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Giuseppe De Rita


PRESIDENTE. Ed ora possiamo passare agli interventi che avranno la durata di 7 minuti circa. Il primo è quello del professor De Rita. Prego.

DE RITA. La mancanza di Sabino Cassese mi obbliga ad un mestiere che non è il mio: quello di avviare la riflessione, mentre io sono incline ad essere un po’ fazioso. Parto comunque da una frase del Presidente Violante quando dice che “il sistema non è più piramidale, ma è un sistema a rete”.

Se il sistema è piramidale, il primato della legge, il primato della dimensione statuale, il primato del rapporto Parlamento/Governo, il primato della produzione legislativa e quindi il primato di tutte le operazioni, perché quella produzione legislativa vada sul terreno – dalla valutazione di impatto alla comunicazione attraverso Internet – è assolutamente indiscutibile.

Se invece il sistema è a rete - e quindi è fatto da diversi circuiti, da diversi soggetti, da diversi interessi, da diversi conflitti - il cammino in Parlamento o Governo della produzione legislativa, che in qualche modo è autoreferenziale (anche se si degna di parlare di valutazioni di impatto) diventa meno importante; ma diventa la più grande, la più prestigiosa, la più alta ma non la sola delle produzioni normative. Ogni circuito in cui si svolge l’orizzontalità di un sistema tende ad avere un suo “statuto”. Intitolerei questi sette minuti di riflessione “dalla Legge agli statuti”.

Gli statuti sono quelli che regolano o che tendono a regolare dei circuiti diversi della società, con i loro processi, i loro soggetti, i loro interessi, le loro identità, sempre più complesse. Quando si dice - ripeto la frase del Presidente Violante - che il sistema non è più piramidale ma articolato e policentrico, si fa riferimento ad una concezione sistemica di tipo cibernetico e non di tipo meccanicistico. Si guardi a tal proposito il sistema dell’informatica, ormai non più accentrato su un grande calcolatore centrale, ma distribuito in singoli terminali che parlano tra di loro attraverso delle connessioni di software. Le connessioni di software in informatica corrispondono nella produzione normativa, agli statuti intermedi. Ogni circuito di software ha bisogno di uno statuto intermedio.

Una società complessa non è complessa perché non la capiamo, ma perché è fatta a strati, a circuiti, a soggetti diversificati; se non tagliamo a pezzi questa realtà e per ognuno dei circuiti diamo degli statuti, non ce la facciamo a governarla. Facciamo soltanto qualche esempio. Cosa significa, ad esempio, fare un discorso sul commercio elettronico. Il commercio elettronico sarà regolato da leggi dello Stato – certo, ce ne vorranno - ma il grosso sarà regolato da transazioni in circuiti in cui la codificazione dei premi-punizione sarà diversa. Come è già diverso lo statuto che regola le carte di credito. Ciascuno di noi che ne usa una sa che c’è un circuito normativo gestito dalle banche che ha anche i suoi premi-punizione: se per tre volte sbagli il numero personalizzato, la macchina si mangia la carta, e sei punito. Noi invece siamo ancora al fenomeno di quel disgraziato che ha fatto dodici anni di prigione, condannato a trentasei anni di prigione per falso in bilancio, per il quale si è scomodato addirittura il Presidente della Repubblica per una grazia. In America gli avrebbero semplicemente tolto la carta di credito, e non avrebbe potuto neppure andare in albergo, perché sapete che in America senza carta di credito non si dorme neppure in albergo. Gli esempi possono continuare. Penso ad esempio a tutti i problemi della qualità dei prodotti e dei servizi, a cui le imprese sono estremamente interessate: si fanno ormai attraverso circuiti – si chiameranno ISO Novemila o altro – che hanno loro norme. Così come, a mio avviso, tutti i problemi della normativa tecnica - recepita in Italia con legge, ma è normativa tecnica che viene dall’Europa. Si tratta di normativa che una volta sarebbe stata regolamentare, oggi potrebbe essere addirittura prodotta dalle singole categorie (che possono disciplinare specifici settori) o dai singoli sistemi di impresa, con specifici statuti normativi. La stessa prospettiva si presenta per la regolamentazione delle professioni: se abbiamo circa 250 nuove professioni che incalzano per un riconoscimento, non è pensabile che esse siano regolabili tutte con legge, albo, ordine professionale; bisogna invece avere una cultura di regolazione incardinata nell’associazionismo professionale.

Potrei continuare, se penso a quello che avverrà con l’introduzione delle carte elettroniche in sanità, in assistenza, in tutta la dimensione delle prestazioni sociali.

Rispetto a questa tendenza alle molteplicità delle regolazioni, delle normative, dei software di singoli circuiti, noi sembriamo non solo fare resistenza, ma andare contro tendenza verticalizzando tutto in logiche legislative e statuali (siamo arrivati ad una regolazione contrattuale del telelavoro nel pubblico impiego ricondotta al potere della Corte dei Conti).

Comincio a pensare che tale resistenza e tale andare contro tendenza siano fattori non secondari di quella disaffezione che io noto nelle forze sociali e nei cittadini a quotare i propri interessi sul tavolo della legislazione generale. Non è soltanto la qualunquistica propensione a negare il primato della politica, è la consapevolezza di vivere (imprese, singoli, sindacalisti, professionisti) in uno dei circuiti che in orizzontale fanno la complessità di questo Paese e di volere per ognuno di quel circuito, il software adeguato, che non è un software che può scendere dall’alto.

Finisco perché i sette minuti sono finiti, però se oggi dovessi dare un parere, anche da parte del CNEL e delle forze sociali che in questo momento rappresento, consiglierei al potere parlamentare di pensarsi più come un promotore di statuti che come monarca di una funzione astrattamente compatta. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie al professor De Rita che ha colto perfettamente lo spirito di questo lavoro.

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