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Stefano Rodotà


PRESIDENTE. Prima di dare la parola al professor Rodotà, vorrei fare una precisazione. Com’è noto, sono molte le autorità garanti nel nostro paese, ma abbiamo invitato in questa sede le due autorità che hanno competenza generale. Do la parola al professor Rodotà.

STEFANO RODOTA’, Presidente dell’Autorità garante per la tutela dei dati personali. Senza voler abusare del tempo concessomi, vorrei fare alcune rapidissime considerazioni. Certamente apprezzabile ed importante è la prospettiva dei testi unici, delle consolidazioni, delle codificazioni (si può usare la terminologia che si preferisce); se però ha un senso quel tentativo di identificare una serie di fonti e livelli di regolazione che vanno al di là della legislazione nazionale, tale prospettiva non risolve integralmente il problema. Tra l’altro (ne parlavamo prima con il presidente Elia), un buon modello è quello della cosiddetta commissione per la codificazione francese, i cui testi comportano però anche l’indicazione delle fonti subprimarie. Però, i tempi previsti, per esempio, dalla Bassanini-quater in questo senso mi sembra che siano ottimisti.

Vi è poi il problema della chiarezza del dettato normativo. Io sono sensibilissimo a questo tema, però stiamo attenti. Sono fedelissimo all’illuminismo, non sono tra quelli che in questi anni lo hanno considerato il diavolo, ma c’è un pregiudizio. Se noi guardiamo ad un ambiente diverso, per esempio agli Stati Uniti, constatiamo che vi sono leggi mostruose dal punto di vista del numero dei richiami e del linguaggio legislativo usato. Faccio un esempio conosciuto forse da molti presenti. Nel caso del Telecommunication act, considerato qualche anno fa un importantissimo passaggio, vi è stato bisogno di un lavoro ulteriore del Congresso per raccordarlo a tutta la legislazione precedente e renderlo comprensibile. Sempre negli Stati Uniti, solo lo scorso anno, nella materia che conosco, cioè la privacy, gli Stati hanno approvato 786 leggi. Vi è il problema di 50 sistemi parlamentari e di 50 giurisdizioni altrettanto rilevanti: da qui voglio trarre le mie conclusioni. Innanzitutto, il problema è quello della reperibilità della fonte; naturalmente, in questo caso, le tecnologie intelligentemente usate aiutano molto. Mi riferisco alle parole-chiave, ai riferimenti normativi: questo è il primo terreno. Pertanto, la prima questione è la reperibilità.

Il problema della conoscibilità è un po’ più complesso. Credo che dobbiamo liberarci dell’idea che la legge sia conoscibile al cittadino comune: non voglio richiamare le indagini di Max Weber, il quale sosteneva che i sistemi di common law sono dei sistemi per sacerdoti e quindi conservano il potere di una casta all’interno della società! Lasciamo perdere! Però, rimane il problema della conoscibilità almeno per gli addetti ai lavori, questo sì, che non sono tuttavia soltanto i giudici e gli avvocati, ma sono gli operatori dei settori disciplinati. Pertanto, mi accontenterei di un passo in questa direzione.

Un terzo punto – tra i tantissimi – è quello relativo alla valutazione dell’impatto. Si tratta di un passaggio molto difficile che richiama il ruolo parlamentare, perché, anche se i testi unici risolvono solo parzialmente il problema, proprio per questa ragione qualcuno deve pure esercitare la funzione di “cabina di regia” di fronte ad una molteplicità di fonti normative. Non riempiamoci occhi e bocca con la mondializzazione, perché poi la realtà degli Stati, anche all’interno dei sistemi federali, è evidentissima e il discorso della “cabina di regia” è fondamentale. Allora, le valutazioni di impatto sono importanti: non illudiamoci che possano essere delle valutazioni puramente tecniche (sufficienza, costi-benefici). Sono stato in Parlamento per molti anni e probabilmente ho una deformazione professionale: quando si introdusse – e sembrò una grande innovazione – il giudizio preventivo sulla costituzionalità dei decreti, si arrivò a porre la questione di fiducia su un qualcosa che era in sé contraddittorio. Porre la fiducia sulla costituzionalità! Ebbene, vi è un residuo politico ineliminabile in queste cose. Lavoriamo il più possibile in tale direzione ed evitiamo di pensare che si possa risolvere la questione in questo modo.

Come ultima battuta voglio dire che sono convinto che quella funzione parlamentare cresce tanto più quanto il Parlamento è messo in grado di legiferare per principi. E’ un vecchio mio pallino, ma il fatto che altri abbia poi esplicitamente il potere normativo fino a questo momento, e non solo in Italia, ha significato meno conoscenza, meno controllo e meno trasparenza per procedimento. E’ questo ciò che va evitato. Se viene affidata al Governo una quota elevata di potere normativo, devono esservi condizioni di trasparenza a tutti i livelli. In questo momento mi trovo ad essere tra i negoziatori di una questione tra Europa e Stati Uniti sul trasferimento dei dati personali dall’Europa a quel paese: dopo che vi è stata una direttiva europea, se ne occupano tutti i Parlamenti ma non si riesce a far uscire una virgola di certe proposte che quindi sono assolutamente ignote a tutti gli interessati, pur toccando loro diritti fondamentali, toccando gli interessi delle imprese europee che possono vedere distorta la concorrenza. Se poi la redistribuzione dei poteri normativi va in questo modo, sarei piuttosto preoccupato.

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