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Massimo D'Alema


PRESIDENTE. Do ora la parola al Presidente del Consiglio dei ministri. MASSIMO D'ALEMA, Presidente del Consiglio dei ministri. È estremamente opportuno che sia il Parlamento a porre a tutti gli altri organi istituzionali, e in primo luogo al Governo, il tema dello stato delle fonti di produzione normativa, del loro coordinamento e della necessità di costruire modelli di semplificazione e di riforma complessiva delle tecniche di regolazione.

E' stato osservato che la dimensione del problema è così ampia da condizionare il complessivo funzionamento del sistema politico ed economico dei Paesi democratici. Aggiungerei che, in un certo senso, l'idea stessa che noi elaboriamo del processo di deregolazione e semplificazione del quadro di norme che ordinano la vita della società civile si identifica in larga misura con il funzionamento della democrazia in questa determinata fase storica. Non è un caso se la riforma della regolazione rappresenta uno dei cardini del programma del Governo di riforma dell'amministrazione e, più in generale, di riforme istituzionali. Il Governo è quindi impegnato su questo tema: da un lato, in linea di piena continuità con il precedente Governo, che aveva dato inizio all'attuazione della legge n. 59 del 1997 (ed in questo senso, anche la legge n. 94 del 1997, sulla revisione della struttura del bilancio dello Stato, si può a ragione inscrivere nel processo di riforma strutturale della pubblica amministrazione); dall'altro, nella consapevolezza che gli strumenti normativi intervenuti successivamente (la legge n. 127 del 1997, la n. 191 del 1998 e soprattutto la legge n. 50 del 1999) consentono di dare una svolta, soprattutto sotto il profilo dell'organizzazione dell'apparato governativo a ciò deputato, al processo di riforma della regolazione normativa.

A partire dal 1993, lo sforzo principale dei Governi che si sono succeduti si è concentrato sulla linea della semplificazione dei procedimenti legislativi attraverso la delegificazione della relativa disciplina. La legge n. 59 del 1997, la legge n. 127 del 1997 e la legge n. 191 del 1998 consentono di individuare in modo sistematico i settori dell'organizzazione e le relative procedure amministrative che possono costituire oggetto di delegificazione. Questo processo di delegificazione è reso permanente con il meccanismo della legge annuale di semplificazione. Al riguardo, l'esperienza di questi anni sembra indicare che la questione cruciale, al di là della tecnica della delegificazione, che costituisce una premessa essenziale del processo, è quella della capacità di intervenire in modo sistematico, settore per settore, nell'intreccio tra profili organizzativi e profili procedimentali per costruire assetti operativi coerenti con le esigenze dell'utenza, cioè dei cittadini e delle unità produttive che vengono in contatto con la pubblica amministrazione.

Si tratta di un'azione riformatrice nella quale devono sapere interagire specialisti diversi (giuristi, analisti dell'organizzazione, economisti di settore, gestori delle risorse umane). E' questo il salto di qualità che si deve chiedere ai responsabili dei centri amministrativi pubblici ed in questo processo la riforma delle procedure di bilancio, avviata con la legge n. 94 del 1997, rappresenta la base sulla quale si può realizzare in concreto quella unificazione fra responsabilità amministrative e responsabilità nella gestione efficiente delle risorse finanziarie, che costituisce un passaggio cruciale in tutte le modernizzazioni delle pubbliche amministrazioni realizzate nei Paesi democratici.

Si tratta, dunque, di passare da un processo di semplificazione dei livelli di regolazione (delegificazione delle fonti di regolazione) ad una vera e propria riforma dei contenuti e delle tecniche della regolazione. Iniziative importanti sono state avviate da organismi internazionali quali l'OCSE e il Fondo monetario, il World Trade Organization e la Banca mondiale; in proposito voglio ricordare che proprio nel progetto OCSE sulla riforma della regolazione l'Italia ha svolto un ruolo primario nelle sessioni di lavoro dedicate alle capacità dei governi di produrre regolazioni di qualità. Le prime conclusioni dell'OCSE, largamente condivise, si incentrano sulla qualità della regolazione, un concetto neutrale che non interferisce sugli assetti costituzionali dei singoli Stati e che mira ad assicurare che la regolazione sia utilizzata solo se necessario, se giustificata da un'analisi costi-benefici e comunque nella maniera più chiara ed efficiente. Gli elementi che emergono dal lavoro dell'OCSE sulla regolazione di qualità e, più in generale, sulla riforma della regolazione confermano un dato di fondo al quale facevo prima riferimento: i profili socio-economici della regolazione sono oramai divenuti del tutto prevalenti rispetto a quelli strettamente giuridico-formali. Sono stati, in particolare, identificati due punti deboli dei sistemi di regolazione dei paesi maggiormente industrializzati.

Il primo, a noi ben noto, è quello della spropositata crescita del numero di leggi e di regolamenti vigenti e l'esperienza di questi anni sembra dimostrare che la sola delegificazione non produce effetti decisivi se, in ultima analisi, il problema dell'inflazione normativa si riproduce, sia pure ad un livello più basso di fonte (dalla legge al regolamento), senza modificare l'ambiente normativo al cui interno opera l'imprenditore o il cittadino utente del servizio. Qui si colloca il problema della capacità di valutare sistemicamente gli effetti di impatto della regolazione. Infatti, il secondo problema identificato dall'OCSE è proprio quello dei costi della regolazione nei confronti delle stesse strutture amministrative che dovranno applicarla, dei cittadini e delle imprese che dovranno adeguarvisi. A questi costi, che potremmo dire di impatto diretto della regolazione, si aggiungono i costi indiretti sull'economia causati da un'eventuale riduzione della concorrenza e degli investimenti, a causa dell'introduzione di nuovi elementi di organizzazione burocratica.

Abbiamo qui uno schema che concettualmente, dunque, ripropone per la questione dell'analisi di impatto della regolazione una duplicità di effetti, diretti e indiretti, concettualmente simile a quello già sperimentato con esiti assai interessanti in Italia in materia di analisi degli effetti finanziari, diretti e indiretti, delle norme di spesa. La legge n. 50 del 1999 prende atto di molte implicazioni emerse dalla migliore esperienza internazionale e dalle raccomandazioni dell'OCSE; essa prevede, in particolare, le seguenti innovazioni: innanzitutto, la consultazione. L'articolo 1, comma 2, della legge n. 50 prevede l'individuazione di forme stabili di consultazione delle organizzazioni produttive e delle categorie, comprese le associazioni nazionali riconosciute per la protezione ambientale e per la tutela dei consumatori interessate ai processi di regolazione e semplificazione. La consultazione è già operativa a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 aprile 1999, istitutivo dell'osservatorio sulle semplificazioni: essa ha lo scopo di effettuare, tramite il confronto con le organizzazioni interessate, un monitoraggio sul funzionamento delle semplificazioni già varate, al fine di un eventuale miglioramento della loro efficacia.

La legge n. 50 del 1999 introduce, all'articolo 5, l'analisi dell'impatto della regolazione. Questo significa che, come già avviene in altri Paesi, prima di introdurre nuove regole bisogna in primo luogo chiedersi se esse siano davvero indispensabili. Va perciò valutato in termini di comparazione costi-benefici se i vantaggi connessi all'introduzione della nuova normativa non siano vanificati da costi eccessivi che i cittadini, le imprese e la stessa amministrazione siano chiamate a sostenere. Se poi dovesse risultare insostituibile il ricorso ad una nuova normativa, il suo contenuto non deve fondarsi su criteri esclusivamente giuridici, ma deve essere disegnato nel modo più economico, considerando appunto l'impatto delle nuove regole sul sistema complessivo e non solo - come si fa attualmente - sul bilancio pubblico.

Inoltre, per quanto riguarda i testi unici e i regolamenti, l'obiettivo della qualità delle fonti di regolazione va perseguito anche sul piano formale. Ciò significa, in primo luogo, assicurare un linguaggio normativo semplice e chiaro, perché una regolazione efficace richiede che la regola da ottemperare sia breve e chiara; ma soprattutto è necessario assicurare l'accesso dei cittadini alla conoscenza della normativa vigente attraverso un quadro unitario, ben definito e facile da individuare, delle regole che disciplinano ogni settore della vita sociale. A tal fine, l'articolo 7 della legge n. 50 del 1999 prevede il riordino delle norme che disciplinano ampi settori della vita sociale, nonché una drastica riduzione del loro numero attraverso la redazione di testi unici che comprendano tutte le leggi e i regolamenti in materia.

All'articolo 3, la legge n. 50 istituisce il Nucleo per la semplificazione delle norme e delle procedure: si tratta - sul modello esistente in altri paesi OCSE - di una struttura appositamente dedicata a coordinare e rendere operativi i processi di riassetto del sistema normativo e di semplificazione delle procedure; la sua istituzione si è resa necessaria nella consapevolezza che gli uffici legislativi dei vari ministeri non possono essere primariamente interessati alla revisione del sistema normativo e alla sua semplificazione perché impegnati a dar corpo alle politiche di settore delle rispettive amministrazioni. Il nucleo è in corso di costituzione (è stato nominato il coordinatore) e sarà composto di 25 esperti, con il supporto di una segreteria tecnica di 41 unità. Il metodo indicato e gli obiettivi da perseguire caratterizzeranno il programma di riordino delle fonti normative voluto dalla legge n. 50 del 1999 e impegneranno in primo luogo il nucleo di semplificazione di cui vi ho parlato.

Va tuttavia sottolineato che è la stessa azione di Governo, nel suo profilo di coordinamento legislativo, a porsi come momento centrale di questo indirizzo. In altri termini, come si è cercato di chiarire in modo inequivoco nello schema di decreto legislativo di riordino della Presidenza del Consiglio (ora al parere delle Camere), spetta alla Presidenza del Consiglio, attraverso la specifica struttura del dipartimento degli affari giuridici e legislativi, operante nell'ambito del Segretariato generale, porsi come punto di raccordo dei processi di riforma della regolazione. L'esperienza di questi anni, fatta in altri settori, dimostra come sia cruciale il raccordo nitido e funzionale tra organi di direzione politica e l'operatività di nuclei e gruppi tecnici. Il punto sta proprio nel creare un'osmosi continua tra responsabilità decisionale e approfondimenti specialistici. Ma il punto cruciale sta nell'indispensabile collaborazione fra Parlamento e Governo che, nella stessa impostazione della legge n. 50, costituisce il punto focale per vincere la sfida della regolazione di qualità. Consentitemi di esplicitare una forma di ottimismo di fondo sull'evoluzione di tali questioni. La cooperazione istituzionale su tali materie può evolvere, infatti, presto ad uno stadio maturo, anche perché mi sembra rientrare perfettamente nelle convenienze sia del Parlamento che del Governo; né mi pare vi possano essere grandi divisioni tra le forze politiche sull'esigenza di un minor numero di leggi, di avere norme più chiare e leggibili, precedute da una seria valutazione della loro effettiva applicabilità, e come tali realmente accessibili per i cittadini e per gli operatori.

PRESIDENTE. Grazie, signor Presidente del Consiglio.

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