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Antonio Martini


ANTONIO MARTINI Presidente del Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia. Presidente Violante, signori presidenti delle Commissioni, onorevoli parlamentari, signor ministro, cari colleghi, salto tutti i preamboli e lo stesso ringraziamento al Presidente, limitandomi a rivolgere i miei auguri ai nuovi presidenti, cari colleghi, per il lavoro importante…

PRESIDENTE. Anche ai precedenti, perché abbiamo bisogno del lavoro di tutti!

ANTONIO MARTINI, Presidente del Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia. Volevo soltanto dire che, saltando tutti i preamboli, rivolgo i miei auguri ai nuovi presidenti dei consigli regionali per l’importante lavoro che hanno di fronte e mi scuso per questo intervento che, come avrete già capito, sarà un po’ alla Bertoldo, non serio come quello dei colleghi che mi hanno preceduto.

Rileggendo l’articolo 5 della Costituzione, anche se tutti siamo in attesa di averne un altro in cui riconoscerci – perché sappiamo quanto sia importante, accanto alla moneta unica, una costituzione europea -, io penso, professor Lombardi, che non ci fossero parole in più. Questo articolo 5, a tutti così caro e da tutti amato, recita che “la Repubblica italiana, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”; passando all’ultima previsione, abbiamo poi detto che bisogna ora adeguare “i principi ed i metodi della legislazione alle esigenze dell’autonomia”: forse c’è qua qualcosa che abbiamo un po’ tutti trascurato, magari quando emanavamo, come diceva il Presidente in apertura, leggi provvedimentali, o quando, noi vecchi legislatori regionali, furbamente copiavamo dal vecchio Parlamento i collegati alle finanziarie o quant’altro. Alla fine, se vogliamo fare un esame di coscienza, in questo articolo 5 c’è un peccato originale: riconosce le funzioni, cosa che, questa Repubblica non ha fatto.

Ha fatto ricorso alle deleghe, ma non ha applicato tutto l’articolo 115, come affermava il collega Leveghi quando riconosceva poteri e funzioni costituzionali solo alle regioni; e in questo vi era il passaggio Stato-regioni. Abbiamo amministrativizzato le regioni: questo è un punto di riferimento. Abbiamo messo in moto qualcosa che ha messo in discussione il principio di unità ed indivisibilità. Ora il punto di riferimento è l’Europa.

Se questo è il discorso base, vediamo allora dove vogliamo andare, perché se la logica è sempre quella della democrazia decidente e governante, non si capisce che cosa rimanga della democrazia. Signor Presidente, abbiamo la necessità di capire quale sarà la forma principale della democrazia, cioè se sarà ancora di tipo parlamentare. So che, per scherzo, alcuni presidenti definiscono i consigli come parchi buoi o come gabbie di matti: non vorrei che qualche presidente cominciasse a non venire in consiglio, perché in effetti qualcosa di grosso è cambiato e l’investitura dell’esecutivo non è più di nostra competenza. Abbiamo sempre meno persone che desiderano candidarsi nei consigli regionali, mentre è importante che i consiglieri regionali siano stimolati a fare i consiglieri regionali.

Occorre capire fino in fondo – altro che legislazione concorrente, ripartita o competitiva – che cosa voglia realmente la nostra gente, dare la certezza del diritto. Nella mia regione era stata varata una leggina sul commercio, che era di nostra primaria competenza, e si era legiferato in armonia, secondo le norme fondamentali delle riforme economiche e sociali, ma poi si è visto, su questioni così importanti che riguardano il piccolo ed il grande commerciante, che sono cari a noi tutti, che il sindaco di Trieste si è trovato contro la giunta regionale. La gente comincia a non avere più la certezza del diritto ed, allora, che le regioni sappiano che cosa possono fare veramente. In particolare, per quanto riguarda le regioni a statuto speciale, in questi anni abbiamo avuto il filtro delle commissioni paritetiche ed abbiamo incontrato forti difficoltà, ma alla fine doveva o meno il Governo emanare il decreto legislativo? Spero che non si continui a mortificare l’autonomia delle regioni.

Chiedo dunque, a nome dei colleghi delle regioni a statuto speciale, di dare anche a noi la certezza del diritto: si ha davanti un anno di lavoro e poi sarà il consenso, come affermava il mio amico De Mita, a decidere chi governerà il paese. Chiedo altresì che quanto hanno fatto le commissioni paritetiche venga trasformato in decreto legislativo. Per il resto, ci rendiamo conto anche noi che le cose sono cambiate e che anche le specialità dovranno essere rivisitate: nessuno vuole avere timbri in più se il mondo è cambiato, anche se nella mia regione esiste ancora una città che si trova al confine, Gorizia-Nova Gorica. Prendiamola in positivo, così come i rapporti con la Croazia. Non aggiungo nient’altro: fidatevi delle regioni e date anche a quelle speciali la certezza del diritto.

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