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Giulio Vesperini


PRESIDENTE. Adesso l’intervento del professor Vesperini, che è il Direttore dell’Osservatorio sull’attività normativa del Governo.

VESPERINI. Le dimensioni, le cause e le conseguenze della ipertrofia legislativa sono ormai ampiamente note. Le indagini compiute dagli studiosi e in sede parlamentare hanno posto in evidenza i principali profili di questo problema. Non mi soffermerò, quindi, su questi aspetti. Il mio intervento riguarda, invece, i rimedi a questa situazione, ovvero quel complesso di misure che formano oggetto della politica di razionalizzazione normativa. Cercherò di fornire qualche rapido elemento di riflessione sul quando, come e perché questa politica abbia assunto rilevanza nell’ordinamento italiano. Il problema dell’eccesso di legislazione, già avvertito nel secondo dopoguerra, assume maggiore evidenza in tutti i principali ordinamenti occidentali, nel corso degli anni ottanta quando la crisi delle istituzioni del benessere fa emergere le principali disfunzioni del sovraccarico legislativo e amministrativo. Nei principali paesi europei, nell’Unione europea, negli Stati Uniti e presso alcuni importanti organismi internazionali si compiono studi e si predispongono disegni per la riduzione della complessità normativa. In Italia, la razionalizzazione normativa diventa obiettivo caratterizzante della funzione di indirizzo politico e parte qualificante del complessivo programma di riforma delle istituzioni, a partire dalla metà degli anni novanta. Tutti e cinque i governi che si sono succeduti dal 1993 ad oggi hanno assunto la razionalizzazione tra i propri obiettivi programmatici, sia pure con diversità di accenti. Nello stesso periodo, poi, e in misura crescente nel corso del tempo, sono state presentate, e in molti casi approvate, misure di principio per la delegificazione di interi settori, la redazione di testi unici di normative di particolare complessità, la deregolamentazione di attività imprenditoriali. Di recente, poi, la prima legge annuale di semplificazione ha previsto appositi uffici e apposite procedure per la semplificazione dei testi legislativi e l’analisi dell’impatto della regolamentazione. Iniziative nello stesso senso sono state adottate dal Parlamento, con le disposizioni del regolamento della Camera riguardanti la chiarezza e la coerenza normativa e quelle concernenti l’istituzione del Comitato per la legislazione, nonché con appositi atti di indirizzo approvati nelle scorse settimane dalla Camera stessa e dal Senato. Solo pochi cenni sui risultati raggiunti. In estrema sintesi, la politica di razionalizzazione, malgrado gli importanti risultati ottenuti in alcuni settori, è ancora una politica annunciata, ma scarsamente realizzata. Le disfunzioni tipiche della normazione, infatti, si sono ulteriormente accentuate in questi anni: si hanno sempre più leggi, e una normativa sempre più caotica, frammentaria e sovrabbondante. Tra il 1994 e il 1998, per esempio, si è prodotto in media circa un atto legislativo al giorno; essi contengono circa 11.530 articoli; per ogni norma abrogata se ne sono introdotte tre nuove; ogni atto legislativo contiene in media più di 32 rinvii ad altre norme; quasi tutte le leggi approvate hanno carattere permanente, anche quando devono risolvere problemi temporanei. Qualche considerazione in più meritano le ragioni per le quali dagli anni novanta in poi la politica della razionalizzazione normativa è, comunque, entrata nell’agenda politica, anche perché in questo modo si possono individuare gli obiettivi di una tale politica. Devo precisare, peraltro, che le considerazioni che seguono sono, in parte analitiche, in parte prescrittive: rilevano tendenze in atto e, al tempo stesso, spiegano perché è importante che tali tendenze si consolidino. Queste ragioni sono molte e complesse. Nel breve tempo a disposizione, posso solo osservare che esse sono di cinque tipi. Un riordino della legislazione serve, anzitutto, all’efficienza delle istituzioni pubbliche: esso, infatti, rimuove una delle principali ragioni che inceppano il funzionamento del Parlamento; consente al governo di attuare il proprio programma, senza dover concordare con il Parlamento stesso tutti i provvedimenti più significativi; favorisce la flessibilità degli uffici amministrativi; asseconda il processo di trasferimento di competenze dal centro alla periferia; facilita, in generale, il compito dell’amministrazione e dei giudici. Il riordino della legislazione, poi, è una conseguenza della moltiplicazione delle sedi di decisione. La crescita del diritto comunitario e la possibilità per le amministrazioni di dare ad esso diretta applicazione, l’affermazione del principio di residualità delle competenze statali e il trasferimento alle regioni e agli enti locali di un numero molto ampio di attribuzioni, la diffusione delle autorità indipendenti di regolazione costituiscono altrettanti elementi che favoriscono, al tempo stesso, la riduzione delle materie regolate dalla legge, lo sviluppo di una legislazione di principio, orientata in modo consistente a distribuire compiti tra i diversi uffici pubblici e meno condizionata dalla esigenza di dettare discipline analitiche e di dettaglio. Verso la razionalizzazione normativa, poi, spinge la modifica avvenuta in questi anni del rapporto tra il Parlamento e il Governo, nel senso dell’ampliamento dei poteri di questo ultimo. Il riconoscimento di uno spazio di autonoma decisione al Governo e un conseguente allentamento dei vincoli derivanti da una legislazione troppo pervasiva costituiscono condizioni essenziali per il perseguimento degli obiettivi di stabilità ed efficacia del governo stesso. La riduzione della complessità legislativa, ancora, è soluzione coerente con le politiche di liberalizzazione e di privatizzazione, perseguite in questi anni dal Governo e dal Parlamento, sotto l’impulso delle decisioni comunitarie. Infine, come si desume anche dal documento della Conferenza dei Presidenti dei parlamenti appartenenti all’Unione europea sulla tematica della complessità normativa, la razionalizzazione serve ad assicurare “conoscibilità, trasparenza e responsabilità” alle decisioni del potere politico. In questo senso, essa realizza una importante condizione di sviluppo delle istituzioni democratiche. Qualche breve considerazione conclusiva, con l’indicazione anche di qualche problema. Innanzitutto, sul piano generale, la razionalizzazione normativa non è un problema di ordine tecnico-giuridico, ma è oggetto di una politica dei poteri pubblici. Essa è preordinata non solo al riordino dell’esistente, ma anche, e soprattutto, a porre un criterio di regolazione costante dell’esercizio dei poteri pubblici. In secondo luogo, la razionalizzazione normativa è parte integrante di un processo più ampio di riforma delle istituzioni, connettendosi, di volta in volta, alle politiche di integrazione europea, decentramento, semplificazione ed efficienza delle amministrazioni, ridefinizione dei rapporti tra uffici politici e uffici amministrativi, privatizzazione e liberalizzazione. Questo è, al tempo stesso, ragione di forza, perché le diverse politiche si integrano l’una con l’altra, e di debolezza, perché la politica di razionalizzazione normativa soffre dei paradossi tipici di tutte le politiche di riforma amministrativa. Quello della scarsa visibilità, che rende difficile all'opinione pubblica cogliere con immediatezza i vantaggi di queste politiche e che rende le stesse, insieme, indispensabili e poco apprezzate. Quello dei tempi necessari per la loro realizzazione, superiori alla durata in carica di chi ha progettato le riforme stesse, le quali sono destinate, quindi, nel lungo periodo, ad uscire dall'agenda politica. Quello di essere perseguite dal Parlamento e dal Governo, ma di risolversi, perlomeno in via immediata, nella riduzione dei poteri del Parlamento e del Governo stessi e degli apparati che da essi dipendono. La politica di razionalizzazione ha, inoltre, un carattere “trasversale”: non riguarda solo l’Italia, ma è politica propria dei principali ordinamenti occidentali; non riguarda solo il Parlamento, ma si impone a tutti i soggetti titolari di poteri di regolamentazione e di normativa; non è obiettivo proprio di un solo schieramento politico, ma è politica “bipartisan”, anche se questo profilo si apprezza più sotto il profilo diacronico, nel senso cioè che governi di diverso orientamento politico assumono costantemente la razionalizzazione delle leggi quale proprio obiettivo, che non sotto il profilo sincronico, dal momento che la minoranza parlamentare vede spesso nella politica di razionalizzazione un espediente della maggioranza di appropriarsi del monopolio di certe decisioni. In quarto luogo, la politica di razionalizzazione normativa muta il ruolo del Parlamento. Per un verso, determina una contrazione degli spazi da esso occupati. Per un altro verso, induce a riqualificarne e ad articolarne diversamente i compiti: nel senso di sviluppare una disciplina di principio diretta, per lo più, ad assegnare compiti; nel senso di sperimentare nuove tecniche, alternative alla legge, per indirizzare e verificare l’azione dell’esecutivo.

PRESIDENTE. Grazie, professor Vesperini.

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