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Marco Cammelli


MARCO CAMMELLI, Professore di diritto amministrativo presso la facoltà di giurisprudenza dell’università di Bologna. Signor Presidente, credo che sui metodi ci sarà molto da discutere e che quello di oggi sia solo l'inizio del lavoro che aspetta i consigli regionali. Quanto alla ricerca ed all’esigenza che i metodi siano nuovi, credo invece che si possa essere d'accordo, perché le condizioni in cui oggi operano i consigli regionali sono profondamente diverse da quelle precedenti. Forse questo è il dato di partenza, rappresentato sostanzialmente dalle riforme amministrative, ancora non del tutto completate, che hanno inciso profondamente nel nostro tessuto o i cui effetti di sistema, non ancora totalmente recepiti, sono sostanzialmente due, entrambi rilevanti per le assemblee regionali.

In primo luogo, con le riforme amministrative cade la storica integrazione in via amministrativa del nostro sistema nazionale, che è stato tenuto in larga misura dal tessuto amministrativo, che ne ha costituito l'ossatura. Con le riforme amministrative abbiamo inciso esattamente sullo stato del sistema, non solo su quella dell'amministrazione. Dunque, il peso si sposta, in una misura non ancora del tutto quantificabile ma certo inevitabile, sugli organi di Governo; da qui il discorso della rete, che il Presidente Violante e la ragione di questo incontro confermano.

Il secondo effetto è che lo stesso decentramento amministrativo e ciò che lo accompagna spostano una serie di poteri sulla periferia che, senza una forte consapevolezza della necessità di autolimitazione e di verifica preventiva del carico regolativo che ne deriva, rischia di dare corpo ad una straordinaria ipertrofia, pericolosa su un fronte - certo nelle relazioni tra livelli istituzionali, perché aprirebbe conflitti, creerebbe sovrapposizioni - ma pericolosissima anche sull'altro fronte, quello del carico sulla società e sui soggetti sociali ed economici.

Tutte e due queste cose chiedono di utilizzare diversamente i propri strumenti normativi. Questo è in breve il senso di quanto vorrei dire. Vi è poi una serie di aspetti tecnici complessi sui quali in parte si è cominciato a ragionare, ma questo è il dato nuovo, questo è l’elemento comune - mi sembra indiscutibile - , questo dunque è il motivo per cui tutti i consigli, ma insieme i consigli ed il Parlamento hanno in comune il problema di definire il nuovo contesto della funzione normativa. In questo senso, allora, davvero l'occasione che si presenta ai consigli rappresenta un pezzo del problema; da qui la necessità che i vari pezzi non si perdano reciprocamente di vista, altrimenti perdono tutti. Non è certo che insieme si vince, ma da soli una partita del genere si perde. Di questo sono perfettamente convinto ed ecco il motivo per il quale ho dedicato a questi temi cinque minuti del mio intervento.

Vengo ora rapidamente ad alcuni aspetti strettamente tecnici. Mi pare che nel porre mano alla funzione normativa in consiglio sia necessario tener conto di alcuni vincoli che ormai ci sono, per esempio il trasferimento alle giunte del potere regolamentare; non porrei il problema di quanto questo potere sia lesivo di prerogative del consiglio; francamente mi pare che il problema sia un altro: quello regolamentare è un potere saldamente radicato all’esecutivo e all'organizzazione amministrativa e dunque è difficile discutere del fatto che, in piena delegificazione, il regolamento vada altrove che in quella direzione. Il problema, semmai, è un altro, è che si ponga un limite alle giunte ad utilizzare tale potere nei confronti non del consiglio, ma del sistema locale. Il problema non è quello che due soggetti intervengono sulla stessa materia: nel nostro sistema tutti i soggetti intervengono in quasi tutte le materie.

Chiedo: ma perché regioni ed enti locali intervengono su materie diverse? È evidente che intervengono sulle stesse materie. Il problema è imparare il punto di arresto: leggi regionali e regolamenti degli enti locali sono norme che incidono sulle stesse materie, il problema è capire dove si debbano fermare, individuare questo confine. Quindi, non è un elemento nuovo che pone il potere regolamentare della giunta, è un problema immanente al sistema delle relazioni tra regioni ed enti locali, che deve essere organizzato.

Allo stesso modo, mi pare si possa argomentare relativamente al periodo di forte regresso dei controlli esterni; questi ultimi sono in regresso non per una liberalizzazione di cui sfugge il senso, ma perché debbono essere fortemente bilanciati da controlli interni e a questo proposito mi pare sia cruciale l'esperienza svolta in Parlamento e richiamata dal presidente Nardini. Ritengo, ad esempio, che a livello regionale sia necessario prevedere qualcosa di simile al Comitato per la legislazione; anzi, oserei dire che tale funzione è ancor più delicata a livello regionale perché in tale ambito c'è tutto il gioco delle relazioni con gli enti locali, oltre che con le altre regioni e con il centro, per cui si giocano tre dimensioni ed esse vanno giocate in una fase precedente.

Dunque, non mi pare che il problema sia tanto quello del potere regolamentare attribuito alla giunta, il problema è quello dei limiti della potestà normativa in generale, quindi legislativo e regolamentare, della regione a fronte del versante del sistema locale. Quindi, la domanda è da un lato come garantire questo risultato, dall'altro come operare una manutenzione di queste norme; la manutenzione è da sempre il punto debole del sistema italiano, lo è in tutti i campi, cioè anche relativamente al sistema normativo. È impensabile che le norme si facciano e poi vengano lasciate dove sono; a questo proposito vi è una serie di esperienze importanti che mi pare possano favorire e incoraggiare il lavoro.

Tuttavia, le funzioni normative - e mi avvio a concludere questo breve intervento - non sono le uniche dell'assemblea. Ritengo che già il Parlamento, ma particolarmente i consigli regionali dovrebbero giocare se stessi non nella nostalgia del buon tempo in cui la funzione legislativa era tutto, un’ottica che, a mio avviso, sarebbe perdente oltre che incongrua rispetto al sistema in cui siamo, ma nella percezione delle altre funzioni non legislative che oggi debbono spettare ai consigli. Mi riferisco alle più importanti funzioni allocative di risorse, alle funzioni di determinazione delle regole del gioco tra relazioni istituzionali e relazioni con i soggetti privati e con gli interessi sociali; alle decisioni in materia di programmazione, tutte decisioni significative, non sempre legislative, cui si affiancano alcune funzioni assolutamente non legislative, cioè le funzioni di controllo.

La funzione di controllo è stata largamente marginalizzata nell'esperienza: il controllo delle assemblee elettive è stato spesso modesto aldilà degli strumenti che invece erano a disposizione. In questo campo risulta importante conoscere le condizioni del sistema politico: se esso non riesce a perdere del tutto i tratti consociativi, è inutile mandare relazioni alle assemblee, in quanto queste non le useranno perché le relazioni tra maggioranza e opposizione sono tali da determinare questa situazione. Se, invece, il sistema riesce a compiere un passo avanti per giocare fino in fondo lealmente questa funzione, che tra l'altro è una funzione di sistema, allora il controllo diventa il nuovo terreno su cui si giocano la centralità ed il ruolo delle assemblee. Mi pare che questo sia un punto essenziale: i controlli possono essere esterni ed interni, ed anche a questo proposito si potrebbe citare una casistica, che non mi pare sia ora il caso di richiamare.

Termino con un caveat relativamente ai tempi: ho qualche motivo di preoccupazione, mi permetto di dirlo, nella piena consapevolezza dei problemi che la politica pone e delle preoccupazioni cui i presidenti hanno fatto e stanno facendo fronte. Sono preoccupato dei primi segnali che sento di progetti di riorganizzazione degli statuti che cominciano ad essere pluriennali, perché veramente si pone anche un problema del tempo entro cui si decide e il tempo è la prima risorsa e non può essere sottaciuta. Questo è un vincolo anche per la politica. Grazie (Applausi).

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