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Nicola Mancino


NICOLA MANCINO, Presidente del Senato della Repubblica. Negli ultimi anni la tecnica legislativa ha ripreso vitalità dopo essere stata offuscata per decenni dal primato della teoria dell’interpretazione. Come è noto, la redazione tecnica dei testi normativi è sinteticamente designata con il termine inglese drafting. E’ nei paesi anglosassoni, d’altra parte, che tale materia ha conosciuto sviluppi, approfondimenti ed applicazioni certamente maggiori che altrove. Anche da noi, in Italia, l’istituto è oggetto di interesse (sia pure da data recente).

Il massiccio aumento della disciplina sociale ed economica in tutti i paesi ha promosso in questo secolo molte riforme nella regolamentazione nei paesi OECD. Nella fase iniziale delle riforme l’attenzione fu posta soprattutto sulla deregolamentazione. Nella seconda fase delle riforme l’attenzione si è spostata sulla qualità della regolamentazione, migliorando la efficienza, flessibilità, semplicità ed effettività delle discipline individuali. Nella terza fase delle riforme nei paesi OECD il criterio più significativo per misurare e gestire la effettività delle regole è divenuto la capacità dei sistemi regolatori di raggiungere i loro obiettivi sociali ed economici.

Nel 1995 il Consiglio dell’OECD stabilì degli standard per la qualità della regolamentazione. Nel marzo 1999, il gruppo di lavoro dei Presidenti dei Parlamenti europei sulla qualità della legislazione ha esaminato in maniera approfondita il tema della complessità normativa e il ruolo dei Parlamenti nell’epoca della globalizzazione. E’ stato sottolineato, tra l’altro, che la crescita quantitativa delle norme è un fenomeno oggettivo, che coinvolge sia la sfera pubblica (sul piano della legge e su quello regolamentare) sia quella privata. Numerosi governi europei hanno adottato programmi di semplificazione normativa. La stessa Unione europea da tempo persegue questa finalità con numerose iniziative anche di tipo interistituzionale. Ma i risultati sin qui raggiunti non sembrano significativi. I metodi di semplificazione finora sperimentati, di carattere prevalentemente tecnico-giuridico, si sono rivelati insufficienti rispetto alla portata generale e profonda dei fenomeni alla base della crescente complessità normativa.

E’ stato osservato, tra l’altro, quanto segue. La produzione legislativa richiede modifiche e adattamenti costanti a causa di una permanente difficoltà di funzionamento e rispetto ad una realtà sociale in rapido mutamento (si veda, ad esempio, la frequenza con cui la legislazione sull’immigrazione viene modificata in alcuni paesi europei quali Francia, Germania e Italia). La legislazione nazionale è subordinata in ampi settori alle politiche definite in sede di Unione europea e s’intreccia con la normativa direttamente prodotta dalla medesima UE. Anche nell’ambito interno a ciascun paese ad ordinamento federale o regionale (Austria, Belgio, Germania, Italia e Spagna), si espande progressivamente l’area riservata all’autonomia normativa di Länder, regioni, enti locali. L’applicazione del principio di sussidiarietà crea talora difficoltà nel coordinamento di queste diverse fonti, di ambito sovranazionale e regionale, con quelle nazionali. Alle norme prodotte dai soggetti preesistenti si aggiunge la normativa di carattere tecnico delle agenzie governative e delle autorità indipendenti.

Circa l’attuale assetto delle fonti normative in Italia e la sua incidenza sulle tecniche normative, una preoccupata (ma abbastanza convincente) analisi dell’assetto delle fonti che si è venuta creando in Italia nell’ultimo decennio, è effettuata da alcuni studiosi, secondo i quali una prima complessificazione del sistema delle fonti è intervenuta per l’accentuata pluralizzazione dei circuiti di integrazione politica: oltre lo Stato, la regione, l’Unione europea. Da ultimo, poi, l’affermazione delle minori autonomie territoriali ha portato la fonte regolamentare comunale, tradizionalmente recessiva nel nostro ordinamento, ad assumere, viceversa, un ruolo espansivo, ponendo immediatamente rilevanti problemi di frammentazione e di conoscibilità stessa del diritto. Nel nostro ordinamento, e negli altri ad esso assimilabili, oltretutto, si è assistito ad una lunga e costante espansione dei poteri normativi del Governo. La tendenza del Governo ad occupare una posizione centrale nella produzione normativa, peraltro riscontrabile in quasi tutti gli ordinamenti simili a quello italiano, ha avuto un primo riconoscimento con la legge n. 400 del 1988, ma a partire dal 1993 ha mostrato un crescendo travolgente: qui risiedono le peculiarità del caso Italia.

Ipotizzare ordinamenti in futuro più semplici di quelli attuali è, forse, una illusione. Ciò non toglie che lo sforzo per semplificare tutto il semplificabile deve essere costantemente perseguito con la massima determinazione. Quanto alle prospettive per il futuro, è opinione diffusa che una delle maggiori difficoltà in cui versa il Parlamento italiano (ma non solo quello italiano) è quella della mancanza di informazioni aggiornate, tempestive e selezionate in ordine ai settori sui quali esso è chiamato a legiferare. In questa materia, come è noto, molto è stato fatto, negli ultimi decenni, anche a livello di modifiche regolamentari; ma evidentemente ciò non è sufficiente. L’esigenza di accrescere l’informazione del Parlamento (“conoscere per deliberare”) è già manifesta nei regolamenti parlamentari del 1971, che disciplinano in forma organica una pluralità di procedure informative (richieste di informazioni al Governo, audizioni di dirigenti della pubblica amministrazione o di enti pubblici, udienze legislative, indagini conoscitive).

A regolamento invariato, la Presidenza del Senato – d’intesa con quella della Camera – ha contribuito a porre le condizioni per una legislazione il più possibile informata e ordinata. Si rammenta, a questo proposito, la circolare sulla istruttoria legislativa nelle Commissioni del 10 gennaio 1997. Oltre a enunciazioni di principi e direttive, la circolare ha avuto conseguenze concretamente operative. Sulla base delle regole in essa contenute, ad esempio, la Presidenza del Senato ha valutato improponibili emendamenti volti a incidere su singole disposizioni di atti gerarchicamente subordinati alla legge (decreti ministeriali). Ciò non perché la legge non possa normare su materie disciplinate da atti amministrativi, ma in quanto sono incoerenti con la funzione della legge stessa interventi frammentati e parziali.

In questa prospettiva, due obiettivi devono essere perseguiti: da una parte, data la costante espansione quantitativa e qualitativa della legislazione delegata, assicurare la più approfondita istruttoria parlamentare sugli schemi dei decreti legislativi sottoposti al parere delle Camere; dall’altra, consentire al Parlamento la piena conoscenza di quei settori dell’ordinamento nei quali il collasso del tradizionale ordine gerarchico delle fonti e la conseguente compresenza di fonti di grado e natura diversa (leggi ordinarie, leggi di delegazione, decreti delegati, decreti correttivi, regolamenti di delegificazione, decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, decreti ministeriali, leggi regionali, atti amministrativi delle regioni e dei comuni, sentenze della Corte costituzionale, dei giudici ordinari, eccetera) rendono estremamente ardua per qualunque operatore giuridico la ricostruzione della disciplina effettivamente in vigore. Un altro obiettivo da perseguire, a mio avviso, sarebbe quello di prevedere procedure mediante le quali Cassazione, Consiglio di Stato e Corte costituzionale possano trasmettere tempestivamente al Parlamento segnalazioni e suggerimenti miranti alla semplificazione e al miglioramento qualitativo dell'assetto normativo esistente di questo o quel settore normativo.

Meritano altresì di essere sottolineati alcuni aspetti problematici; ne ricorderò alcuni. Vanno ripensati il ruolo e l’efficacia del bicameralismo ai fini della correzione e del miglioramento di un dato normativo che, nell’iter legis, si presenta oscuro o di dubbia conformità alla Costituzione. Infine desidero ricollegarmi a talune recenti sentenze della Corte costituzionale, che appaiono assai interessanti sotto il profilo della tecnica della buona legislazione. Mi riferisco ad esempio alla sentenza n. 292 del 1984, che ha dichiarato incostituzionale un inciso, perché generava incertezze sulla intenzione del legislatore; la n. 52 del 1996, nella quale la Corte ha parlato di “probabile dimenticanza del legislatore”; la n. 53 del 1997, dove la Corte ha auspicato che il legislatore, nelle deleghe in materia penale, utilizzi criteri atti ad assicurare “il massimo di chiarezza e certezza”. Ebbene fino a che punto il richiamo al “bene essenziale della chiarezza normativa” è sufficiente a giustificare l’intervento della Corte costituzionale volto a riformulare, in sede interpretativa ed argomentativa, il dato legislativo? A questa domanda do una risposta positiva. Spero che su questi punti, e su altri, emerga una adeguata risposta nel corso di questo Convegno.

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