ONOREVOLI SENATORI. - Il fenomeno dell'abuso della decretazione d'urgenza
ha ormai assunto dimensioni patologiche, favorito anche dai comportamenti
"permissivi" che il Parlamento - ma soprattutto la Camera dei deputati - ha
adottato nei suoi confronti.
Sin dall'inizio della scorsa legislatura la sequenza di siffatti
comportamenti si é ripetuta e anche quando la Commissione affari
costituzionali di Montecitorio ha ritenuto l'inesistenza dei requisiti
costituzionali ex articolo 77 della necessità e dell'urgenza,
l'Assemblea ha "salvato" i decreti del Governo.
Si puó dire che, salvo pochissime eccezioni, é prevalso il
richiamo... della foresta governativa, che ha spinto tanto la maggioranza di
centrodestra che quella di centrosinistra ad accettare senza troppi scrupoli
(anche di fronte all'evidenza dell'abuso) decreti né necessari
né urgenti. Non va poi dimenticato un altro aspetto negativo:
talvolta l'opposizione preferisce partecipare ai negoziati con il Governo e
la maggioranza, che propiziano emendamenti concordati a comune beneficio.
Peraltro non é mutata nel regolamento della Camera la norma che (a
differenza di quanto é previsto al Senato) impedisce di negare i
requisiti di necessità e di urgenza per singole disposizioni
anziché per l'intero atto-decreto: é chiaro che, almeno
virtualmente, é piú facile a Palazzo Madama mettere fuori
giuoco qualche articolo o parti di articolo chiaramente abusive, specie se
il testo é fortemente disomogeneo.
L'esperienza della scorsa legislatura ha dunque confermato quanto era
emerso nel quinquennio precedente: il sicuro fallimento dell'iniziativa
tentata con l'articolo 5 della legge 23 agosto 1988, n. 400, per arginare
l'inondazione dei decreti-legge. Una legge ordinaria non era in grado di
arrestare un trend
che si basava su una interpretazione lassista dell'articolo 77, comma
secondo e seguenti, della Costituzione: né le norme regolamentari
delle due Camere possono incidere significativamente salvo quanto si
é già rilevato e salva la possibilità di garantire una
deliberazione in un periodo di trenta giorni, come si é riusciti a
fare a Palazzo Madama.
Nei piú recenti dibattiti sono emersi due rimedi dettati dalla
infelice prassi successiva al 1969 (primo caso di reiterazione effettuata
per far passare il famoso "decretone" del Governo Colombo) e alla mancata
applicazione dell'articolo 15 della legge n. 400 del 1988. Il primo tende a
riprodurre con lievi varianti la modifica dell'articolo 77 della
Costituzione accolta dalla Commissione bicamerale nella XI Legislatura (si
tratta, come é noto, di una limitazione "casistica" delle materie
suscettibili di formare oggetto dei decreti legge). Piú in
particolare il Governo potrebbe intervenire soltanto in casi di
necessità ed urgenza concernenti la sicurezza nazionale,
calamità naturali, o introduzione di norme finanziarie che debbano
entrare immediatamente in vigore o il recepimento e l'attuazione di atti
normativi delle Comunità europee quando dalla mancata tempestiva
adozione dei medesimi possa derivare responsabilità dello Stato per
inadempimento di obblighi comunitari. A questa limitazione del potere
governativo (integrata da un divieto di reiterazione) farebbe riscontro una
limitazione del potere parlamentare (inemendabilità dei decreti salvo
che per quanto attiene alla copertura degli oneri finanziari). Del resto la
revisione dell'articolo 77 con questi contenuti ha formato oggetto di varie
proposte di legge costituzionale presentate alle Camere negli anni scorsi.
Alla via tracciata dalla Commissione bicamerale (che puó definirsi
di riduzione delle materie) si contrappone un'altra strada che si puó
definire "procedurale". É quella avanzata qualche tempo fa dai
professori Federico Sorrentino e Massimo Luciani, e indirizzata a modificare
il terzo comma dell'articolo 77 della Carta costituzionale con la seguente
formulazione: "I decreti perdono efficacia fin dall'inizio se le Camere,
entro venti giorni dalla loro pubblicazione, non ne abbiano riconosciuto, a
maggioranza assoluta dei loro componenti, l'ammissibilità in base a
quanto previsto nei commi precedenti e se essi non siano convertiti in legge
entro novanta giorni dalla loro pubblicazione".
Alla prima soluzione, oltre alle consuete critiche circa la
possibilità di delimitare per materie i casi di necessità e di
urgenza, si puó obiettare che le maggioranze governative ben
potrebbero convertire decreti emanati al di là dei settori
circoscritti; anche se é possibile replicare che la Corte
Costituzionale potrebbe in questa eventualità esser chiamata a
intervenire assai piú agevolmente ed efficacemente di adesso dalla
stessa legge di revisione dell'articolo 77 della Costituzione.
Alla proposta Sorrentino - Luciani si puó muovere l'ovvia critica
di aver trascurato la relativa facilità, per una maggioranza
parlamentare costituitasi sulla base di un sistema elettorale maggioritario
al 75 per cento, di raggiungere il quorum
del 50 per cento piú uno dei componenti delle due Camere:
sicché la diga sarebbe di dubbia tenuta.
Per superare tali obbiezioni, il presente disegno di legge costituzionale
- con il quale il presentatore intende offrire un contributo al dibattito in
corso - si propone di modificare l'articolo 77 della Costituzione
prevedendosi sia la riduzione delle materie di cui é consentita la
decretazione d'urgenza e sia l'aggravamento della procedura di conversione,
richiedendosi per l'ammissibilità una maggioranza di due terzi dei
componenti di ciascuna Camera. Cosí si garantirebbe una sorta di
"evidenza" della necessità urgenza e si eviterebbe la
possibilità per il governo di porre questioni di fiducia in maniera
implicita o esplicita. Inoltre si restituirebbe valore e forza di
test
effettivo alla innovazione regolamentare a suo tempo patrocinata dal
senatore Bonifacio, con cui si intese isolare dal provvedimento di
conversione in legge del decreto il giudizio di ammissibilità o di
sussistenza dei requisiti di cui all'articolo 77. In tal modo si renderebbe
effettivamente "blindato" il meccanismo dei decreti-legge, che verrebbero
restituiti alla straordinarietà eccezionalità-urgenza che -
secondo la prospettiva tracciata dal Costituente - doveva essere la loro
caratteristica insuperabile.
Questo rimedio potrà forse apparire una specie di
overdose
garantista: ma a mali estremi, estremi rimedi.
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