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Domenico Fisichella


PRESIDENTE. Presidente Fisichella, la Camera dei Deputati le è grata perchè con la sua presenza ha dato autorità ai lavori di questo seminario, ed è grato in modo particolare il Comitato per la legislazione.

FISICHELLA. Grazie, Presidente, sono io che sono grato ed onorato di essere presente per la seconda volta, perché ero intervenuto già altra volta ai lavori del Comitato per la legislazione e apprezzo molto le cose che fa il Comitato per la legislazione, lo sforzo che compie in vista di una semplificazione, trasparenza, leggibilità, coerenza, razionalizzazione delle norme e dei processi normativi. Quindi il merito di questa azione è pienamente valutato, pienamente considerato; ciò peraltro non può escludere l'esigenza di iscrivere in una prospettiva un po' più ampia, che tenga conto anche della dinamica storica, tutta una serie di questioni alle quali qui si è fatto riferimento.

E l'osservazione iniziale da fare è che il Comitato per la legislazione si iscrive in una Camera, questa Camera si iscrive in un assetto bicamerale, questo assetto bicamerale si iscrive in un sistema istituzionale, questo sistema istituzionale si iscrive in un regime politico che oggi è la democrazia di massa, la democrazia di massa si iscrive in un certo ambiente culturale. Naturalmente noi non possiamo ripercorrere tutti questi diversi passaggi, ma possiamo evocare alcuni elementi.

Il primo elemento che possiamo evocare è il seguente: la nascita dei regimi rappresentativi coincide con la nascita della critica sul funzionamento dei regimi rappresentativi come produttori di legislazione; dunque, la tematica della elefantiasi legislativa, con tutto ciò che ne consegue, in termini di inefficienza, di mancanza di trasparenza, e così via, é contemporanea alla nascita di questi regimi. Questo significa, probabilmente, che esiste un problema che attiene alle proprietà di questa forma di reggimento politico in ordine ad un certo tipo di modalità nella produzione della legislazione e nelle caratteristiche della legislazione stessa. Di questo aspetto culturale, che peraltro non è solo culturale, noi dobbiamo tener conto, e debbo dire che il pensiero liberale aveva cercato di tener conto di questo grande problema, tanto è vero che porta a compiutezza la teorizzazione della distinzione tra Stato e società civile.

L'esigenza di distinguere tra Stato e società civile nasce anche dall'esigenza di limitare il flusso di produzione legislativa ed all'esigenza di riconoscere una autonomia della società civile. E' il ventesimo secolo che fa crollare drasticamente la distinzione tra Stato e società civile determinando, sotto le spinte della democrazia di massa, una crescente, incontenibile area di sovrapposizione tra Stato e società civile, tra interventismo della mano pubblica e caduta dell'autonomia del contesto sociale. Tutto questo si aggiunge ad un altro aspetto che è molto significativo dal punto di vista culturale ed è l'aspetto in virtù del quale si ritiene che tutti i problemi sociali vadano visti, si esauriscano e possano essere risolti, come un problema di legislazione.

C'è l'idea che ogni questione sociale esiga in realtà almeno una congerie di leggi e che, fatta la legge, si sia risolta quella determinata questione sociale: ciò comporta un approccio altamente artificiale e artificialista della società. Vale a dire si ritiene che la società non sia caratterizzata da una sua struttura specifica, non abbia una sua consistenza autonoma, pur nel variare, pur nel divenire straordinario della dinamica sociale, ma si ritiene che la società abbia la consistenza che le dà la legislazione, che la struttura per così dire ontologica della società (se posso usare questa espressione, che ben difficilmente si può usare per il sistema sociale, anche soprattutto tenendo conto della sua dinamica), possa essere vista come un sistema al quale dà forma, dà consistenza, dà esperienza, dà espressione la legislazione, e solo essa. Ciò attiene in maniera specifica al ventesimo secolo, e ciò calca un immenso cappello normativo sulla società in tutti i suoi più minuti aspetti. Ciò naturalmente determina anche una molteplicità di reazioni uguali e contrarie.

Io ho ascoltato prima i rappresentanti delle categorie, e certamente i rappresentanti dei consumatori, dei produttori, delle varie espressioni della società possono e hanno ben ragione di lamentare inefficienze, incapacità, mancanza di chiarezza, e così via, delle norme in generale. Ci si deve porre però anche il problema di quale sia il tasso di inefficienza, di mancanza di chiarezza prodotto dalle domande della società civile, del sistema delle aggregazioni, dei gruppi, delle lobbies, che immettono in continuazione nel processo normativo una immensa serie di aspettative spesso, spessissimo contraddittorie che danno luogo poi ad un marasma di norme che della legge hanno soltanto la parvenza formale, ma non hanno la consistenza sostanziale. Allora è difficile sfuggire alla constatazione che quando noi ci poniamo il problema di che cosa dobbiamo fare (ed è un problema giusto che noi dobbiamo porci, perché rappresentiamo la classe dirigente nelle sue diverse articolazioni e abbiamo perciò delle responsabilità e a queste responsabilità dobbiamo cercare di far fronte al meglio), possiamo e dobbiamo anche rivolgerci l'interrogativo su che cosa possiamo fare e su che cosa non possiamo fare.

E dico subito: ogni regime politico ha una dinamica interna caratterizzata da quella che, per riprendere il linguaggio che è stato usato qualche hanno fa, possiamo definire la banda di oscillazione. Vale a dire, c'è una soglia superiore e una soglia inferiore all'interno delle quali, alla ricerca delle soluzioni delle questioni oppure con riferimento agli errori che si compiono, vi è la possibilità di una dinamica. Ma, o che persegua cose buone o che realizzi cose dannose, il regime non può andare al di là della soglia superiore e della soglia inferiore, non può andare al di là di questa banda di oscillazione senza determinare e senza diventare qualche cosa di altro, qualche cosa di diverso. Ci sono delle proprietà che in ciascun regime politico si realizzano in condizioni minimali o in condizioni massimali, comunque all'interno di certe soglie: il superamento verso il basso o verso l'alto di queste soglie fa cambiare regime.

Per questo tipo di sistema politico, vale a dire per la democrazia di massa, per le caratteristiche attraverso le quali il consenso viene perseguito, per le modalità attraverso le quali gli equilibri fra i diversi soggetti istituzionali vengono realizzati, la proliferazione normativa non è una contingenza; é qualcosa più che una mera misura di disordine, di entropia; è ineludibile; è nelle cose. Constatare tutto ciò è molto importante, lavorare per ridurre gli spazi del disordine, dell'entropia è molto importante, ma dobbiamo anche sapere che le controspinte sono formidabili e ineriscono alla stessa dinamica, alla stessa meccanica operativa del sistema, ne sono un dato costitutivo, ne costituiscono una delle proprietà insieme ad altre proprietà.

E allora è vero che naturalmente ci sono diverse tradizioni costituzionali, diverse tradizioni amministrative e quindi all'interno di quella che chiamiamo la democrazia di massa ci sono diverse varietà organizzative, talché per seguire l'una varietà o rimanere nell'altra varietà è comunque un dato che ha un suo significato (e questo spiega il rilievo delle riforme istituzionali). Però non soltanto dobbiamo sapere che è difficile sfuggire al rischio di certe improvvisazioni - prima Marongiu invocava la lunga durata, e però la lunga durata presuppone una serie di condizioni che è difficile realizzare in certi contesti - ma dobbiamo anche sapere che le contraddizioni intervengono con molta frequenza.

Prendiamo il tema della complessità; ricordo che quando non tanti anni fa, ma ancora una quindicina di anni fa, si poneva il problema delle riforme costituzionali con certe caratteristiche (e il lavoro di semplificazione, lo si è detto, fa parte del lavoro di riforma istituzionale), una risposta era: "questo tipo di riforma istituzionale non si può fare, perché la società è complessa, mentre questo tipo di riforma istituzionale porterebbe alla semplificazione", e quindi certe riforme istituzionali venivano bocciate come terribili semplificazioni.

Oggi viceversa si invoca il fenomeno della complessità per richiamare l'esigenza della semplificazione; quindi vuol dire che la semplificazione non è più così terribile come veniva definita appena una quindicina di anni fa. Allora, vedete che il quadro è più problematico di quanto noi lo possiamo considerare se lo esauriamo nella dimensione tecnica. Prima giustamente il collega Villone parlava della importanza del dato politico e del livello politico in cui affrontare queste questioni attinenti appunto alla elefantiasi legislativa, ma il dato politico non è soltanto il dato della meccanica del sistema politico. C'è una condizione più ampia, c'è una condizione ulteriore che aumenta a mio avviso la difficoltà dell'impresa.

Ciò nulla toglie naturalmente alla esigenza del lavoro che noi dobbiamo esperire perché, all'interno di questa banda di oscillazione di cui vi ho parlato, si possa andare verso il versante buono, piuttosto che verso il versante dannoso, ma ciò non ci deve fare neppure dimenticare che esistono dei limiti che attengono non più alle intenzioni degli uomini, alla buona volontà dei medesimi o ai meri tecnicismi, ma attengono ad un quadro più vasto e più difficile, decisamente più difficile da modificare. Se dovessi esprimere una previsione non direi che il tasso di entropia vada a calare; direi che si vada piuttosto nel senso di una sua accentuazione, e questo rende ancora più importante il compito di chi ha responsabilità pubbliche perché li deve indurre ad operare in controtendenza rispetto a queste spinte di disorganizzazione. Grazie.

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