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Giovanni Marongiu


PRESIDENTE. Infine, per questa prima fase, interviene il professor Marongiu. Prego.

GIOVANNI MARONGIU. Signor Presidente, maggiore efficienza, maggiore trasparenza, maggiore semplicità. Riterrei quasi naturale che in questi primi approcci si affrontasse il problema da questa particolare prospettiva: ciò che dobbiamo fare perché il sistema migliori. Io svolgerò qualche brevissima considerazione attinente al sistema tributario e dirò ciò che bisogna fare perché questo sistema funzioni, il sistema che ci siamo dati, il sistema che abbiamo voluto. Qual è il sistema che ci siamo dati e il sistema che abbiamo voluto? Se noi dovessimo distinguere la storia dell’ordinamento tributario italiano dall’unità d’Italia – e non si spaventino, perché lo dirò in cinque parole – noi potremmo distinguere tre grandi periodi.

Vi è stato un primo periodo nel quale il contribuente per fare, per pagare, per adempiere ai propri doveri non doveva fare nulla. Questo periodo va dal 1861 e dall’unità d’Italia alla dichiarazione Vanoni. Dalla dichiarazione Vanoni fino a metà degli anni 70 il contribuente deve cominciare a fare qualcosa; perlomeno tutti gli anni una dichiarazione dei redditi. Il costo dell’obbedienza incomincia a salire: per pagare bisogna fare. Questo sistema, che è diventato un sistema tributario di massa, sarebbe rimasto paralizzato se un illustre Ministro delle finanze, del quale non è il caso di fare il nome perché tutti lo individueranno, a metà degli anni 70 non avesse inventato l’autotassazione. Non era più sufficiente la dichiarazione Vanoni, perché la dichiarazione Vanoni andava letta dalla burocrazia che doveva leggere, capire, litigare, predisporre il ruolo e in buona sostanza si addossava ancora il 70-80 per cento delle operazioni relative all’applicazione di questo particolare settore, che interessa ovviamente imprenditori, cittadini. Il sistema si sarebbe paralizzato di fronte a 20 milioni di dichiarazioni Iva e imposte dirette. Ed è così che facciamo il nome: l’onorevole Bruno Visentini trasferì il carico degli adempimenti formali dalle spalle della pubblica amministrazione alle spalle del cittadino. Il 75 per cento del gettito tributario oggi deriva da un fare del contribuente. Questo fare costa. Per pagare bisogna fare. Per fare bisogna pagare. E’ il costo dell’obbedienza fiscale.

Allora che cosa bisogna dare a questo contribuente, a questo cittadino che alimenta le casse dello Stato per il 75 per cento ogni anno, senza coinvolgere la pubblica amministrazione? Bisogna dare stabilità. Solo la stabilità, perché la stabilità della parte formale dell’ordinamento giuridico consente la ripetitività dei comportamenti applicativi, perché dietro ogni norma fiscale c’è un fare: fai la dichiarazione, fai un versamento, rispondi a un questionario, fai una visita agli uffici, fai, fai. Sono stati calcolati in migliaia di miliardi i costi dell’obbedienza fiscale. E allora ecco che la stabilità diventa la condizione non perché questo sistema migliori, ma perché funzioni effettivamente, perché alla stabilità consegue la ripetitività, e ogni utente trova nella ripetitività dei comportamenti quelle certezze che nessuna consulenza più è in grado di dare. E’ la ripetitività dei comportamenti che lo conforta; per dirla con le parole dei nostri nonni, dal 1949 al 1964 si diceva: faccio la Vanoni; Vanoni morì nel 1956 ma l’ordinamento era così stabile che si continuava a fare una dichiarazione che prendeva nome da un Ministro che era defunto nell’ormai, purtroppo, lontano 1956.

Ma questa stabilità, che garantisce quindi il miglioramento, mi consenta di soggiungere, signor Presidente, che soddisfa anche altri grandi valori di democrazia. Un ordinamento tributario giuridico-formale che muta ad horas, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, in realtà svilisce la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione. Perché quando le sentenze della Corte di Cassazione intervengono alcuni anni dopo che la norma interpretata è già stata abrogata almeno quattro o cinque volte, è evidente che quelle sentenze si annoverano alla storia del diritto tributario, ma non costituiscono più il punto di riferimento per una interpretazione nei fatti di quella norma generale astratta che il legislatore ha posto. Vi è quindi un deficit nel gioco democratico.

Ma il deficit del gioco democratico si acuisce ove si consideri che la legislazione tributaria è molto spesso superanalitica – come lei ricordava o come ricordava qualcuno poco fa con riguardo ad altri settori - tant’è che viene vanificata la stessa esistenza della Corte Costituzionale, che non può che esaminare le questioni a livello di principi.

Quando non esiste più una nozione di reddito, ma il reddito si sfilaccia in mille ipotesi di tassazione, è difficile ex post per un giudice delle leggi procedere ad un riscontro della razionalità della disciplina dettata, perché non esistono più eccezioni e deroghe rispetto ad una norma fondamentale, ma tutte derogano sé stesse: è tutta una deroga della deroga. Allora, in assenza e di fronte ad un diritto tributario non così facilmente comprensibile, così mutevole nel tempo, che fa perdere alla Corte di Cassazione la funzione nomofilattica, nonché in parte la funzione di controllo di legittimità costituzionale, ci troviamo di fronte ad uno stato di necessità di cui parlavo poco fa, e che trova la sua medicina nella stabilità dell’ordinamento tributario formale. E’ quello che questo Parlamento ha fatto dettando lo statuto dei diritti del contribuente, che il Senato ha approvato, che questa Camera si accinge ad approvare; io almeno così confido che debba accadere.

Lo statuto dei diritti del contribuente è un’assoluta novità in Europa, va ben al di là di quello che si intende per statuto dei diritti del contribuente. Sono in realtà disposizioni preliminari ad un possibile codice tributario, che viene incontro anche alle manchevolezze cui faceva riferimento il collega quando ricordava la profluvio dei decreti-legge e delle leggi delegate. E’ una sorta di disposizioni preliminari ad un futuro codice tributario. In questo modo si attuerà il disegno voluto in Assemblea costituente (mi è particolarmente caro dirlo in questa giornata) quando tra la Costituzione e le leggi tributarie si voleva una legge costituzionale di principi che non fu mai dettata. In realtà, possiamo ancora provvedere. Che cosa si disse in Assemblea costituente? Che occorreva codificare (c’è un intervento importantissimo di Ezio Vanoni e non soltanto suo) tutta la parte giuridico-formale dell’ordinamento tributario. La dichiarazione, l’accertamento, il processo, la riscossione, le norme applicative devono rimanere ferme nel tempo ed i nuovi tributi devono essere applicati secondo quelle regole che sono già previste e non che a ogni tributo corrisponda una sua regola applicativa. In questo modo – si disse in Assemblea costituente – noi avremmo netta la distinzione tra la parte codificata che deve rimanere ferma (che è la parte che crea ansia perché è quella che richiede applicazione quotidiana) e quella parte più mutevole che fa parte della politica economica e finanziaria, che attiene alle aliquote, alle basi imponibili per le quali nessun contribuente chiederà mai quelle certezze che nessuno può dare, perché è proprio delle parti numeriche di essere estremamente legate alle esigenze del Governo. Ma la dichiarazione, le norme procedurali, il contenzioso, la riscossione, tutto questo può essere codificato. Signor Presidente, tutto questo, a mio avviso, deve essere codificato. Grazie mille.

PRESIDENTE. Professor Marongiu, la ringrazio molto. Si chiude così questa prima fase del nostro colloquio che era dedicato ai problemi di funzionamento dei sistemi normativi dal punto di vista dei cittadini e delle imprese. La seconda parte riguarderà l’ interazione tra Parlamento e Governo per migliorare il funzionamento dei sistemi normativi.

Voglio soltanto precisare una cosa. Mi pare sia evidente che il lavoro che stiamo svolgendo tende a creare un sistema di relazioni ed una forma di cooperazione interistituzionale. Nella consapevolezza però che la cooperazione interistituzionale non può esaurire i limiti che abbiamo davanti, abbiamo appunto chiesto ai rappresentanti degli utenti – (cercheremo per il futuro di estendere sempre di più questa rappresentanza), anche il loro punto di vista. L’esempio credo che venga dalla Danimarca, se non ricordo male, dove il Parlamento danese ha avviato una forma di cooperazione tra istituzioni e società; lì c’è un’abitudine maggiore a consultare le organizzazioni dei cittadini. L’idea è di porsi su questo terreno.

Adesso il professor Marongiu faceva riferimento, come dire, alla parte stabile ed alla parte mutevole della legislazione. Credo che questo sia un elemento che dobbiamo tenere abbastanza presente, sapendo che non possiamo più avere la stabilità dell’Ottocento e dei primi del Novecento; tuttavia una parte di stabilità dei sistemi normativi va garantita, distinguendo da quella mutevole che dipende anche dalla mutevolezza della società in cui viviamo e che sarà sempre maggiore. Mi segnalava il sottosegretario Bassanini, a proposito della legislazione di dettaglio, che a volte sono le Commissioni parlamentari che, in sede di parere, chiedono di precisare maggiormente la norma al fine di poter effettuare un controllo maggiore sulla normativa.

Credo che dovremo arrivare a riflettere complessivamente – qui ci sono il professor Villone e il professor Cananzi - sul modo di produrre. Personalmente devo dire che non sono soddisfatto del meccanismo del parere, così come viene dato. Se guardiamo alcuni effetti concreti, sono pareri privi di effetti, se non puramente politici nel senso che possono politicamente condizionare la produzione normativa. Se mettiamo a punto bene, sulla base di questa esperienza, il meccanismo legge-delega, parere, decreto legislativo, forse apriamo una via ad un nuovo modo di produrre regole molto più moderno di quanto non abbiamo adesso. Sulla base di questi scambi, dobbiamo mettere a punto un nuovo sistema, forse anche costituzionale, di produzione normativa che superi quello attuale. Signori, per la particolarità della giornata, adesso vi lascio. Pregherei il Presidente Siniscalchi di proseguire e il Presidente Fisichella di concludere. Poi il professor Andreatta può prendere questo posto, visto che già si prepara la successione. Grazie.

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