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Mauro Levighi


MAURO LEVEGHI, Presidente del Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige. Vorrei brevemente portare all’attenzione dei colleghi e sua, Presidente, un elemento di meditazione rispetto al progetto di modifica costituzionale per quanto riguarda gli statuti delle regioni speciali e delle province autonome, che ha superato la prima lettura al Senato e va, quindi, verso la seconda lettura da parte della Camera.

PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo, ma desidero precisare che il Senato ha apportato una piccola modifica, per cui sarà prima lettura anche alla Camera.

MAURO LEVEGHI, Presidente del Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige. E’ esatto. Quello che mi preme, comunque, non è entrare nel merito del progetto, che è certamente importante, bensì sottolineare due questioni che riguardano il rapporto tra Parlamento, da un lato, e regioni speciali e province autonome, dall’altro, e soprattutto le regole che disciplinano tale rapporto.

Prima questione. Queste modifiche statutarie vanno ad incidere sulle regole del gioco, cioè sostanzialmente, ampliano od eliminano alcuni vincoli che le regioni speciali avevano nel disciplinare le proprie leggi elettorali e le proprie forme di governo. Il Parlamento inoltre ha previsto, non per tutte ma per gran parte di esse, di sostituirsi, in via transitoria, al potere legislativo regionale, garantito dagli statuti da oltre cinquant’anni, con norme che esso ha scelto liberamente, anche per condivisibili motivi di ordine politico. Quello che mi preme sottolineare è che, in via di principio, mentre ci sono regioni e province autonome che da cinquant’anni hanno un proprio potere legislativo, garantito con legge costituzionale, rispetto alle nuove possibilità di intervento, cioè alle modifiche costituzionali, il Parlamento si sostituisce loro, sia pure in via transitoria, con proprie norme e non rinviando, in via transitoria, alle leggi che esistono sui territori, cioè alle leggi regionali. Mi pare che dal punto di vista dei rapporti nuovi che si debbono istituire tra Parlamento e regioni questo rappresenti una battuta d’arresto, quanto meno per le autonomie speciali. Non vado a sindacare i motivi politici, veri, importanti che stanno dietro questa decisione; dico solo che, in linea di principio, mi pare che ciò rappresenti una battuta d’arresto.

La seconda questione fondamentale è costituita, a mio avviso, dalla natura degli statuti. Come lei sa, signor Presidente, gli statuti delle regioni speciali e delle province autonome hanno valenza costituzionale, hanno, quindi, una valenza diversa rispetto a quella prevista per le regioni ordinarie. Tale valenza costituzionale è sicuramente importante perché, ad esempio, garantisce efficacemente le minoranze presenti nella regione Trentino-Alto Adige.

C’è però un problema: la diversità di modifiche statutarie oggi in campo per le regioni ordinarie e per le regioni speciali, essendo di ordine costituzionale, pone le regioni ordinarie e le regioni speciali su piani diversi. Anche da questo punto di vista, le regioni ad autonomia speciale si trovano a dover rincorrere, in certa misura, quelle ordinarie, perché dopo cinquant’anni di autonomia non viene codificata la natura pattizia dello statuto. Possono esservi procedure diverse, (che giustamente il Parlamento sarà chiamato ad individuare) ma deve essere sancita la natura pattizia dello statuto; sia stabilendo che le modifiche statutarie devono essere elaborate da comitati paritetici Stato-regione, come avviene oggi per le norme di attuazione, sia anche seguendo altre strade. Certo è che una riflessione a questo proposito dovrebbe esser fatta.

Un’ultima considerazione. A me pare che tutte le nuove strade che si stanno esplorando rispetto ad un regionalismo italiano, asimmetrico o differenziato che dir si voglia, non abbiano fino ad ora individuato nuovi processi di partecipazione per la formazione delle leggi sia nazionali che comunitarie. Una vera riforma io credo dovrebbe consistere non tanto nella devoluzione o nel trasferimento di ulteriori competenze dal centro alla periferia, quanto, soprattutto, nell’inserimento istituzionale della periferia nel centro: cioè il concorso istituzionale alla formazione degli atti ordinari o costituzionali che toccano interessi della comunità regionale. Il Comitato delle regioni ha in sé una posizione istituzionale ambigua, che non può certo essere assimilata alla Camera delle autonomie; così come il trattato di Maastricht non ha certo soddisfatto la necessità di un rafforzamento della presenza regionale a livello di ordinamento comunitario. Si può, per esempio, ipotizzare l’eventualità che la normativa comunitaria possa dar luogo a peculiari riconoscimenti a favore di alcune regioni piuttosto che di altre. I territori omogenei, non solo geomorfologicamente ma anche per gli interessi e le esigenze che esprimono, potrebbero divenire destinatari di procedimenti normativi con i quali si riconoscono alle autonomie territoriali, nella fase discendente dei processi decisionali, forme di concorso al conseguimento di obiettivi sovranazionali.

Il contesto europeo potrebbe spingerci verso una elasticità ordinamentale maggiore. In altre parole, io credo che potrebbe esserci un protagonismo nuovo delle regioni e delle province autonome sia nella fase discendente, applicativa e decisionale, che nella fase ascendente, formativa, dei procedimenti comunitari.

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