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Stefano Rodotà


STEFANO RODOTA’ PRESIDENTE. Professor Rodotà, a lei la parola. STEFANO RODOTA’, Presidente dell’Autorità garante per la tutela dei dati personali. Sono grato di questa occasione e cercherò di sfruttarla per proporre una sorta di indice di questioni che a mio giudizio contribuiscono a definire il quadro di insieme in cui si inserisce la legislazione parlamentare. Idealmente le raggrupperei intorno a tre temi: il ruolo della legge parlamentare nel nuovo sistema delle fonti; le tecniche legislative e le tecniche di razionalizzazione sociale; i limiti della legislazione. Cercherò di svolgere questo indice tenendo conto dell’esperienza del lavoro che svolgo in questo momento ma anche, in particolare, della riflessione che proprio sul tema delle tecniche legislative vado conducendo da molto tempo. E’ una banalità parlare di un’esplosione del sistema delle fonti e non amo il termine “crisi” della legislazione; in realtà siamo di fronte a fenomeni di redistribuzione dei poteri normativi, fenomeni accelerati da quella che si chiama mondializzazione e dalle tecnologie disponibili. Guardo il problema delle fonti dall’angolo visuale del lavoro che svolgo, il quale mi impone (non personalmente, ovviamente, ma a livello istituzionale) di avere a che fare con almeno otto livelli di fonti, che sono: gli accordi internazionali, gli atti dell’Unione europea, la legislazione nazionale, la legislazione regionale, i regolamenti e le varie fonti di decretazione, i codici di autoregolamentazione, i contratti standard internazionali e gli standard tecnici. Queste ultime tre categorie ormai vengono riguardate nella riflessione internazionale sotto l’etichetta della cosiddetta soft law, che è un sistema normativo che si affianca ed integra i sistemi normativi tradizionali. Naturalmente questo elenco è largamente incompleto se non consideriamo le articolazioni interne a quegli otto livelli. Per esempio, se guardiamo gli atti internazionali, accanto alle convenzioni classiche troviamo i vincoli spesso imposti da decisioni di organi (in questa sede sono stati già citati l’OCSE e la World trade organization) che hanno spesso incidenza sulla concreta attività anche legislativa dei Parlamenti, talvolta in modo anche più incisivo delle convenzioni internazionali. I codici di autoregolamentazione, per esempio, tendono ormai ad uscire dall’area della pura autodisciplina di categoria per assumere una funzione di strumenti certificati, rispetto ai quali, cioè, vi sono interventi di autorità che ne certificano, nei confronti degli interessati – non i produttori del testo ma, per esempio, i consumatori – una plusvalenza rispetto alla pura autodisciplina. Naturalmente, tutto questo comporta una riflessione sul ruolo del Parlamento, che non è ridimensionato, trattandosi di un fattore fisiologico a mio giudizio, né emarginato, ma non è il regolatore esclusivo. Rispetto a questo, credo che un tipo di riflessione debba riguardare l’azione dei Parlamenti nel senso di una funzione organizzativa di una molteplicità di fonti, dal momento che la dimensione nazionale non è, almeno nel periodo breve, cancellata dalla compresenza di questa molteplicità di fonti di rango sopranazionale e subnazionale. Questa funzione di cerniera opera sia all’interno del sistema delle fonti sia nel rapporto tra il sistema regolativo normativo e la società: dire – a proposito del mio riferimento ai codici di autoregolamentazione - che vi sono delle certificazioni affidate a determinati soggetti per una determinazione parlamentare, significa avere una funzione di inclusione di nuovi attori nel sistema istituzionale. Rispetto a questa funzione organizzativa o di cerniera, evidentemente uno dei problemi chiave è la trasparenza, perché l’aver centrato nella sede parlamentare la funzione legislativa ha una serie di motivazioni storiche, che mi guardo bene dal ricordare, ma certamente una delle funzioni chiave è quella di consentire non solo l’esercizio della funzione normativa da parte dei rappresentanti della sovranità nazionale ma anche la trasparenza della procedura. Questa molteplicità di sistema delle fonti tende, in molti casi, ad occultare il procedimento, a renderne visibile soltanto la fase finale o addirittura il momento del sì o del no, e si tratta di fenomeni che sono stati anche accentuati. Vorrei ricordare che tutti noi abbiamo sicuramente accolto con grandissimo favore – almeno chi, in sede parlamentare in questa direzione si era mosso – la sentenza della Corte costituzionale che ha drasticamente ridotto il ricorso alla decretazione d’urgenza: uno dei side effect – direbbero i politologi -, cioè uno degli effetti inattesi ma non del tutto imprevedibili, è stata la crescita del ricorso alla decretazione per via di delega al Governo, che in molti casi ha addirittura azzerato la trasparenza, quando i decreti legislativi non sono neppure assistiti da un parere parlamentare, sia pure consultivo; sappiamo tutti, invece, che i decreti-legge avevano addirittura il vincolo dell’esame d’Assemblea, non essendo possibile il procedimento legislativo in sede di Commissione. Questo è un dato fondamentale che ci mostra come bisogna essere estremamente attenti nel modulare poi gli interventi sul sistema normativo. Comunque sia, il profilo della trasparenza il Parlamento può continuare ad adempierlo, come lo adempiono già alcuni Parlamenti, per esempio con un uso ampio ed intelligente delle udienze conoscitive e delle inchieste nelle diverse materie, che, naturalmente, dovrebbero essere fortemente ripensate nell’ottica di una liberazione del Parlamento da funzioni improprie, anche di riflessione su alcuni ambiti tradizionalmente preclusi all’esame preventivo parlamentare o all’esame emendativo parlamentare: la politica estera e i trattati internazionali, proprio data l’incidenza della dimensione internazionale per ciò che riguarda i fenomeni che ci interessano. Certamente in tutto questo non deve esserci poi soltanto la funzione teatrale in senso classico e buono, il palcoscenico visibile da tutti. Sul problema dell’intervento, non voglio farla lunga con le questioni legate all’uso delle tecnologie, ma ricordo le sperimentazioni in corso in diversi paesi e soprattutto in alcuni Stati americani, dove la possibilità di seguire contestualmente il dibattito parlamentare trasmesso regolarmente da canali televisivamente dedicati, consente al cittadino, in tempo reale, di proporre “i suoi emendamenti”, nel senso che le proposte che arrivano vengono trasmesse addirittura nel corso della discussione. Anche in questo caso vi sono effetti negativi, perché il discorso sul cosiddetto lobbismo democratico, che qui avrebbe origine, è soggetto a molte e prudenti valutazioni. Ma il problema delle tecnologie significa una nuova trasparenza e – uso un termine un po’ ambiguo – interattività tra istituzioni e cittadini. Nell’articolo 1, peraltro importante, della legge n. 50 del 1999, è stato fatto un passo avanti, ma c’è il rischio del cerchio magico degli unici soggetti legittimati ad intervenire; ci sono passi avanti che possono suonare esclusione per i soggetti non compresi nell’elenco. Quindi, in termini di trasparenza, democrazia e partecipazione, questo è un problema da tenere presente. Penultima considerazione: storicamente la legge è stata un po’ valutata come la chiusura di un conflitto (interviene per chiuderlo), come un punto d’arrivo. In realtà, se consideriamo brutalmente la legge come un prodotto, vediamo che questo non è più vero. In molte leggi è chiara la loro natura di strumenti in rodaggio: il decreto correttivo, usato ormai con una certa larghezza in aree particolarmente significative, ci dice che la legge ha chiuso l’iter parlamentare ma non l’iter regolativo, che sarà messo a punto, attraverso questo strumento nuovo e anche ambiguo del decreto correttivo, man mano che la realtà e il confronto concreto tra la norma e i dati effettivi ne renderà evidente la sua necessaria modifica. In più, la legge non è solo un prodotto in rodaggio ma è anche un prodotto deperibile: ormai si moltiplicano quelle che negli Stati Uniti si chiamano le sunset rules, le norme destinate a tramontare: in Francia ne è un esempio in questo periodo la scadenza quinquennale della legislazione in materia di bioetica, essendovi un obbligo del Parlamento a reintervenire per l’aggiornamento. Naturalmente, questo implica una profonda riflessione sulla stessa struttura interna delle leggi. E giustamente mi sembra di aver colto, nella relazione del Presidente del Consiglio, una sottolineatura del fatto che quando si parla di legge ormai si parla di cose diverse: una legge strutturata rigidamente è cosa diversa da una legge articolata in modo tale da consentire un semiautomatismo di adattamento a situazioni modificate o dalla dinamica socio-economica o dalla dinamica culturale. In questo senso l’uso di clausole generali – ne parlo da tanti anni, quindi uso anche qui questo termine – implica però un rapporto del Parlamento con quelle che potrebbero essere definite le istituzioni dell’adattamento: quando il Parlamento si pone come produttore di strutture elastiche, evidentemente sono molto importanti il ruolo della magistratura e delle autorità indipendenti e il ruolo e l’intermediazione di corpi tecnici. Ultime considerazioni sui limiti della legge, alcuni dei quali sono stati già indicati: costi della legislazione, analisi costi-benefici. Questo tipo di approccio ha un vincolo quando sono implicati diritti fondamentali. Faccio un esempio banalissimo: è chiaro che la legislazione sugli infortuni sul lavoro fa crescere grandemente i costi di produzione e che impiegare i minori li faccia diminuire, però si tratta, civilmente, di misure inaccettabili, quindi non misurabili con i parametri OCSE. Questa è una prima considerazione da fare quando si strutturano i criteri di valutazione della legislazione. Secondo: quella che viene chiamata l’invasione dei mondi vitali. Fino a che punto è legittimo per la legislazione invadere l’area di legittime scelte individuali che riguardano più la coscienza che non l’etica di Stato? E’ un altro dei criteri di efficacia della legislazione, perché qui ci sono tre effetti: la legge non viene applicata; la legge viene socialmente delegittimata; la legge non chiude i conflitti ma ne fa nascere di nuovi. Quindi, massima attenzione per ciò che riguarda l’uso della legge come imposizione di valori non condivisi. Questo è un punto che tocca il carattere riconosciuto e voluto delle nostre società come società pluraliste, all’interno delle quali la regola non è necessariamente una regola di supremazia, e cioè una regola che fa prevalere un interesse su tutti gli altri, ma una regola di compatibilità, ossia una regola che consente sia la convivenza sia la continuazione della discussione. PRESIDENTE. La ringrazio, professor Rodotà.

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