Onorevoli Colleghi! - In un periodo di grandi cambiamenti che investono l'intero nostro contesto sociale, economico e politico, deve registrarsi la quotidiana necessità dell'adeguamento delle strutture istituzionali rispetto alle esigenze della comunità nazionale che non riescono più a trovare adeguata risposta in previsioni normative scritte più di mezzo secolo fa e che, se pur mantengono in larga misura validità nella parte di affermazione dei princìpi generali e dei diritti fondamentali dei cittadini, mostrano ormai evidenti limiti con riferimento all'organizzazione degli organi e dei poteri dello Stato.
In particolare, l'attenzione si ferma su quelli che sono o dovrebbero essere i poteri terzi e cioè quei poteri dello Stato previsti e finalizzati a garantire la legalità complessiva del sistema ed il primato della legge, nonché la soluzione dei conflitti tra cittadini, tra questi e la pubblica amministrazione e tra pubblici poteri: l'ordine giudiziario ed il suo organo di autogoverno.
Praticamente da sempre è presente nella dottrina giuridica e nella pubblica opinione il dibattito del rapporto tra magistratura inquirente e magistratura giudicante e tale dibattito registra una diversità di opinioni che dalla valorizzazione del principio di unicità della giurisdizione si spinge fino al suo opposto e cioè all'affermazione della impossibilità che inquirenti e giudicanti possano appartenere allo stesso ordine, con tutta la gamma delle sfumature che tra l'una e l'altra è possibile immaginare.
La evidente diversità delle funzioni esercitate ha invero fatto interrogare studiosi, operatori del diritto e semplici cittadini sulla opportunità di riservare a giudici e pubblici ministeri uguale status, ma l'esperienza della istituzione di magistrature speciali nel periodo fascista orientò il Costituente dell'ultimo dopoguerra ad optare decisamente per una forte tendenza alla unicità della giurisdizione e ad avere un pubblico ministero talmente terzo e sottratto alle influenze del potere politico e del Governo da inserirlo a pieno titolo e senza alcuna distinzione nell'ordine della magistratura ordinaria, fino al punto che le funzioni inquirenti sono state ritenute una species tra tutte quelle esercitabili dai magistrati.
La scelta operata dalla vigente Carta costituzionale è assolutamente condivisibile per il perseguito fine di assicurare anche al pubblico ministero quelle garanzie di indipendenza ed autonomia che sono a presidio della terzietà ed imparzialità della magistratura, ma ha dato luogo a più di una perplessità quella unicità di ruolo che vede accomunati i titolari dell'obbligo di esercizio dell'azione penale e quindi necessariamente chiamati ad un ruolo di parte, ancorchè rappresentativo degli interessi generali e dello Stato, con coloro i quali erano invece chiamati all'esercizio della giurisdizione vera e propria, e quindi chiamati ad un ruolo terzo di equilibrio finalizzato a ripristinare la legalità violata sia nei rapporti interprivati sia da parte del cittadino avverso il contenuto del precetto penale.
La lunga vigenza di un processo penale di tipo inquisitorio, pur senza mai far venir meno le motivazioni ed i contenuti di tale dibattito, aveva forse attenuato gli elementi di più stridente contrasto tra i fautori delle tesi contrapposte, elementi che sono invece stati rivitalizzati dall'entrata in vigore, nell'ottobre del 1989, del nuovo codice di procedura penale fortemente ispirato ad un modello di processo accusatorio all'interno del quale accusa e difesa avrebbero dovuto essere due parti alla pari ed il dibattimento essere il momento centrale dell'accertamento della verità processuale davanti ad un giudice effettivamente terzo.
Questa marcatura del ruolo di parte del pubblico ministero unita allo stravolgimento, conseguente alle tante emergenze giudiziarie e di ordine pubblico di questi anni, di alcuni dei canoni fondamentali dell'originario impianto accusatorio del codice di procedura penale, ha pertanto riproposto con forza la problematica di una più netta distinzione tra chi è titolare dell'esercizio dell'azione penale e chi è chiamato all'esercizio della giurisdizione e cioè tra chi nel sistema giudiziario ha una funzione di parte, con tutte le sue citate peculiarità, e chi ha invece un ruolo terzo e di garanzia.
Ciò detto, tuttavia la cultura e la tradizione giuridica e giudiziaria del nostro Paese ci hanno consentito di apprezzare concretamente i vantaggi di una autonomia ed una indipendenza riconosciute al massimo livello a tutti i magistrati e ci hanno consegnato un potere giudiziario di norma effettivamente terzo rispetto agli altri poteri dello Stato ed in grado di garantire il primato della legge e ciò nonostante le marginali, anche se gravi, distorsioni e la scarsa efficienza di un sistema giudiziario che va profondamente rivisto nella sua struttura organizzativa e nei meccanismi di funzionamento.
Le ragioni esposte, l'esperienza maturata in questo mezzo secolo di vita della vigente Costituzione e le ragioni dettate dagli effetti dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale suggeriscono, se non impongono, una revisione delle norme costituzionali che riguardano la magistratura per rendere più aderente il suo status alle esigenze di una comunità profondamente diversa da quella dell'immediato dopoguerra, mantenendo e perfezionando le irrinunciabili garanzie di autonomia ed indipendenza che, sole, possono garantire una separazione dei poteri dello Stato davvero in grado di coniugare le finalità di buon governo con i diritti dei cittadini.
L'articolo 1 sostituisce l'articolo 102 della Costituzione e ribadisce l'autonomia e l'indipendenza dell'ordine della magistratura e, nel suo ambito, specifica la differenza di funzioni tra i giudici ed i pubblici ministeri. Mantiene inoltre il divieto di istituzione di magistrature straordinarie o speciali.
L'articolo 2 sostituisce l'articolo 104 della Costituzione: il primo comma del nuovo testo diviene il primo comma del nuovo articolo 102 ed, in particolare, rivede la composizione del Consiglio superiore della magistratura, riducendo da due terzi alla metà i componenti eletti dai magistrati ed aumentando da un terzo alla metà quelli eletti dal Parlamento in seduta comune. Viene inoltre introdotta la scelta del presidente e del vicepresidente nell'ambito dei componenti e senza vincolo di scelta tra quelli eletti dal Parlamento. Viene, infine, introdotta la definitiva non rieleggibilità dei componenti in luogo della vigente solo immediata non rieleggibilità e ciò al fine di rimarcare il ruolo di assoluta autonomia che l'eletto nell'organo di autogoverno deve mantenere rispetto al corpo degli amministrati.
L'eliminazione della presidenza del Consiglio superiore della magistratura da parte del Presidente della Repubblica tende ad armonizzare l'organo di autogoverno rispetto ad ipotesi di riforma tendenzialmente in senso presidenzialista e comunque tiene conto del fatto che anche nell'attuale assetto costituzionale il ruolo del Presidente della Repubblica si è sempre più allontanato da una posizione di neutralità e da una funzione di garanzia per assumere sempre più marcate connotazioni politiche.
L'articolo 3 sostituisce l'articolo 105 della Costituzione, introducendo un secondo comma che prevede l'espresso divieto per il Consiglio superiore della magistratura di svolgimento di un'attività di indirizzo politico, con ciò rimarcando la sua natura di organo costituzionale di alta amministrazione e di autogoverno della magistratura in rapporto non equivoco con gli altri poteri dello Stato.
L'articolo 4 riformula l'articolo 106 della Costituzione e, al secondo comma, prevede il reclutamento con distinti concorsi per giudici e pubblici ministeri al fine di sottolineare la diversità delle funzioni già enunciata nel nuovo testo dell'articolo 102, ma prevede anche una riserva di legge ordinaria per disciplinare l'eventuale cambiamento delle funzioni, con ciò ribadendo l'unicità dell'ordine.
L'articolo 5, infine, modifica il testo dell'articolo 111 della Costituzione rimuovendo, al secondo comma, le limitazioni al ricorso in Cassazione contro i provvedimenti sulla libertà personale. Al terzo comma, inoltre, si abolisce la limitazione alle sole questioni attinenti alla giurisdizione per la ricorribilità in Cassazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.
Quest'ultima previsione è di particolare rilievo perché rappresenta un tentativo concreto di procedere verso la unicità della giurisdizione con la individuazione di un unico giudice di legittimità per tutte le materie sottoposte al vaglio giurisdizionale ordinario o amministrativo.
Le altre norme della seconda parte, titolo IV, sezioni I e II della Costituzione, rimangono invariate in quanto compatibili con quelle modificate ed armonicamente raccordate a garanzia dei diritti fondamentali tutelati.
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