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Giulio Tremonti


GIULIO TREMONTI, Deputato. Questo è un seminario a Costituzione vigente ed invariata, ma non credo che ciò sia un handicap di particolare rilevanza. E’ vero che lo spirito del tempo è quello del federalismo, ma è anche vero che nello spirito della Costituente il tasso di federalismo era molto più elevato di quanto si possa immaginare. In cinquant’anni è intervenuto un centralismo reale che, a mio parere, è fuori dalla Costituzione. In secondo luogo, l’oggetto di questi lavori è la legislazione: a mio giudizio è importantissimo distinguere ciò che è amministrazione da ciò che è legislazione. Ciò che è amministrazione e decentramento è un altro dominio.

Questo è il dominio della legislazione, nella quale c’è la cifra politica più significativa.

Vengo al terzo punto. La norma su cui ruota l’insieme delle considerazioni svolte nella nota di base che stiamo discutendo è l’articolo 5, che rientra nei principi fondamentali della Costituzione. Questo è il dato a mio parere fondamentale. Vi sono due derivate. In primo luogo, non stiamo parlando di drafting o di law making, ma di qualcosa di enormemente più significativo (altrimenti non rientrerebbe nei principi fondamentali della Costituzione). In secondo luogo, i principi stanno ai metodi come i fini stanno ai mezzi. E’ fondamentale definire il principio; è sussidiario e strumentale definire i metodi. La novità, l’intensità, la varietà dei metodi è funzione dell’intensità che definiamo ai principi: il rapporto tra principi e metodi è un rapporto di prius e posterius, e non viceversa.

Quarto punto: quali sono i principi. Credo che questa sia la questione preliminare fondamentale. I principi contenuti nell’articolo 5, come ho anticipato, hanno un’alta cifra di federalismo. L’articolo 5 è una norma doppia: sul lato esterno, con l’espressione “la Repubblica è una ed indivisibile” definisce un blocco geopolitico; sul lato interno, per contrappeso, definisce un sistema che è tutto fuorché centralista. E’ una struttura politica in equilibrio tra due forze opposte: sul lato esterno, l’unità ed indivisibilità della Repubblica (gli attentati all’unità o alla sovranità della Costituzione della Repubblica sono stati fatti con l’Atto unico e con il Trattato di Maastricht, non in altro modo, perché quello è stato il più colossale trasferimento di sovranità, neppure sottoposto a referendum popolare: dispotismo illuminato, ma pur sempre dispotismo!); sul lato interno, il meccanismo è assolutamente rovesciato. La norma afferma che tutto l’impianto della legislazione sostanziale (come si fanno le leggi e i principi) è al servizio delle autonomie locali; da qui si risale, dal basso verso l’alto, e non viceversa, come è avvenuto in questi cinquant’anni.

Quinto punto: un test a proposito del tasso di federalismo presente nella Costituzione. L’articolo 117, primo comma, contiene un elenco di competenze regionali; il pregiudizio è nel senso che sia un numerus clausus. Non è vero: lo stesso articolo fa riferimento ad altre materie indicate da leggi costituzionali. Questa norma non ha un valore permissivo, non è la norma che consente la modifica costituzionale; in base alla regola del legislatore economico, sarebbe priva di senso, perché a questi effetti esiste già l’articolo 138. La norma in questione contiene non un permesso ma un’indicazione impositiva; per essere chiari, la devoluzione è già nella Costituzione.

Sesto punto. Il passaggio che mi è sembrato tecnicamente più interessante nella nota di base è quello riferito alla nuova tipologia di leggi, sempre più volte ad organizzare processi e relazioni tra diversi livelli di governo. Questo è, in politica, il punto fondamentale nel tempo presente. E’ la funzione di arbitraggio tra poteri e tra flussi propria della legislazione, con una sola specificazione: non sono le leggi che determinano i fenomeni, ma sono questi ultimi che determinano la tipologia delle leggi. Io rappresento in Parlamento una forza politica che Il Corriere della Sera ha definito totalmente priva di legittimazione culturale: a questo punto, sono ossessionato dalla legittimazione culturale! Ricordo di avere scritto su Il Corriere della Sera, nel luglio del 1989, un articolo di fondo che definiva il processo prevedibile (e non quello in atto, perché allora non era ancora caduto il muro di Berlino) come una rivoluzione extraparlamentare.

Nel 1989 cadeva il bicentenario della rivoluzione e l’articolo si intitolava “Come il 1789 è stato anno di avvio di rivoluzioni parlamentari, il 1989 sarà anno di avvio di rivoluzioni extraparlamentari”, nel senso di una diversa funzione della legislazione. Per il resto, su questo punto sono assolutamente d’accordo e in qualche modo ammirato dalle considerazioni svolte dal collega Cerulli Irelli.

Settimo e ultimo punto. Totale assenso, se sono definiti fortemente i principi, sui metodi di cui si è discusso, di coordinamento tra le regioni e di coinvolgimento delle stesse nel law making; quindi conferenze, audizioni, organismi misti e tecniche di questo tipo. Vorrei però andare oltre facendo un test empirico e in qualche modo politico a proposito della materia a mio avviso fondamentale in questo momento, quella relativa agli statuti regionali. Un’ipotesi di statuto in tristia, sulla quale si può valutare il tasso effettivo di federalismo presente nel Parlamento. La Costituzione prevede, all’articolo 121, secondo comma, che le regioni possano presentare proposte di legge al Parlamento nazionale. La formula agnostica “proposte di legge” consente che le proposte siano anche di riforma costituzionale. L’articolo 117, secondo comma, dà il via libera alla devoluzione. Mi chiedo allora: sarà considerato legittimo, tecnicamente e politicamente, lo statuto di una regione che introduca nel suo oggetto politico questo processo? Questa è una verifica che credo sarà importante fare.

Un’ultima considerazione. Quando ho cominciato a parlare di federalismo in queste sedi ed anche nella Commissione bicamerale, avevo l’impressione di essere come il selvaggio indiano che viene ricevuto, come oggetto di curiosità, alla Corte di Spagna: è un’impressione che si sta attenuando (Applausi).

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