DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE - S2027


ONOREVOLI SENATORI. - Questo disegno di legge di revisione costituzionale vuole dare soluzione a due grandi problematiche, che da tempo costituiscono oggetto di studio e di discussione anche in sede parlamentare: la prima é la unicità della giurisdizione, quale strumento di razionalizzazione e ottimizzazione di mezzi e risorse umane, di semplificazione nell'accesso, di riduzione consistente di tempi processuali, di garanzia di pari indipendenza di tutti i magistrati, per garantire funzionalità ed effettività ai diritti individuali sanciti nella prima parte della Costituzione.
La separazione della carriera requirente dalla carriera giudicante é un'altra problematica di fondamentale importanza nella vita democratica del nostro Paese, unico peraltro tra i paesi a tradizione demoliberale che ancora oppone resistenza ad accogliere tale soluzione.
La istituzione di due diversi Consigli superiori, uno per la magistratura requirente e una per la giudicante, con diversa composizione dell'attuale, eletti con sistema elettorale maggioritario, si rende necessaria per attuare in concreto la separazione delle carriere. Come parimenti si rende necessario l'ingresso in magistratura dopo una formazione che selezioni, attraverso concorsi diversificati, a seconda delle capacità evidenziate, l'accesso all'una o all'altra carriera.
Connessa e funzionale a questa impostazione é la introduzione della formulazione delle priorità nell'esercizio dell'azione penale da parte del Ministro, approvata dal Parlamento, a cui tutti gli uffici del pubblico ministero devono attenersi.
La grande rilevanza delle scelte che si assumono nel settore delle politiche criminali, ove affidate senza trasparenza e controllo ai singoli uffici di procura e, ancora piú spesso, ai singoli sostituti procuratori, pone in misura sempre piú evidente un problema di democrazia.
A fronte di questa esigenza, che é propria dei regimi democratici, di trasparenza e responsabilità per le scelte di rilievo politico, ve ne é peró un'altra, non meno fondamentale, di evitare che il collegamento tra pubblico ministero e organi rappresentativi, espressione di una maggioranza, possa essere utilizzato per indirizzare o condizionare il pubblico ministero a fini particolaristici, per penalizzare gli avversari politici o favorire i propri sostenitori.
É necessario perció far convivere, con giusto equilibrio, l'esigenza di rendere autonomo e indipendente il pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale con la responsabilità politica per le decisioni che si assumono nel settore delle politiche criminali.

Unicità della giurisdizione

Un ampio progetto di modernizzazione e semplificazione della pubblica amministrazione e dell'accesso ad essa, non puó prescindere da una piú adeguata tutela giurisdizionale del cittadino, garantita da una piú trasparente separazione dei poteri e dalla imparzialità e indipendenza dell'organo giurisdizionale. In questa ottica la nostra proposta di revisione costituzionale intende stabilire la unicità della giurisdizione, come mezzo per superare definitivamente il dualismo di attribuzioni giurisdizionali, differenziate sulla base di un criterio di sempre piú difficile determinazione, quale quello della distinzione tra diritto e interesse, fonte di crescenti incertezze e di conseguenti conflitti di giurisdizione o di attivazione di contemporanee azioni di fronte al giudice speciale ed al giudice ordinario, con tempi cosí dilatati di risposta in termini proces suali che comportano un evidente sacrificio dei diritti del cittadino.
Peraltro un apparato tanto macchinoso, costoso e defatigatorio per i privati, non é neppure idoneo a soddisfare l'interesse dell'amministrazione.
É da sottolineare inoltre che una effettiva tutela dei diritti del cittadino nell'ambito dei suoi rapporti con la pubblica amministrazione puó essere realizzata solo ove anche gli organi di giurisdizione amministrativa garantiscano pari terzietà e indipendenza istituzionale della giurisdizione ordinaria, indipendenza attualmente insufficiente e che sembra ancora risentire del retaggio di una concezione di incombenza e supremazia dello Stato, ampiamente superata nelle moderne Costituzioni e legislazioni degli Stati dell'occidente.
Analoghe osservazioni valgono anche per la Corte dei conti, sia in termini di razionalizzazione della giurisdizione, di ottimizzazione delle risorse, sia in termini di assicurare pari indipendenza nell'ambito di una medesima giurisdizione.
Né tali princípi informatori della presente proposta contrastano con la esigenza sempre piú avvertita in uno Stato moderno di raggiungere conoscenze maggiormente qualificate e diversificate, in pratica le specializzazioni di settore.
Tale esigenza puó essere, infatti, adeguatamente soddisfatta da una piú moderna organizzazione dell'ordinamento giudiziario, improntato a criteri di specializzazione nei diversi settori della giurisdizione, che si articolerebbe in sezioni specializzate. Tale soluzione comporterebbe una maggiore economicità dell'intero sistema, una migliore utilizzazione di mezzi, di strutture e di risorse umane, con livelli sempre piú elevati di professionalità.
Allo stesso ordine di criteri si ispira la soppressione dei tribunali militari in tempo di pace.
Un'ampia problematica, riaffiora periodicamente a questo proposito, per i frequenti conflitti di giurisdizione che si verificano a causa delle difficoltà di individuare confini certi di questa giurisdizione, che si qualifica piú che altro sotto il profilo soggettivo, dell'essere cioé un militare il sottoposto a giudizio.
Si ritiene non ragionevole, perció, mantenere, in tempo di pace, questa "giustizia dei capi", peraltro sfornita di mezzi e strutture e che spesso confligge col principio del giudice naturale.
A questo progetto di rendere unica la giurisdizione potrebbe essere mosso il rilievo di volere escludere la partecipazione popolare dall'amministrazione della giustizia.
Questa nostra proposta, proprio perché improntata ad un principio di maggiore democraticità e trasparenza, supera facilmente tale rilievo, in quanto non solo tale partecipazione viene sancita a livello costituzionale, demandando alla legge ordinaria di stabilirne i casi e i modi, ma ne riconosce e garantisce, diversamente dall'attuale normativa costituzionale, la pari indipendenza dei togati.

Separazione delle carriere. Diversificazione del Consiglio superiore della magistratura. Fissazione delle priorità nell'esercizio dell'azione penale

La presente proposta di riforma costituzionale non puó prescindere dall'affrontare e prospettare soluzioni e problemi di fondamentale rilievo in una democrazia: la separazione della magistratura giudicante dalla magistratura requirente e la riconducibilità, per quanto possibile, nell'ambito del processo democratico delle rilevantissime scelte di politica criminale che, allo stato, sono di fatto delegate, senza trasparenza alcuna, alla non trasparente e non responsabile scelta dei pubblici ministeri.
Per quanto i Paesi a piú consolidata tradizione demoliberale abbiano incontrato ed incontrino difficoltà nel definire il rapporto tra indipendenza e responsabilità con riferimento al ruolo del pubblico ministero, anche a causa della rilevanza che esso ha assunto nelle moderne società, ció non diminuisce l'anomalia della soluzione data dal nostro costituente e le conseguenze disfunzionali che ne sono derivate.
Leggendo i lavori della nostra Assemblea costituente, le decisioni adottate in relazione al ruolo del pubblico ministero appaiono comprensibili piú come il prodotto di una reazione a misfatti del precedente regime, e come desiderio di "andare in direzione opposta", piuttosto che come il risultato di analisi relative alle complesse esigenze funzionali che il pubblico ministero deve soddisfare in una moderna democrazia. Non vi é dubbio che la soluzione adottata dal nostro costituente appaia formalmente perfetta e, aggiungo, del tutto omogenea ad una cultura giuridica - quale la nostra - che non solo considera estranei ai propri interessi scientifici i quesiti e le verifiche sulla concreta applicabilità delle norme che si scrivono o si concorre a scrivere, ma che solitamente dà addirittura per scontato ció che scontato non é, e cioé che i dettati della legge debbano e quindi anche possano essere comunque rispettati, a prescindere da qualsiasi preventivo accertamento o successiva verifica della loro applicabilità.
La soluzione adottata - come sappiamo - é stata quella di prescrivere, una volta per tutte, che l'azione penale sia esercitata obbligatoriamente ed in via esclusiva da organi cui sono accordate prerogative di indipendenza del tutto simili a quelle del giudice, cioé da organi che né in via diretta né in via indiretta possano essere chiamati a rispondere politicamente della correttezza ed efficacia della loro opera di fronte alla sovranità popolare. In una tale "soluzione" l'obbligatorietà dell'azione penale dovrebbe fungere da necessario e sufficiente contrappeso ad un esercizio esclusivo e politicamente irresponsabile da parte di organi "tecnici". Non sarebbe di conseguenza necessario prevedere meccanismi attivabili dall'esterno del sottosistema giudiziario, volti a stimolare e a verificare in itinere la correttezza e l'efficacia della loro azione. Inoltre, se da un canto la natura obbligatoria dell'azione penale verrebbe ad escludere che essa si configuri come un potere da sottoporre a verifica nell'ambito del sistema politico (tutto viene perseguito e quindi non vi sono scelte di opportunità da compiere), dall'altro l'indipendenza conferita agli organi che ne sono titolari escluderebbe poi che pressioni esterne possano interferire con quell'obbligo. Obbligatorietà ed indipendenza, quindi, concepite come due facce della stessa medaglia, nessuna delle due giustificabile senza l'altra.
Col passare del tempo gli orientamenti della magistratura associata e del Consisglio superiore della magistratura hanno, poi, progressivamente, trasferito tale "inscindibile" connessione tra indipendenza e obbligatorietà anche sul piano dell'organizzazione interna del pubblico ministero, tendendo a considerare anche il potere gerarchico dei capi come minaccia dell'indipendenza dei singoli pubblici ministeri e quindi dell'esercizio obbligatorio dell'azione penale, con la inevitabile conseguenza della cosiddetta "personalizzazione delle funzioni del pubblico ministero", che si é venuta sviluppando in varie forme e con diversa intensità nei vari uffici.
Ció che ha ostacolato ed ostacola nel nostro Paese una adeguata soluzione a questi problemi é la diversa premessa che si assume nell'affrontarli: mentre negli altri Paesi a consolidata tradizione demo-costituzionale si dà per scontata la natura ineliminabilmente discrezionale dell'azione penale e si pongono perció in essere meccanismi di tipo dinamico per stimolare, verificare ed eventualmente correggere il suo esercizio, cosí da assicurare che un potere tanto rilevante, quale quello che fa capo agli organi inquirenti, per la libertà, per la rispettabilità, per la sicurezza del cittadino, nonché per il rispetto della legalità e per l'efficacia delle politiche contro i fenomeni criminali, venga esercitato secondo criteri per quanto possibile uniformi ed uguali per tutti, efficaci ed al tempo stesso rispettosi della dignità umana, nel nostro Paese, negandosi alla radice tale presupposto, si é data una soluzione assolutamente rigida e non soggetta ad alcuna verifica quanto alla sua efficacia operativa di assicurare l'effettiva attuazione generalizzata al principio della obbligatorietà dell'azione penale.
Per contro é un dato di comune conoscenza, confortato anche dal risultato di analisi sul funzionamento degli uffici del pubblico ministero, che non solo sussistono ampi margini di discrezionalità nell'esercizio dell'azione penale e nell'uso differenziato che si fa delle risorse umane e materiali necessarie a dare concreto ed efficace contenuto a tali azioni, ma che proprio tale falsa premessa ha prodotto progressivamente una rilevanza politica del pubblico ministero sempre piú marcata, tale da produrre un crescendo di implicazioni negative e di impedimenti alla piena tutela di valori universalmente considerati come fondamentali nei sistemi democratici.
In particolare l'ampia discrezionalità dell'esercizio dell'azione penale e delle risorse umane e materiali di fatto lasciata alla determinazione dei singoli uffici e dei singoli magistrati inquirenti ha prodotto, paradossalmente, proprio un effettivo ostacolo alla concreta attuazione del principio costituzionale dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, cioé di quel principio che l'obbligatorietà era intesa a tutelare. É evidente che, non potendosi tutto perseguire, anche in considerazione della panpenalizazione verificatasi nel nostro sistema, il principio di uguaglianza puó essere concretamente perseguito solo regolando, secondo criteri uniformi per tutti, le priorità nell'esercizio dell'azione penale e nella utilizzazione delle risorse e delle strutture che gli diano concreta sostanza, e individuando, come in altri Paesi democratici, gli strumenti volti ad assicurare che, nella massima trasparenza possibile, tali priorità vengano poi effettivamente eseguite.
Attualmente, invece, la ineliminabile discrezionalità dell'azione penale pone nelle mani dei singoli uffici inquirenti e, all'interno di essi, dei singoli sostituti, la definizione di una rilevantissima parte delle politiche pubbliche nel settore criminale, di sempre maggior rilievo nella vita e talvolta nella stessa sopravvivenza dello Stato moderno, senza una qualsiasi verifica diretta o indiretta da parte della sovranità popolare. Non potendosi piú negare una tale evidenza, alcuni procuratori hanno fissato per i loro uffici espliciti criteri di priorità, suscitando perplessità e polemiche.
D'altra parte anche questa é una scelta rimessa al singolo ufficio, secondo parametri che pertanto non sono omogenei ad altri uffici, che continuano ad operare scelte di vario genere disuguali e disorganiche, rispetto alle quali nessuno viene chiamato a rispondere e che, come é evidente, inevitabilmente finiscono con il rinviare a valutazioni attinenti ad opzioni di natura politica.
É necessario perció che le scelte di politica criminale che si sostanziano nella scelta delle priorità, secondo un criterio generale di interesse pubblico, provengano dalla sede propria che, in questa nostra proposta, individuiamo nel Parlamento.
Non si tratta di limitare l'autonomia e l'indipendenza della funzione giudiziaria, né di violare il precetto costituzionale dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Si tratta invece di riportare ad un sistema concepito e giustificato sulla supremazia della legge, un diverso surrettizio sistema che si é andato creando imperniato sempre piú sul potere del magistrato, in particolare del pubblico ministero, postulato come immancabilmente affidabile e quindi superiore.
Questo ha significato e significa un rafforzato assetto autoritario della giurisdizione, dal momento che la forza dei provvedimenti dei magistrati risiede sempre meno nella legge e sempre piú nell'organo che ha il potere; l'importante é che tale provvedimento venga da un organo che ha il potere di emetterlo.
A ció corrisponde un generale e progressivo indebolimento delle procedure di controllo sull'operato della funzione giudiziaria.
Tutto questo viene accreditato come una sorta di benefico giacobinismo; ma non puó sottacersi quanto un tale ruolo assunto dai magistrati sia produttivo di gravi distorsioni sul piano della democrazia.
Oggi si registra dovunque una asimmetria tra i poteri e ció esige un nuovo raccordo tra gli stessi, realizzando per la prima volta una loro effettiva separazione, con la contestuale valorizzazione delle loro differenze strutturali o funzionali, secondo i postulati classici dello stato di diritto; d'altronde non puó esservi democrazia senza Stato di diritto.
Una delle peculiarità dello Stato di diritto é l'indipendenza sia del giudice che del pubblico ministero. E questa caratteristica deve continuare a contrassegnare la magistratura italiana.
Né a questo principio é incompatibile una scelta di fondo, parimenti irrinunciabile, che sostanzi compiutamente lo Stato di diritto e cioé quella scelta ormai consolidata nei Paesi a tradizione demoliberale, di separare la carriera giudicante da quella requirente.
Una ragione diffusamente avvertita, é la necessità di garantire, anche nell'immagine, la sicurezza del cittadino circa la imparzialità del giudice, come figura nettamente distinta e terza rispetto ai soggetti inquirenti, non coinvolta nelle strategie accusatorie, né nelle opzioni di politica criminale del pubblico ministero stesso.
A ció sono ovviamente di ostacolo la forte coesione corporativa, la diffusa solidarietà di gruppo e interindividuale, i medesimi rappresentanti nel medesimo Consiglio superiore, le reciproche aspettative e sempre piú spesso la paura del giudice, nel disattendere le richieste del pubblico ministero per il consenso popolare che costui ormai attrae, di cadere in una spirale di sospetti e di accuse, dichiarate pubblicamente, rispetto alle quali rimane isolato e privo di difesa anche da parte della categoria stessa.
É innegabile che oggi la figura sempre piú autoritaria e invasiva del pubblico ministero nel processo rende piú deboli le garanzia del cittadino e sempre piú inattualizzabile il diritto della difesa ad avere pari dignità professionale del pubblico ministero.
Per l'attuazione compiuta di questo principio di democrazia, che impone una netta separazione tra chi accusa e chi giudica, dovranno essere operate delle soluzioni sul piano operativo inerente la formazione, la selezione rispetto all'una o all'altra carriera cui accedere mediante concorsi differenziati, lo sviluppo di professionalità diverse e quindi diversi profili di responsabilità.
É conseguenza naturale che la separazione delle carriere comporti la costituzione di due Consigli superiori, quali differenziati organi di autotutela di soggettività giurisdizionali irreversibilmente distinte per accesso, formazione, professionalità.
Si rende altrettanto necessario che i Consigli superiori abbandonino la caratterizzazione di "parlamentini", dominati dalle correnti sulla base di un sistema ampiamente clientelare e con forti connotati di politicizzazione.
Poiché é inevitabile che una magistratura indipendente, sia essa giudicante che requirente, abbia un proprio organo di autogoverno, é imprescindibile che tale organismo assicuri una trasparente amministrazione.
Si é perció ritenuto necessario stabilire un diverso metodo elettorale, nell'ambito delle diverse magistrature, su base uninominale ed una partecipazione elettiva piú ampia di soggetti estranei alla magistratura, come riconoscimento dell'attuazione del principio costituzionale per cui la giustizia é amministrata in nome del popolo.
Occorre finalmente stabilire un equilibrio tra i poteri dello Stato, che garantisca la tutela dei diritti dell'individuo e un corretto sviluppo della vita democratica del Paese.


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