ONOREVOLI SENATORI. - Questo disegno di legge di revisione costituzionale
vuole dare soluzione a due grandi problematiche, che da tempo costituiscono
oggetto di studio e di discussione anche in sede parlamentare: la prima
é la unicità della giurisdizione, quale strumento di
razionalizzazione e ottimizzazione di mezzi e risorse umane, di
semplificazione nell'accesso, di riduzione consistente di tempi processuali,
di garanzia di pari indipendenza di tutti i magistrati, per garantire
funzionalità ed effettività ai diritti individuali sanciti
nella prima parte della Costituzione.
La separazione della carriera requirente dalla carriera giudicante
é un'altra problematica di fondamentale importanza nella vita
democratica del nostro Paese, unico peraltro tra i paesi a tradizione
demoliberale che ancora oppone resistenza ad accogliere tale soluzione.
La istituzione di due diversi Consigli superiori, uno per la magistratura
requirente e una per la giudicante, con diversa composizione dell'attuale,
eletti con sistema elettorale maggioritario, si rende necessaria per attuare
in concreto la separazione delle carriere. Come parimenti si rende
necessario l'ingresso in magistratura dopo una formazione che selezioni,
attraverso concorsi diversificati, a seconda delle capacità
evidenziate, l'accesso all'una o all'altra carriera.
Connessa e funzionale a questa impostazione é la introduzione
della formulazione delle priorità nell'esercizio dell'azione penale
da parte del Ministro, approvata dal Parlamento, a cui tutti gli uffici del
pubblico ministero devono attenersi.
La grande rilevanza delle scelte che si assumono nel settore delle
politiche criminali, ove affidate senza trasparenza e controllo ai singoli
uffici di procura e, ancora piú spesso, ai singoli sostituti
procuratori, pone in misura sempre piú evidente un problema di
democrazia.
A fronte di questa esigenza, che é propria dei regimi democratici,
di trasparenza e responsabilità per le scelte di rilievo politico, ve
ne é peró un'altra, non meno fondamentale, di evitare che il
collegamento tra pubblico ministero e organi rappresentativi, espressione di
una maggioranza, possa essere utilizzato per indirizzare o condizionare il
pubblico ministero a fini particolaristici, per penalizzare gli avversari
politici o favorire i propri sostenitori.
É necessario perció far convivere, con giusto equilibrio,
l'esigenza di rendere autonomo e indipendente il pubblico ministero
nell'esercizio dell'azione penale con la responsabilità politica per
le decisioni che si assumono nel settore delle politiche criminali.
Unicità della giurisdizione
Un ampio progetto di modernizzazione e semplificazione della pubblica
amministrazione e dell'accesso ad essa, non puó prescindere da una
piú adeguata tutela giurisdizionale del cittadino, garantita da una
piú trasparente separazione dei poteri e dalla imparzialità e
indipendenza dell'organo giurisdizionale. In questa ottica la nostra
proposta di revisione costituzionale intende stabilire la unicità
della giurisdizione, come mezzo per superare definitivamente il dualismo di
attribuzioni giurisdizionali, differenziate sulla base di un criterio di
sempre piú difficile determinazione, quale quello della distinzione
tra diritto e interesse, fonte di crescenti incertezze e di conseguenti
conflitti di giurisdizione o di attivazione di contemporanee azioni di
fronte al giudice speciale ed al giudice ordinario, con tempi cosí
dilatati di risposta in termini proces suali che comportano un evidente
sacrificio dei diritti del cittadino.
Peraltro un apparato tanto macchinoso, costoso e defatigatorio per i
privati, non é neppure idoneo a soddisfare l'interesse
dell'amministrazione.
É da sottolineare inoltre che una effettiva tutela dei diritti del
cittadino nell'ambito dei suoi rapporti con la pubblica amministrazione
puó essere realizzata solo ove anche gli organi di giurisdizione
amministrativa garantiscano pari terzietà e indipendenza
istituzionale della giurisdizione ordinaria, indipendenza attualmente
insufficiente e che sembra ancora risentire del retaggio di una concezione
di incombenza e supremazia dello Stato, ampiamente superata nelle moderne
Costituzioni e legislazioni degli Stati dell'occidente.
Analoghe osservazioni valgono anche per la Corte dei conti, sia in
termini di razionalizzazione della giurisdizione, di ottimizzazione delle
risorse, sia in termini di assicurare pari indipendenza nell'ambito di una
medesima giurisdizione.
Né tali princípi informatori della presente proposta
contrastano con la esigenza sempre piú avvertita in uno Stato moderno
di raggiungere conoscenze maggiormente qualificate e diversificate, in
pratica le specializzazioni di settore.
Tale esigenza puó essere, infatti, adeguatamente soddisfatta da
una piú moderna organizzazione dell'ordinamento giudiziario,
improntato a criteri di specializzazione nei diversi settori della
giurisdizione, che si articolerebbe in sezioni specializzate. Tale soluzione
comporterebbe una maggiore economicità dell'intero sistema, una
migliore utilizzazione di mezzi, di strutture e di risorse umane, con
livelli sempre piú elevati di professionalità.
Allo stesso ordine di criteri si ispira la soppressione dei tribunali
militari in tempo di pace.
Un'ampia problematica, riaffiora periodicamente a questo proposito, per i
frequenti conflitti di giurisdizione che si verificano a causa delle
difficoltà di individuare confini certi di questa giurisdizione, che
si qualifica piú che altro sotto il profilo soggettivo, dell'essere
cioé un militare il sottoposto a giudizio.
Si ritiene non ragionevole, perció, mantenere, in tempo di pace,
questa "giustizia dei capi", peraltro sfornita di mezzi e strutture e che
spesso confligge col principio del giudice naturale.
A questo progetto di rendere unica la giurisdizione potrebbe essere mosso
il rilievo di volere escludere la partecipazione popolare
dall'amministrazione della giustizia.
Questa nostra proposta, proprio perché improntata ad un principio
di maggiore democraticità e trasparenza, supera facilmente tale
rilievo, in quanto non solo tale partecipazione viene sancita a livello
costituzionale, demandando alla legge ordinaria di stabilirne i casi e i
modi, ma ne riconosce e garantisce, diversamente dall'attuale normativa
costituzionale, la pari indipendenza dei togati.
Separazione delle carriere. Diversificazione del
Consiglio superiore della magistratura. Fissazione delle priorità
nell'esercizio dell'azione penale
La presente proposta di riforma costituzionale non puó prescindere
dall'affrontare e prospettare soluzioni e problemi di fondamentale rilievo
in una democrazia: la separazione della magistratura giudicante dalla
magistratura requirente e la riconducibilità, per quanto possibile,
nell'ambito del processo democratico delle rilevantissime scelte di politica
criminale che, allo stato, sono di fatto delegate, senza trasparenza alcuna,
alla non trasparente e non responsabile scelta dei pubblici ministeri.
Per quanto i Paesi a piú consolidata tradizione demoliberale
abbiano incontrato ed incontrino difficoltà nel definire il rapporto
tra indipendenza e responsabilità con riferimento al ruolo del
pubblico ministero, anche a causa della rilevanza che esso ha assunto nelle
moderne società, ció non diminuisce l'anomalia della soluzione
data dal nostro costituente e le conseguenze disfunzionali che ne sono
derivate.
Leggendo i lavori della nostra Assemblea costituente, le decisioni
adottate in relazione al ruolo del pubblico ministero appaiono comprensibili
piú come il prodotto di una reazione a misfatti del precedente
regime, e come desiderio di "andare in direzione opposta", piuttosto che
come il risultato di analisi relative alle complesse esigenze funzionali che
il pubblico ministero deve soddisfare in una moderna democrazia. Non vi
é dubbio che la soluzione adottata dal nostro costituente appaia
formalmente perfetta e, aggiungo, del tutto omogenea ad una cultura
giuridica - quale la nostra - che non solo considera estranei ai propri
interessi scientifici i quesiti e le verifiche sulla concreta
applicabilità delle norme che si scrivono o si concorre a scrivere,
ma che solitamente dà addirittura per scontato ció che
scontato non é, e cioé che i dettati della legge debbano e
quindi anche possano essere comunque rispettati, a prescindere da qualsiasi
preventivo accertamento o successiva verifica della loro
applicabilità.
La soluzione adottata - come sappiamo - é stata quella di
prescrivere, una volta per tutte, che l'azione penale sia esercitata
obbligatoriamente ed in via esclusiva da organi cui sono accordate
prerogative di indipendenza del tutto simili a quelle del giudice,
cioé da organi che né in via diretta né in via
indiretta possano essere chiamati a rispondere politicamente della
correttezza ed efficacia della loro opera di fronte alla sovranità
popolare. In una tale "soluzione" l'obbligatorietà dell'azione penale
dovrebbe fungere da necessario e sufficiente contrappeso ad un esercizio
esclusivo e politicamente irresponsabile da parte di organi "tecnici". Non
sarebbe di conseguenza necessario prevedere meccanismi attivabili
dall'esterno del sottosistema giudiziario, volti a stimolare e a verificare
in itinere
la correttezza e l'efficacia della loro azione. Inoltre, se da un canto la
natura obbligatoria dell'azione penale verrebbe ad escludere che essa si
configuri come un potere da sottoporre a verifica nell'ambito del sistema
politico (tutto viene perseguito e quindi non vi sono scelte di
opportunità da compiere), dall'altro l'indipendenza conferita agli
organi che ne sono titolari escluderebbe poi che pressioni esterne possano
interferire con quell'obbligo. Obbligatorietà ed indipendenza,
quindi, concepite come due facce della stessa medaglia, nessuna delle due
giustificabile senza l'altra.
Col passare del tempo gli orientamenti della magistratura associata e del
Consisglio superiore della magistratura hanno, poi, progressivamente,
trasferito tale "inscindibile" connessione tra indipendenza e
obbligatorietà anche sul piano dell'organizzazione interna del
pubblico ministero, tendendo a considerare anche il potere gerarchico dei
capi come minaccia dell'indipendenza dei singoli pubblici ministeri e quindi
dell'esercizio obbligatorio dell'azione penale, con la inevitabile
conseguenza della cosiddetta "personalizzazione delle funzioni del pubblico
ministero", che si é venuta sviluppando in varie forme e con diversa
intensità nei vari uffici.
Ció che ha ostacolato ed ostacola nel nostro Paese una adeguata
soluzione a questi problemi é la diversa premessa che si assume
nell'affrontarli: mentre negli altri Paesi a consolidata tradizione
demo-costituzionale si dà per scontata la natura ineliminabilmente
discrezionale dell'azione penale e si pongono perció in essere
meccanismi di tipo dinamico per stimolare, verificare ed eventualmente
correggere il suo esercizio, cosí da assicurare che un potere tanto
rilevante, quale quello che fa capo agli organi inquirenti, per la
libertà, per la rispettabilità, per la sicurezza del
cittadino, nonché per il rispetto della legalità e per
l'efficacia delle politiche contro i fenomeni criminali, venga esercitato
secondo criteri per quanto possibile uniformi ed uguali per tutti, efficaci
ed al tempo stesso rispettosi della dignità umana, nel nostro Paese,
negandosi alla radice tale presupposto, si é data una soluzione
assolutamente rigida e non soggetta ad alcuna verifica quanto alla sua
efficacia operativa di assicurare l'effettiva attuazione generalizzata al
principio della obbligatorietà dell'azione penale.
Per contro é un dato di comune conoscenza, confortato anche dal
risultato di analisi sul funzionamento degli uffici del pubblico ministero,
che non solo sussistono ampi margini di discrezionalità
nell'esercizio dell'azione penale e nell'uso differenziato che si fa delle
risorse umane e materiali necessarie a dare concreto ed efficace contenuto a
tali azioni, ma che proprio tale falsa premessa ha prodotto progressivamente
una rilevanza politica del pubblico ministero sempre piú marcata,
tale da produrre un crescendo di implicazioni negative e di impedimenti alla
piena tutela di valori universalmente considerati come fondamentali nei
sistemi democratici.
In particolare l'ampia discrezionalità dell'esercizio dell'azione
penale e delle risorse umane e materiali di fatto lasciata alla
determinazione dei singoli uffici e dei singoli magistrati inquirenti ha
prodotto, paradossalmente, proprio un effettivo ostacolo alla concreta
attuazione del principio costituzionale dell'uguaglianza dei cittadini di
fronte alla legge, cioé di quel principio che l'obbligatorietà
era intesa a tutelare. É evidente che, non potendosi tutto
perseguire, anche in considerazione della panpenalizazione verificatasi nel
nostro sistema, il principio di uguaglianza puó essere concretamente
perseguito solo regolando, secondo criteri uniformi per tutti, le
priorità nell'esercizio dell'azione penale e nella utilizzazione
delle risorse e delle strutture che gli diano concreta sostanza, e
individuando, come in altri Paesi democratici, gli strumenti volti ad
assicurare che, nella massima trasparenza possibile, tali priorità
vengano poi effettivamente eseguite.
Attualmente, invece, la ineliminabile discrezionalità dell'azione
penale pone nelle mani dei singoli uffici inquirenti e, all'interno di essi,
dei singoli sostituti, la definizione di una rilevantissima parte delle
politiche pubbliche nel settore criminale, di sempre maggior rilievo nella
vita e talvolta nella stessa sopravvivenza dello Stato moderno, senza una
qualsiasi verifica diretta o indiretta da parte della sovranità
popolare. Non potendosi piú negare una tale evidenza, alcuni
procuratori hanno fissato per i loro uffici espliciti criteri di
priorità, suscitando perplessità e polemiche.
D'altra parte anche questa é una scelta rimessa al singolo
ufficio, secondo parametri che pertanto non sono omogenei ad altri uffici,
che continuano ad operare scelte di vario genere disuguali e disorganiche,
rispetto alle quali nessuno viene chiamato a rispondere e che, come é
evidente, inevitabilmente finiscono con il rinviare a valutazioni attinenti
ad opzioni di natura politica.
É necessario perció che le scelte di politica criminale che
si sostanziano nella scelta delle priorità, secondo un criterio
generale di interesse pubblico, provengano dalla sede propria che, in questa
nostra proposta, individuiamo nel Parlamento.
Non si tratta di limitare l'autonomia e l'indipendenza della funzione
giudiziaria, né di violare il precetto costituzionale
dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Si tratta invece di riportare ad un sistema concepito e giustificato
sulla supremazia della legge, un diverso surrettizio sistema che si é
andato creando imperniato sempre piú sul potere del magistrato, in
particolare del pubblico ministero, postulato come immancabilmente
affidabile e quindi superiore.
Questo ha significato e significa un rafforzato assetto autoritario della
giurisdizione, dal momento che la forza dei provvedimenti dei magistrati
risiede sempre meno nella legge e sempre piú nell'organo che ha il
potere; l'importante é che tale provvedimento venga da un organo che
ha il potere di emetterlo.
A ció corrisponde un generale e progressivo indebolimento delle
procedure di controllo sull'operato della funzione giudiziaria.
Tutto questo viene accreditato come una sorta di benefico giacobinismo;
ma non puó sottacersi quanto un tale ruolo assunto dai magistrati sia
produttivo di gravi distorsioni sul piano della democrazia.
Oggi si registra dovunque una asimmetria tra i poteri e ció esige
un nuovo raccordo tra gli stessi, realizzando per la prima volta una loro
effettiva separazione, con la contestuale valorizzazione delle loro
differenze strutturali o funzionali, secondo i postulati classici dello
stato di diritto; d'altronde non puó esservi democrazia senza Stato
di diritto.
Una delle peculiarità dello Stato di diritto é
l'indipendenza sia del giudice che del pubblico ministero. E questa
caratteristica deve continuare a contrassegnare la magistratura italiana.
Né a questo principio é incompatibile una scelta di fondo,
parimenti irrinunciabile, che sostanzi compiutamente lo Stato di diritto e
cioé quella scelta ormai consolidata nei Paesi a tradizione
demoliberale, di separare la carriera giudicante da quella requirente.
Una ragione diffusamente avvertita, é la necessità di
garantire, anche nell'immagine, la sicurezza del cittadino circa la
imparzialità del giudice, come figura nettamente distinta e terza
rispetto ai soggetti inquirenti, non coinvolta nelle strategie accusatorie,
né nelle opzioni di politica criminale del pubblico ministero stesso.
A ció sono ovviamente di ostacolo la forte coesione corporativa,
la diffusa solidarietà di gruppo e interindividuale, i medesimi
rappresentanti nel medesimo Consiglio superiore, le reciproche aspettative e
sempre piú spesso la paura del giudice, nel disattendere le richieste
del pubblico ministero per il consenso popolare che costui ormai attrae, di
cadere in una spirale di sospetti e di accuse, dichiarate pubblicamente,
rispetto alle quali rimane isolato e privo di difesa anche da parte della
categoria stessa.
É innegabile che oggi la figura sempre piú autoritaria e
invasiva del pubblico ministero nel processo rende piú deboli le
garanzia del cittadino e sempre piú inattualizzabile il diritto della
difesa ad avere pari dignità professionale del pubblico ministero.
Per l'attuazione compiuta di questo principio di democrazia, che impone
una netta separazione tra chi accusa e chi giudica, dovranno essere operate
delle soluzioni sul piano operativo inerente la formazione, la selezione
rispetto all'una o all'altra carriera cui accedere mediante concorsi
differenziati, lo sviluppo di professionalità diverse e quindi
diversi profili di responsabilità.
É conseguenza naturale che la separazione delle carriere comporti
la costituzione di due Consigli superiori, quali differenziati organi di
autotutela di soggettività giurisdizionali irreversibilmente distinte
per accesso, formazione, professionalità.
Si rende altrettanto necessario che i Consigli superiori abbandonino la
caratterizzazione di "parlamentini", dominati dalle correnti sulla base di
un sistema ampiamente clientelare e con forti connotati di politicizzazione.
Poiché é inevitabile che una magistratura indipendente, sia
essa giudicante che requirente, abbia un proprio organo di autogoverno,
é imprescindibile che tale organismo assicuri una trasparente
amministrazione.
Si é perció ritenuto necessario stabilire un diverso metodo
elettorale, nell'ambito delle diverse magistrature, su base uninominale ed
una partecipazione elettiva piú ampia di soggetti estranei alla
magistratura, come riconoscimento dell'attuazione del principio
costituzionale per cui la giustizia é amministrata in nome del
popolo.
Occorre finalmente stabilire un equilibrio tra i poteri dello Stato, che
garantisca la tutela dei diritti dell'individuo e un corretto sviluppo della
vita democratica del Paese.
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