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Franco Bile
FRANCO BILE, Primo presidente aggiunto della suprema Corte di cassazione. Signor Presidente, la Corte di cassazione, organo supremo della giurisdizione, porta in modo rilevante il peso dell’interpretazione delle leggi ed è quotidianamente alle prese con gli aspetti negativi della produzione normativa che qui sono stati ampiamente indicati. Nella soluzione delle controversie accade che l’aspetto più difficile non sia tanto l’interpretazione della norma da applicare al caso concreto ma paradossalmente il reperimento della norma applicabile. Posso essere testimone del dubbio che continua a serpeggiare nelle camere di consiglio se si sia davvero trovata la norma giusta o non ve ne sia qualcun’altra, perduta nello sterminato panorama della nostra produzione normativa.
L’assemblea generale della Corte di cassazione, che si è tenuta il 23 aprile scorso, ha avviato un dialogo molto franco con gli altri poteri dello Stato, invitandoli a prendere coscienza della crisi della Corte. Sono sicuro che, come ha già detto il presidente Granata, la razionalizzazione del sistema normativo costituisce uno degli strumenti di riduzione della conflittualità e quindi, in via indiretta, una delle risposte che la Corte si attende proprio al fine di avviare a soluzione i suoi problemi. Non posso pertanto non esprimere grande soddisfazione per l’iniziativa odierna. La Corte di cassazione aderisce alla diagnosi sull’insufficienza della produzione legislativa così come oggi si presenta. Ben vengano allora le nuove istituzioni introdotte dalle leggi recenti, cui tutti gli interventi si sono riferiti, perché la situazione era giunta ad un livello veramente preoccupante. Mi sia consentito fare qualche rapido esempio per illustrare le difficoltà che il giudice incontra nel reperimento della norma applicabile al caso concreto.
Mi riferisco in primo luogo all’eccessivo ricorso a quelle che vengono definite leggi omnibus, in cui sono contenute una congerie di disposizioni del tutto diverse tra loro. Ad esempio, la norma che regola i patti in deroga in materia di locazioni è contenuta in un articolo di un testo il cui titolo è “Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica”. Vi è inoltre un eccessivo ricorso alla suddivisione degli articoli in commi. La legge n. 662 del 1996 contiene tre articoli per complessivi 708 commi. Anche questo è un ostacolo talora veramente difficile da affrontare per il reperimento della norma da applicare; si è giunti al punto che la Gazzetta Ufficiale pubblica talora tavole sinottiche dei testi, indicando il contenuto dei singoli commi.
Si verifica anche un eccessivo ricorso alla tecnica del rinvio. Basta un unico esempio: l’articolo 1 del decreto legislativo n. 80 del 1998 è del seguente tenore: “All’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, dopo le parole: ‘legge 23 ottobre 1992, n. 421’, sono inserite le seguenti: ‘e dell’articolo 11, comma 4, della legge n. 54 del 15 marzo 1997’”. Questa è una norma occulta perché è assolutamente difficile capire quale ne sia il contenuto. Della questione ha parlato anche il Presidente D’Alema e sono lieto che il problema sia stato posto. La conseguenza di questa tecnica di redazione è che il contenuto del precetto può essere compreso solo dopo un complesso lavoro ed una lettura sinottica dei vari testi legislativi.
Sovente una legge di modifica di una certa disciplina non indica specificamente le disposizioni abrogate ma si limita a stabilire che sono abrogate tutte le norme incompatibili; così scarica sull’interprete il problema di dare una risposta positiva o negativa in termini di compatibilità, con la conseguenza dell’aumento del contenzioso perché le soluzioni possono essere fisiologicamente diverse. Anche questo è un aspetto sul quale converrebbe meditare. L’analisi di impatto della regolamentazione, prevista dalla norma di recente entrata in vigore, costituisce un istituto assolutamente meritevole di essere applicato con razionalità. Immagino che questa valutazione di impatto riguardi l’incidenza che la nuova norma ha non soltanto su quelle già esistenti nell’ordinamento, ma anche sulle strutture amministrative. Faccio, a tale proposito, un unico esempio: le leggi e i progetti di legge in materia di depenalizzazione riusciranno a raggiungere il loro scopo se contemporaneamente la pubblica amministrazione sarà in grado di comminare le sanzioni amministrative in luogo di quelle penali, altrimenti quei comportamenti rischiano di non avere alcuna sanzione.
Concludo avanzando alcune proposte operative. La Corte di cassazione – ne sono convinto e sono lieto che il presidente Mancino mi abbia anticipato – può avviare una collaborazione proficua con il Parlamento, periodicamente indicando alle Camere quelle norme nell’interpretazione delle quali si sono creati in giurisprudenza contrasti difficilmente componibili, ovvero è restato qualche dubbio malgrado l’intervento compositorio delle sezioni unite, ovvero ancora in relazione alle quali i giudici di merito continuano a non essere orientati in modo omogeneo. In questi casi una collaborazione tra organi delle istituzioni comporterebbe la richiesta al Parlamento di esaminare l’eventualità di un’interpretazione autentica. Si tratta di un’iniziativa che la Corte ritiene di poter assumere.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Bile e vorrei precisare che quel “fiume” di commi, cui egli faceva riferimento, dipende da una questione di carattere tecnico-politico, perché su quel provvedimento il Governo pose la fiducia: poiché la questione di fiducia si sarebbe dovuta porre articolo per articolo, furono accorpati più articoli. E’ una tecnica deleteria sul piano della comprensione, ma sotto altro profilo necessaria. Speriamo che non vi si debba più ricorrere.