Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Vai al Menu di navigazione principale

Stemma della Repubblica Italiana
Repubblica Italiana
Bandiera Italia Bandiera Europa

Inizio contenuto

Vincenzo Cerulli Irelli


VINCENZO CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione consultiva per l’attuazione della riforma amministrativa. Questo è l’ultimo incontro di una serie che abbiamo organizzato per iniziativa del Comitato per la legislazione sui problemi della normazione e recentemente abbiamo anche avuto un interessante incontro con una delegazione dell’OCSE. Ci troviamo di fronte ad un problema che sta diventando cruciale per il paese, anche in termini di competitività complessiva nella sfida internazionale, quello cioè di essere oppressi da una pessima legislazione, la cui “cattiveria” può essere analizzata sia sotto un profilo di contenuti, cioè come sono articolate le leggi, e se sono leggibili, facilmente applicabili, se contengono troppi rinvii o se sono troppe in sé, sia anche sotto il profilo dei confini dei diversi settori di legislazione con riferimento a competenze di soggetti diversi.

Su questo punto, signor Presidente, vorrei osservare con molta franchezza che ci troviamo di fronte ad una situazione che definirei addirittura paradossale: mentre negli ultimi anni abbiamo messo in cantiere una forte legislazione di principio intesa alla delegificazione, al conferimento di poteri normativi forti al Governo ed ai ministeri, ed ovviamente alle regioni, che l’avevano già in precedenza ma che hanno visto negli ultimi anni aumentare le proprie competenze, continuiamo a legiferare come prima. Intere materie come l’agricoltura o i lavori pubblici non dovrebbero essere disciplinate se non da qualche norma di carattere generale, ma se qualcuno di voi va a vedere l’ordine del giorno delle Commissioni agricoltura o lavori pubblici non trova la minima differenza rispetto al passato. Il Parlamento, cioè, continua a legiferare come prima, come se non fosse successo niente, né sul versante della delegificazione, né su quello del decentramento; si fanno leggi di dettaglio tanto sul versante riservato all’esecutivo quanto su quello riservato alle regioni. Questa è la realtà.

Devo tuttavia dire – l’ho ricordato nell’incontro con l’OCSE – che peggio di noi fa l’Unione europea, la quale emana una pessima normazione, quasi inapplicabile ed illeggibile, ma anche fortemente pervasiva, che investe i più minuti aspetti della vita economica e sociale senza alcun limite di competenza; almeno lo Stato ha qualche limite di competenza. Questa situazione caotica e paradossale investe anche l’Unione europea.

Se poi guardiamo alla legislazione regionale, lì esiste un’altra situazione altrettanto paradossale, poiché essa è composta di atti a contenuto non normativo: a parte qualche rara eccezione, che si conta nelle decine per ciascuna regione, a fronte delle migliaia di leggi, il grosso delle leggi regionali ha contenuto non normativo bensì provvedimentale. Ciò è dovuto un po’ alla timidezza dei legislatori regionali, un po’ ad una giurisprudenza della Corte che nel passato è stata abbastanza oppressiva, un po’ ad un fattore che credo finora non sia emerso ma che è bene segnalare, cioè alla struttura dei bilanci. Faccio un esempio: se servono trecento milioni per far fronte ad una situazione di disagio dell’opera pia De Benedictis di Teramo, che cosa fa il consiglio regionale dell’Abruzzo? Promulga una legge con la quale stanzia quella somma per far fronte a questa giusta esigenza. Qual è la medicina per questo? Semplicissimo: che il bilancio regionale preveda un capitolo di quattro-cinque miliardi per interventi necessari ed urgenti sulle strutture sanitarie. Su questo capitolo la giunta regionale, il presidente o l’assessore delegato destinano determinati fondi a questa o a quella istituzione. Badate bene, questo medesimo difetto si riscontra anche sul versante statale: è dalla struttura del bilancio che deriva molta parte dei nostri difetti legislativi. Faccio un esempio: abbiamo destinato circa un miliardo alle vittime della Uno bianca, emanando un’apposita legge, ma si tratta di un semplice problema di bilancio, poiché nel bilancio del Ministero dell’interno deve essere compreso un capitolo che consenta al ministro di far fronte a casi di questo genere, cioè a provvedere alle vittime di errori dell’autorità di pubblica sicurezza. Poiché questo non c’è, si deve ricorrere alla legge.

Certamente ciò riguarda i metodi del lavoro legislativo del Parlamento, dell’Unione europea e delle regioni, ed a questi metodi dobbiamo far fronte certamente con la consapevolezza - che stiamo cercando di suscitare con questi incontri – ma anche con qualche norma. Quando mi riferisco alle norme penso a quelle più vicine all’agire legislativo, cioè alle norme regolamentari del Parlamento e dei consigli regionali, i quali devono stabilire cose precise. Come diceva poc’anzi il collega Pepe – ed io sono assolutamente d’accordo con lui – il Comitato per la legislazione è stata una grande innovazione di questa legislatura ed in genere i suoi pareri sono assolutamente giusti, anche se in realtà non vengono seguiti.

PRESIDENTE. Siamo al 70 per cento!

VINCENZO CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione consultiva per l’attuazione della riforma amministrativa. Può essere certamente così, ma i casi di abnormità legislative, di leggi ripetitive od illeggibili, che spesso il Comitato per la legislazione segnala, poi, a fronte di accordi politici, non hanno seguito. Lo stesso vale per la Commissione per le questioni regionali, in quanto in agricoltura, nel turismo, nei lavori pubblici continuiamo a varare leggi che sicuramente invadono la competenza regionale: dobbiamo essere chiari con i nostri amici dei consigli regionali, perché facciamo leggi che sicuramente invadono la competenza regionale.

A mio giudizio ha ragione il collega Pepe: nella legge, che dovrà essere discussa la prossima settimana, di modifica costituzionale sul cosiddetto federalismo, tra le altre cose è compresa una norma che rafforza fortemente la Commissione bicamerale e vi inserisce una rappresentanza delle regioni, creando un organismo misto. Comunque, misto o non misto, è necessario un organismo che svolga un’opera di monitoraggio su questo punto ed abbia la forza vincolante di dire al Parlamento che non può intervenire in una certa materia se è di competenza regionale.

Vedete, colleghi, spesso il singolo parlamentare che ha il collegio in una regione ha interesse a curare anche con provvedimenti legislativi i problemi specifici del suo territorio, che viceversa sarebbero di competenza della regione; per far fronte a questo tipo di problemi, che sono del tutto comprensibili e fisiologici, occorre una presenza normativa, un vincolo forte che potremmo introdurre già in sede regolamentare.

La stessa cosa devono fare gli statuti regionali: non c’è dubbio che essi siano una grande risorsa che il Parlamento ha voluto dare alle regioni, ma in essi va sicuramente ridefinito il potere normativo. Una legislazione regionale che per lo più è ancora di tipo provvedimentale non pone la questione dei regolamenti: magari fossero regolamenti, sono provvedimenti! Qui il problema è di portare la legge regionale a fare la legge, cioè a normare i settori dell’ordinamento affidati alle regioni. La giunta regionale deve fare i provvedimenti e poi, per quanto serve, anche i regolamenti, soprattutto quelli necessari al funzionamento degli uffici. Inoltre gli istituti regionali debbono togliere ai consigli le competenze amministrative.

Ho davanti a me il presidente dell’Abruzzo, dove il consiglio ha forti competenze amministrative, che derivano da un sistema consociativo del passato che deve essere evitato. Il consiglio faccia la normazione.

Vi è un ultimo punto, richiamato anche dai colleghi Lombardi e Cammelli, oltre che dal Presidente: il sistema delle autonomie che stiamo costruendo è trilatero, composto cioè dallo Stato, dalle regioni e dalle autonomie locali, mentre in Germania è fondamentalmente bilatero. Il Bund dialoga con i Länder e gli enti locali dipendono da questi ultimi. Si pone dunque il problema di dare alla regione un ruolo: prima il presidente della regione Friuli ci ricordava il caso di Trieste, dove il sindaco ha una forza politico-amministrativa ed ha anche uno statuto istituzionale tale da consentirgli di contrapporsi alla regione anche in modo formale su alcune questioni. A fronte di questo, la regione deve diventare l’organo pieno e primario di normazione nonché di programmazione delle risorse; non si deve mettere in competizione con gli enti locali sul terreno dell’amministrazione, poiché quest’ultima è propria non della regione bensì degli enti locali.

La normazione è propria della regione e l’amministrazione appartiene agli enti locali: credo che questi confini debbano essere ridefiniti in questa importante occasione statutaria e voi, colleghi presidenti, avete un ruolo importantissimo. Nei prossimi giorni noi cercheremo di fare la nostra parte e, con l’aiuto della provvidenza, la settimana prossima rimetteremo mano al progetto di legge di modifica della Costituzione sul cosiddetto federalismo.

Fine contenuto

Vai al menu di navigazione principale