realtà, l'opposizione è collegata al Governo mentre alla maggioranza è riferibile la minoranza.


PRESIDENTE. Sì, l'opposizione è legata al Governo; nel caso di un'assemblea che non abbia rapporto fiduciario con il Governo, è molto difficile stabilire chi si qualifichi come opposizione.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Questo, però, per ora non è stabilito...


PRESIDENTE. È stabilito, nel senso che si tratta dell'ipotesi sulla quale lavoriamo. Ovviamente, se ne dovesse prevalere un'altra, cambierà tutto.


SERGIO MATTARELLA. Il Senato ha compiti propri di garanzia, per cui maggioranze e minoranze si formano soltanto in riferimento alle singole votazioni, alle singole leggi, non trattandosi di condizioni


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permanenti. Da questo punto di vista credo abbia ragione il senatore Guerzoni quando propone di rinviare la definizione del problema al momento in cui avremo definito il Senato e le sue competenze.


PRESIDENTE. La proposta, dunque, è di riferire l'ultimo comma dell'articolo 90 al regolamento della Camera dei deputati.
Procedendo nell'ordine, passiamo quindi alla votazione della proposta di introdurre in Costituzione la previsione di limitare il voto segreto alle votazioni relative alle persone. A tale riguardo sono stati presentati due emendamenti identici, primi firmatari, rispettivamente, Manca e Petruccioli.


MARCO BOATO. Vorrei capire se l'ipotesi sulla quale ci stiamo accingendo a votare riguardi soltanto le votazioni relative alle persone o anche quelle riferite ai diritti fondamentali...


PRESIDENTE. Gli emendamenti sono identici e stabiliscono che le votazioni abbiano luogo a scrutinio palese e che siano effettuate a scrutinio segreto le sole votazioni riguardanti le persone.


MARCO BOATO. Preannuncio il mio voto contrario per i motivi che lei stesso, presidente, ha illustrato nel momento in cui ha richiamato le altre ipotesi, sia pure molto delimitate, che nei regolamenti riguardano il voto segreto (diritti fondamentali, leggi elettorali e modifiche al regolamento). Sono contrario ad inserire in Costituzione una norma tanto rigida qual è quella che stiamo esaminando.


GIULIO MACERATINI. Concordo con il collega Boato.


NATALE D'AMICO. Paradossalmente, mi sembrerebbe strano che l'elettore non fosse in condizione di sapere in che modo il parlamentare eletto voti su questioni riguardanti i diritti fondamentali. Mi sembrerebbe anche strano definire liberale questa situazione ed illiberale quella opposta. Per questa ragione, esprimerò voto favorevole.


GIORGIO REBUFFA. Voterò a favore degli identici emendamenti alla nostra attenzione. Trovo comunque stupefacente che questa questione sia considerata ancora come una questione di libertà, mentre invece si tratta di un problema di responsabilità.


SERGIO MATTARELLA. Esprimerò un voto contrario, anche perché in questo caso è in questione la natura stessa della rappresentanza parlamentare. Quest'ultima non è esercitata per mandato imperativo ma è piena, nel senso di previsione anche di autonoma decisione del parlamentare rispetto all'elettore. Al riguardo, mantenere spazi nei regolamenti parlamentari risponde alla natura del mandato e, quindi, della rappresentanza.


STEFANO PASSIGLI. Per la stessa motivazione, voterò invece a favore degli emendamenti, dal momento che la formulazione proposta non esclude il controllo dell'elettore sulla responsabilità dell'eletto.


PRESIDENTE. La garanzia del voto segreto è volta non a rendere meno trasparente il rapporto tra il parlamentare e gli elettori ma a tutelare la libertà individuale del parlamentare nel rapporto con il gruppo od il partito di appartenenza, in riferimento a questioni che investano rilevanti problemi di coscienza personale. In questo senso la garanzia del voto segreto, a mio giudizio, è a tutela della libertà individuale del parlamentare (Commenti) La legge di spesa è un problema diverso.
Non a caso, questa questione fu affrontata con una lunghissima e appassionata discussione, che portò ad una drastica riduzione del voto segreto, proprio distinguendo fra le scelte che comportano la trasparenza della responsabilità politica e quelle sulle quali vi è invece una riserva di libertà di coscienza individuale.


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Rispetto moltissimo il senso della proposta formulata, ma vorrei si tenesse conto che chi si oppone non lo fa in nome della mancanza di trasparenza con gli elettori.
Pongo in votazione la formulazione contenuta negli identici emendamenti Manca C.90.77 e PetruccioliS.90.400.


(È respinta).


Passiamo alla proposta di integrare l'ultimo comma dell'articolo 90, nel senso di riferire alla sola Camera dei deputati (Commenti del deputato Mattarella) Lei chiede che si voti prima l'emendamento interamente sostitutivo?


SERGIO MATTARELLA. Sì, presidente.


PRESIDENTE. Passiamo quindi all'emendamento Mattarella C.90.66.


MARCO BOATO. Suggerisco la seguente riformulazione: «I regolamenti della Camera e del Senato garantiscono i diritti, rispettivamente, delle opposizioni e delle minoranze». In questo caso, credo sarebbero contemperate le esigenze emerse nel corso del dibattito.


PRESIDENTE. Siccome diversi colleghi hanno chiesto che il tema sia affrontato avendo riguardo alla soluzione che sarà accolta per quanto concerne il Senato, sarei del parere di procedere ora all'esame dell'emendamento Mattarella C. 90.66, che presenta un carattere più generico e meno prescrittivo, nel senso che lascia maggiori margini all'autonomia dei singoli regolamenti.


NATALE D'AMICO. Sono favorevole alla formulazione proposta dal collega Mattarella ma la limiterei soltanto alla Camera dei deputati.


PRESIDENTE. Si tratta di un punto sul quale ci si potrà soffermare in sede di coordinamento.


MASSIMO VILLONE. Il collega Mattarella accetterebbe la proposta di inserire nel suo emendamento il riferimento alla Camera dei deputati?


SERGIO MATTARELLA. Sì, naturalmente. In questo senso, considero riformulato il mio emendamento.


PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Mattarella.


CESARE SALVI. Apprezzo l'iniziativa del collega Mattarella e ritengo che l'emendamento da lui presentato abbia una sua linearità. Tuttavia, ho l'impressione che si tratti di un mero rinvio al regolamento, nonostante si indichino le «teste di capitolo». Nella norma che abbiamo approvato si prevede il decisivo intervento del regolamento che è tuttavia vincolato ad alcuni principi di garanzia. Nonostante ritenga che la formulazione attuale del testo potrebbe comportare problemi, la considero comunque preferibile rispetto all'emendamento del collega Mattarella, a meno che quest'ultimo non intenda riformularlo nel senso di precisare il principio in base al quale vi sono diritti o poteri dell'opposizione che debbono essere garantiti.


FRANCESCO SERVELLO. Invito il collega Mattarella a ritirare il suo emendamento. Non voglio entrare nel merito delle modalità di esercizio delle funzioni proprie delle opposizioni od in altri campi analoghi; dico soltanto che si tratta di una materia strettamente regolamentare e che non possiamo trasformarla in un principio generale costituzionale, anche perché i principi generali che riguardano le opposizioni sono già contenuti in altra norma. In sostanza, non credo si possa disciplinare in Costituzione il regolamento futuro. Ritengo si tratti di un aspetto, per così dire, travalicante...


SERGIO MATTARELLA. Senatore Servello, lei porta vasi a Samo, nel senso che le sue considerazioni rafforzano la mia


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convinzione sull'opportunità del mio emendamento.


PRESIDENTE. L'onorevole Mattarella ritiene che il suo emendamento configuri un testo molto meno «intrusivo» in materia regolamentare rispetto a quello elaborato dalla relatrice.


FRANCESCO SERVELLO. A mio avviso, invece, si tratta di una formulazione tanto cogente da ridurre i diritti delle opposizioni e delle minoranze. Sarebbe molto meglio, me lo consentirà l'onorevole Mattarella, accantonare l'emendamento ed affrontare queste questioni in sede regolamentare nei due rami del Parlamento.


MARCO BOATO. Chiedo al collega Mattarella di espungere dal testo del suo emendamento le parole: «le questioni sulle quali hanno diritto di essere previamente udite da parte del Presidente della Repubblica e del Primo Ministro». Ritengo infatti improprio che il regolamento della Camera possa definire le competenze del Presidente della Repubblica e del Primo Ministro. Se il collega Mattarella accettasse il mio suggerimento, voterei a favore dell'emendamento.


SERGIO MATTARELLA. Presidente, accetto il suggerimento del collega Boato ed intendo conseguentemente riformulato il mio emendamento.


PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Mattarella.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione Europea. Vorrei ricordare ai colleghi che stiamo tentando di scrivere una Costituzione che s'inquadra in un sistema bipolare maggioritario. Per di più il testo uscente - affronteremo questo problema più in là - stabilisce che i regolamenti sono approvati a maggioranza assoluta dei componenti delle Camere, nemmeno con maggioranza ulteriormente qualificata. In un sistema di questo tipo è fondamentale che la Costituzione detti direttamente delle garanzie minime per l'opposizione; la formulazione dell'emendamento Mattarella contiene un rinvio puro e semplice ai regolamenti. Vorrei pregare di riflettere...


CESARE SALVI. Boato ha tolto l'unica cosa che c'era!


MARCO BOATO. Non può stabilirlo il regolamento della Camera!


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. ... adeguatamente su questo aspetto. È una logica completamente diversa quella che è sullo sfondo delle norme che la Costituzione detta a proposito dei regolamenti parlamentari!


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Mattarella C.90.66 riformulato nel senso di inserire l'espressione «Il regolamento della Camera dei deputati» e di sopprimere la formulazione centrale «le questioni sulle quali (...)» fino a primo ministro.


(È respinto).


Passiamo ora a considerare la modifica al testo proposta dalla relatrice con il riferimento al regolamento della Camera dei deputati.


GIOVANNI RUSSO. A me pare improprio introdurre in Costituzione una norma che garantisce i diritti dei parlamentari per la Camera dei deputati senza nulla dire per il Senato.


PRESIDENTE. Qui si parla dei diritti dell'opposizione, non dei parlamentari. Quando poi scioglieremo il nodo relativo alla struttura, alla composizione del Senato, lì metteremo - come ha proposto l'onorevole Guerzoni che le è accanto - una norma di garanzia del Senato diversamente formulata; sarà diversamente formulata perché, come abbiamo discusso nell'ora e mezza precedente,


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la nozione di opposizione non pare applicabile.


ORTENSIO ZECCHINO. Capisco che già si è svolta la discussione su questo punto, ma vorrei permettermi di riproporre la questione nel tentativo di trovare una formulazione che possa andare bene in via di principio per il Parlamento, Camera e Senato.
Chiederei un po' di attenzione rispetto all'emendamento S.90.203, che forse può offrire una soluzione con riferimenti più vaghi, che tuttaviapuntualmente possono trovare applicazione per la Camera e per il Senato: c'è il riferimento alle garanzie dei singoli, alla garanzia delle minoranze, a prescindere se siano o meno opposizioni, ad un numero minimo di proponenti anche per l'inserimento di materie all'ordine del giorno.
Credo che con una valutazione un po' più scevra da pregiudizi questa formulazione potrebbe risolvere la questione che invece avremmo deciso di accantonare per affrontarla in separata sede con il Senato.
Chiederei l'attenzione anche della relatrice.


PRESIDENTE. In effetti, l'emendamento Zecchino, in modo più puntuale rispetto all'emendamento Mattarella, ricomprende alcuni principi già contenuti nel testo della relatrice, in particolare la previsione della presidenza da parte dei rappresentanti dell'opposizione delle Commissioni aventi funzioni di controllo e di garanzia.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Esprimo il pieno, totale consenso rispetto all'emendamento Zecchino.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Anche da parte mia, Presidente.


GIUSEPPE CALDERISI. Che cosa si intende con la parola «componente»?


PRESIDENTE. Si intende il singolo parlamentare, ogni membro dell'Assemblea.


GIUSEPPE CALDERISI. Potrebbe sembrare la componente politica.


PRESIDENTE. Mi pare indubbio che l'intenzione - non so se l'espressione risulti felice - si riferisce al singolo parlamentare.


ORTENSIO ZECCHINO. L'ho appena detto.


PRESIDENTE. Lei dice che di questi tempi l'espressione può dare luogo ad equivoci.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Se sostituiamo «ogni» con «ciascun» eliminiamo l'equivoco.


FRANCESCO SERVELLO. Dichiaro per la seconda o terza volta che non accetto il principio in base al quale al Senato, comunque configurato, non possa esserci un'opposizione o più opposizioni o minoranze.
Facciamo il caso che al Senato si presentino dei candidati schierati in una determinata maniera; è chiaro che se gli eletti appartengono allo schieramento soccombente saranno opposizione (o mi sbaglio?). Si dice: a che cosa? Quanto meno sulla base delle formulazioni esistenti allo stato, a tutta una serie di leggi che necessariamente andranno anche al Senato. In quella sede esiste o no la possibilità di dissentire e di votare contro, anche se viene privilegiato il voto finale della Camera? In quel momento mi sentirò maggioranza o opposizione sui finanziamenti riguardanti la finanza locale, sulla contabilità generale dello Stato, rispetto allo stesso bilancio statale, che è previsto debba essere votato anche dal Senato. In quel momento l'opposizione esiste...


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PRESIDENTE. L'emendamento Zecchino supera in radice questo problema.


FRANCESCO SERVELLO. Infatti, stavo per dire, contestando il principio generale, che a mio avviso l'emendamento Zecchino può superare anche questa difficoltà relativa allo sdoppiamento Camera e Senato, perlomeno in questa sede; poi si vedrà come finirà l'elaborazione del testo.


GIUSEPPE CALDERISI. Non avevo prima esaminato con attenzione l'emendamento Zecchino, che è apprezzabile per il tentativo e lo sforzo di trovare una formulazione che possa andar bene per entrambe le Camere. Rileggendolo, mi sembra che il tentativo di soluzione non sia propriamente felice perché abbiamo il problema di riconoscere una sfera di diritti riguardante in particolare il ruolo dell'opposizione rispetto al Governo, abbiamo bisogno di una norma di questa natura. La formulazione per cui l'opposizione va a finire nel mezzo di gruppi in numero minimo mi sembra...


ORTENSIO ZECCHINO. Abbiamo detto «le opposizioni», non «l'opposizione»!


GIUSEPPE CALDERISI. La norma andrebbe quantomeno ripensata. Si potrebbe anche trovare un'unica soluzione che andasse bene per entrambe le Camere, ma andrebbe semmai maggiormente meditata.
Direi di approvare ora la formulazione proposta dalla relatrice con la modifica riguardante il riferimento alla Camera, di verificare in sede di formulazione delle norme sul Senato se siamo in grado di formulare una norma distinta o se concepiamo meglio una previsione unica per entrambe le Camere. In ogni caso, la norma andrebbe meglio riformulata, perché quella proposta dall'onorevole Zecchino, per quanto apprezzabile nello sforzo che viene compiuto, mi sembra non ancora adeguata alla necessità di riconoscere una sfera di attribuzione di diritti riguardanti in particolare il ruolo dell'opposizione rispetto al Governo, una previsione che mi sembra sia necessario inserire nel nuovo impianto di riforma costituzionale.


CLAUDIA MANCINA. Apprezzo anch'io l'ispirazione dell'emendamento Zecchino e tuttavia non mi sembra che corrisponda alla necessità che abbiamo in questo momento.
Credo che non dobbiamo affermare il principio che rinvia al regolamento la salvaguardia delle garanzie dei singoli parlamentari, perché questo attiene alla struttura del Parlamento e della rappresentanza.
Vorrei ricordare la discussione precedente che mi pareva fosse arrivata ad un punto chiaro. Abbiamo prima affermato l'obiettivo di affermare in un modo che rappresenta una novità rispetto alla nostra esperienza istituzionale le garanzie per le opposizioni, che è un concetto politico specifico, diverso da quello che si riferisce ai singoli parlamentari. È stato detto - mi pare incontrovertibile - che le opposizioni si possono qualificare così soltanto nella Camera che vota la fiducia al Governo. Nella formulazione dell'emendamento Zecchino resta l'equivoco sul fatto che la questione della garanzia delle opposizioni si riferisce a tutte e due le Camere.
Penso dunque che sia preferibile la formulazione della relatrice con il riferimento alla Camera dei deputati, rinviando, come è stato proposto prima dal senatore Guerzoni, al momento in cui si tratterà del Senato l'individuazione di una norma analoga ma diversa per quel ramo del Parlamento.


PRESIDENTE. Onorevole Zecchino, insiste per la votazione?


ORTENSIO ZECCHINO. Sì, Presidente, perché tutto sommato c'è il riferimento al diritto dei singoli come rinvio al regolamento, c'è il riferimento alle opposizioni, evidentemente per la Camera dove sono presenti le Commissioni di controllo e garanzia. Il riferimento al numero minimo come possibilità concreta va bene


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sia per il concetto di opposizione per la Camera, sia per quello di minoranza per il Senato. Insisterei quindi per la votazione.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Zecchino S.90.203.


(È respinto).


Se la relatrice concorda, porrei in votazione il suo testo corretto con il riferimento alla Camera.


SERGIO MATTARELLA. Mi scusi, presidente, c'era la proposta Villone...


PRESIDENTE. Ci sono due proposte, di cui una, lungamente discussa, inserisce il riferimento al regolamento della Camera dei deputati. L'altra ha un carattere più formale, ma non solo formale, perché rende più elastica la prescrizione; riguarda l'espressione «dei presidenti di Commissioni aventi funzioni di controllo» al posto dell'espressione «dei presidenti delle Commissioni...».


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Presidente, le chiedo tre votazioni separate: due riguardanti le proposte cui ha fatto riferimento e la terza sull'intera formulazione.


PRESIDENTE. Pongo dunque in votazione la proposta di aggiungere al quarto comma, dopo la parola «regolamento», le seguenti «della Camera dei deputati».


(È approvata).


GIUSEPPE CALDERISI. Con riferimento alla proposta di sostituire «delle» con «di», la formulazione attuale rinvia al regolamento per stabilire quali siano le Commissioni aventi funzioni di controllo e di garanzia; evidentemente spetterà ai regolamenti individuare esattamente quali siano, ma, una volta stabilito questo punto, si afferma il principio che i presidenti di quelle di controllo e di garanzia sono designati dalle opposizioni. La preposizione «di» lascia una situazione di indeterminatezza, per cui la designazione riguarda soltanto alcune; a questo punto, non si capisce in base a quale criterio le relative presidenze debbano essere designate dalle opposizioni.


PRESIDENTE. L'obiezione di Calderisi spinge Villone a ritirare la sua proposta?


MASSIMO VILLONE. No, a Calderisi rispondo che la necessità della designazione per tutte impone qui ed ora una definizione più compiuta di quali siano queste Commissioni.


PRESIDENTE. La definizione di quali siano è rinviata ai regolamenti; qui si afferma il principio che il controllo e la garanzia devono essere presidiati dall'opposizione, saranno poi i regolamenti a precisare quali Commissioni abbiano queste funzioni e quali no. Pertanto tenderei - e non è poco - ad essere d'accordo con Calderisi.
Pongo in votazione la proposta del collega Villone di sostituire le parole «delle Commissioni» con le seguenti «di Commissioni».


(È respinta).


Pongo in votazione l'articolo 90, con le modifiche apportate.


(È approvato).


Risultano pertanto assorbiti gli emendamenti elencati in allegato, e respinti gli altri, relativi all'articolo 90.
L'articolo 91 è accantonato perché l'incompatibilità tra membro del Senato e membro di un'assemblea regionale deve essere riesaminata alla luce della soluzione che si darà alla questione.
Passiamo all'articolo 92, nel testo rielaborato: la relatrice propone un mutamento di sostanza, cioè l'eliminazione della previsione dei termini tassativi stabiliti dal regolamento (attualmente ci sono termini ordinatori che di norma non vengono rispettati, ma se diventano


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tassativi bisogna individuare delle sanzioni); la relatrice propone invece la possibilità di ricorso alla Corte costituzionale da parte dell'interessato, senza meglio definire chi sia l'interessato (come minimo sono due).


MARCO BOATO. Comprendo perfettamente le ragioni garantiste per cui la collega Dentamaro ha formulato questa proposta, alla quale non sono contrario in linea di principio. Chiedo però alla Commissione di valutare se sia opportuno prevedere questa ipotesi, perché per la prima volta facciamo intervenire un organo di garanzia esterno alle Camere per quanto riguarda gli interna corporis; in secondo luogo carichiamo la Corte costituzionale di un compito, di una responsabilità e anche di un potere aggiuntivo rispetto a tutti quelli già previsti dall'articolo 134 come lo abbiamo deliberato nella seduta del 26 giugno. Questo comporta anche che la Corte costituzionale si attrezzi al riguardo perché nei casi contestati è necessaria la verifica di tutte le schede, comporta quindi anche una sorta di copertura amministrativa e infrastrutturale di non scarsa rilevanza.
Per questi motivi, pur non avendo obiezioni di fondo in linea di principio e comprendendone le ragioni, sarei contrario a caricare la Corte di un'ulteriore responsabilità e soprattutto a far uscire dagli interna corporis delle garanzie che fino ad oggi erano interne a Camera e Senato.


SERGIO MATTARELLA. Condivido la proposta della relatrice. Il nostro è uno dei pochi paesi in cui si esaurisce esclusivamente nelle Camere il procedimento di verifica dei poteri; inoltre, non sono nemmeno molti casi perché è evidente - ma può anche essere precisato - che si tratta dei casi in cui si è determinato un contenzioso dentro la Camera, quindi l'interessato è, per esempio, il ricorrente che vede il ricorso respinto. Credo però si debba prevedere un termine, la cui mancanza vanificherebbe la previsione del ricorso alla Corte, perché questo non sarebbe possibile finché non si decide in qualche modo.


LEOPOLDO ELIA. Sono decisamente favorevole alla proposta della relatrice per una questione di principio: non si può considerare interna corporis la tutela di un diritto. Qui c'è il diritto di colui che ha avuto più voti di essere proclamato deputato o senatore, non è una questione interna; e questo è tanto più rilevante con il sistema maggioritario. In passato molte situazioni sono state valutate meno, anche se hanno dato luogo a situazioni scandalose perché in taluni casi ha prevalso, a scrutinio segreto, chi aveva meno preferenze rispetto a chi ne aveva di più; la questione è però più grave quando si tratta di guadagnare o di perdere un seggio per la maggioranza o per l'opposizione ed ha una rilevanza tale che esige un giudizio di ultima istanza che sia al di là di ogni sospetto.


MARCO BOATO. Ritiro la mia obiezione dopo aver ascoltato i due interventi e propongo di aggiungere anche i termini tassativi.


STEFANO PASSIGLI. Proporrei alla relatrice di considerare la possibilità di limitare l'intervento della Corte alle cause di ineleggibilità e di incompatibilità che vengono giudicate in punto di diritto e non di fatto, lasciando invece alla Camera e alla Giunta delle elezioni la valutazione del dato di fatto dei voti effettivamente ottenuti dai concorrenti. Un giudizio in punto di diritto da parte della Corte sulle cause di ineleggibilità e di incompatibilità innanzitutto diminuirebbe il numero dei casi sottoposti, inoltre darebbe effettivamente la garanzia di un'istanza che giudica non sulla base di considerazioni politiche.


FRANCESCO SERVELLO. Signor presidente, a nome del mio gruppo esprimo l'assenso per questo emendamento, anche perché ricordo che in passato alcune votazioni si conclusero con il commento «ingiustizia è fatta». In talune circostanze


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prevalsero ragioni politiche molte volte anche interne ad uno schieramento; poiché ho vissuto queste vicende personalmente e so che qualche vittima c'è stata, spero che non ce ne siano in futuro dando la possibilità di un ricorso ad un'autorità estranea alle logiche interne di Camera e Senato.


PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'intero gruppo della sinistra democratica: Villone, Salvati, Morando.


MASSIMO VILLONE. Rinuncio, presidente.


ANTONIO ENRICO MORANDO. A mio parere le cause di ineleggibilità non possono sopraggiungere, quelle di incompatibilità sì.


GIOVANNI PELLEGRINO. Mi dispiace contraddire il collega Morando: le cause di ineleggibilità possono sopravvenire, ma quanto agli effetti vengono trattati come cause di incompatibilità.


PRESIDENTE. Collega Villone, desidera intervenire?


SERGIO MATTARELLA. Raccogliendo quanto diceva il senatore Passigli, chiedo alla relatrice se potrebbe condividere una riformulazione del secondo comma del seguente tenore: «Sulle elezioni contestate per motivi di ineleggibilità e di incompatibilità ciascuna Camera delibera entro termini stabiliti dal regolamento». Ciò in modo che si capisca che il ricorso alla Corte non è contro qualunque elezione, ma contro il giudizio che la Camera dà sulle elezioni che essa stessa dichiara contestate, per evitare che si moltiplichino i ricorsi alla Corte.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Condivido la precisazione sulle elezioni contestate, ma non la limitazione ai motivi di ineleggibilità e incompatibilità perché la garanzia mi sembra talmente essenziale da non poter essere esclusa nell'ipotesi di contestazione di fatto; tanto più che la storia dimostra che la maggior parte delle contestazioni sono avvenute proprio sul calcolo delle schede.
Vorrei aggiungere che il problema del carico sulla Corte costituzionale derivante soprattutto dall'attività istruttoria - che mi pare sotteso alla proposta Passigli-Mattarella - può essere sdrammatizzato almeno per due ragioni. Intanto sono istruttorie che possono essere tranquillamente delegate come accade normalmente, per esempio, nei giudizi amministrativi in materia di operazioni elettorali, quindi non è difficile per la Corte attrezzarsi; in secondo luogo, la stessa esistenza di questa possibilità di ricorso dovrebbe funzionare come deterrente o meglio come incentivo ad una corretta effettuazione della verifica dei poteri, quindi probabilmente le elezioni contestate sarebbero in numero abbastanza esiguo.


GIORGIO REBUFFA. Non riesco a capire la logica del ragionamento, ma è colpa mia. Resto dell'opinione che - con argomenti a mio parere intellettualmente pretestuosi (non politicamente o moralmente) - stiamo rompendo una tradizione parlamentare che si è lungamente consolidata. Avverto tutta la pericolosità dell'impostazione perché non riesco a capire quale sia l'argomentazione che afferma che ci sono dei deterrenti contro la moltiplicazione del contenzioso. A me sembra esattamente il contrario.


PRESIDENTE. Non ho capito però un punto, cioè se sul secondo comma del testo precedente la relatrice concorda nell'accogliere la proposta di mantenere la previsione di un termine, eventualmente togliendo l'aggettivo «tassativo».


GIORGIO REBUFFA. Anche questo è contro la tradizione di questa Camera.


PRESIDENTE. Il regolamento della Camera non prevede un termine tassativo.


SERGIO MATTARELLA. Signor presidente, se decorre quel termine si può fare


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ricorso alla Corte costituzionale. Ciò spinge la Camera a decidere nei termini; si evita cioè che si lasci trascorrere il tempo strumentalmente.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Posso pregare l'onorevole Mattarella di ripetere la formulazione Passigli sulle elezioni contestate?


SERGIO MATTARELLA. Rispetto alla formulazione: «Sulle elezioni contestate ciascuna Camera entro termini stabiliti dal proprio regolamento»; secondo il collega Passigli andrebbe aggiunto: «Sulle elezioni contestate per motivi di ineleggibilità e di incompatibilità...». Si precisa così che la previsione è limitata alle elezioni che la Camera dichiara contestate perché vede motivi di ricorso, su cui promuove un giudizio prima in Giunta e poi in Assemblea. Su queste c'è l'eventuale ricorso alla Corte. Gli interessati possono essere colui che ha proposto ricorso, colui che non è stato eletto, oppure colui che, eletto, è dichiarato decaduto.
Come tutti sappiamo, la Camera sui ricorsi ha due strade diverse: o li ritiene infondati e convalida l'elezione oppure ritiene che vi sia un fumus di fondamento e dichiara contestata l'elezione e apre un vero giudizio davanti alla Giunta e quindi davanti all'Assemblea. In questo secondo caso, per le elezioni dichiarate appunto contestate, se la Camera non provvede nei termini si può proporre ricorso. Per questo sulle elezioni contestate ciascuna Camera delibera nei termini previsti dal proprio regolamento. Decorso il termine in questione, l'interessato può proporre ricorso alla Corte costituzionale.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Propongo allora le seguente riformulazione del secondo comma: «Sulle elezioni contestate ciascuna Camera delibera entro termini stabiliti dal proprio regolamento. Contro le relative deliberazioni o nel caso di inutile decorso del termine l'interessato può proporre ricorso alla Corte costituzionale entro quindici giorni».


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'articolo 92, con la formulazione del secondo comma testé proposta dalla relatrice.


(È approvato).


Risultano pertanto assorbiti gli emendamenti elencati in allegato, e respinti gli altri, relativi all'articolo 92.
Passiamo all'articolo 93, di cui si ripropone il testo precedentemente approvato.


ANTONIO ENRICO MORANDO. Signor presidente, credo che l'articolo 93 dovrebbe essere accantonato. Ove infatti venisse accolta una delle due soluzioni in discussione per quello che riguarda la composizione del Senato, il membro del Senato in una di quelle due ipotesi non rappresenterebbe la nazione ma la comunità regionale che lo ha eletto.


STEFANO PASSIGLI. Non è così nemmeno per i senatori degli Stati Uniti, che sono eletti su base regionale ma sono rappresentanti del Congresso degli Stati Uniti!
A me sembra che in tal modo si sminuirebbe, nel caso di soluzione di Senato misto, lo status degli stessi eletti di secondo grado, espressione del sistema delle autonomie, ai quali verrebbe attribuito lo status di delegati con vincolo di mandato piuttosto che rappresentanti dell'interesse generale ancorché espressi da un corpo elettorale diverso da quello che esprime il resto dei parlamentari. Credo che la formula possa benissimo essere mantenuta anche nel caso di scelta della soluzione di Senato misto.


PRESIDENTE. C'è la proposta Morando che ritiene che l'articolo debba essere accantonato in quanto a suo giudizio, qualora si approvasse l'ipotesi di un Senato misto...


ANTONIO ENRICO MORANDO. Preciso meglio, signor presidente, mi scusi.


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Sostengo che nell'ipotesi che si scelga un Senato federale, del tipo di quello che per esempio ho proposto assieme ad altri colleghi attraverso più emendamenti, si assume che il senatore rappresenti la comunità regionale che lo ha eletto. Se si decide diversamente nel merito, posso pronunciarmi contro questo articolo, difendere la mia ipotesi, ma dire che non ci sia alternativa mi pare francamente esagerato.


PRESIDENTE. Ritengo tuttavia che il problema non debba essere accantonato perché è maturo per essere risolto. Infatti, entrambe le ipotesi in campo configurano un collegamento fra il Senato e il sistema delle autonomie, l'una nella forma della contemporaneità ma anche contestualità politica della elezione del Senato, l'altra nella forma della presenza di una rappresentanza.
Siccome anche in paesi che hanno ordinamento federale la questione è stata diversamente risolta, il problema è se vogliamo marcare una distinzione di status tra il deputato che rappresenta la nazione e il senatore che rappresenta le comunità regionali o locali, oppure se vogliamo mantenere per l'uno e l'altro parlamentare, indipendentemente dalla base elettorale, la nozione di rappresentante della nazione.
È quindi del tutto legittimo porre la questione, ma deve essere sciolta ora, non accantonata.


SERGIO MATTARELLA. È certamente vero che qualunque sia il modo di scelta vi è un rapporto più intenso di quello che normalmente vi è con la base di territorio del proprio collegio per i senatori, però ciò non diminuisce la valenza di rappresentanza nazionale di ciascun parlamentare, tant'è che negli Stati davvero federali questo principio è stato riaffermato quasi sempre; e mai come in questo momento mi pare che sia bene che confermiamo per intero l'attuale testo della Costituzione, così come chiede la relatrice.


GIORGIO REBUFFA. Essendo d'accordo con il senatore Morando, mi limito a segnalare un problema logico. Poiché resto convinto che non abbiamo ancora sciolto oggi la caratteristica e la natura del Senato e del rapporto fra le due Camere, sarebbe opportuno accantonare questo articolo, come abbiamo fatto per questioni che logicamente erano più semplici.


MARCO BOATO. Presidente, noi rischiamo di avvilupparci in una spirale senza via d'uscita se di volta in volta accantoniamo perché non abbiamo risolto. Lei ha proposto di votare e dobbiamo votare sapendo che vale anche in questo caso il principio, che abbiamo affermato questa mattina, secondo cui poi ci riserviamo, in sede di coordinamento non solo formale ma anche sostanziale, di raccordare le norme in base alle decisioni che avremo assunto. Se invece continuiamo ad accantonare non arriveremo all'approdo dei nostri lavori.
Avrei preferito, come credo il collega Pieroni, l'espressione «la Repubblica» invece che «la nazione»; però, siccome non risulta prevalente questa ipotesi, propongo di votare questo testo con la riserva metodologica che applichiamo a tutto il testo che stiamo votando.


CESARE SALVI. Condivido le considerazioni svolte dal collega Mattarella. Vorrei aggiungere che il riferimento alla rappresentanza della nazione, che è formula che discutemmo prima dell'estate e decidemmo di lasciare invece di sostituirla con l'espressione «la Repubblica», esprime una tradizionale caratterizzazione della posizione del parlamentare e non incide affatto sul carattere federale o meno sia della Repubblica sia della seconda Camera, perché comunque una volta eletti la rappresentanza riguarda la nazione; tanto più che non credo che si proponga di eliminare l'assenza del vincolo di mandato.
Per queste ragioni penso che vada mantenuta la soluzione che è stata adottata e che il nodo possa essere sciolto adesso perché non è pregiudicato dalle diverse soluzioni che si possano dare per la seconda Camera.


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PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di accantonamento dell'articolo 93 avanzata dal senatore Morando.


(È respinta).


Passiamo pertanto alla discussione nel merito.


ANTONIO ENRICO MORANDO. Signor presidente, poiché si è deciso di non accantonare, vorrei brevemente argomentare - cosa che non ho fatto prima perché mi sembrava improprio - nel merito dell'articolo 93.
Propongo - e non so se la Commissione concorderà con questa proposta: lo vedremo quando arriveremo a definire la natura del Senato, la sua composizione e la sua funzione - di costituire un Senato federale in senso proprio, eletto contestualmente alle elezioni regionali e tuttavia con forme di collegamento politico tra le elezioni dell'assemblea o le elezioni del presidente della giunta regionale e i candidati al Senato della Repubblica, in modo da definire un Senato che abbia la caratteristica di essere eletto direttamente dal popolo, e quindi essere messo in grado, nel suo complesso, di svolgere una funzione di garanzia quale quella che su una serie di materie intendiamo attribuire e, in particolare nel processo di costruzione dell'assetto federale della Repubblica, un ruolo di garanzia verso i soggetti federati; contemporaneamente deve avere la caratteristica di radicare nella rappresentanza della comunità regionale ogni singolo senatore a rappresentare interessi che lo rendano altro rispetto al membro della Camera politica, il quale invece rappresenta la nazione e si organizza all'interno di quella Camera secondo la logica della competizione tra maggioranza e opposizione, che è quella tipica delle competizioni bipolari.
Nel Senato federale così come io - magari soltanto io - lo concepisco (questa penso che sia la soluzione preferibile tra quelle in campo) deve invece essere molto chiaro che il Senato nel suo complesso non si organizza in base al principio della rappresentanza nazionale di un senatore, e quindi sulla base di un principio politico-partitico che inerisce alla competizione per il Governo; questo avviene tranquillamente nella Camera politica. Se il senatore non è prima di tutto rappresentante degli interessi delle comunità regionali, ovviamente tenderà ad organizzarsi nel Senato federale, malgrado l'elezione a base regionale, secondo principi che sono altri rispetto a quelli che a me sembra dovrebbero essere privilegiati.
È per questa ragione, che a me sembra di fondo, che sono contro questa formulazione dell'articolo 93. Non ho dubbi sul fatto che sia i senatori sia i deputati debbano esercitare le loro funzioni senza vincolo di mandato; non ho dubbi sul fatto che i deputati debbano rappresentare la nazione; sono fermamente convinto che in una certa ipotesi il senatore debba invece rappresentare prima di tutto la comunità regionale. Il Senato federale nel suo complesso è una componente del Parlamento e come tale, nel suo complesso appunto, rappresenta la comunità nazionale; ma il Senato nel suo complesso, non ogni singolo senatore.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. La norma è la traduzione italiana delle Costituzioni francesi. La prima proposizione è collegata alla seconda: non ci deve essere vincolo di mandato e non ci deve essere neanche il vincolo con il collegio o la circoscrizione in cui si è stati eletti. Del resto, già adesso ed anche prima delle recenti riforme elettorali, i senatori erano eletti su base regionale; non di meno, non rappresentavano né il collegio uninominale in cui venivano eletti, né la base regionale alla quale il collegio uninominale era collegato. Questo ragionamento vale tuttora: colui che viene eletto su base regionale o nel suo collegio non deve rappresentare la comunità regionale ma l'intera nazione.
Tra gli emendamenti presentati ve ne è uno - l'emendamento C.93.25, che propone di sostituire alla parola «Nazione» la parola «Repubblica». Questa proposta non è stata fatta da me; anzi, risulta


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addirittura una mia proposta nella quale confermo il testo così come esso è, ma ciò deriva dal solito inconveniente che ho già rilevato, cioè che i miei emendamenti complessivi sono stati scomposti, con la conseguenza che risulto titolare di emendamenti che, così come singoli, non ho proposto. Quello di nazione è concetto sociologico, quello di repubblica concetto giuridico-istituzionale; da questo punto di vista non è nemmeno giustificato che la parola nazione abbia l'iniziale maiuscola. Ora non sono in grado di dire se nel testo originario figuri la maiuscola.


MARCO BOATO. C'è l'iniziale maiuscola.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Io mi riferisco al testo originario, cioè a quello firmato il 28 dicembre 1946, non alle varie traduzioni.


MARCO BOATO. Il testo di cui noi disponiamo è fedele.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Riesumo questa proposta perché, proprio in questo momento, sono assolutamente contrario e ritengo politicamente sbagliato fare delle norme in funzione, diciamo così, antilega, antisecessione: non è proprio del caso, a parte il fatto che si tratta di norme assolutamente inutili. L'esercitazione non va svolta sul piano della norma costituzionale, usando una parola anziché un'altra, ma su tutt'altri piani. Da questo punto di vista, pertanto, propongo formalmente - se non lo fanno altri colleghi - di stabilire che «Ogni componente del Parlamento rappresenta la Repubblica ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».


PRESIDENTE. Chiedo al collega Morando se abbia ascoltato. Il senatore Rotelli ha infatti riproposto una formulazione che risolverebbe, in parte, la questione che egli ha sollevato. Si tratta di un emendamento presentato dall'onorevole Turroni e che propone di sostituire l'espressione «la Nazione» con «la Repubblica». Abbiamo definito la Repubblica come costituita da comuni, province, regioni, quindi credo si supererebbe il problema.
Poiché risultano ancora numerosi iscritti a parlare, propongo di aggiornare i nostri lavori alla ripresa pomeridiana. Il Comitato ristretto si riunirà, come eravamo rimasti d'accordo ieri sera, tra un'ora.
La Commissione è invece convocata per le 16, con possibilità di prosecuzione in seduta notturna.


La seduta, sospesa alle 13.40, è ripresa alle 16.45.


PRESIDENTE. Chiedo scusa per il ritardo con cui riprendiamo la seduta, ma i lavori del Comitato ristretto si sono protratti più del previsto. Comunico ai colleghi che la seduta di oggi pomeriggio terminerà alle 20; domani mattina, come era previsto, la Commissione si riunirà alle 10 mentre il Comitato ristretto si riunirà alle 8,30.


FRANCESCO D'ONOFRIO. Domani lavoreremo solo nella mattinata?


PRESIDENTE. Sì, domani concluderemo i lavori alle 13.
Riprendiamo la discussione dell'articolo 93, relativamente al quale dovremo votare due proposte: quella di sostituire la parola «Nazione» con la parola «Repubblica» e quella, avanzata dal senatore Morando, di distinguere tra deputati che rappresentano la nazione e senatori che rappresentano le comunità regionali. La materia è stata lungamente ed appassionatamente discussa: prego i colleghi che devono intervenire di essere rapidi.


FRANCESCO SERVELLO. Signor presidente, ho chiesto la parola quando ci è stata sottoposta la proposta del senatore Morando, che è un po' fuori dalle consuetudini di questa Commissione, essendosi stabilito che, qualora nell'ufficio di presidenza allargato ai rappresentanti dei gruppi si raggiunga un certo accordo, non


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possono essere presentate questioni di fondo. Ebbene, quella posta dal senatore Morando non è questione lessicale, che attenga soltanto all'espressione formale di un concetto; è invece qualcosa di radicale: all'attuale Senato, integrato da rappresentanti delle regioni, delle province e dei comuni si sostituisce una Camera della Confederazione italiana, la quale non esiste (sarebbe la Confederazione degli stati regionali). Questo è il concetto, per il quale i senatori della Repubblica, espressi attraverso elezione diretta e popolare, con legge elettorale nazionale, verrebbero svincolati dall'impegno che li lega al concetto di nazione. È un principio completamente diverso, che si può inserire in un altro ordinamento, neanche federale, caro Morando, ma che sarebbe quello della Confederazione; anche quello federale, o di tendenza federalista, è infatti cosa assolutamente diversa.
Mi rendo conto che vi sono pressioni in questo senso da parte della Conferenza delle regioni, ma anche leggendo attentamente il «penultimatum» arrivato dalla Conferenza delle regioni e delle provincie autonome, la seconda ipotesi in esso contenuta è un po' più tranquilla, un po' meno rivoluzionaria, meno dissolutrice dello Stato nazionale. In questo senso, quindi, francamente richiamo anche al metodo...


PRESIDENTE. Lei dunque non condivide la proposta Morando.


FRANCESCO SERVELLO. Ritengo, presidente, che il senatore Morando debba ritirare la sua proposta, anche se per carità non voglio comprimere la sua libertà: egli è rappresentante di un movimento importante di questa Commissione e dell'intero paese...


PRESIDENTE. Il senatore Morando rappresenta la nazione, non un movimento.


FRANCESCO SERVELLO. Ecco, se rappresenta la nazione, in questo caso di porrebbe in un'altra ottica...


PRESIDENTE. Ed opera senza vincolo di mandato.


FRANCESCO SERVELLO. La prossima volta dovrà fare il deputato regionale!
Per questi motivi, avendo constatato durante l'intero iter del nostro lavoro che sempre la relatrice, il Comitato, la Commissione si sono espressi nella medesima direzione, con la sola divergenza relativa alla scelta fra i termini Nazione e Repubblica (per la quale ha prevalso poi il riferimento alla Nazione), ritengo che la proposta del senatore Morando dovrebbe essere ritirata per un minimo di coerenza.


MAURIZIO PIERONI. Intervengo sinteticamente per osservare che, a mio avviso, senza enfatizzare la questione come forse il collega Servello ha fatto in modo un po' eccessivo, non è davvero prospettabile nella Costituzione della Repubblica italiana l'ipotesi di parlamentari che non siano limitati, anche per quanto riguarda i loro doveri (la rappresentanza implica non solo uno status ma anche dei doveri), all'intera espressione di quella che preferirei chiamare Repubblica.
Al riguardo non avevo ripresentato il mio emendamento, ma il collega Rotelli ha nuovamente proposto la questione: quindi, avendo noi definito con precisione nel primo articolo della nuova parte della Costituzione che stiamo scrivendo i termini di riferimento delle nostre opzioni, se la scelta del termine «Repubblica» in luogo di «Nazione», in quanto comprensivo dei soggetti costitutivi definiti in quel primo articolo, può servire a far sì che il senatore Morando ritiri il suo emendamento, prego la Commissione di considerare tale possibilità.


PRESIDENTE. La questione della Repubblica pone altri problemi, perché per Repubblica, nel nostro nuovo testo costituzionale, si intende il complesso delle istituzioni, mentre il parlamentare rappresenta la comunità nazionale che preesiste alle istituzioni e che, secondo una formula classica, si chiama nazione; si può chiamare popolo ma non Repubblica.


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In questo modo muta il senso, perché il parlamentare rappresenta non il complesso delle istituzioni ma i cittadini uniti in una nazione, in una comunità nazionale.
A me comunque sembra che la formula secondo cui «Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato» sia molto bella, per cui prima di cambiarla bisognerebbe trovarne una altrettanto significativa.


SERGIO MATTARELLA. Condivido quanto ha detto, presidente, quindi rinuncio.


CESARE SALVI. L'opinione che lei ha espresso è senz'altro condivisa, però vorrei sottolineare che forse vi è un elemento di equivoco nelle argomentazioni esposte dal collega Morando questa mattina. Questa norma costituzionale ha sempre rappresentato una salvaguarda dell'autonomia del parlamentare come singolo e non come rappresentante di una parte politica nazionale. Anche per questa ragione non credo vi sia motivo per modificare un'antica formula che, come dicevo, rappresenta una prerogativa del parlamentare come singolo, tanto più in una sede come il Senato dove, nell'ipotesi su cui stiamo lavorando, dovrebbe essere ancor più valorizzato il ruolo individuale rispetto alla collocazione di partito.


ARMANDO COSSUTTA. Anch'io, signor presidente, condivido le sue valutazioni, che mi sembrano del tutto proprie e che la Commissione dovrebbe accogliere.
Desidero anche dire a Morando che non mi pare possa essere utilizzata per i senatori la formula «rappresentano le comunità locali», tanto più che il Senato - in contrasto con la nostra opinione che è quella di sopprimere la seconda Camera - è il Senato delle garanzie, e queste valgono non solo per il territorio in cui il singolo senatore viene eletto ma per tutti i cittadini, da Bolzano a Caltanissetta. Mi pare, quindi, che sarebbe bene abbandonare la formulazione proposta.


PRESIDENTE. I proponenti insistono?


ANTONIO ENRICO MORANDO. Sì, signor presidente, insisto. Non intendo esporre un nuovo argomento a favore della mia tesi, ma vorrei almeno difenderla sottolineando che si tratta di una tesi che deriva da un ragionamento che ha una sua coerenza in considerazione della natura del Senato che io propongo. Che poi la formula secondo la quale «Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato» sia bella non l'ho mai messo in dubbio. Sostengo, però, che se si prevede un Senato federale, come io propongo, sarebbe ragionevole stabilire che quei senatori rappresentano la comunità regionale e assumono un nuovo vincolo.
Immagino che la Commissione respingerà questa proposta, ma credo e spero che dopo aver votato sulla composizione e la natura del Senato, avremo modo di tornare sull'argomento e che a quel punto sarà stato dimostrato che le tesi che ho sostenuto non erano poi così campate per aria.


PRESIDENTE. Nessuno ha detto che siano campate in aria.


FRANCESCO SERVELLO. I senatori a vita rappresentano la regione di provenienza o la nazione?


PRESIDENTE. Morando li vuole abolire.


MAURIZIO PIERONI. Poiché Morando insiste, noi non insistiamo.


PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta Morando secondo cui ogni componente della Camera dei deputati rappresenta la nazione e i membri del Senato rappresentano la comunità regionale.


(È respinta).


Pongo in votazione l'articolo 93.


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Risultano pertanto assorbiti gli emendamenti elencati in allegato, e respinti gli altri, relativi all'articolo 93.


(È approvato).


Passiamo all'articolo 94 nel testo del Comitato ristretto v. allegato Commissione bicamerale che propone una significativa integrazione al testo approvato a giugno.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Presidente, si tratta non di un'integrazione ma di una riformulazione più sintetica degli ultimi due commi del testo approvato a giugno.


PRESIDENTE. Ha ragione, le chiedo scusa.
Pongo in votazione l'articolo 94.


(È approvato).


Risultano pertanto assorbiti gli emendamenti elencati in allegato, e respinti gli altri, relativi all'articolo 94.
Ricordo, per memoria, che sull'articolo testé approvato - la questione sarà poi discussa in aula - vi era stata un'osservazione del presidente Elia - che in questo momento non vedo - abbastanza marcata circa l'inopportunità di mantenere l'espressione, aggiunta dopo lunga discussione, «o a causa delle loro funzioni», che estende l'insindacabilità. Lo ricordo affinché resti a verbale, perché il tema tornerà in discussione in aula.


MARCO BOATO. A suo tempo avevamo votato l'inserimento di questa norma.


PRESIDENTE. Sì.


MARIO GRECO. Più che questo segreto che lei aveva perché raccomandato dal presidente Elia, vorrei ricordare che dovremmo sciogliere - credo sia opportuno farlo adesso - la riserva che lei ha formulato a proposito dell'analogia che comporta l'articolo 94 con l'articolo 63 a proposito dei consiglieri regionali. Questa prerogativa, che noi abbiamo ampliato con la modifica introdotta all'articolo 94, è strettamente collegata all'estensione a suo tempo riferita ai consiglieri regionali.


PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di estendere la formulazione letterale del primo comma dell'articolo 94 anche ai consiglieri regionali (Commenti). Sì stiamo parlando del primo comma che, se approvato, costituirà il secondo comma dell'articolo 63.


(È approvata).


Constato che è prevalso il principio per cui la formulazione debba essere letteralmente uguale sia per i parlamentari nazionali sia per i consiglieri regionali.
Passiamo all'esame dell'articolo 95.
Non essendoci obiezioni, lo pongo in votazione.


(È approvato).


Passiamo all'esame dell'articolo 96.


MARCO BOATO. Il primo comma dell'articolo in esame prevede l'elezione di tre giudici della Corte costituzionale. Ricordo che ci eravamo riservati di adeguare tale numero alla decisione che assumeremo in merito alla Corte costituzionale. La proposta che farò in quella sede è che quattro giudici siano eletti dal Parlamento, quattro dal Presidente della Repubblica, quattro dalle regioni e quattro dalle magistrature. Se lo si ritiene, potremmo deliberare subito nel senso di indicare il numero di quattro giudici; in caso contrario, possiamo riservarci di coordinare il tutto nel momento in cui delibereremo in materia di Corte costituzionale. Deve comunque essere chiaro che l'indicazione numerica dei tre giudici è meramente pro memoria.


MARIO GRECO. Mi associo alla richiesta dell'onorevole Boato.


STEFANO PASSIGLI. Presidente, le chiedo se, nel caso in cui non si introducesse


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alcuna modifica al primo comma, sarebbe comunque possibile esaminare un nostro emendamento che non prevede la possibilità di nomina dei giudici da parte del Presidente della Repubblica e che riferisce in capo al Parlamento, segnatamente al Senato, l'elezione di otto membri.


PRESIDENTE. Su questo non c'è dubbio.


GIORGIO REBUFFA. Vorrei esprimere una grave perplessità, accompagnata da una richiesta di chiarimento con riferimento a quella che mi sembra possa essere una contrarietà al secondo comma dell'articolo 96, così come formulato. La competenza ad esprimere le nomine effettuate dal Governo rappresenta uno degli elementi centrali dell'indirizzo politico. La Camera che ha competenza al controllo dell'indirizzo politico, tramite il meccanismo fiduciario, è la Camera dei deputati. Non riesco a comprendere quale sia la ratio che porta ad escludere la Camera dei deputati, titolare dell'indirizzo politico, a partecipare ad una delle funzioni più importanti dell'indirizzo politico stesso.
Credo che le cose siano in questi termini. Se avessi capito male, ne sarei felice; al contrario, se ho ben compreso, si tratta anche in questo caso (non voglio usare parole forti) di un puzzle (traduzione in italiano: pasticcio).


CESARE SALVI. La questione è stata affrontata in sede di Comitato ristretto. Forse sarebbe opportuno che la relatrice riassumesse i termini della discussione svoltasi in quell'ambito.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione Europea. È proprio la funzione di garanzia del Senato che induce a distinguere la competenza; la Camera è esclusa perché si presuppone che in essa vi sia un continuum molto stretto tra maggioranza parlamentare e Governo che da quest'ultima ha ricevuto la fiducia, tale da - come dire? - indebolire l'intensità del controllo parlamentare o, addirittura, da escludere l'effettività di tale controllo.


GIORGIO REBUFFA. Ritengo - lo dico quasi maniacalmente - che questo sia un punto decisivo. Ringrazio la relatrice per il tono affabile, ma vorrei ascoltare anche il parere dei colleghi, perché si tratta - ripeto - di un punto decisivo che investe una questione che presenta un rilievo politico.
Non riesco a comprendere - mi rivolgo, in particolare, al senatore Salvi, il quale, per così dire, ha passato la mano alla senatrice Dentamaro - quale sia il senso di una nozione di garanzia che escluda attività che sono politiche in tutto l'universo, rispetto al problema delle nomine. Chiedo: come fa il Governo a fare la politica se non con le nomine riguardanti enti ed autorità? Non credo che il Governo faccia politica indicando grandi linee filosofiche.


MASSIMO VILLONE. Questa norma non toglie al Governo il potere di effettuare le nomine che allo stesso sono attribuite, né impedisce al Governo, alla maggioranza o all'opposizione nella Camera di determinare tutte le occasioni, i contesti e le situazioni in cui si discuta, si dibatta e si valutino i comportamenti del Governo nell'esercizio dei poteri ad esso attribuiti. Questa norma stabilisce soltanto che deve esserci una sede necessaria, nella quale non vi sia incardinazione del rapporto fiduciario, in cui le nomine siano oggetto di valutazione. È questo l'elemento di trasparenza inerente alla garanzia. Non credo, quindi, che le obiezioni del collega Rebuffa siano fondate.


STEFANO PASSIGLI. Credo che sul punto in questione potrebbe essere fatta chiarezza se mantenessimo il terzo comma. È fuori dubbio che non si possono disciplinare in maniera generica nomine fra di loro diverse. Vi sono nomine in organismi di garanzia, che a mio avviso dovrebbero essere effettuate


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dalla Camera delle garanzie (in questo caso, dal Senato): penso, per esempio, alle nomine dei membri del CSM. Vi sono poi nomine di natura politica, che il Governo può effettuare nella sua autonomia, che possono essere sottoposte all'advice o all'advice and consent del Parlamento. Se si tratta di advice, credo sia fondata l'osservazione che in questo caso deve trattarsi della Camera politica. Comunque, dobbiamo distinguere le situazioni, a seconda che si richieda o meno il consent, cioè l'assenso (quando cioè la Camera o le Camere abbiano il potere di veto). Credo debba essere la legge bicamerale a stabilire quali nomine cadono sotto l'uno e quali sotto l'altro regime e che, quindi, vada mantenuto il terzo comma. Se manteniamo il terzo comma, buona parte delle perplessità che venivano qui enunciate forse verranno meno.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. La soppressione del terzo comma non esclude affatto, in base alla formulazione del secondo comma, che una legge bicamerale effettui quella distinzione; è semplicemente superfluo esplicitarlo in un comma ulteriore perché già nel secondo, nel momento in cui si prevede (addirittura come derogatoria o comunque come situazione da indicare tassativamente) l'espressione del parere obbligatorio, ovviamente non vincolante, per determinate nomine da parte della legge bicamerale ...


STEFANO PASSIGLI. Perché ovviamente non vincolante? È questo il punto che le sottopongo ulteriormente. Vi possono essere nomine per le quali si può voler prevedere il parere vincolante: c'è l'advice e c'è anche il consent, se vogliamo, per alcune nomine.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Questo darebbe vero fondamento al rilievo dell'onorevole Rebuffa, che invece in questo modo è assolutamente superato. Se il parere fosse vincolante, il Governo sarebbe messo nell'impossibilità di realizzare la sua politica nelle nomine; con il parere obbligatorio ma non vincolante è solo messo di fronte ad una più chiara e trasparente assunzione di responsabilità. Mi pare che il meccanismo si tenga perfettamente.


STEFANO PASSIGLI. Stiamo dimenticando una categoria; forse ci sono delle nomine per le quali è opportuno l'advice and consent, è opportuno prevedere in Costituzione questa possibilità.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Probabilmente sono proprio quelle del primo comma; più che il consent, è l'elezione diretta da parte del Senato.


STEFANO PASSIGLI. Questa è una ulteriore categoria.


GIORGIO REBUFFA. Spirito costruttivo e suicida: invece che «il Senato», mettiamo «le Camere».


CESARE SALVI. Con questa norma si introduce una novità, si prevede cioè che in una sede che non dovrebbe essere caratterizzata da un rapporto schematico maggioranza-opposizione di Governo sia comunque prevista la garanzia costituzionale del passaggio delle nomine da parte del Governo. Ciò non toglie affatto né che esista sempre nella Camera dei deputati il potere di sindacato politico rispetto a nomine che si ritenessero sbagliate da parte del Governo, né che leggi possano prevedere ulteriori passaggi, ulteriori nomine.
La novità è questa; altrimenti, non c'è la novità. D'altra parte, sappiamo benissimo che nella Camera politica, proprio perché c'è un rapporto di maggioranza a sostegno del Governo, il controllo nel 99 per cento dei casi è puramente adesivo; se c'è un problema da parte dell'opposizione di contestare politicamente le nomine ...


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GIORGIO REBUFFA. Perché la Camera non può esprimere ...


CESARE SALVI. Perché non è mai successo fino adesso!
Questa norma non preclude il sindacato politico da parte della Camera, sia sotto forma di contestazione dell'opposizione, sia eventualmente sotto forma di contestazione da parte della maggioranza secondo i principi e secondo quanto le leggi già prevedono o dovessero prevedere; costituzionalizza un nuovo principio che dovrebbe essere da apprezzare soprattutto dal punto di vista dell'interesse dell'opposizione.
La previsione risponde a questa logica, a queste caratteristiche; temo che, se si aggiungesse il terzo comma, metteremmo il vincolo per il quale, invece, il Governo o non può fare nomine oppure, finché non venga approvata questa legge, può farle senza i controlli ai quali fa riferimento il comma stesso. Credo quindi sia giusto averlo soppresso, perché altrimenti costituisce un limite al controllo parlamentare, non un vantaggio.


PRESIDENTE. Si può condividere o meno, ma la ratio non è quella per cui il Senato assume una funzione di sindacato politico, poiché esso non deve approvare le nomine; nel confronto con una Commissione del Senato, in seduta non a caso pubblica, si introduce un obbligo per il Governo di motivare in modo trasparente i criteri e le ragioni delle sue scelte quando si tratti di nomine di sua competenza (Commenti dell'onorevole Rebuffa). Si può ritenere che questa sia una perdita di tempo, ma è una garanzia democratica (Commenti dell'onorevole Rebuffa). Abbiamo discusso ed approvato questa norma a giugno, non è un colpo di mano.


FRANCESCO SERVELLO. Abbiamo già deciso di sottrarre al Senato alcuni adempimenti importantissimi, vitali, tra cui la fiducia al Governo, la sfiducia ai ministri e quant'altro. Se non vogliamo ridurlo ancora, come è nelle intenzioni di qualche collega di varia estrazione (come avrà visto, signor presidente), dobbiamo dargli un ruolo e una funzione.
Onorevole Rebuffa, che cosa vogliamo fare? Ripetiamo le sceneggiate che si rinnovano da trent'anni, convocando Camera e Senato cinque, sei, sette volte per votare i giudici costituzionali, i componenti del CSM e quant'altro? Diamo questa responsabilità ad una delle due Camere, che è spogliata di tutta una serie di altre potestà legislative e viene indebolita in maniera tale da essere portati a sostenere che in queste condizioni è meglio abolirla.
La prerogativa di attribuire una valutazione di merito ad una Camera meno politicizzata dell'altra, ma comunque formata da uomini politici, penso eviti la storia della navetta, questa omogeneità di Camera e Senato che per 45 anni ha governato il nostro paese nei modi e nelle degenerazioni che abbiamo subito.


PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell'onorevole Rebuffa di sostituire, al secondo comma, le parole «il Senato esprime» con le seguenti: «le Camere esprimono».


(È respinta).


Il testo resta nella formulazione della relatrice o si propone di sopprimere il secondo comma?


GIORGIO REBUFFA. Propongo di sopprimere il secondo comma.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Rebuffa soppressivo del secondo comma, ossia della previsione del parere del Senato sulle nomine di competenza del Governo.


(È respinto).


Alcuni colleghi hanno proposto di riportare in vita il terzo comma. Qualcuno insiste in questo senso?


MARCO BOATO. Lo sopprimiamo.


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PRESIDENTE. Pongo in votazione l'articolo 96 secondo la formulazione proposta dalla relatrice.


MARCO BOATO. Con la riserva di coordinamento formale e sostanziale.


PRESIDENTE. Certo. Pongo in votazione l'articolo 96.


(È approvato).


Passiamo all'esame dell'articolo 97.
Il Comitato conviene di eliminare la speciale Commissione delle autonomie di cui a tale articolo; discuteremo poi alla fine sulle due ipotesi.
Pongo in votazione la soppressione dell'articolo 97.


(È approvata).


Passiamo all'esame dell'articolo 98.


CESARE SALVI. L'articolo 94 è stato approvato?


PRESIDENTE. Sì, la relatrice, dopo la discussione, è ritornata al testo precedente: resta il principio che non sono utilizzabili in giudizio le conversazioni, le comunicazioni e le corrispondenze delle quali sono parte - e non oggetto - i componenti delle Camere.


CESARE SALVI. C'era una riserva del collega Elia.


PRESIDENTE. La questione è stata superata perché nessuno l'ha sollevata in questa sede.


LEOPOLDO ELIA. Purtroppo ero assente, ma non si può introdurre almeno una riserva di coordinamento?


PRESIDENTE. Non è materia di coordinamento, è una decisione politica.


LEOPOLDO ELIA. Potrebbe essere riesaminata dalla Commissione.


MARIO GRECO. Questa è già la seconda lettura e l'articolo è già stato approvato a maggioranza: mi meraviglio come lei ancora insista di fronte alla volontà della maggioranza!


LEOPOLDO ELIA. Perché è una vergogna!


MARIO GRECO. Le farò poi vedere che è una vergogna voler eliminare la disposizione!


PRESIDENTE. Ci sono diversi pareri, lascerei stare la vergogna.


MARIO GRECO. Questi giochi non li ammetto, perché prima ancora che venisse il presidente Elia, lei già aveva detto che era depositario di un segreto. Quello che avviene nel Comitato ristretto purtroppo gli altri non lo sanno: già da stamattina io sapevo che c'era il preannunzio di un emendamento che non è stato presentato. Mi meraviglio anche perché il presidente Elia era presente nel momento in cui, nella prima lettura, è passato a maggioranza il mio emendamento sull'ampliamento dell'insindacabilità: come mai ancora una volta non accetta il giudizio della maggioranza?


PRESIDENTE. La discussione su questo punto in questa sede è chiusa: l'articolo 94 è stato approvato e, poiché Elia non era presente, ho voluto ricordare alla Commissione che c'era una riserva su quel punto. È del tutto legittimo che se ne torni a discutere, ma nelle aule e non qui.
Do la parola alla relatrice per illustrare le modifiche all'articolo 98.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Dalla lettera d) è stata eliminata la dizione «norme generali su» diritti fondamentali civili e politici e libertà inviolabili della persona per circoscriverne in maniera più precisa l'ambito di applicazione; si è voluto cioè indicare la legislazione che abbia ad oggetto direttamente i


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diritti in questione, mentre la dizione «norme generali» risulta troppo vaga e sarebbe facilmente fonte di equivoci e confusioni.
La diversa formulazione della lettera h) non cambia assolutamente il significato sostanziale, era oggetto di una riserva da parte della Commissione per l'intento di coordinarla con il testo che sarebbe stato approvato sul federalismo; è quindi solo un adeguamento al testo approvato nell'ambito delle proposte del senatore D'Onofrio in materia di ordinamento degli enti locali; la soppressione alla lettera c) del riferimento alle elezioni locali è solo uno spostamento di sede alla lettera h).


GIULIO MACERATINI. Noto che usiamo spesso l'espressione «delle Camere» invece che quella unificante «del Parlamento»; sarei grato al presidente o alla relatrice se volessero chiarirmi perché.
Nell'emendamento, all'ultimo comma, si dice che «sono approvate dalle due Camere le leggi di autorizzazione alla ratifica ai trattati internazionali e di delegazione legislativa nelle medesime materie»; qui la materia è una sola, forse c'è un errore.


FRANCESCO SERVELLO. L'onorevole relatrice alla lettera h) dice che sono approvate dalle due Camere le leggi che riguardano la legislazione elettorale; oltre ad esservi un errore di linguaggio, poiché è improprio parlare di leggi che riguardano la legislazione elettorale, questa materia è già prevista dalla lettera c), che parla di elezioni nazionali ed europee; non c'è bisogno di ripeterlo.
Vorrei inoltre capire cosa significhi « leggi che riguardano organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Province».


PRESIDENTE. Se si vuole proporre una riforma della legge che prevede l'elezione popolare del sindaco, per esempio, questa deve essere approvata dalle due Camere, non basta solo la Camera dei deputati. È chiarissimo.
Trovo semmai discutibile il riferimento a funzioni fondamentali di comuni e province, perché può essere difficile individuare il discrimine tra funzioni fondamentali e funzioni secondarie.


NATALE D'AMICO. Per quanto riguarda l'ultimo comma, nel quale si stabilisce che sono approvate dalle due Camere «tutte le altre leggi previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali», vorrei sapere se ciò voglia dire che il riferimento è a tutte le altre leggi previste come bicamerali dalla Costituzione, nel qual caso tanto varrebbe scriverlo, perché altrimenti vorrebbe dire una cosa diversa.


PRESIDENTE. In effetti, l'espressione forse si presta a qualche equivoco.


SERGIO MATTARELLA. Secondo quanto obiettava il collega D'Amico, credo che le ultime due righe dell'ultimo comma potrebbero essere tolte, in quanto superflue: può sempre essere prevista da altre norme costituzionali l'attribuzione alla legge bicamerale di altre materie.
Vorrei chiedere inoltre alla relatrice, atteso che la nuova formulazione «nelle medesime materie» è senz'altro più elegante, se però non sarebbe più chiaro il termine forse più curiale prima adottato, cioè «nelle materie di cui al presente articolo», un'espressione, lo ripeto, più curiale ma che forse sgombra il campo da qualsiasi dubbio interpretativo.
Da ultimo, presidente, pur non chiedendo di votare in proposito e non presentando quindi emendamenti, ribadisco la preoccupazione relativa al fatto di prevedere che per i trattati internazionali che riguardino materie bicamerali sia necessaria, qualora occorra l'intervento del Parlamento, una legge autorizzativa bicamerale, con la conseguenza che di fatto la gran parte dei trattati venga assorbita con legge di autorizzazione bicamerale, facendo sì che una delle materie che costituiscono il cuore della politica del Governo venga definita anche da una Camera che non ha rapporto di fiducia con l'esecutivo. È una preoccupazione che


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rassegno; sapendola minoritaria, non chiedo comunque che venga sottoposta a votazione.


GIOVANNI RUSSO. In ordine all'osservazione svolta dal senatore Servello, alla lettera h) vorrei proporre di sostituire le parole «legislazione elettorale» con «elezioni», in analogia con quanto già previsto alla lettera c).
Quanto all'ultimo comma, penso che l'espressione «medesime materie» si riferisca non a quelle contenute in tale comma, ma a quelle comprese nel precedente; se così è, sarebbe bene esprimerlo in modo esplicito. Basterebbe sostituire «nelle medesime materie» con l'espressione «con le materie di cui al precedente comma».


PRESIDENTE. Il collega Mattarella ha già proposto di sostituire a quell'espressione «le materie di cui al presente articolo».


GIOVANNI RUSSO. Il fatto che la ratifica dei trattati internazionali sia oggetto di delega mi sembra alquanto discutibile.
Infine, proporrei anch'io di togliere le ultime due righe dell'ultimo comma, cioè l'espressione «nonché tutte le altre leggi previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali», perché mi sembra superflua.


ARMANDO COSSUTTA. Per maggior chiarezza propongo che alla lettera c) sia mantenuta la dizione «elezioni nazionali, europee e locali» e spiego il perché. Per elezioni locali intendo quelle comunali e provinciali, non quelle regionali perché purtroppo, con una decisione che non abbiamo condiviso, questo compito è stato sottratto al Parlamento nazionale; comunque, si può lasciare questo riferimento, in quanto mi sembra che questa sarebbe la collocazione più adatta per una competenza di tal genere.
Viceversa, alla lettera h) bisognerebbe mantenere il testo originario in quanto, togliendo la legislazione elettorale, che propongo sia compresa alla lettera c), rimane la questione dell'ordinamento degli enti locali e cioè gli organi di governo e le funzioni fondamentali dei comuni, laddove notoriamente con l'espressione «enti locali» s'intendono comuni e province.


ORTENSIO ZECCHINO. Credo che i «diritti fondamentali» di cui alla lettera d) più propriamente dovrebbero essere definiti come «diritti inviolabili», come recita l'articolo 2 della Costituzione, che resta invariato.
Inoltre, vorrei prospettare l'opportunità di aggiungere la lettera d-ter) contenuta nell'emendamento Mussi C.98.83, che introduce anche i rapporti familiari, di cui agli articoli 29 e 30 della Costituzione. Si tratta di un emendamento il cui contenuto corrisponde a quello Jervolino Russo C.98.55. Naturalmente mi asterrò dal motivare tale proposta limitandomi ad osservare che, nell'ambito delle funzioni di garanzia, mi pare che l'organo fondante di ogni garanzia sia appunto la famiglia.


ANTONIO SODA. Signor presidente, ritengo che il testo dell'articolo 98 proposto dalla relatrice debba essere accolto così com'è formulato, perché il processo che ha condotto a queste modifiche trae origine dal fatto che la Commissione all'articolo 59 ha definito le materie della potestà legislativa dello Stato, per cui l'articolo 98 non è nient'altro che una specificazione dell'articolo 59, nel momento in cui determina quali tra le materie indicate all'articolo 59 debbano essere approvate con legge delle due Camere. Ai colleghi Cossutta e Russo vorrei far osservare che all'articolo 59 è usata la dizione «legislazione elettorale, organi di Governo e funzioni fondamentali di comuni e province»; se ripetessimo «ordinamento degli enti locali» e parlassimo di elezioni locali, ci si potrebbe porre il problema del perché lo stesso legislatore costituente in un articolo usi una terminologia ed un concetto (perché nel termine ordinamento rientra qualcosa di più delle sole funzioni fondamentali, mentre


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quando si è discusso di funzioni fondamentali è stato per mantenere una riserva di autonomia nelle funzioni dei comuni, è questa la logica dell'articolo 59), mentre in un altro articolo ne usi di diversi. Pertanto, il tentativo posto in essere dalla relatrice di usare, fin dove è stato possibile, la stessa terminologia dell'articolo 59 è non solo apprezzabile, ma in un certo senso è obbligatorio ed imposto.
Personalmente - ma non intendo sollevare alcun problema a questo proposito - ritengo che la dizione «diritti fondamentali» non circoscriva, come ha detto la relatrice, ma ampli la possibilità di contenzioso, perché le leggi che riguardano i diritti fondamentali sono quelle che riflettono e ricadono su tali diritti. Quindi vi può essere una molteplicità di leggi che per loro natura sono monocamerali, ma che per l'incidenza dei diritti fondamentali daranno luogo ad un contenzioso sul tema della loro natura monocamerale o bicamerale. Il tentativo che avevamo posto in essere di identificare con riferimento ad articoli ed a disposizioni specifiche della prima parte della Costituzione le leggi che, attenendo a queste materie, dovevano essere bicamerali va nella logica delle altre Costituzioni; nella nostra, infatti, non abbiamo una definizione dei diritti fondamentali, che è il frutto di un'elaborazione dottrinaria, e ciò a differenza di altre Costituzioni, che elencano i diritti fondamentali in modo analitico, il che riduce il contenzioso.


LUIGI GRILLO. Vorrei ripetere in questa sede un'osservazione da me svolta nel Comitato ristretto alla presenza del senatore Elia. L'osservazione è tesa ad inserire tra gli argomenti oggetto di lettura bicamerale le leggi di contabilità pubblica, cioè bilancio dello Stato, finanza regionale e finanza locale.
Dico questo perché mi pare che la soluzione offerta dalla relatrice agli articoli 112 e 113, ancorché prefiguri una doppia lettura, sia estremamente farraginosa e macchinosa, al punto da non capire bene se stiamo scrivendo norme costituzionali o regolamentari. In questo senso, faccio mie le osservazioni e le proposte contenute nell'emendamento dei colleghi Mussi e Salvi, in cui si affermano in sostanza le stesse cose, prevedendo di inserire tra le materie oggetto di approvazione bicamerale il bilancio dello Stato, il rendiconto, nonché le leggi istitutive o modificative di tributi statali, regionali e così via.


FAUSTO MARCHETTI. Chiedo anch'io che l'intera materia elettorale sia raggruppata in un'unica lettera, in cui si potrebbe parlare di elezioni europee, nazionali, provinciali e comunali; vi sarebbe, in questo modo, un riferimento anche testuale a quanto approvato in materia di forma di Stato. La sostanza non cambierebbe, ma l'intera materia elettorale verrebbe raggruppata nella lettera c), in cui si parlerebbe - lo ripeto - di elezioni europee, nazionali, provinciali e comunali.
Nella lettera h) verrebbe eliminato il riferimento alla legislazione elettorale e resterebbe quello concernente gli organi di Governo e le funzioni fondamentali di comuni e provincie. Inoltre, se si riprendesse il precedente testo della lettera h) (ordinamento degli enti locali secondo le disposizioni del titolo I), non si modificherebbe assolutamente quanto deciso in sede di forma di Stato, ma al contrario lo si richiamerebbe e questo costituirebbe un modo per rafforzare, in un certo senso, quanto già deciso in quell'ambito. Quindi, il metodo seguito dalla relatrice, peraltro doveroso rispetto a quanto già deciso in sede di Comitato, non verrebbe assolutamente modificato, ma probabilmente la forma che ne risulterebbe sarebbe preferibile.
Condivido inoltre le considerazioni svolte dal collega Soda in ordine al margine di dubbio che può restare in sede interpretativa con riferimento alla lettera d), in cui si parla di diritti fondamentali civili e politici e di libertà inviolabili della persona. Sarebbe quindi opportuno un tentativo di specificare meglio la materia; questo potrà essere fatto eventualmente in un momento successivo, ma mi pare che le richieste, avanzate anche in precedenza,


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di prevedere un elenco il più possibile tassativo delle varie materie, in modo che non sussistano margini di equivoco, non vengano pienamente soddisfatte da questa espressione contenuta nella lettera d).


PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Rebuffa, devo osservare (non lo dico per l'onorevole Rebuffa, ma per i molti colleghi già intervenuti) che sono state svolte varie osservazioni formali, che possono essere valutate in sede di coordinamento. Se si accoglie il criterio seguito dalla relatrice, secondo cui le formulazioni del testo in esame devono essere omogenee a quelle contenute nell'articolo 59, allo scopo di non creare confusione, gli aspetti formali potranno essere valutati in sede di coordinamento.


GIORGIO REBUFFA. Intendo osservare che le argomentazioni e le proposte di adesione all'emendamento Mussi e Salvi da parte del collega Grillo sono state avanzate a titolo personale; devo aggiungere che non le condivido e che l'inserimento delle leggi di bilancio tra le competenze della seconda Camera creerebbe, a mio avviso, un'altra delle distorsioni di cui si è già parlato. A quel punto, mancherebbe soltanto, per così dire, la ciliegina sulla torta, che in questo caso sarebbe l'attribuzione della fiducia. Se si sta cercando di reintrodurla surrettiziamente... Non credo che sia così, ma allora è meglio discuterne direttamente.


FRANCESCO SERVELLO. La previsione di un Senato con la partecipazione di rappresentanti di enti locali e regioni (si vedrà poi con quali modalità dal punto di vista quantitativo) rende indispensabile il passaggio del bilancio dello Stato o della legge finanziaria presso lo stesso Senato. Altrimenti, che senso avrebbe quella presenza? Che cosa farebbero i rappresentanti degli enti locali se non esprimessero in qualche modo un voto in ordine ai problemi finanziari che attengono alle regioni, ai comuni e alle provincie?


PRESIDENTE. Il problema è un altro: qualcosa del genere è previsto, ma con una procedura diversa rispetto a quella stabilita per le leggi bicamerali.


FRANCESCO SERVELLO. La Camera decide sempre in via definitiva.


PRESIDENTE. È previsto che sul bilancio decida, in ultima istanza, la Camera, mentre per quanto riguarda le leggi bicamerali vi è un comitato di conciliazione. Naturalmente il Governo dovrebbe far approvare in ultima istanza il bilancio là dove ha la fiducia, altrimenti governare diventerebbe piuttosto improbabile.


CESARE SALVI. Chiedo che tale questione, peraltro già affrontata negli articoli 112 e 113 del testo della relatrice Dentamaro, sia esaminata in quella sede. Se si attribuisce alla seconda Camera, secondo l'orientamento che è emerso, anche la funzione di garanzia del sistema delle autonomie, è necessario prevedere una lettura, da parte di quello stesso organo, della materia relativa al bilancio, nell'ambito di una procedura particolare. Crediamo però che la deliberazione definitiva su tale materia debba essere di competenza della Camera dei deputati, proprio perché riteniamo giusto che il rapporto fiduciario sia imputato ad una sola delle due Camere.
Per tale ragione, credo sia necessaria una procedura speciale, che peraltro trova la sua corretta disciplina negli articoli 112 e 113, nell'ambito dei quali si potranno approfondire le eventuali proposte di modifica rispetto alla soluzione attualmente prevista.


PRESIDENTE. Do ora la parola alla relatrice, che potrà rispondere alle osservazioni svolte; successivamente, si passerà alla votazione.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Rispondo innanzitutto al senatore Maceratini, rilevando che nella formulazione ho seguito - mi pare - lo stesso criterio proprio dell'attuale Costituzione,


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che usa il termine «Parlamento» ogni qualvolta si riferisce a prerogative di parlamentari rispetto alle quali sia indifferente l'appartenenza all'una o all'altra Camera, mentre laddove disciplina procedure, opera sempre una distinzione e parla di «Camera» o di «Camere». A maggior ragione è opportuno mantenere questo criterio in una disciplina costituzionale nuova che attribuisce notevole rilevanza alla differenziazione tra le procedure monocamerali e quelle bicamerali.
Condivido altresì la valutazione espressa in ordine all'allineamento delle formulazioni tra il testo D'Onofrio e quello oggi in esame; credo peraltro si tratti di questioni meramente formali che potranno essere affrontate in sede di coordinamento, ma giudico in ogni caso essenziale che vi sia omogeneità tra i due testi e che essi si avvicinino quanto più possibile. Quindi, per il momento manterrei le attuali formulazioni delle lettere c) e h).
Non mi accanisco, inoltre, nel difendere l'espressione «medesime» anziché «di cui al presente articolo»; mi rendo conto che quest'ultima dizione può risultare più chiara, ma nel momento in cui si è usata l'espressione «nelle medesime materie», l'intenzione era quella di riferirsi alle materie di cui all'articolo 98, non certo alla delegazione legislativa in materia di trattati internazionali, che tra l'altro non è prevista né dalla Costituzione vigente né dal testo di riforma che si propone.
Per quanto riguarda l'ultimo inciso dell'ultimo comma, credo sia assolutamente da escludere qualsiasi possibilità di interpretarlo nel senso indicato dall'onorevole D'Amico, ossia con un significato che farebbe cadere l'intero impianto della differenziazione tra leggi monocamerali e bicamerali. Mi sembra comunque utile mantenerlo, perché dà la possibilità che anche all'interno del testo che andiamo progressivamente approvando si indichino leggi da approvarsi da parte delle due Camere e senza che questo sia necessariamente da specificare.
Colgo l'occasione per dire che probabilmente in sede di coordinamento andrà operata una verifica molto attenta di tutte le ipotesi in cui noi già qui prevediamo una legge approvata dalle due Camere, perché questo potrebbe poi significare che quando ci riferiamo a leggi di attuazione della Costituzione senza quella specificazione la legge automaticamente è monocamerale; invece laddove la legge si riferisca, per esempio, alla disciplina di organi costituzionali, anche se è espressamente prevista in altre norme diverse dall'articolo 98 e può in ipotesi sfuggire la specificazione, questo non può certo significare che la legge diventi monocamerale in contrasto con il sistema complessivo. Mi sembra quindi un inciso, una clausola finale utile a nostra cautela, per assicurare la coerenza del sistema in ogni suo dettaglio, per assicurare che sia evitata qualsiasi smagliatura.
Sul bilancio e sulle leggi in materia finanziaria e di contabilità riterrei anch'io di rinviare la discussione e le decisioni relative agli articoli 112 e 113, mentre per quanto riguarda la lettera d) insisterei in questa formulazione, avendo una spiccata preferenza per le norme costituzionali elastiche, espresse attraverso clausole generali, e non per le indicazioni tassative che a mio avviso introducono rigidità dannose in materia costituzionale e danno facilmente luogo ad omissioni alle quali poi è difficile rimediare.


PRESIDENTE. Mi pare che la relatrice accolga l'osservazione formale «di delegazione legislativa nelle materie di cui al presente articolo» e per il resto mantenga il testo, con la motivazione che il testo stesso è coordinato con l'articolo 59, salvo che poi in sede di coordinamento non si decida di coordinare meglio; ma attualmente ripete letteralmente le espressioni e questo criterio mi pare sia condiviso.
Pongo pertanto in votazione la sostituzione, al terzo comma, delle parole: «nelle medesime materie» con le seguenti: «nelle materie di cui al presente articolo».


(È approvata).


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Per quanto attiene all'ultimo periodo, penso anch'io che l'interpretazione vada abbastanza chiaramente nel senso indicato dalla relatrice. Se si volesse rendere più esplicito il concetto, si potrebbe dire (ma è un'espressione molto brutta dal punto di vista lessicale) «tutte le altre leggi previste come bicamerali dalla Costituzione» oppure «indicate come bicamerali». Tuttavia è materia di coordinamento. Ritengo invece non inutile che ci sia questo riferimento, perché in effetti abbiamo più volte previsto nel testo che si proceda con legge bicamerale e non so se tutti questi casi che abbiamo introdotto siano riassumibili entro i punti... Non sapendolo, per sicurezza per ora lascerei tale riferimento.


MARCO BOATO. È una clausola di salvaguardia.


PRESIDENTE. È una clausola di salvaguardia verso noi stessi per ora; poi decideremo alla fine in sede di coordinamento.


GIOVANNI PELLEGRINO. Mi domando cosa succeda nel caso di una legge che per argomento rientri nella competenza della Camera dei deputati e che contenga una sola norma compresa in una delle materie di cui all'articolo 98; o se addirittura in fase emendativa venga proposto un emendamento...


PRESIDENTE. L'emendamento sarà considerato inammissibile dal Presidente della Camera.


GIOVANNI PELLEGRINO. E se è il testo legislativo? Se, per esempio, una legge sugli sfratti contiene una norma sulla procedura, questa diventa tutta una legge bicamerale o diventa bicamerale solo l'articolo sulla procedura?


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Ritengo che la progettazione legislativa e la disciplina degli emendamenti dovranno essere adeguate a questa suddivisione di competenze. Il senso è anche quello di non cumulare norme...


MARCO BOATO. Comunque sono anche materie delicate, da demandare ai regolamenti parlamentari.


FRANCESCO SERVELLO. C'è la proposta del collega Marchettidi aggiungere «sulle elezioni europee».


FAUSTO MARCHETTI. Anch'io ho ripetuto questa notazione, sui cui è intervenuto prima di me l'onorevole Cossutta, però mi pare che la risposta sia che si procederà ad un coordinamento successivo.


PRESIDENTE. Poiché l'emendamento non introduce una modificazione sostanziale, è un problema di coordinamento di testi, perché la previsione secondo cui in materia di leggi elettorali europee, nazionali, comunali e provinciali si deliberi con legge bicamerale esiste già. L'emendamento non ha una natura sostanziale. Si è detto che per questi emendamenti di carattere formale si deciderà in sede di coordinamento, sulla base del principio della omologia tra le formulazioni del presente articolo e quelle dell'articolo 59.
Credo che l'emendamento Mussi Salvi tenda a tipizzare l'espressione «diritti fondamentali civili e politici e libertà inviolabili della persona». O si accetta la ratio di quell'emendamento, ma allora secondo me bisognerebbe mettere in votazione tutta la sua concreta articolazione...


ORTENSIO ZECCHINO. Che coincide tra l'altro con l'emendamento Jervolino C.98.55.


PRESIDENTE. Ho capito benissimo, ma io ritengo che il punto d), d)-bis e d)-ter sia interamente sostitutivo del punto d).


CESARE SALVI. La norma alla quale fa riferimento il collega Zecchino era una


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delle tre norme con le quali ci proponevamo di tipizzare quanto attualmente previsto nella lettera d). Credo che la materia alla quale si fa riferimento sia ricompresa nel testo attuale della lettera d).


ORTENSIO ZECCHINO. No, come può essere ricompresa?


CESARE SALVI. La formulazione della relatrice Dentamaro è una clausola generale che non fa riferimento puntuale all'attuale disciplina costituzionale. L'altra ipotesi era quella di tipizzare tutte le norme, ipotesi che si è considerata e si potrà anche riprendere in considerazione nell'esame successivo, però la logica della nostra proposta emendativa era questa. Ritengo che quelle materie siano comprese nella formulazione della relatrice, che però potrà dire la parola definitiva dal punto di vista dell'interpretazione.


PRESIDENTE. Volevo sottolineare che il d)-ter non è un emendamento aggiuntivo, è uno svolgimento del d). Quindi o si prende nel suo complesso (può essere un criterio più opportuno, ne abbiamo lungamente discusso in Comitato) oppure non ci capisce perché si consideri questo aspetto e non, per esempio, la tutela delle minoranze linguistiche, che non mi pare di minore rilevanza, o i rapporti Stato-Chiesa. O si procede sulla base di una indicazione di carattere più generale, che ovviamente si intende comprensiva della legislazione in materia di rapporti familiari di cui agli articoli 29 e 30 della Costituzione, o si procede ad una tipizzazione più sistematica. Questa è la mia osservazione: sono due criteri diversi.


ORTENSIO ZECCHINO. È una giusta preoccupazione. Però diciamo la verità: in questo articolo 98, tutto sommato, non è facile individuare quella che si definisce una filosofia unica, perché l'equivoco - sul quale non ritorniamo - è alla base. Allora, tutto sommato, il riferimento è a pezzi di competenza che in qualche modo riteniamo di ricomprendere nella dizione «Senato delle garanzie». Che l'emendamento Mussi C.98.93 debba ritenersi unitario nelle tre lettere d) (cioè la d), d-bis) e la d-ter) mi sembra un fatto discutibile, perché certamente il contenuto della lettera d-ter) si regge da solo benissimo, non avendo alcuna connessione necessaria o alcuna dipendenza dalle due lettere precedenti: è un'autonoma formulazione che può essere posta in votazione e approvata. È giusto o non è giusto? Lei fa queste considerazioni metodologiche condivisibili in astratto, presidente, ma in definitiva non riusciamo ad individuare un criterio di discriminetra ciò che dovrebbe e ciò che non dovrebbe entrare nell'articolo 98. In ogni caso, la materia è individuata in modo autonomo nell'emendamento Jervolino Russo C.98.55; quindi, anche da questo punto di vista, è suscettibile di autonoma valutazione.
Infine, tornerei anche sull'aggettivo «fondamentali», che sostituirei con «inviolabili» perché, nonostante tutte le considerazioni del collega Soda, il termine «inviolabili» è già utilizzato nella prima parte della Costituzione.


MARCO BOATO. L'unica possibilità sarebbe quella di usare - ma lo dico con cautela, perché vorrei sentire la relatrice - la seguente espressione: diritti fondamentali civili e politici e libertà inviolabili della persona «e delle formazioni sociali». È il concetto che si trova all'articolo 2 della Costituzione, che fa riferimento alla persona e alle formazioni sociali. È un'espressione che comprende tutto, quindi ovviamente anche la famiglia.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Uno dei colleghi - credo il senatore Passigli, ma non sono certa - ha osservato poco fa che le libertà si espandono. Quindi, a mio avviso, il «pregio» di questa formulazione è proprio quello della sua capacità di adeguarsi a un'evoluzione culturale, politica e ordinamentale complessiva.
Se posso osare un'operazione audace, cioè quella di sintetizzare veramente in


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due parole la filosofia complessiva sottesa a questo elenco, che il senatore Zecchino diceva non essere individuabile, la sintetizzerei così: regole della democrazia e diritti fondamentali a contenuto non economico. Questa è la filosofia, che mi pare non debba essere appannaggio esclusivo dell'indirizzo politico governativo. Se queste formulazioni corrispondono a questa filosofia, l'intento che mi animava è stato raggiunto. A me pare che il testo proposto si avvicini a questa idea.


NATALE D'AMICO. Voterò contro questo articolo perché mi pare che sottragga all'indirizzo politico della maggioranza degli italiani una parte importante di questioni rilevanti sul terreno politico. Il nostro lungo dibattito mi conferma viepiù in questa opinione.


GIUSEPPE CALDERISI. Non ho mai preso la parola su questo articolo, diversamente da quanto ho fatto in sede di Comitato ristretto, perché non volevo far perdere tempo. Ma devo esprimere rapidamente un giudizio, aggravato alla luce del dibattito che si è svolto, circa la preoccupazione gigantesca che il sistema che abbiamo scelto abbia un'impostazione che non funziona. Esprimo riserve profonde: questa codificazione di leggi bicamerali mi sembra di difficilissima attuazione, perché dà luogo a difficoltà e conflitti enormi. L'esempio del collega Pellegrino e tantissimi altri che si potrebbero fare sono la dimostrazione della difficoltà a far funzionare un meccanismo del genere, che a mio avviso mette in discussione la stessa idea del cosiddetto Senato delle garanzie. Ho il terrore delle contestazioni e dei conflitti di competenza tra leggi monocamerali e bicamerali e nutro preoccupazioni anche per quanto riguarda l'indirizzo politico che in questa maniera sarebbe sottratto alla Camera dove dovrebbe svolgersi il rapporto fiduciario.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'articolo 98, come modificato.


(È approvato).


Passiamo all'esame dell'articolo 99.


MARCO BOATO. Presidente, una questione tecnica. Nel testo che ci è stato distribuito, credo per un'omissione puramente tecnica, ci si è dimenticati, avendo modificato il comma 1, di inserire il termine «Identico» al comma 2. Altrimenti, rischieremmo di saltare le leggi di iniziativa popolare. Dobbiamo votare anche il comma 2.


PRESIDENTE. Sì, ha ragione: si propone la correzione del comma 1 ma non la cancellazione del comma 2, che rimane così com'è.


GIULIO MACERATINI. Vorrei chiedere alla relatrice Dentamaro se la dizione «ciascun componente delle Camere» come titolare dell'iniziativa legislativa riguardi la propria Camera o il Parlamento nel suo complesso. Se io presentassi al Senato una proposta di legge su cui il Senato non ha competenza, cosa succederebbe? Sarebbe trasferita alla Camera?


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Questa norma va letta in collegamento con quelle successive che disciplinano le procedure.


PRESIDENTE. È evidente. Questa è la norma generale: gli articoli successivi disciplinano le procedure per la presentazione delle proposte di legge in ciascuna Camera.


GIULIO MACERATINI. Quindi, quello dei senatori è un diritto limitato?


PRESIDENTE. Sì: anche i deputati hanno un diritto limitato. Oggi vi è un bicameralismo perfetto che intendiamo superare. Cambia il sistema.


GIULIO MACERATINI. Questa dichiarazione, che poi viene smentita, non mi


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pare sia espressione della migliore tecnica legislativa costituente. Si riconosce un diritto e poi lo si ritira negli articoli successivi. La mia è una riflessione insieme lessicale e di organicità.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Non so se è smentita o semplicemente precisata dagli articoli successivi. Comunque, una delle ipotesi che negli ultimi minuti di lavoro del Comitato ristretto è stata affacciata era quella di consentire l'iniziativa legislativa «incrociata», e cioè che il deputato potesse presentare proposte di legge anche al Senato e, ricollegandomi a quanto a testé osservato il senatore Maceratini, forse anche viceversa. È un'ipotesi che la Commissione potrebbe prendere in considerazione. È quello che sta accadendo, per esempio in questa fase, a proposito dei disegni di legge che stiamo esaminando in questa Commissione e dei relativi emendamenti. Sono le Presidenze delle Camere che provvedono allo «smistamento». Se vi è un orientamento dei colleghi a prendere in considerazione questa possibilità...


PRESIDENTE. I senatori, cioè, possono presentare disegni di legge monocamerali.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Bisogna collegarsi alla norma successiva sulla prima lettura al Senato: per questo sarebbe forse opportuno procedere nell'esame degli articoli.


PRESIDENTE. Al di là delle leggi bicamerali, che sono di competenza di entrambe le Camere, vi sono le leggi monocamerali, che sono di competenza non dico esclusiva, perché vi è il potere di richiamo, ma fondamentale della Camera. D'altro canto, anche il Senato ha proprie competenze esclusive, perché per esempio effettua delle nomine alle quali i deputati non partecipano più, mentre attualmente quelle nomine avvengono in seduta congiunta.
È evidente, quindi, che tutto il sistema tende a differenziare, articolare ed evitare una duplicazione pura e semplice: credo che la logica del sistema vada difesa, altrimenti torniamo al sistema attuale.


FRANCESCO SERVELLO. Dovremmo esaminare l'articolo 100, per specificare il collegamento.


PRESIDENTE. Approviamo prima l'articolo 99, dando per inteso che con l'espressione «L'iniziativa delle leggi» si fa riferimento ad un principio generale che risulta specificato successivamente.


GIULIO MACERATINI. Si potrebbe forse aggiungere: «nei limiti delle rispettive competenze».


PRESIDENTE. Non è un problema di limiti; in questa Costituzione abbiamo introdotto una distinzione fra le fonti normative: ci sono le leggi bicamerali e le leggi monocamerali. È una novità, perché attualmente tutte le leggi sono bicamerali; evidentemente, allora, il riferimento generico alle leggi è del tutto appropriato, poi successivamente, in rapporto alla distinzione che abbiamo introdotto, si spiega con quali forme e con quali procedure il diritto all'iniziativa legislativa viene conferito ai singoli parlamentari.


GIULIO MACERATINI. Signor presidente, a mio avviso resta in piedi l'obiezione che forse bisogna prevedere una riserva per l'iniziativa delle leggi che appartiene ai componenti delle Camere, considerate le limitazioni che introduciamo successivamente; essa si contrappone infatti all'iniziativa del Governo e delle assemblee regionali, che è a tutto campo. Altrimenti, quando leggeremo questa norma, ci sembrerà una dichiarazione di principio che viene poi di fatto sminuita.


PRESIDENTE. Viene regolata, non contraddetta.


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FRANCESCO SERVELLO. Leggendo insieme gli articoli 99 e 100, in sostanza si rileva che solo i disegni di legge presentati alla Camera possono diventare leggi, perché l'articolo 100 prevede che la Camera dei deputati li esamini e, se approvati, li trasmetta al Senato della Repubblica, il quale con una certa procedura li approverà o li modificherà rimandandoli alla Camera per il voto definitivo. Non viene prevista la procedura per un disegno di legge presentato al Senato che abbia la possibilità di diventare legge.


PRESIDENTE. Senatore Servello, deve considerare anche l'articolo 101: la procedura di cui all'articolo 100 è relativa alle leggi monocamerali, per le quali il Senato ha soltanto potere di richiamo. Per le leggi bicamerali, che sono quelle di cui all'articolo 58, invece, il Senato ha un potere non di richiamo ma di iniziativa; addirittura, all'articolo 101 si prevede che questi disegni di legge debbano essere approvati prima dal Senato per poter essere poi esaminati dalla Camera...


MARCO BOATO. Su questo vi è un problema che dovremo affrontare.


PRESIDENTE. Effettivamente su questo vi è un contenzioso, ma la proposta è in questi termini.
In realtà, introduciamo una distinzione fra due tipi di leggi ordinarie: quelle monocamerali, per le quali certamente il Senato ha solamente un potere di richiamo, per cui se la Camera non le discute il Senato non le può richiamare; quelle bicamerali, per le quali invece il Senato ha una potestà piena. Naturalmente ciò corrisponde ad un criterio generale, ad una novità che può anche essere respinta ma che si cerca di sviluppare con qualche coerenza.
Passiamo ai voti. Pongo in votazione l'articolo 99.


(È approvato).


Passiamo all'articolo 100.


GIANCLAUDIO BRESSA. Presidente, chiedo di votare il nostro emendamento C.100.24, soppressivo dell'articolo 100.


FAUSTO MARCHETTI. Sono favorevole a tale emendamento.


PRESIDENTE. Vi è dunque la proposta di sopprimere l'articolo 100, in sostanza di sopprimere la facoltà del Senato di richiamo delle leggi monocamerali.


MASSIMO VILLONE. Sono contrario all'emendamento, considerato che quello proposto è lo schema tipicamente adottato nei sistemi a bicameralismo differenziato.


FRANCESCO SERVELLO. Sono anch'io contrario all'emendamento, perché altrimenti tutto il discorso sulla contestualità dell'articolo 99 con l'articolo 100 viene meno.


PRESIDENTE. Passiamo ai voti.


LUIGI GRILLO. Presidente, può chiarire i termini della votazione?


PRESIDENTE. Dobbiamo votare l'emendamento Bressa C.100.24, soppressivo dell'articolo 100, che qualora approvato farebbe cadere la possibilità per il Senato di procedere, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, all'esame di progetti di legge monocamerali approvati dalla Camera.


LEOPOLDO ELIA. Direi che il richiamo è un elemento essenziale.


ERSILIA SALVATO. Signor presidente, vorrei che restasse agli atti non una preoccupazione ma una riflessione che consegno ai colleghi circa l'importanza di questa votazione, perché nel momento in cui riconosciamo la possibilità del richiamo su tutte le materie, anche quelle che attengono strettamente al programma di Governo, poniamo in sostanza le premesse perché si riapra in modo serio la discussione sulla fiducia anche al Senato.


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Non soltanto, quindi, costruiamo un modello istituzionale che non si regge, ma mettiamo al suo interno molti elementi di conflitto: avremo un Senato delle garanzie (poi valuteremo se di natura mista) che ha determinati compiti e una certa composizione (si è detto proporzionale) e una Camera eletta in modo diverso, per cui vi saranno anche maggioranze diverse. Ebbene, il Senato potrà dire la sua su materie che attengono, per esempio, alla politica economica, anche se certamente sarà poi la Camera a deliberare in via definitiva; tuttavia, il peso del Senato, soprattutto quando si riunisce insieme ai rappresentanti delle autonomie locali, a mio avviso sarà notevole, per cui gli elementi di conflitto aumenteranno. Tutto ciò è in contraddizione con quella che è stata la base del ragionamento in Commissione bicamerale: l' esigenza di stabilità e di governabilità. Francamente credo che non vi sia bisogno di una scelta del genere: dovremmo piuttosto prevedere una reale ripartizione per materie, affinché vi sia un ruolo differenziato delle due Camere. Questo non è altro che un modo improprio per riproporre il bicameralismo.


MARCO BOATO. Questa è materia di grande rilevanza, per la quale comprendo le preoccupazioni dei colleghi Bressa e Salvato.
Credo però che sia opportuno mantenere questa clausola di garanzia di riesame dei disegni di legge monocamerali, nei termini restrittivi previsti dal testo. Non siamo più di fronte alla navette Camera-Senato - che può essere indeterminata - del bicameralismo perfetto. A questo punto abbiamo quaranta giorni: entro dieci giorni può esservi il richiamo da parte di un terzo dei senatori, un quoziente notevolmente elevato; nei successivi trenta giorni - al massimo, ma potrebbero essere anche meno - il Senato può proporre modifiche alla Camera, la quale delibera in via definitiva. Quindi, la funzione politica fondamentale resta in capo alla Camera ma a me pare opportuno mantenere un momento di ripensamento, di proposta di correzione, di compensazione anche rispetto alle competenze che avrà il Senato in funzione integrata con i rappresentanti delle autonomie, sia pure - ripeto - nei limiti ristretti previsti nel testo proposto dalla relatrice (un terzo dei senatori e comunque entro quaranta giorni). Alla fine, la Camera delibera anche in modo difforme rispetto al Senato e la questione non può più essere riaperta.
Per queste ragioni sono contrario alla soppressione dell'articolo 100.


ARMANDO COSSUTTA. Si tratta di una questione di estrema delicatezza, perché ci troviamo di fronte alla prospettazione di una forma di bicameralismo perfetto con degli inconvenienti superiori a quelli dell'attuale bicameralismo perfetto. Non vi è più la navetta; esiste però la possibilità per un terzo dei senatori di richiamare una legge, una delle moltissime leggi di competenza della Camera dei deputati. Ciò è in contrasto con l'impostazione che vede la distinzione dei compiti e la caratterizzazione del Senato come Camera delle garanzie. È possibile, quindi, richiamare una legge sulla scuola, sulle pensioni, sulla casa, un trattato internazionale e via dicendo, con l'aggravante che poiché è la Camera che delibera in seconda istanza, può determinarsi un conflitto - che voglio segnalare alla vostra attenzione - gravissimo, perché dopo l'approvazione finale da parte della Camera dei deputati, avremmo una legge che è stata contrastata dal Senato. Si tratterebbe quindi di un conflitto dentro le istituzioni e nella società, i cui effetti vorrei che ognuno di noi potesse valutare seriamente.
Condivido la proposta del collega Bressa di sopprimere questo articolo.


LUIGI GRILLO. Desidero dichiarare il voto contrario alla proposta Bressa, sottolineando che essa mi pare assolutamente contraddittoria. Fin da quando abbiamo iniziato i lavori della bicamerale, abbiamo teso a mettere in discussione non tanto il bicameralismo quanto il bicameralismo


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perfetto, per via di quelle duplicazioni nel procedimento legislativo a tutti note. Se si intende sopprimere questa funzione di garanzia, con maggiore coerenza si dovrebbe parlare di monocameralismo.


PRESIDENTE. Infatti, i colleghi di rifondazione hanno proposto il monocameralismo.
Nel caso in oggetto non vedo il rischio di un conflitto, perché ci troviamo di fronte ad una tipica dialettica di garanzia che anzi dovrebbe essere apprezzata dai gruppi che tradizionalmente sono attenti a questo aspetto. Il fatto che di fronte ad una legge sulle pensioni una minoranza possa richiamarla al Senato e sottolineare la necessità di sollecitare la Camera a correggerla a tutela di certi diritti - la decisione politica conclusiva è comunque della Camera - rappresenta una garanzia e non un conflitto; si tratta semmai di un conflitto politico che però è un fatto positivo.


ARMANDO COSSUTTA. Per un partito che si prefigge di stare all'opposizione come quello che lei dirige, probabilmente questa è la soluzione più adatta, ma per un partito che ha un senso completo degli interessi nazionali e degli equilibri nello Stato non è così.


STEFANO PASSIGLI. Desidero solo ricordare che non abbiamo ancora definito il potere di rinvio della Presidenza della Repubblica. Esistono proposte di eliminare il potere di rinvio in capo al Presidente eletto direttamente, per cui è maggiormente opportuno prevedere un potere di decantazione in capo al Senato.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Bressa ed altri C.100.24.


(È respinto).


Pongo in votazione l'articolo 100.


(È approvato).


Risultano pertanto assorbiti gli emendamenti elencati in allegato, e respinti gli altri, relativi all'articolo 100.
Passiamo ora all'esame dell'articolo 100-bis proposto dal Comitato, che nasce dall'accoglimento, in una forma parzialmente corretta, di un emendamento Mattarella. La questione fu sollevata a giugno e la Commissione sollecitò l'onorevole Mattarella, che l'aveva sottolineata, a trovare una formulazione che rispondesse in modo più efficace all'esigenza di una codificazione delle leggi vigenti nei vari settori e di una coerenza dell'attività legislativa, allo scopo di offrire ai cittadini una legislazione semplice e comprensibile e non confusa e contraddittoria, come in parte avviene oggi.


GIOVANNI RUSSO. Con questa norma si propone di favorire un processo di codificazione quanto mai opportuno e necessario. Non vorrei però che anziché favorirlo, finisse con l'allontanarlo, perché oggi una codificazione che non contenga variazioni nella sostanza delle norme, che sia puramente compilatoria, può essere proposta dal Governo senza che vi sia bisogno di una legge. Qui noi condizioniamo l'iniziativa del Governo ad una legge, quindi non vorrei - richiamo l'attenzione su questo punto - che questa formulazione finisse per rendere più difficile, anziché più facile, il processo di codificazione.
Mi pare invece opportuno il secondo comma che contiene un invito per le leggi future ad inserirsi in un ambito già codificato.


MAURIZIO PIERONI. Preannuncio il mio voto contrario sia al primo sia al secondo comma. L'intenzione è lodevole, però, a rifletterci - non lo faccio per non tediare i colleghi - si traduce in una impraticabilità del processo legislativo.


GIULIO MACERATINI. Le intenzioni sono lodevoli, però sono perplesso e credo che i commissari del gruppo di alleanza nazionale voteranno contro questo articolo.


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GIUSEPPE VEGAS. Osservo anzitutto, con riferimento al primo comma, che o si tratta di una codificazione che non apporta innovazioni (e, quindi, per certi versi superflua in un'epoca di informatica giuridica) oppure si tratta di una sostanziale delega permanente al Governo a modificare i testi vigenti. In questo secondo caso, la previsione proposta potrebbe essere rischiosa.
Il secondo comma, laddove prevede norme di improcedibilità per provvedimenti che intervengono su materie già codificate, apre, dal canto suo, un ampio spettro di incertezze perché la materia codificata può essere intesa anche in senso lato. Ne potrebbe derivare un pregiudizio in capo al diritto all'esercizio dell'iniziativa legislativa spettante ai parlamentari.


SERGIO MATTARELLA. Il primo comma rende non più difficile ma più facile il perseguimento dell'intento sotteso all'articolo in esame. Ciò perché le procedure di codificazione sono affidate alla legge ordinaria e non già a quella costituzionale. Procedure siffatte sono seguite in molti paesi dell'Unione europea; quest'ultima, tempo addietro, ha predisposto più di un documento per sollecitare i paesi della Comunità ad adottare procedure per la codificazione.
Come è stato messo in evidenza da campagne di stampa promosse anche in tempi recenti, tutti sanno che uno dei problemi che affligge i cittadini del nostro paese è rappresentato dalla difficoltà di orientarsi in quella che a volte è una vera e propria selva normativa. Si verifica che norme attinenti ad un certo settore siano distribuite in numerosi corpi normativi o, addirittura, in testi normativi che attengono ad altri settori. Ne deriva, ovviamente, una difficoltà ad orientarsi per gli operatori e per i cittadini.
In sostanza, si tratta di avviare un'opera di codificazione, che in altri paesi è regolarmente realizzata sulla base di procedure ad hoc. Si tratta di un'esigenza essenziale, se davvero vogliamo offrire ai cittadini del nostro paese una trasparenza di corpi normativi alla quale guardare con minore difficoltà di quelle che si registrano attualmente.
Il primo comma prevede, appunto, quello che già avviene in altri paesi: l'avviamento di una procedura specifica più semplice, proprio perché affidata alla legge ordinaria, per la codificazione. Il secondo comma - rispondo così alle preoccupazioni espresse dai colleghi che mi hanno preceduto - stabilisce che soltanto per i settori già codificati vi sia l'improcedibilità, affinché chiunque - Governo, parlamentare o regione - presenti una proposta di legge per modificare un testo già codificato indichi quale norma è sostituita o corretta, evitando di riproporre quella condizione di disordine che sovente affligge il nostro paese in termini di corpi normativi.
Credo si tratti di un'esigenza che, ove soddisfatta, renderebbe la situazione del nostro paese simile a quella di altre realtà a questo riguardo più avanzate e che fornisce una risposta all'attesa, molto avvertita, di assicurare la chiarezza dei testi normativi.


LEOPOLDO ELIA. Mi pare si stia confondendo il procedimento previsto dal primo comma del testo in esame con i testi unici, che il Governo può adottare anche in mancanza di una specifica legge, e con la delega. Nel caso che stiamo esaminando non vi è alcun riferimento né alla delega né al testo unico: si tratta soltanto della prescrizione di una legge finalizzata a regolare una procedura, così come avviene per la legge comunitaria.
Il secondo comma, inoltre, tende ad evitare formule abrogative fonte di incertezza, rispetto alle quali l'operatore del diritto od il cittadino sono costretti ad eseguire direttamente o a commissionare ricerche per accertare quali siano le norme realmente abrogate.
Sono queste le ragioni per le quali considero positivamente l'articolo 100-bis.


SALVATORE SENESE. Concordo pienamente con l'esigenza illustrata dal collega Mattarella. Ricordo che un dibattito


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approfondito sul punto si è già svolto in questa Commissione, in particolare nel Comitato per le garanzie, allorché è stata accolta la norma ormai conosciuta come «riserva di codice» in materia penale. Certamente, per quest'ultima le ragioni di conoscibilità e di trasparenza sono addirittura eclatanti; le medesime ragioni ed il medesimo stato di caos legislativo si registrano tuttavia anche negli altri settori. Del resto, si tratta di un dato di comune esperienza che il cittadino avverte con immediatezza.
Trovo assolutamente condivisibile questa esigenza ma credo che lo sforzo da fare debba essere indirizzato a renderla chiara nella sua traduzione normativa. A me pare che il primo comma abbia un filo di ambiguità, che ha determinato anche equivoci ed interventi perplessi, laddove non detta un obbligo per il Governo di procedere, sia pure gradualmente, a quella sorta di costruzione di un'intelaiatura nella quale debbono andare ad inserirsi, via via, le nuove leggi.
Ovviamente si tratta di un processo che deve avvenire gradualmente; debbo tuttavia ricordare che negli Stati Uniti esiste il cosiddetto U.S. code, nel quale le varie materie sono distinte per settore, per cui le nuove leggi che sono prodotte vanno a prendere posto, sotto forma di emendamenti o di rifacimento, nella sezione relativa alla materia cui si riferiscono. Questo crea una situazione di relativa certezza e conoscibilità del diritto.
La formulazione del primo comma, in effetti, è insoddisfacente perché il termine «propone» lascia pensare o può indurre a pensare ad una norma superflua. È evidente, infatti, che il Governo, se vuole, può sempre adottare testi unici compilativi. Forse - si tratta di un punto sul quale sto improvvisando, visto che la questione è emersa solo oggi - potrebbe essere utilizzata una formula in base alla quale si stabilisca che il Governo debba proporre alla Camera la codificazione delle leggi vigenti nei vari settori secondo procedure disciplinate dalla legge bicamerale. Si tratterebbe, probabilmente, di una formulazione più esplicita, alla quale, naturalmente, dovrebbe poi seguire una norma transitoria che stabilisse un termine entro il quale il Governo debba adempiere, scaduto il quale non si potrà più procedere ad una legislazione caotica.


GIUSEPPE CALDERISI. L'esigenza sottesa alla proposta del collega Mattarellanon solo è avvertita da tutti, ma credo richieda anche la ricerca di una soluzione. Le correzioni introdotte in sede di Comitato ristretto sono tali da superare alcune perplessità che potrebbero essere collegate all'attuazione della norma. Si potrebbero introdurre anche altri miglioramenti, ma non credo che, anche ad esempio volendo accogliere i suggerimenti del collega Senese, si modifichi lo spirito della norma così come proposta. In particolare, non credo si possa fissare un termine entro il quale il Governo debba codificare in tutti i settori. I tempi, ovviamente, dovranno essere quelli necessari. Sta di fatto che si creano le premesse perché il Governo proponga la codificazione attraverso precise procedure.
In definitiva, fatte salve possibilità di miglioramento del testo, sono del parere di approvare l'articolo, al quale eventualmente potranno essere apportate modifiche nelle successive fasi dell'esame.


MASSIMO VILLONE. Esprimo tutte le mie perplessità sull'articolo in esame, sul piano sia tecnico sia giuridico. Dobbiamo capire bene di cosa stiamo parlando. Parliamo di una legge che disciplina l'iniziativa legislativa del Governo, non di un procedimento speciale di formazione della legge. Nessuna legge di procedura potrà mai comprimere l'iniziativa legislativa del Governo, direttamente attribuitagli dalla Costituzione.
Nessuna legge di procedura potrà vincolare il Governo a presentare una legge di codificazione. Suggerisce il collega Senese di prevedere un obbligo giuridico; sì, e se il Governo non la presenta, che cos'è? Un attentato alla Costituzione? Queste sono cose che secondo me vanno lasciate al confronto politico.
Il secondo comma ha una lettura minima in cui si prescrive ciò che il


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regolamento parlamentare può fare ed una lettura massima in cui si prospetta una inaccettabile compressione dell'iniziativa parlamentare.
Quindi da diversi punti di vista, tecnico-giuridici, di sistema delle fonti ed anche politico-istituzionali, preferirei che questa norma davvero non ci fosse.


FRANCESCO SERVELLO. Signor Presidente, prima di parlare per la verità devo confessare a me stesso e a tutti voi che non avevo chiaro il significato di quanto scritto in questo articolo - per mia ignoranza, per carità! - e che l'amico Lisi mi ha chiarito un po' le idee. Del resto, già l'intervento del collega Elia offriva qualche lume in proposito.
Mi domando: quale regolamento, quale legge impedisce la cosiddetta codificazione? Il termine è francamente un po' astruso: si parla forse di codificazione nel senso di rielaborare e realizzare testi unici; questo mi è parso di capire dagli interventi che si sono succeduti e dai chiarimenti che cortesemente mi ha dato l'amico Lisi. Ma a questo punto prevediamo in Costituzione che si possono codificare, vale a dire realizzare testi unici di leggi esistenti o di quelle che verranno. Mi pare di ricordare che durante il governo Berlusconi il ministro Tremonti presentò un testo unico, che poi non diventò legge, sulle leggi fiscali; lo fece senza bisogno di una norma costituzionale.
L'improcedibilità dei disegni di legge che intervengono nelle materie già codificate, senza procedere, in modo espresso, alla modifica o integrazione dei relativi testi è questione che i regolamenti normeranno da soli! La stessa Assemblea non accederà ad esaminare progetti di legge di questo genere, a meno che non si tratti di una norma assolutamente nuova che può essere certamente esaminata.
Questa norma che forse in qualche misura voleva agevolare le procedure non fa che complicare la situazione anche dal punto di vista interpretativo, a parte la non rilevanza costituzionale.


MARCO BOATO. Convengo con il collega Mattarella e gli altri colleghi che hanno colto l'esigenza da cui parte questo tipo di norma, ma condivido anche le perplessità espresse da altri sulla collocazione in Costituzione di questa norma.
Chiedo pertanto ai colleghi Mattarella e Senese di riflettere su una proposta (mi sono un po' specializzato nelle proposte di mediazione; spero che non siano negative). Propongo, oltre che di sostituire al secondo comma il termine «procedere» con la parola «provvedere», perché nel giro di poche righe leggiamo «improcedibilità» e «procedere» - ma questa è una modifica formale -, che quella in esame divenga una disposizione finale e transitoria della legge costituzionale che approviamo. In tal modo, è legge costituzionale e quindi ha il vigore della legge costituzionale (possiamo mettere un termine al primo comma: «entro tre anni» oppure «entro cinque anni»), ma non testo della Costituzione. Si risponde all'obiezione di chi non vede nella Carta costituzionale una norma di questo tipo, ma viene soddisfatto chi vuole dare forza di rango costituzionale ad un'esigenza di codificazione.
Propongo quindi di considerare la norma in esame come disposizione finale e transitoria, eventualmente prevedendo al primo comma un termine di tre, cinque anni, quello che si vuole.


PRESIDENTE. Onorevole Lisi, capisco che lei è lì per dare suggerimenti all'onorevole Servello, che poi li trasmette a tutti noi!


FRANCESCO SERVELLO. Tentava di convincere l'onorevole Calderisi!


PRESIDENTE. Però, se lei alza la voce, li trasmette direttamente a noi e poi non abbiamo il piacere di sentire il collega Servello.


ANTONIO LISI. Non sono così presuntuoso da pensare di poter influire sulla sua intermediazione!


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PRESIDENTE. Io mi limito a dare la parola.
Prima di procedere al voto, vorrei sapere se l'onorevole Mattarella in quanto proponente, anche se poi il testo è stato fatto proprio dal Comitato, accoglie il suggerimento dell'onorevole Boato.


SERGIO MATTARELLA. Presidente, vorrei esprimere al collega Boato questa riflessione. Non si tratta di norma transitoria, anche perché vi sono settori normativi che potranno sorgere nel corso dei decenni futuri. Non si tratta di codificare quello che già c'è, ma di dare al legislatore per l'avvenire dell'ordinamento del nostro paese l'indicazione per cui vi deve essere una legislazione codificata e chiara settore per settore, in maniera permanente. Quindi, è questa una regola della Costituzione.
Vorrei anche sottolineare che è inutile dire che questa previsione è superflua: da decenni vengono prodotte circolari, dichiarazioni delle Camere, indicazioni che sono state delle gride inutili. Se vogliamo che avvenga una cosa del genere, occorre che il costituente preveda questo comportamento per le Camere.


STEFANO PASSIGLI. Il rischio è di fare una grida costituzionale, il che non è vantaggioso ...


SERGIO MATTARELLA. Mi pare molto più difficile; si tratta comunque di una indicazione data al legislatore di ordinare la normativa del nostro paese per settori definiti e chiari.


MARCO BOATO. La mia proposta non era che la previsione fosse transitoria, che fosse finale e transitoria: avrebbe alcuni aspetti transitori (la regola sulle procedure) ed alcuni aspetti permanenti (la questione regolamentare per innovare le codificazioni realizzate). Avrebbe un doppio aspetto; comunque, sarebbe legge costituzionale, non una norma vanificabile da una legge ordinaria successiva.


PRESIDENTE. Si intende invece accolta la proposta di sostituire la parola «procedere» con il termine «provvedere».


SERGIO MATTARELLA. Collega Lisi, l'obbligo delle Camere di legiferare in maniera chiara è un elementare dovere verso il paese!


ANTONIO LISI. Non c'è bisogno di scriverlo in Costituzione.


SERGIO MATTARELLA. Come non c'è bisogno di scriverlo in Costituzione! Non avviene!
Il problema della collocazione può essere oggetto di coordinamento, possiamo lasciarlo impregiudicato; il problema è la decisione sul contenuto.


PRESIDENTE. Possiamo porre in votazione l'articolo 100-bis; vedremo successivamente se può essere più opportunamente collocato come disposizione finale transitoria.
Pongo in votazione la sostituzione, al secondo comma, della parola «procedere» con la seguente «provvedere».


(È approvata).


Pongo in votazione l'articolo 100-bis.


(È approvato).


Risultano pertanto assrbiti gli emendamenti elencati in allegato, e respinti gli altri, relativi all'articolo 100-bis.
Passiamo all'esame dell'articolo 101 nel testo del Comitato, il quale propone che i disegni di legge bicamerali siano presentati al Senato della Repubblica ed esaminati con priorità dal Senato.
L'onorevole Boato propone una formulazione alternativa del primo comma, di cui do lettura: «Quando la legge deve essere approvata dalle due Camere, il disegno di legge viene presentato ad una delle due Camere, che lo esamina e, se approvato, lo trasmette all'altra Camera».
In sostanza, la relatrice propone che i disegni di legge bicamerali siano presentati ed esaminati preliminarmente dal


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Senato, mentre Boato propone una procedura elastica.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione italiana all'Unione europea. La preoccupazione essenziale dell'onorevole Boato è che questa previsione blocchi l'iniziativa legislativa dei deputati nelle materie bicamerali, il che sarebbe incongruo perché si tratta di materie bicamerali perfette. Questa perplessità è degna di considerazione, mi pare però importante la decisione assunta dalla Commissione prima dell'estate che riguardava l'assegnazione al Senato della prima lettura di questi disegni di legge che, come sappiamo, è quella più approfondita e meditata a cui si dedica più tempo. Questo è un dato di fatto che nessuno può disconoscere, mi sembra quindi opportuno che la prima lettura avvenga al Senato, cioè nella Camera a cui è attribuita una funzione di garanzia e di maggiore riflessione e ponderazione.
Chiedo all'onorevole Boato se la sua preoccupazione possa essere superata da una formulazione del seguente tenore: «Quando i disegni di legge debbono essere approvati dalle due Camere, sono presentati o trasmessi al Senato della Repubblica». In tal modo il deputato mantiene il suo potere di iniziativa, sarà poi onere della Presidenza della Camera trasmettere il disegno di legge al Senato in modo che lì avvenga la prima lettura; questo mi pare compatibile con il sistema.


MARCO BOATO. È una materia assai delicata, quindi chiedo un attimo di attenzione. Sono intervenuto sulla materia del richiamo da parte del Senato perché mi sembrava fondamentale che ci fosse questa norma; adesso siamo di fronte a tutte le materie che agli articoli 59 e 98 abbiamo previsto come perfettamente bicamerali. Essi riguardano organi costituzionali, autorità di garanzia, tutte le elezioni, diritti fondamentali, libertà inviolabili, informazione, norme penali e giurisdizionali...


PRESIDENTE. È noto.


MARCO BOATO. Credo sia fuori dal sistema che stiamo costruendo immaginare che tutte queste materie debbano essere esaminate prima dal Senato: è sbagliato nella logica delle leggi approvate dalle due Camere, in cui le due Camere hanno identica funzione e anche dal punto di vista dell'economia legislativa. Fra l'altro, in fase di attuazione della riforma costituzionale dovremo affrontare un'enorme quantità di materie e non è logico che debbano essere esaminate prima dal Senato.
Il problema non è solo quello dell'iniziativa legislativa dei deputati, esso è rilevante e ringrazio la collega Dentamaro peraverlo ricordato, ma vorrei che prescindessimo dal fatto che ciascuno di noi in questo momento è deputato o senatore; dobbiamo prevedere una Costituzione che funzioni ben al di là della nostra collocazione individuale nell'una o nell'altra Camera. Un sistema di bicameralismo differenziato in questo caso funziona come bicameralismo perfetto in una quantità di materie di vastissima portata: non ha alcun senso che queste materie vengano affrontate in prima battuta esclusivamente dal Senato, mentre ha significato che vengano esaminate prima dall'una o dall'altra Camera a seconda di dove il Governo presenti i suoi disegni di legge o di quanto determini la concertazione tra i Presidenti delle Camere, sulla base dei carichi di lavoro, dell'organicità della materia, del numero di disegni di legge presentati in materie bicamerali. Ciò anche perché abbiamo previsto la seconda lettura da parte della seconda Camera e poi il joint committee - come lo chiama il collega Salvi - che permette di eliminare una indeterminata navetta successiva.
Pertanto, per una logica di sistema e non di tutela del Senato o della Camera, ritengo opportuno prevedere che le leggi perfettamente bicamerali siano esaminate in prima lettura dal Senato o dalla Camera. Dobbiamo prescindere, lo ripeto, dal fatto di essere in questo momento deputati o senatori, altrimenti non ci possiamo lamentare di logiche corporative che emergano da altri organi dello Stato


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da noi sottoposti a modifica che a volte reagiscono secondo una comprensibile, ma non accettabile, chiave corporativa. Dobbiamo legiferare in tema di revisione costituzionale avendo come unico obiettivo il corretto funzionamento del sistema che intendiamo varare.


FRANCESCO SERVELLO. Se il collega Salvi me lo permette, vorrei fare una dichiarazione di voto a nome di alleanza nazionale, certamente da ex missini come lui è ex comunista. Mi spiace per l'interruzione che ha fatto prima che francamente si poteva risparmiare; in questa sede in passato abbiamo votato insieme a ex di lotta continua, come abbiamo espresso la solidarietà al presidente della Commissione, quindi certe interruzioni sul voto missino, per isolarlo nel contesto di uno schieramento, sarebbe stato bene non sottolinearle in maniera così impropria dal collega Salvi.


PRESIDENTE. È un riferimento a cosa che non è a verbale.


FRANCESCO SERVELLO. Poiché è stato detto, è bene che rimanga nel resoconto, così per il futuro Salvi cercherà di trattenersi dalle sue spinte un poco nostalgiche.
A nome di alleanza nazionale esprimo comunque voto favorevole al testo proposto dalla relatrice.


LUIGI GRILLO. Nel fare la dichiarazione di voto, intendo riprendere le considerazioni del collega Boato per approdare però alla posizione sostenuta dalla relatrice. Assicuro al collega Boato che in questa sede nessuno intende difendere logiche corporative; le logiche di sistema a cui lui fa riferimento possono, e secondo la mia opinione devono, essere utilizzate anche per un'altra considerazione. Siamo impegnati nella costruzione di un bicameralismo paritario o differenziato, all'interno del quale immaginiamo che la Camera politica, quella che organizza i dibattiti e produce le leggi ordinarie, sia quella maggiormente sovraffollata di lavoro. Proprio le considerazioni svolte sui temi del carico di lavoro e della logica del sistema dovrebbero suggerire esattamente una soluzione alternativa a quella prospettata.
Vorrei concludere il mio intervento facendo un richiamo al collega Boato, cosa che credo mi sia consentita. Questa mattina l'onorevole De Mita ci ricordava che vi sono due questioni che possono assumere un carattere dirompente nei lavori di questa Commissione, due questioni di cui a mio parere sottovalutiamo la caratura politica: una di queste è costituita dal ruolo del Senato in un sistema che rimane comunque bicamerale. Attesa questa considerazione, credo che per le stesse, identiche questioni che ha toccato il collega Boato, si possa convenire sul testo proposto dalla relatrice.


PRESIDENTE. Su questa materia vorrei fare un'osservazione anch'io. Comprendo le ragioni che hanno spinto la relatrice a considerare che le leggi bicamerali nelle previste materie (cioè materie in cui è preminente l'aspetto della garanzia, della tutela di diritti) debbano essere esaminate prima dal Senato, anche se la procedura è comunque garantista prevedendo, in ogni caso, l'esame del Senato e poi dello speciale Comitato.
Muovendo da quest'esigenza comprensibile, si dà luogo, però, ad un'asimmetria che pone problemi molto seri, anche di limitazione dei diritti soggettivi del deputato. In sostanza, su materie bicamerali (non di competenza del Senato) il deputato viene privato del potere d'iniziativa legislativa o messo nella condizione singolare, bizzarra ed asimmetrica di avere potere d'iniziativa legislativa nell'altra Assemblea parlamentare, potere che il senatore non ha. In questo caso il deputato si vedrebbe possessore di un diritto speciale non speculare, visto che il senatore non avrebbe il potere di presentare leggi alla Camera, mentre il deputato potrebbe presentarne al Senato.
Se adottiamo questa particolare procedura, ci troviamo di fronte al bivio di due soluzioni entrambe veramente singolari: o


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priviamo il deputato del potere d'iniziativa legislativa in materie che pertengono alla Camera d'appartenenza, oppure conferiamo al deputato il potere di presentare leggi davanti al Senato della Repubblica, potere che specularmente i senatori non avrebbero.
In questo senso, credo che la proposta avanzata dall'onorevole Boato risponda alla necessità di evitare di trovarsi in una situazione paradossale; peraltro, credo che essa non costituisca una deminutio del ruolo del Senato, ma evita che, muovendo da una considerazione di opportunità, che eventualmente i Presidenti delle Camere potranno valutare, si verifichi una determinata situazione.
Considero che nell'organizzazione dei lavori parlamentari sarà ragionevole che leggi di particolare rilevanza nel campo delle garanzie siano esaminate prima dal Senato, ma quest'obiettivo ragionevole lo si perseguirebbe attraverso una norma paradossale, che diventa o lesiva di diritti fondamentali del deputato oppure, a mio avviso, lesiva del Senato, visto che quest'ultimo sarebbe posto di fronte alla necessità di esaminare disegni di legge presentati da deputati: con quale criterio di priorità? Inoltre, la Conferenza dei Capigruppo del Senato dovrebbe decidere quando debbano essere esaminate proposte di legge dei deputati; com'è evidente, si creerebbe una situazione del tutto paradossale. Infatti, quale tutela avrebbe il deputato presentatore di una proposta di legge che viene trasmessa al Senato per quanto attiene al suo inserimento all'ordine del giorno?
Credo che, se riflettiamo bene su questo punto, ci rendiamo conto che può generarsi una situazione paradossale e dico questo - lo ripeto - pur comprendendo le ragioni d'opportunità che consigliano, di fronte a leggi che abbiano particolare rilevanza nel campo delle garanzie, che siano esaminate prima dal Senato; tuttavia, non vedo come quest'opportunità possa essere normata senza dar vita ad una condizione davvero difficilmente sostenibile.


GIOVANNI RUSSO. Mi pare molto ragionevole, presidente, quanto lei ha appena detto, per cui ritengo che, nel caso d'iniziativa legislativa dei deputati, debba essere mantenuta la previsione per la quale il progetto di legge venga esaminato prima dalla Camera. Si potrebbe però prevedere che, laddove i promotori dell'iniziativa legislativa siano il Governo o un'assemblea regionale, il primo passaggio avvenga al Senato. Questa soluzione manterrebbe il principio che informa il testo attuale, coordinandolo però con l'altra ipotesi dell'iniziativa legislativa dei deputati.


PRESIDENTE. Coordinandolo con la tutela del diritto del deputato all'iniziativa legislativa.


GIOVANNI RUSSO. Vorrei anche aggiungere che, accanto al diritto d'iniziativa legislativa del parlamentare, vi è quello di seguire l'iter legislativo della propria proposta di legge in quanto, se il disegno di legge viene presentato alla Camera, trasmesso al Senato e quest'ultimo non l'approva, quel disegno di legge alla Camera non tornerebbe più. Allora, mi pare che debba essere garantito anche il diritto di sostenerlo da parte del deputato che lo ha presentato. Ribadisco, comunque, che nei casi d'iniziativa legislativa esercitata dal Governo o da un'assemblea regionale, non vedrei ostacoli a che il primo passaggio avvenga attraverso il Senato.


SERGIO MATTARELLA. Dopo aver ascoltato le argomentazioni del presidente e del collega Russo, rinuncio ad intervenire condividendole.


GIORGIO REBUFFA. Vorrei ringraziare il presidente per le argomentazioni svolte, nelle quali mi ritrovo integralmente ed anche per aver ricordato alla Commissione che, in fondo, due più due fa quattro, cioè che, se vi è un'iniziativa legislativa, bisogna avviarla. Quindi, la proposta Boato risponde perfettamente a quest'esigenza; allo stesso modo, mi paiono condivisibili le considerazioni svolte dal collega Russo.


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ORTENSIO ZECCHINO. Il collega Russo ha avanzato una proposta.


PRESIDENTE. L'onorevole Rebuffa ha dichiarato di condividerla.


LUIGI GRILLO. Sono grato al senatore Russo per aver specificato e puntualizzato, sia pur modificandola - lo riconosco -, una proposta sulla quale concordavo. Vorrei però ricordare ai colleghi, onde evitare che si dia luogo ad un equivoco (quello di discutere dei massimi sistemi dottrinali con scarsa aderenza alla realtà), che chi ha un minimo di esperienza parlamentare sa che in Parlamento vigono regole non scritte: una di tali regole è quella dell'ostruzionismo del Governo e della maggioranza, per cui i progetti di legge, soprattutto quelli presentati da parlamentari dell'opposizione, ben di rado giungono ad approvazione. Vorrei che i nostri colleghi, così dotti e documentati, ci dicessero quanti di questi progetti di legge siano stati approvati divenendo leggi dello Stato. Avendo davanti a me una statistica a questo riguardo, sono del tutto disposto a fare autocritica per le cose che ho detto prima ma, poiché questa statistica è negativa, né mi pare che negli ultimi anni le iniziative legislative presentate dalla minoranza siano diventate leggi dello Stato, credo che il riferimento contenuto nella proposta avanzata dal senatore Russo possa essere accolto, ma non ritengo che siano prive di significato le considerazioni svolte dalla relatrice. Quindi, dichiaro il mio avviso favorevole all'emendamento della relatrice, modificato secondo la proposta del senatore Russo.


PRESIDENTE. Rischiamo di fare un pasticcio!


MARCO BOATO. Stiamo scrivendo la Costituzione, non un regolamento!


FRANCESCO SERVELLO. Chiedo al collega Russo di perfezionare la sua proposta, ed in questo caso saremmo favorevoli.


PRESIDENTE. Il senatore Elia propone invece di mantenere la parità assoluta, senza prevedere una priorità per il Senato.


MARCO BOATO. Si tratta di leggi bicamerali perfette: che poi i Presidenti delle Camere decidano che il Senato le esamini per primo, è altra questione.


LEOPOLDO ELIA. Non comprendo perché si dovrebbe limitare la possibilità di scelta da parte del Governo, il quale può ritenere opportuno presentare un disegno di legge alla Camera perché in un certo momento il Senato è oberato di lavoro. Non credo che tale facoltà debba essere limitata a priori: lasciamo che le cose corrano...


ORTENSIO ZECCHINO. Non mi pare che si possa invocare l'illogicità di questa posizione: infatti, se la competenza del Senato ha una sua pregnanza, ciò vale proprio per questa parte. Vi sono ragioni di principio e di economia dei lavori che possono consentire questo bilanciamento. Ritengo pertanto che la proposta Russo abbia una sua ragionevolezza.


MARCO BOATO. Perché in ordine a tale aspetto si parla di pregnanza per quanto riguarda la competenza di una delle due Camere? La questione investe le leggi che tutti insieme abbiamo voluto fossero bicamerali ed in questo senso ne sono investiti entrambi i rami del Parlamento, senza alcuna asimmetria tra l'uno e l'altro. Se però tale asimmetria fosse sancita nella Costituzione, si contraddirebbe quanto è stato previsto negli articoli 59 e 98.


PRESIDENTE. Vi sono diverse ipotesi: anche se la proposta Russo, com'è evidente, non configura più la situazione un po' paradossale determinata dal testo originario, essa può introdurre alcuni elementi di rigidità; non ha torto il senatore Elia quando afferma che, considerato lo stato dei lavori parlamentari, il sistema paritario consente al Governo di scegliere


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dove presentare un disegno di legge, anche in relazione ai calendari, alle opportunità e così via. Si introdurrebbe quindi un elemento di rigidità e posso comprendere che qualcuno non condivida l'ipotesi di recepirlo nella Costituzione: anche il fatto di non condividere la proposta Russo è legittimo.


ANTONIO ENRICO MORANDO. Ove si assuma l'ottica del Senato delle garanzie - è noto che non la condivido - e si ritenga che il Governo, in materia di garanzie, assuma un'iniziativa legislativa propria, è abbastanza ragionevole prevedere che quell'iniziativa abbia, come prima sede di verifica, la Camera con cui il Governo non ha un rapporto di fiducia. È possibile che questo sia sbagliato, ma francamente non mi sembra una soluzione illogica.


MARCO BOATO. Il Senato delle garanzie ha un senso quando si tratta di eleggere i giudici costituzionali, i componenti del Consiglio superiore della magistratura e così via, ma quando si parla, per esempio, di legge elettorale, la questione non riguarda soltanto le garanzie, ma l'ordinamento dello Stato, l'impianto del sistema politico. Vi sarebbe quindi una concezione sbilanciata di un ruolo che tutti noi, con gli articoli 59 e 98, abbiamo voluto attribuire alle due Camere: perché dobbiamo cancellare ora una simmetria che abbiamo voluto sancire nei due articoli fondamentali per la forma di Stato e per il Parlamento?


PRESIDENTE. Le posizioni sono chiare: chiedo alla relatrice se intenda recepire la proposta Russo.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Recepisco la proposta Russo.


PRESIDENTE. A questo punto, sono rimaste in campo due ipotesi: entrambe fanno salva la potestà di iniziativa legislativa dei deputati e dei senatori ed il fatto che evidentemente le proposte di legge presentate dai deputati siano esaminate innanzi tutto dalla Camera.
Una delle due proposta prevede, però, che i disegni di legge presentati dal Governo e dalle assemblee regionali, se rientrano tra quelli che devono essere approvati dalle due Camere, siano presentati prioritariamente al Senato della Repubblica.


MARCO BOATO. Non prioritariamente, solo al Senato.


PRESIDENTE. Sì, devono essere presentati al Senato, dove si prevede la prima lettura. Si pone comunque un problema di coordinamento: i principi sono chiaramente distinti, ma si dovrà scrivere meglio il testo.


SERGIO MATTARELLA. Vorrei mettere in guardia rispetto al rischio che si inneschi, tra deputati e Governo, una gara a chi presenta per primo le proprie proposte di legge, al fine di assegnare la sede di trattazione.


PRESIDENTE. Le questioni sono piuttosto complesse, anche perché nulla impedisce che il Governo presenti un proprio disegno di legge su una materia in ordine alla quale è già intervenuta un'iniziativa parlamentare alla Camera; il Governo, però, deve presentare il suo disegno di legge al Senato, dopo di che vi sarà un duello dietro il muro del convento delle carmelitane scalze per risolvere questo problema!


CESARE SALVI. Le assicuro che accade più di una volta anche nell'attuale sistema, con il Governo in carica.


PRESIDENTE. Succede tutti i giorni, ma in questo caso vi sarebbe una norma costituzionale.
Pongo in votazione, in alternativa, la proposta dell'onorevole Boato, secondo cui, quando la legge deve essere approvata dalle due Camere, il disegno di legge viene presentato ad una delle Camere che lo esamina e, se approvato, lo trasmette


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all'altra Camera, e la proposta Russo, fatta propria dalla relatrice, in base alla quale il Governo e le assemblee regionali presentano al Senato della Repubblica i disegni di legge che devono essere approvati dalle due Camere.


(È approvata la proposta della relatrice).


Intendo precisare che la proposta Russo comprende quella dell'onorevole Boato, ma introduce la specificazione per cui i disegni di legge di iniziativa del Governo e delle assemblee regionali devono essere presentati al Senato. In sostanza, i deputati presentano le loro proposte di legge alla Camera, i senatori, il Governo e le assemblee regionali al Senato (Commenti).
Almeno è stata soppressa la norma in base alla quale anche i deputati avrebbero dovuto presentare le loro proposte di legge al Senato; abbiamo così non del tutto eliminato, ma ridotto il margine di stravaganza!
Pongo in votazione l'articolo 101, con la modifica apportata al primo comma.


(È approvato).


Risultanto pertanto assorbiti gli emendamenti elencati in allegato, e respinti gli altri, relativi all'articolo 101.
Passiamo all'esame dell'articolo 102.


MARCO BOATO. Intendo avanzare una proposta di unificazione dei primi due periodi dell'ultimo comma, che nel testo proposto risultano del seguente tenore: «Su richiesta del Governo sono con priorità iscritti all'ordine del giorno di ciascuna Camera i disegni di legge presentati o accettati dal Governo. Il Governo può chiedere che un disegno di legge sia votato entro una data determinata, secondo le modalità stabilite dai regolamenti». Propongo invece la seguente formulazione più sintetica: «Il Governo può chiedere che un disegno di legge venga iscritto con priorità all'ordine del giorno di ciascuna Camera e venga votato entro una data determinata, secondo le modalità stabilite dai regolamenti».


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Accolgo questa proposta.


PRESIDENTE. Ci sono invece osservazioni di sostanza?


GIUSEPPE CALDERISI. Sulla formulazione di Boato «disegni di legge presentati o accettati dal Governo», occorre che nell'unificazione dei periodi non si dimentichi qualche parte.


PRESIDENTE. No, è cambiata la ratio: «il Governo può chiedere che un disegno di legge»; evidentemente esso può essere presentato o accettato.


GIUSEPPE CALDERISI. Avevo sentito la formulazione senza leggerla, presidente.


PRESIDENTE. No, diciamo che non l'ha sentita ! Comunque il Governo può chiedere che un disegno di legge venga iscritto con priorità all'ordine del giorno; evidentemente può essere presentato dal Governo medesimo ma anche da altri, è implicito.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Boato, consenti sull'espressione «sia iscritto» e «sia votato» anziché «venga»?


MARCO BOATO. Sì.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'articolo 102 nel testo del Comitato ristretto.


(È approvato).


Risultano pertanto assorbiti gli emendamenti elencati in allegato, e respinti gli altri, relativi all'articolo 102.
Passiamo all'articolo 103.
Lo pongo in votazione.


(È approvato).


Passiamo agli articoli 104, 105 e 106, che disciplinano i referendum.


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Abbiamo convenuto di procedere ad una discussione unificata e che nella votazione, su richiesta del collega Mattarella, che il Comitato ha ritenuto ragionevole, si voti innanzitutto la proposta di soppressione dell'articolo 105. Si ritiene infatti che qualora venga approvata la proposta Mattarella di soppressione dell'articolo 105, cioè del referendum propositivo, su questa base si dovrebbe rendere più agibile il referendum abrogativo; cioè prima di discutere la norma relativa al referendum abrogativo bisogna che si sappia se esiste o meno il referendum propositivo. E dato che esiste la proposta di sopprimerlo, la si voterebbe preliminarmente.
Se non ci sono dunque osservazioni sulla procedura, passiamo al merito.
Metterei ora in votazione la proposta di soppressione dell'articolo 105; le motivazioni possono essere da me riassunte. È stata prospettata...


CLAUDIA MANCINA. L'eventuale soppressione dell'articolo 105 ha degli effetti sull'articolo 104?


PRESIDENTE. No, non ha effetti automatici.


CLAUDIA MANCINA. Automatici ovviamente no; ha effetti politici?


PRESIDENTE. Politici sì, nel senso che si sostiene da parte di diversi colleghi che se c'è il referendum propositivo occorre restringere in materia di referendum abrogativo; se invece la norma concernente il referendum propositivo, che si ritiene pericoloso (nel senso che si ritiene che attraverso questa norma il Parlamento possa essere invaso da disegni di legge di iniziativa popolare, allo scopo di paralizzarne l'attività e di promuovere raffiche di referendum, diciamo, approvativi) venisse soppressa, allora in materia di referendum abrogativo si dovrebbe essere più larghi, ossia consentire più largamente il ricorso a tale referendum.


GIUSEPPE CALDERISI. In merito all'articolo 105 vorrei richiamare l'attenzione dei colleghi sul meccanismo qui previsto, perché in realtà mi sembra che quasi impropriamente si possa parlare, per quanto riguarda la materia disciplinata da tale articolo, di referendum propositivo. In realtà, se guardiamo la sostanza della norma, si tratta né più né meno di una legge di iniziativa popolare su cui c'è il diritto di una pronuncia da parte delle Camere entro due anni. È prevista l'iniziativa popolare (la relativa disposizione è stata approvata poco fa): i cittadini presentano proposte di legge e sappiamo quale sia la prassi, quella per cui tali proposte rimangono nei cassetti e non vengono neanche prese in considerazione. Non abbiamo inserito alcuna norma che preveda hearings, cioè che i promotori siano ascoltati, che ci sia una pronuncia del Parlamento. Abbiamo lasciata inalterata la disposizione e sappiamo che, così come sono, queste iniziative - basta vedere le statistiche - vengono prese e messe nei cassetti.
Con l'articolo 105 mi sembra difficilissimo ipotizzare che si vada poi effettivamente a svolgere questo referendum, perché anche qualora le richieste previste da questo articolo fossero di una certa consistenza numerica, quello che serve per evitare la pronuncia popolare è che la Camera semplicemente si pronunci, deliberi. C'è un numero di firme che mi sembra piuttosto alto.
Pertanto io non porrei, presidente, il mantenimento di questo articolo in alternativa all'eliminazione di limiti eccessivi all'articolo 104, come ha fatto la relatrice. Mi sembra che sull'articolo 104 il testo nuovo che ella ci propone sia comunque equilibrato: c'è già un aumento considerevole del numero delle firme, ci sono limitazioni aggiuntive rispetto a quelle previste oggi, come la codificazione delle normative omogenee, è previsto il giudizio preventivo della Corte costituzionale. Mi sembra, ripeto, che sull'articolo 104 la relatrice abbia proposto una formulazione equilibrata, senza che questa debba essere posta in così stretta correlazione con l'articolo 105.


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Altra cosa sarebbe se l'articolo 105 prevedesse un effettivo referendum propositivo. Ma allora il referendum propositivo è quello previsto nella Costituzione svizzera, dove c'è un'iniziativa popolare, il Parlamento può pronunciarsi su di essa e se si pronuncia in maniera difforme si va a votare sui due testi alternativi. Questo è il referendum propositivo in cui è tutelato il diritto di chi lo propone di andare al voto e, se il Parlamento ritiene di non accogliere la proposta o di disciplinare diversamente la materia, sono i cittadini arbitri di scegliere tra la formulazione proposta dal corpo elettorale e la proposta del Parlamento.
Se fossimo in presenza di una disciplina del genere, credo che il discorso sul referendum abrogativo si porrebbe in alternativa. Ma con una formulazione come quella prevista dall'articolo 105, porre in alternativa l'articolo 105 e le restrizioni all'articolo 104 mi sembra una cosa non giustificata. Invito quindi ad una valutazione equilibrata su questa materia. Mi sembra che le formulazioni che sostanzialmente ci ha proposto la relatrice siano accoglibili con le modifiche rispetto al testo votato a giugno.


LEOPOLDO ELIA. Quanto all'osservazione di Calderisi sul precedente svizzero, è vero che lì la normativa è più vincolante, nel senso che anche se il Parlamento dissente poi si va al referendum; ma anche così, a me appare grave questa innovazione. Per quale motivo? Perché per far esaminare i testi di cui abbiamo parlato, cioè iniziativa popolare, iniziativa regionale, dovrebbero essere sufficienti norme regolamentari, diciamo un trattamento di riguardo che potrebbe essere codificato nei regolamenti.
Qual è la cosa grave? Che viene spontanea la presentazione di testi in qualche misura paralleli: trattandosi di referendum diversi, per cui non esiste incompatibilità nella possibilità di presentare più referendum, se ne presenta uno in un anno ed uno nell'anno successivo, oppure si presenta sia un referendum abrogativo di una certa disposizione sia un referendum propositivo che disciplina direttamente la stessa materia affrontata con il referendum abrogativo.
L'Italia ha in materia una disciplina di cui non dispone alcun altra democrazia occidentale: in nessun paese è consentito, diciamo «a gettone», raccogliendo un certo numero di firme, di promuovere un referendum. Ho scritto sui meriti del referendum in Italia, perché il referendum abrogativo nel nostro paese ha anche delle benemerenze. Però sono contrario a prevedere addirittura un referendum propositivo che eserciterebbe una pressione sul Parlamento non solo affinché esamini o non esamini la proposta di legge, ma anche nella sostanza: accettare l'impostazione contenuta nel referendum propositivo non è una pressione solo di carattere procedurale. Secondo me, ne deriverebbe per il Parlamento tutta una serie di difficoltà in materia di ordine dei lavori perché, cumulandosi con un referendum abrogativo, questo referendum potrebbe promuovere leggi che impediscano - come già sappiamo avvenire per quello abrogativo - che il referendum abbia luogo. Si tratterebbe di una legislazione che potrebbe essere affrettata, mal fatta, cioè il contrario di quella codicistica che si vorrebbe con l'emendamento Mattarella: sarebbe l'occasionalità celebrata in sede parlamentare.
Ritengo perciò, non tanto per una questione di principio, che il referendum abrogativo sia meno espropriativo dei poteri parlamentari di quello propositivo, che si svolge disciplinando positivamente una materia; ripeto, per una ragione non di principio ma di funzionalità e per evitare tutta una serie di provocazioni, di testi elaborati anche da gruppi di interessi, da lobby che vogliano disciplinare una determinata materia in un certo modo. Ritengo che sarebbe un'innovazione pericolosa e non sufficientemente meditata, e quindi da non approvare.


PRESIDENTE. Vi sono stati un intervento a favore e uno contro l'abolizione dell'articolo 105. Quello a favore dell'abolizione dell'articolo è stato svolto dal


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collega Elia. Il collega Calderisi, invece, è intervenuto per dire che il modo in cui la proposta di referendum propositivo è prospettato non è lesivo dei diritti parlamentari, e che, anzi, gli appare persino troppo blando rispetto ad altri modelli (per esempio ha parlato della Svizzera).
Potremmo procedere alla votazione, anche perché, una volta votato, passeremmo all'esame degli altri articoli. Si è chiesto, per le ragioni che non sto a richiamare, di votare preliminarmente, quasi con una votazione di principio, se il referendum propositivo debba rimanere o meno. Una volta votato su questo, si passerà all'esame dell'articolo 104.


GIULIO MACERATINI. Intervengo per dichiarazione di voto. Su questi temi la destra si è battuta per anni, quindi dobbiamo confermare adesso indicazioni che non sono di oggi.
Come ha già rilevato il collega Calderisi, di fatto con l'articolo 105 cerchiamo di migliorare leggermente una situazione che era rimasta quella di un ramo secco: si presentavano proposte di legge di iniziativa popolare, che erano portate in Parlamento (abbiamo visto cittadini con i camion davanti a Montecitorio), e poi tutta questa carta andava al macero perché non accadeva nulla.
Ora cerchiamo di dare a questo tentativo di contributo popolare all'attività legislativa una maggior forza, cioè quella di un termine decorso il quale, se il Parlamento liberamente non ha deliberato, la proposta d'iniziativa popolare è ammessa a referendum. Non mi pare che sia uno stravolgimento di principio. È, insieme, anche un segnale, ovviamente, contro un atteggiamento un pochino illuministico: lasciate fare al Parlamento, perché il popolo non conta niente. Riteniamo che l'articolo 105 debba essere difeso, almeno come promemoria, affinché in condizioni date, e se il Parlamento «dorme», le iniziative popolari abbiano uno sbocco utile e positivo.


ARMANDO COSSUTTA. Il gruppo di rifondazione comunista-progressisti voterà a favore di questo articolo. Ottocentomila firme sono già una garanzia sufficiente per evitare che vi sia un'eccessiva proliferazione di questi progetti di legge. D'altra parte, delle numerose proposte di legge d'iniziativa popolare - può darsi che sbagli, e in questo caso sarò ben lieto di ricredermi - non ne è mai stata approvata una; mi domando addirittura se ne sia mai stata esaminata una. Quindi, ritengo che, nel caso della presentazione di una proposta di legge d'iniziativa popolare con ottocentomila firme, scaduti i due anni - e quindi dopo che il Parlamento ha avuto tutto il tempo per valutarla, modificarla e approvarla -, sia opportuno sottoporre al giudizio dei cittadini italiani il referendum propositivo.


PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mussi.


GIUSEPPE CALDERISI. Chiedo di parlare.


PRESIDENTE. Lei ha già parlato, onorevole Calderisi. Siamo in fase di dichiarazione di voto, e lei ha fatto la principale.


GIUSEPPE CALDERISI. Sì, ma ho fatto una dichiarazione che riguardava sia l'articolo 105 sia l'articolo 104. Anche su quest'ultimo vorrei ascoltare le opinioni dei colleghi: se il mantenimento del 105 deve comportare una sorta di cancellazione del referendum abrogativo...


PRESIDENTE. No, neanche per idea.


GIUSEPPE CALDERISI. ... una limitazione eccessiva, vorrei avere ...


PRESIDENTE. Dopo discuteremo dell'articolo 104, i cui criteri possono anche essere resi più larghi: deciderà la Commissione, non c'è alcun automatismo, come abbiamo già detto.


FABIO MUSSI. Essendo in questi giorni un'occasione rara e da non perdere,


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voglio associarmi alla dichiarazione di voto del collega Cossutta.


SERGIO MATTARELLA. Intervengo per una breve dichiarazione di voto sull'emendamento da me presentato. Noto per incidens come 500 mila firme consentano nel nostro paese la presentazione annuale di circa 50 referendum. Ottocentomila firme non sono molte di più. Evidentemente, rispetto all'articolo 104, se si mantenesse il referendum propositivo, non potrebbe che essere rifiutato da parte nostra l'alleggerimento proposto dalla relatrice Dentamaro, perché altrimenti vi sarebbe una morsa tra due tipi di referendum, in grandissimo numero, che renderebbe assai ardua, se non impossibile, un'ordinata vita legislativa.


GIUSEPPE CALDERISI. Faccio osservare al collega Matterella che Pannella non ha raccolto le firme per 35 referendum.


PRESIDENTE. Chi?


GIUSEPPE CALDERISI. Pannella non ha raccolto...


PRESIDENTE. Pannella non è oggetto di norme costituzionali.


SERGIO MATTARELLA. Chi ha parlato di Pannella?


GIUSEPPE CALDERISI. non è riuscito a raccogliere le firme per 35 referendum.


SERGIO MATTARELLA. Onorevole Calderisi, non vorrei che lei si attirasse responsabilità che nessuno ...


PRESIDENTE. L'amico Marco Pannella non è oggetto di normativa costituzionale.


SERGIO MATTARELLA. Nessuno ha fatto riferimento non vorrei che fosse una sorta di complesso.


PRESIDENTE. Passiamo al voto.
Pongo in votazione la proposta Mattarella di sopprimere l'articolo 105.


(È respinta).


Passiamo all'esame dell'articolo 104 nel testo del Comitato ristretto.
La relatrice propone una riformulazione puramente formale del primo comma e la soppressione del terzo e del quinto comma.


MASSIMO VILLONE. Desidero rivolgere una domanda alla relatrice: si propone la soppressione dei due commi dell'articolo 104 perché è implicito nel profilo dell'ammissibilità che vi siano queste cause, o perché si ritiene che debba essere ammissibile il referendum anche se ne derivano discipline costituzionalmente illegittime o se la parte residua è di impossibile applicazione?


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. È implicito come è sempre stato nella giurisprudenza della Corte.


MASSIMO VILLONE. Si recepisce quindi l'idea che siano comunque cause di inammissibilità ancorché non scritte? È esatto?


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Sì.


LEOPOLDO ELIA. Anche se la Corte, sul primo punto che viene soppresso, aveva espresso, almeno per un lungo periodo, un'opinione opposta: che cioè altro è l'inammissibilità del quesito, altro è la legittimità costituzionale del risultato.


MASSIMO VILLONE. Proprio per questo lo chiedevo: ritenevo che fosse utile un chiarimento in una situazione non del tutto definita, ma non voglio insistere. Francamente, però, avrei ritenuto opportuno lasciare i due commi.


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SERGIO MATTARELLA. Signor presidente, credo che dovremmo tutti pacatamente ricordare che l'ultima tornata di abbondanti quesiti referendari ha visto una partecipazione talmente ridotta da renderli vani, perché l'eccesso e l'abuso dell'istituto sta rischiando di delegittimarlo; vi può quindi essere una disaffezione dell'elettorato che può riflettersi anche su altri inviti alle urne, il che indebolirebbe la democrazia nel nostro paese. Su questo punto credo che sia giusto mantenere stretti i confini e gli ambiti dell'istituto per valorizzarlo nuovamente e rilanciarlo, anziché farlo via via deperire nel gradimento dell'elettorato: a mio avviso, quindi, i filtri vanno mantenuti.
Proprio quanto sostiene la relatrice dovrebbe indurre a mantenere i due commi che ella propone di sopprimere, perché, se è vero che li considera filtri e limiti giusti, in quanto rientrano nell'orientamento della Corte costituzionale, toglierli oggi dal testo avrebbe un significato esattamente opposto a quello che lei indica: non che sono da tenere in conto, ma che vengono soppressi dal Costituente, il che equivarrebbe ad una smentita della giurisprudenza della Corte costituzionale. Propongo quindi che i due commi vengano mantenuti ed aggiungo che probabilmente sarebbe saggio elevare il numero delle firme fino ad un milione, come si era previsto inizialmente.


STEFANO PASSIGLI. Presidente, ritengo che la tesi dell'onorevole Mattarella sarebbe accettabile se pensassimo ad una giurisprudenza della Corte immutabile nel tempo; ora, soprattutto la giurisprudenza costituzionale conosce in tutti i sistemi continue evoluzioni. In questo senso, a me sembra molto corretto sopprimere i due commi, lasciano appunto alla Corte costituzionale la valutazione dell'ammissibilità...


SERGIO MATTARELLA. Proprio per questo è bene scriverli in Costituzione.


STEFANO PASSIGLI. La nostra garanzia è proprio nel fatto che la valutazione di cosa sia costituzionalmente illegittimo e soprattutto se la parte residua di una legge abbia o no possibile applicazione è materia di giurisprudenza costituzionale...


SERGIO MATTARELLA. È materia innanzitutto della Costituzione e dopo di giurisprudenza.


STEFANO PASSIGLI. Certamente, però il sancire in due articoli questi punti significa ingessare la giurisprudenza costituzionale su questioni che invece sono state oggetto di ampio dibattito nel paese; ritengo opportuno affidare tali questioni ad una possibile evoluzione giurisprudenziale. Per queste ragioni, a mio avviso, la relatrice propone correttamente la soppressione dei due commi.


GIUSEPPE CALDERISI. Signor presidente, alle considerazioni del collega Passigli ne voglio aggiungere un'altra: sopprimere questi due commi e lasciare alla Corte il giudizio di ammissibilità significa anche non concepire l'istituto del referendum abrogativo in contrapposizione al Parlamento ma prevedere in qualche modo un ruolo di cooperazione del Parlamento rispetto all'iniziativa referendaria.
Nel momento in cui si attua un istituto abrogativo, la parte residua può presentare dei vuoti normativi: in alcuni casi la Corte lo ha rilevato e ha parlato di inconvenienti, ai quali il Parlamento può rimediare. Nella disciplina del referendum, infatti, si prevede già oggi l'intervento del Parlamento per coprire il vuoto normativo, visto che il referendum abrogativo per definizione è un istituto che crea tale situazione.
Non andrei però ad ingessare la normativa - sono d'accordo con il collega Passigli e con l'impostazione della relatrice - e lascerei quindi più spazio ad interventi della Corte che facilitino un'opera per cui il referendum abrogativo non sia visto come un istituto di contrapposizione ma in uno spirito di collaborazione. Nel 1993, al di là del giudizio che possiamo esprimere sul referendum in


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materia elettorale, abbiamo visto addirittura il Presidente della Repubblica nominare un Governo che aveva il compito di assecondare la volontà popolare. Mi sembra che questo spirito che allora animò il Presidente della Repubblica sia giusto: vedere non una contrapposizione ma un possibile intervento del Parlamento di raccordo. Condivido pertanto l'impostazione della relatrice. Voglio inoltre ricordare, rispetto ad un uso del referendum con decine di quesiti, che le relative iniziative non sono andate in porto; mi sembra che il paese abbia sempre risposto con saggezza alle iniziative referendarie e quindi credo che non si debba prevedere una disciplina eccessivamente limitativa per il ricorso a questo istituto.


MASSIMO VILLONE. Signor presidente, le preannuncio che intendo chiedere la votazione per parti separate dell'articolo 104.


MARCO BOATO. Signor presidente, condivido le osservazioni dei colleghi Passigli e Calderisi; condividevo peraltro anche la sua riflessione, presidente, quando ha osservato che Marco Pannella non è oggetto di rilevanza costituzionale. Per questo mi sembra inopportuno fare riferimento alla contingenza dell'ultima tornata referendaria, che non ho condiviso (non avevo sottoscritto quei referendum) anche se sono andato a votare, come faccio sempre. Però non credo che dobbiamo considerare l'ultima tornata referendaria che si è svolta in una situazione di grande confusione per regolarci nel normare la Costituzione che deve valere al di là della vita dell'una o dell'altra formazione politica, dell'uno o dell'altro esponente politico. Personalmente ritengo troppo elevato il numero di 800 mila; sarei stato favorevole ad elevare il numero di 500 mila ma di una misura molto più ridotta (ad esempio 600 mila). A maggior ragione sarei contrario ad elevarlo ad un milione come il collega Mattarella ha proposto, mentre adotterei la proposta della collega Dentamaro di sopprimere i due commi. Qualora si dovesse decidere che qualcosa debba rimanere, ritengo che semmai possa essere mantenuto il comma che stabilisce che non è ammesso referendum quando dalla sua approvazione deriverebbero discipline costituzionalmente illegittime, ma non il penultimo comma dell'articolo che ritengo si debba sopprimere.
L'osservazione fatta da Passigli e dalla relatrice di lasciare alla giurisprudenza costituzionale il compito di consolidare una giurisprudenza in riguardo senza fissarla in Costituzione mi pare più opportuna.


ERSILIA SALVATO. Il numero di 800 mila va bene. Siamo contrari alla soppressione dei due commi di cui si parla, perché l'esperienza di questi anni ci ha insegnato che ciò che realmente ha provocato nei fatti un'applicazione distorsiva dello spirito referendario è stata la manipolazione attraverso le abrogazioni parziali.
Per queste ragioni siamo per il mantenimento del testo così come è stato approvato.


PRESIDENTE. Pongo in votazione la soppressione del terzo comma dell'articolo 104 che sancisce l'inammissibilità di referendum dalla cui approvazione deriverebbero discipline costituzionalmente illegittime.


(È approvata).


Pongo in votazione la soppressione del quinto comma dell'articolo 104 che stabilisce che in caso di abrogazione parziale il quesito è inammissibile se la parte residua della legge o dell'atto avente valore di legge risulti di impossibile applicazione.


(È approvata).


TARCISIO ANDREOLLI. Vorrei sollevare un problema che è stato oggetto di numerosi emendamenti. Faccio riferimento al comma 2 che prevede che non è ammesso referendum per le leggi tributarie. Chiedo che si valuti l'opportunità di


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prevedere anche l'inammissibilità nel caso di trattati internazionali.


MARCO BOATO. In questo caso sarebbe impossibile fare un referendum su Maastricht, che vari altri paesi europei hanno fatto.


PRESIDENTE. Il problema esiste ed è grave. Noi prevediamo una forma di referendum sui trattati, diversa dal referendum abrogativo di cui si parla nell'articolo 104. L'articolo 116, infatti, prevede il referendum nella forma prevista dall'articolo 138, cioè un referendum preventivo rispetto alla promulgazione. Per queste ragioni ritengo che non sia il caso di fare precisazioni.


SERGIO MATTARELLA. Il testo attuale della Costituzione prevede l'esclusione del referendum abrogativo per i trattati.


PRESIDENTE. Credo si tratti di una questione non di sostanza ma di coordinamento perché - come dicevo - sui trattati prevediamo una forma di referendum diversa.


FRANCESCO D'ONOFRIO. Si tratta di una questione di particolare delicatezza, perché parliamo di referendum abrogativi e non consultivi o di altra natura. Sarei quindi favorevole a reinserire i trattati internazionali.


PRESIDENTE. Siamo d'accordo sul fatto che sui trattati internazionali non è ammissibile il referendum abrogativo. Se si ritiene di doverlo scrivere esplicitamente, facciamolo. Il referendum è ammesso, ma nella forma prevista dall'articolo 116.


MARCO BOATO. Dobbiamo renderlo esplicito.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. L'articolo 116 è riferito solo ai trattati europei.


ERSILIA SALVATO. Si tratta di due materie diverse. Per Maastricht abbiamo previsto una procedura che definiremo quando discuteremo del relativo articolo; invece abbiamo escluso ciò che era previsto nella Costituzione vigente e cioè l'impossibilità di svolgere referendum sui trattati internazionali. Faccio un esempio molto concreto, il trattato sulle mine antiuomo: è possibile che il popolo italiano non possa pronunciarsi su una materia come questa?


MARCO BOATO. L'esempio che ha fatto la collega Salvato, che condivido, non riguarda le limitazioni della sovranità statuale, ma riguarda altra materia come quella delle mine antiuomo.
La collega Salvato propone che non venga preclusa in Costituzione la possibilità di sottoporre a referendum trattati internazionali che riguardano, ad esempio, le mine antiuomo (ha citato questa materia ma potrebbero esisterne altre). D'altronde non è immaginabile che vi siano tanti referendum sull'abrogazione dei trattati internazionali che ordinariamente vengono stipulati e ratificati. Bisogna raccogliere 800 mila firme per che cosa? Per un referendum sugli accordi commerciali tra Italia e Bulgaria?


SERGIO MATTARELLA. Chi ha detto questo?


PRESIDENTE. I termini della questione sono chiari. Si tratta di vedere se intendiamo tornare, come nel testo della Costituzione vigente, a precisare che i trattati internazionali non possono essere oggetto di referendum, ovvero se vogliamo evitare questa formula essendo chiaro che i trattati europei sono regolati dall'articolo 116 e che quindi qui si tratterebbe di altra e distinta materia.
Pongo in votazione la proposta del senatore Andreolli, di integrare l'elencazione di cui al comma 2 con riferimento ai trattati internazionali.


(È respinta-Commenti).


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Non credo vi sia bisogno di procedere alla controprova, dal momento che il segretario Boato ha verificato una prevalenza, sia pure di misura, di coloro i quali hanno votato a favore del mantenimento del testo della relatrice Dentamaro.
Nonostante il comitato di redazione lo avesse escluso, il collega Grillo, legittimamente, ripropone in Commissione che si stabilisca, come norma di garanzia, che il contenuto normativo delle disposizioni abrogate mediante referendum non possa essere ripristinato fino al termine della legislatura.
Su questa proposta si è svolta una lunga discussione, essendo la proposta stessa da taluno considerata come un vincolo che dovrebbe avere un carattere politico e non normativo, da talaltro come una norma che, scritta in Costituzione, potrebbe incoraggiare, alla scadenza del vincolo, la modifica del contenuto normativo, nel senso che il referendum avrebbe una sorta di validità limitata nel tempo.
Pongo in votazione la proposta del collega Grillo di aggiungere, dopo il quintocomma, una specificazione nei termini che ho appena richiamato.


(È respinta).


Passiamo alla votazione dell'articolo 104.


SERGIO MATTARELLA. Annuncio il nostro voto contrario su tale articolo.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'articolo 104, quale risulta dalle votazioni sin qui svolte.


(È approvato).


Nel ricordare che il Comitato è convocato per domani mattina alle 8.30, rinvio il seguito dell'esame alla seduta di domani, 26 settembre 1997, alle 10.


La seduta termina alle 20.10.


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