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Enrico Cavaliere


ENRICO CAVALIERE Presidente del Consiglio regionale del Veneto. Presidente Violante, deputati presenti e colleghi presidenti, la VII legislatura regionale si è aperta con l’esperienza di presidenti realmente legittimati ed autorevoli perché eletti direttamente dal popolo sulla base del proprio programma di Governo. Si tratta, quindi, di presidenti di governi stabili, con forti poteri decisionali, che nominano direttamente i propri assessori e che nell'immaginario collettivo sono diventati, con linguaggio espressivo dell'innovazione istituzionale, governatori. Inoltre, la forma di Governo presidenziale è ora caratterizzata da un forte ruolo dell'esecutivo dotato, con la nuova formulazione dell'articolo 121 della Costituzione, oltre che del tradizionale potere amministrativo, anche del potere regolamentare nel passato appartenente al consiglio regionale.

Ma è altrettanto vero che la fase costituente, che in via transitoria ha individuato la forma di governo presidenziale, riservando allo statuto regionale la decisione definitiva sul punto, ha avviato sotto un altro profilo, in via permanente, un ulteriore processo innovativo ed irreversibile, dagli effetti rivoluzionari sul piano dell’ordinamento costituzionale, cioè quello del riconoscimento e della distribuzione dei poteri fondanti avendo riconosciuto in capo all’assemblea legislativa regionale un potere statutario pieno, affrancato da ogni controllo legislativo parlamentare.

Con la legge costituzionale n. 1, infatti, si è finalmente affermata la pari dignità istituzionale delle regioni e dello Stato, espressioni originarie e depositarie sullo stesso piano della sovranità popolare. Del resto, è stato troppo spesso dimenticato che la stessa Costituzione vigente, nell’articolo 5, collocato nella parte relativa ai principi fondamentali, riconosce le autonomie locali e non si può non sottolineare che il termine “riconosce” nella dottrina pubblicistica ha appunto il significato non della attribuzione di un potere da parte di un altro potere gerarchicamente sovraordinato, ma del riconoscimento di un potere originario. Pertanto, la fase costituente che investe le regioni non è certamente ininfluente sugli assetti complessivi e riguarda la stessa forma dello Stato.

Peraltro, la riforma costituzionale apportata dalla legge n. 1 non è, evidentemente, da considerare esaustiva, perché monca proprio della parte relativa alla modifica del titolo V per quanto attiene alla devoluzione di competenze esclusive alle regioni ed è addirittura del tutto carente per quanto attiene alla trasformazione in senso federale di altri organi costituzionali, il Senato delle regioni, per esempio, la Corte costituzionale, eccetera.

Tutto questo, naturalmente, oltre ad incidere profondamente sugli assetti delle regioni e dello Stato, incide sul sistema delle fonti normative, con particolare riguardo al tema della qualità della legislazione e della sua semplificazione; oltre a condurre, come ha affermato il professor Lombardi poc’anzi, ad un rapporto competitivo tra legislazione regionale e dello Stato. E’ infatti luogo comune affermare che la legislazione regionale è caratterizzata dai difetti tipici della legislazione italiana (interventi di microlegislazione, leggi-fotocopia per tutte le regioni e così via); tali considerazioni, tuttavia, non tengono in alcun conto che questo tipo di legislazione è la conseguenza del modo con cui l’autonomia regionale è stata costretta, fino ad oggi, ad esplicarsi ed è appena il caso di ricordare che si tratta di un’autonomia tardiva rispetto allo stesso originario impianto costituzionale, concessa dall’alto in modo contraddittorio. Si pensi all’attribuzione di competenze per ritagli di materia e non per materie organiche e che, comunque, anche quando tale prospettiva organica veniva pomposamente annunciata, di fatto la legislazione statale successiva continuamente rimetteva in discussione l’autonomia così faticosamente concessa.

Ma con la riforma in corso, che finalmente riconosce piena dignità all’autonomia regionale, e con lo statuto che assurge a rango di vera e propria carta costituente, tale impostazione deve essere ormai considerata superata. Sarà infatti lo statuto regionale ad individuare le competenze che esigono una gestione in capo alla regione ed a riconoscere gli ambiti di autonomia propri degli enti locali e delle autonomie funzionali, realizzando così dal basso la trasformazione dello Stato in senso federale.

E’ peraltro necessario che si apra una nuova stagione di rapporti tra le assemblee legislative regionali ed il Parlamento, volta a garantire e a far crescere il ruolo delle regioni nell’assetto legislativo complessivo. Ciò comporta un reale potenziamento del ruolo delle assemblee legislative regionali, che, attraverso l’adozione di nuovi statuti, dovranno individuare norme e strumenti adeguati a garantire una buona legislazione per le esigenze dei propri popoli. In conclusione, le assemblee legislative regionali sono pronte a raccogliere la sfida di una nuova forma di legiferare, disponibili a collaborare con i poteri dello Stato per individuare gli strumenti e le forme più idonee a garantire i rispettivi ambiti di intervento, ma allo stesso tempo gelose custodi delle proprie prerogative e della propria autonomia statutaria.

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