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Franco Bassanini


PRESIDENTE. Siamo alla fase delle conclusioni che trarremo a questo tavolo; ha la parola il senatore Franco Bassanini, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio; personalmente credo di non essere distante dal pensiero dei presenti. Rivolgo un personale ringraziamento a questa eminente nostra personalità di governo per il lavoro che in questo particolare settore ha svolto, ormai dal 1996. La parola al senatore Franco Bassanini.

BASSANINI. Grazie Presidente, prima di alcune riflessioni che non possono e non vogliono essere conclusive (sono il mio contributo a questo seminario) vorrei tentare però di dare qualche risposta o fare qualche osservazione su alcuni degli spunti programmatici emersi dal dibattito. Intanto vorrei rassicurare il presidente De Rita, mi spiace che non sia qui, ma vorrei rassicurarlo sul fatto che in realtà è ben presente a tutti noi da tempo, che un sistema basato ormai su una rete, su una pluralità di centri di produzione normativa richiede di misurarsi con una articolazione delle fonti normative molto complessa. Nella dottrina italiana questa riflessione è cominciata ai tempi di Santi Romano; nella dottrina francese ai tempi di Hauriou: tra un po' celebreremo un secolo dall'inizio di queste riflessioni. Vorrei anche rassicurarlo sul fatto che è esattamente l'opposto di quello che lui teme.

Internet, le reti telematiche consentono di governare sistemi a rete, sistemi basati sulla pluralità di centri decisionali o di centri di produzione normativa molto meglio di quanto non fosse possibile quando non disponevamo di questi strumenti tecnologici. Direi che la rivoluzione digitale è quella che consente effettivamente di coordinare fra loro centri di decisione, nel caso, centri di normazione diversa, ciascuno dei quali agisce nell'ambito della propria competenza, ma avendo la possibilità di conoscere in tempo reale le interazioni tra le proprie decisioni e quelle che hanno preso o prendono altri.

Un sistema a rete richiede di utilizzare, come è stato proposto nella relazione introduttiva del presidente Siniscalchi, di utilizzare al massimo le opportunità, le risorse offerte dalle reti telematiche, in particolare da Internet. Direi che da questo punto di vista queste possibilità sono quelle di una conoscenza dei dati normativi più rapida di quella che viene assicurata dallo strumento cartaceo, ma soprattutto quella della possibilità di elaborare il dato normativo, di esplorarlo e di ricostruirlo con gli strumenti propri della telematica e quindi penso che sotto questo profilo sia esattamente l'opposto di quello che il presidente De Rita temeva: non c'è affatto contrapposizione tra il ricorso alle straordinarie opportunità della rivoluzione digitale e un sistema basato su una sempre più spinta pluralità, una sempre più articolata rete di centri di produzione normativa. Sistema che crea invece altri problemi, quelli che per esempio Villone sottolineava, di raccordo e di distribuzione di competenze, di responsabilità democratica (pensiamo alla normazione delle autorità indipendenti).

La seconda osservazione che vorrei fare riguarda l'intervento del presidente Andreatta. Noi abbiamo tutti davanti agli occhi o nella nostra mente ormai gli effetti della globalizzazione. Per ciascun Paese, la qualità del sistema della regolazione e la qualità dei servizi e delle prestazioni che un sistema amministrativo riesce a fornire, rappresentano fattori competitivi positivi o negativi nella competizione globale. Vorrei che non si dimenticasse che alcune cose stanno cambiando.

E’ vero che solo il 29% dei Comuni ha istituito lo sportello unico per lo start up dei nuovi impianti produttivi, secondo la normativa di semplificazione entrata in vigore a fine del mese di maggio scorso; ma laddove lo sportello è stato istituito, cominciano a registrarsi risultati di grandissimo interesse. Ho avuto recentemente una serie di dati. Uno dei più interessanti è quello del comune di Mantova: 3.697 procedimenti avviati da quando c'è lo sportello unico, cioè da cinque mesi; 3.694 già esauriti con il rilascio del documento autorizzatore finale. Tempo medio meno di due mesi. Rispetto al passato è una straordinaria innovazione; è vero che opera ancora solo in una parte dei comuni italiani; ma è vero anche che creerà tra breve inevitabilmente effetti emulativi da parte degli altri comuni, perchè anche qui si creano dei vantaggi e degli svantaggi competitivi.

Terza osservazione: semplificazione e delegificazione; io credo che abbia ragione il consigliere Patroni Griffi nel sottolineare che occorre tenere distinti gli effetti e gli strumenti di questi due processi. E vorrei dire che, in ogni caso, e dunque anche quando non consegue effetti di semplificazione, la delegificazione ha comunque una valenza che non va sottovalutata, perché consente di ritornare ad applicare il principio di legalità nella distinzione tra le norme di principio fissate con lo strumento legislativo e le norme applicative o di dettaglio fissate con strumenti regolamentari o addirittura in alcuni casi subregolamentari; quindi consente, se si vuole, di declinare anche il rapporto, che Marongiu sottolineava, tra flessibilità e stabilità, che non vuol dire immodificabilità (né Marongiu intendeva questo).

Naturalmente occorre ragionare sulle procedure di adozione degli strumenti normativi secondari. Esse si sono troppo complicate, a mio avviso, essenzialmente per due ragioni che sono state sottolineate: una per la messa in successione e non in parallelo dei diversi sub procedimenti o fasi della procedura e la seconda per il controllo della Corte dei conti, che è andato sempre più assumendo negli ultimi mesi la configurazione di un freno intenzionale al processo di delegificazione. La Corte dei conti, a torto o a ragione, ritiene che si sia andato oltre nella delegificazione rispetto a quanto il nostro sistema costituzionale consente.

Ciò detto, consentitemi qualche considerazione di carattere generale. Innanzitutto mi pare che sia emerso nella discussione di oggi che ormai la qualità della regolazione (che prima era tutelata solo indirettamente nell'ambito del perseguimento di specifiche finalità di regolazione), ormai si configura come un interesse pubblico autonomo e in qualche modo pari ordinato rispetto agli interessi pubblici di settore e quindi come l'oggetto di una specifica politica pubblica. Ciò discende dalla crescente consapevolezza che una regolazione migliore, più leggera, più semplice, la better regulation degli inglesi, ha comunque effetti positivi, in qualche modo indipendenti dal merito delle regole poste, sia in relazione al rapporto di queste ultime con i cittadini in termine di leggibilità, trasparenza, certezza del diritto, stabilità e comprensibilità della normazione, sia nel rapporto con il mondo economico e produttivo, per l'eliminazione di rigidità inutili, di barriere alla concorrenza, di ostacoli burocratici alla crescita e allo sviluppo economico, sia nel rapporto con le amministrazioni, anche qui per l'eliminazione di rigidità inutili.

Vorrei dire sotto questo profilo che il programma legislativo che il consigliere Barberio Corsetti proponeva nel suo intervento, sta già nelle leggi 59 e 94. Ha tuttavia ragione Barberio Corsetti, quando dice che non è stato ancora attuato. Ma si tratta di chiedersi: perché?

La autonomia di questo nuovo interesse pubblico è evidenziata da una serie di conseguenze sul piano dell'organizzazione dei processi di law making sia nel Governo che nel Parlamento di cui abbiamo discusso oggi. Il comitato per la legislazione, il nucleo per la semplificazione, l'Osservatorio per la semplificazione sono alcuni degli strumenti che sono stati creati proprio per dare attuazione a questa specifica politica pubblica, per tutelare questo interesse pubblico.

Vorrei osservare anche che la novità non si limita all'esperienza italiana. Il problema della quality of regulation è oggetto di iniziative di organizzazioni internazionali, come l'OCSE e il Fondo monetario. L'OCSE ha avviato nel 1995 un progetto denominato regulatory reform che ha portato ad un primo rapporto nel 1997; dal 1998 l'OCSE ha iniziato un’opera di review senza precedenti dei sistemi di regolazione dei Paesi membri, con il ritmo di quattro all'anno. L'Italia aprirà la review del 2000 insieme con il Regno Unito, la Grecia e forse il Canada. In questa attività noi abbiamo svolto un ruolo molto attivo negli ultimi anni: la delegazione del nostro paese ha presieduto tre delle quattro sessioni di lavoro 98-99 dedicate alla capacity of government to produce high quality regulation. Nella quarta sessione siamo stati uno dei due paesi revisori del sistema di regolazione spagnolo. Questo gruppo di lavoro verrà forse trasformato in gruppo permanente e l'Italia è stata proposta per la presidenza di questo gruppo nei primi anni. Tra le principali best practices individuate dall'OCSE di cui si verifica l'esistenza nei paesi sottoposti a questa review si riscontrano in particolare: una specifica policy per la qualità della regolazione e l'istituzione nel centro del Governo di un organismo ad hoc per la sua tutela (ci siamo messi in regola con la legge 50); forme trasparenti di consultation (l'osservatorio per la semplificazione è uno strumento a questo fine e i risultati dei primi mesi del suo lavoro credo che siano abbastanza significativi); la regulatory impact analisy e quindi l'analisi dell'impatto della regolazione di cui abbiamo discusso oggi; la codification anche se limitata all'accezione anglosassone dei consolidate texts con una verifica periodica dell'utilità di certe regolazioni; il cosiddetto sunset; la trasparenza, l'accessibilità e la impugnabilità delle deliberazioni del public sector; e meccanismi di snellimento dei burdens of burocracy come il silenzio-assenso, l'autocertificazione (qui la strada l'abbiamo iniziata anche se c'è ancora molto lavoro da fare).

Si è cominciato a porre anche il problema del miglioramento della qualità della regolazione europea, che ormai è decisiva per una parte notevole del sistema delle regolazioni che effettivamente disciplinano l'attività di cittadini, famiglie, imprese, amministrazioni nei vari Paesi. Nell'iniziativa dei ministri europei responsabili per la pubblica amministrazione e per i processi di regolazione, avviata dalla nota iniziativa italo-spagnola della fine del 1997, il tema del miglioramento della qualità della regolazione europea si è posto. Manca ancora a Bruxelles in realtà una politica, di qualità della regolazione; basta pensare che l'ufficio per la better european legislation consta di una funzionaria italiana più un'altra funzionaria a part-time.

Lo stesso programma SLIM, che consta di singoli progetti di semplificazione, risente di un'impostazione che è sostanzialmente di tipo episodico e parziale. Proprio lunedì scorso una delegazione italiana ha discusso a Londra con il competente ministro inglese un'iniziativa congiunta nei confronti della Commissione europea (che si allargherà nei prossimi giorni ai due paesi, che sono i prossimi presidenti di turno della Unione europea, cioè la Francia e il Portogallo), per suggerire e proporre alla Commissione di applicare alcuni principi comuni di better regulation tra cui l'adozione di un'analisi di impatto della regolazione comunitaria e l'avvio di un processo di codificazione delle direttive esistenti e se possibile anche la creazione di una central unit per la specifica tutela della qualità della regolazione. I primi contratti con il presidente Prodi hanno rivelato un fortissimo interesse del presidente della Commissione europea per questa iniziativa.

A me pare, che tutto questo apra la strada verso alcune prospettive importanti che sono state delineate nel corso di questo seminario e che vanno ora implementate. In realtà noi ci siamo dati in questi anni, diciamo in questo decennio, alcuni degli strumenti più avanzati, sulla carta, se consideriamo il quadro delle proposte delle innovazioni sperimentate anche ad altri Paesi. Dobbiamo però imparare ad usare questi strumenti in modo integrato anche perché molti di questi restano per ora, solo sulla carta; devono essere per l'appunto implementati.

Abbiamo esperienze anche di avanguardia. E’ sfuggito a tutti, alla grande opinione pubblica, perché i mezzi di informazione non ne hanno parlato, che nell'opera di cosiddetto recepimento dei decreti legislativi di attuazione della legge 59 vi sono state alcune regioni che hanno operato una impegnativa revisione della legislazione regionale, arrivando a più che dimezzare le leggi regionali in vigore; hanno cioè abrogato la maggioranza assoluta delle leggi regionali in vigore e quindi avviato un'opera di riassetto della legislazione regionale che anche quantitativamente è di consistente rilievo.

Altre regioni invece brillano per un'alluvionale legislazione regionale che continua senza sosta, tra l'altro caratterizzata da un diluvio di leggi-provvedimento sulle questioni più minute; anche qui bisogna riuscire a generalizzare le best practices rispetto agli esempi negativi. L'avvio dell'analisi dell'impatto della regolamentazione sarà sotto questo profilo estremamente importante, se effettivamente riuscirà a realizzare quello che si attende da questo strumento. Io vorrei sottolineare in particolare quello che il consigliere Patroni Griffi rilevava poco fa: l'analisi dell'impatto della regolazione deve innanzitutto abituarci ad esaminare le opzioni alternative alla regolazione, quindi l'opzione zero, l'intervento di Marongiu; in alcuni casi l'opzione migliore è non modificare la legislazione perché i benefici che si ricavano dalla modifica della legislazione sono inferiori all'effetto di instabilità normativa o ai carichi burocratici che le innovazioni comportano. In altri casi occorre valutare attentamente le possibili alternative laddove siano in grado di garantire gli stessi o analoghi benefici, la stessa analoga tutela degli interessi generali della collettività o dei diritti dei cittadini con misure che importino rigidità e costi minori.

Infine, da ultimo, ma non per ultimo, il rapporto tra Parlamento e Governo, su cui molto a lungo ci siamo soffermati oggi. Io vorrei ricordare che l'apporto del Parlamento nell'avviare questo processo finalmente consistente di riforma della regolazione è stato molto rilevante non solo per le ragioni che diceva il presidente Cerulli Irelli. Perché tutte le leggi che hanno organizzato questo processo sono state il frutto di un rapporto dialettico e costruttivo molto intenso tra Parlamento e Governo al quale hanno partecipato tutte le forze politiche e i gruppi parlamentari.

Ma anche perché alcune di queste riforme hanno un’origine essenzialmente parlamentare: per esempio tutte le riforme del bilancio di questi ultimi anni, dalla 468 alla 362, all'ultima dell'estate scorsa, sono nate essenzialmente da una riflessione parlamentare sull'organizzazione dei processi di decisione finanziaria e di programmazione finanziaria e di bilancio. Non voglio dire che siamo giunti alla fine di questa riflessione perché c'è ancora del lavoro da fare. Io penso che dovremo approfondire questa riflessione su come lavorare assieme: le istituzioni, il Governo, il Parlamento; ma anche le istituzioni regionali e locali, fino appunto alla Commissione europea; su come regolare i rapporti con altri centri di regolazione, come le autorità indipendenti (il cui valore aggiunto sta nell'indipendenza; quindi sicuramente non si può pensare di limitare questa indipendenza; ma occorre meglio definire il ruolo nel sistema delle fonti normative, sull'esempio delle esperienze straniere).

Io penso che questa giornata molto intensa di riflessione, ci consentirà nei prossimi mesi di sviluppare queste forme di collaborazione e di raccordo. Il riordino della legislazione non può essere delegato al Governo; al Governo può essere delegato un lavoro istruttorio, un lavoro di elaborazione. Il riordino della legislazione nasce inevitabilmente dalla collaborazione tra tutti i centri di produzione normativa e tra questi il Parlamento è quello che ha costituzionalmente il ruolo fondamentale e decisivo.

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