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Giorgio Lombardi


GIORGIO LOMBARDI, Direttore dell’Istituto di studi sulle regioni “Massimo Severo Giannini” del CNR. Signor presidente, signore e signori, ringrazio per l’invito nel quale vedo un riconoscimento non tanto a me quanto all’Istituto studi giuridici sulle regioni del CNR, che da due anni dirigo, che ha lavorato sempre bene e con attenzione ed è qui rappresentato da alcuni ricercatori.

Giudico ottimo il richiamo fatto dal presidente Russo Jervolino ai diritti di cittadinanza attiva che sono innescati da questo procedimento, in quanto le grandi trasformazioni avvengono sempre in tre fasi: prima si comincia con le situazioni soggettive (leggi diritti), poi si passa all’organizzazione ed alla fine si approda alle fonti. Per questo è importante il seminario di oggi, perché si riferisce alle fonti ma si proietta prima di esse.

In altre parole, il nostro costituente, quando nel 1947 ha trovato la soluzione delle regioni, presupponeva una serie di rapporti tra fonti, più che tra istituzioni: quindi leggi-cornice, leggi regionali, leggi di attuazione e così via. Questo quadro è stato cancellato dalla riforma degli anni settanta, perché le leggi-cornice – ce n’è stata qualcuna – sono assolutamente trascurabili e non hanno avuto il significato che il costituente voleva loro dare. Forse i tempi erano diversi, le competenze regionali erano frammentarie e si è ovviato attraverso i decreti-delegati del 1976, che hanno avuto un’importanza enorme sotto questo profilo ma hanno smantellato completamente il modello del testo costituzionale del 1948.

Successivamente si è data una competenza molto larga alle regioni - pensate all’articolo 17 della legge fondante delle regioni che stabilisce, in mancanza di leggi-cornice, che le regioni debbano desumere i principi nell’ordinamento dello Stato e nelle singole materie – ma si è chiusa la regione attraverso una durissima corazza di tipo economico e fiscale. Dunque, con una mano veniva dato e con l’altra veniva tolto. Si è aggiunta la potestà di indirizzo e coordinamento e tutto questo ha significato un appiattimento, come aveva detto Franco Levi, della competenza regionale, definita da questo autore “ampia ma depressa”.

Il problema, da molti anni, è cambiato, da quando si è cominciato a parlare seriamente e concitatamente di federalismo, da quando sono stati fatti gli studi sul federalismo fiscale; pensiamo al progetto Vitaletti-Tremonti, pensiamo alla grande stagione delle riforme Bassanini. Tutto ciò vuol dire che la scatola del cambio del nostro motore istituzionale è stata modificata ed è ancora in modificazione.

Cosa sono state nel frattempo le leggi regionali? Ne Il mulino n. 3 del 2000 si afferma che poche leggi regionali sono veramente importanti; anzi, molte leggi regionali sono organiche, una parola che non sta scritta da nessuna parte ma che nel gergo dell’attività regionale era diventata d’uso frequente. Le leggi regionali sono state quasi tutte leggi di erogazione, di spesa, cioè atti amministrativi vestiti da legge, come atti di erogazione di spesa sono quelli di comuni e province: che bisogno c’è allora di una legge? Anche la normativa regionale in materia tributaria è assolutamente ridicola. Lo stesso concetto di tributo proprio, che la Costituzione aveva in mente, era stato assolutamente stravolto da questa legge.

Era cambiato anche il rapporto tra le fonti, perché l’Italia era arrivata ad una forma inedita di rapporto tra leggi statali e regionali: per un verso un eccessivo controllo, per un altro un qualcosa che richiama lo schema, realizzato in Germania con ben altra struttura, della legislazione concorrente. Da noi si afferma – questo è un errore contenuto anche in testi come quelli di Mortati – che si tratta di “legislazione ripartita o concorrente”. E’ uno sbaglio che hanno fatto i primi commentatori della Costituzione, avendo letto male la Costituzione di Weimar. La legislazione concorrente in Germania è quella che fa concorrenza alla legislazione dello Stato: chi arriva prima, legifera. Naturalmente lo Stato può tornare sulla competenza, ma per ragioni evidenti di necessità di un intervento unitario.

Vorrei anche aggiungere che il concetto di legge dell’Ottocento, mantenuto fino agli anni trenta, è completamente cambiato. Oggi la riserva di legge significa che possono esistere leggi secondo tipologie diverse. La stessa Costituzione, quando tipizza leggi diverse secondo le materie, lo presuppone.

Nei rapporti Stato-regioni è importante anche un altro aspetto e cioè che nella nostra Costituzione esistono quelle che Mortati chiama le “riserve di leggi rinforzate”, molto diffuse nella parte sociale della Costituzione, quasi sempre in materie che poi ricadono nelle competenze della regione. Sono riserve di legge finalizzate.

Pertanto il grande tema, al quale accennava il Presidente Violante, degli effetti della legge trae proprio in queste considerazioni il suo presupposto. Il Comitato per la legislazione deve infatti valutare gli effetti delle leggi; ho visto alcune deliberazioni del Comitato e credo che vada data maggiore importanza all’attività di quest’organo.

Il rapporto tra consigli regionali e Parlamento nazionale va visto dal punto di vista dei metodi e dei principi. Probabilmente il costituente non pensava a questo problema ma esistono alcuni movimenti che io chiamo della provvidenza o previdenza istituzionale: qualche volta si usa una parola che poi serve. In questo caso, la parola è servita moltissimo perché “metodi” vuol dire un qualcosa che sta prima e che riguarda il tipo di contatto con il tipo di fonte.

Credo che si andrà sempre di più verso una concorrenza tra legislazione statale e legislazione regionale, nel senso quasi di competizione. E’ per questo che la preoccupazione che sta alla base del nostro incontro diventa fondamentale: anziché realizzare un ulteriore elemento di rissosità istituzionale, che non serve ai cittadini, deve esserci non dico un buonismo istituzionale, ma una serietà istituzionale sui grandi temi.

In primo luogo, non più il rapporto tra fonti in senso astratto ma un rapporto tra fonti mediato dalle istituzioni, oppure un rapporto tra istituzioni che ha come suo punto di arrivo un certo regime di fonti. La regione è orgogliosa della sua autonomia e indipendenza, non diciamo ancora della sua sovranità perché altrimenti lo Stato rischierebbe di non essere più riconosciuto con una sovranità come quella che gli attribuiva Hegel. Si arriva ad una situazione precisa: innanzitutto, la regione ha una competenza legislativa espressa dal Consiglio e una competenza regolamentare espressa dalla Giunta; lo statuto deve fare un’actio finium regundorum e possibilmente un’azione di armonizzazione. Pertanto, il rapporto tra Consiglio e Assemblea è anche un rapporto tra Consiglio, Parlamento e Giunta.

Non dimentichiamo che negli anni trenta - la tesi è stata espressa ulteriormente negli anni sessanta - si parlava dell’elemento circolare più che gerarchico delle fonti. La circolarità delle fonti vuol dire il coinvolgimento delle istituzioni. Quello che conta allora non è risolvere il problema attraverso il contenzioso, ricorrendo alla Corte costituzionale. Non dimentichiamo che esiste una norma nella Costituzione che non è mai stata applicata – ci sarà pure una ragione – cioè che il conflitto di interessi tra Stato e regioni va risolto in Parlamento. Anche questa impostazione è nella vecchia logica del costituente: rapporto tra fonti attraverso l’interesse.

In questo caso invece si tratta di mediare, in una situazione che non deve degenerare nel contenzioso, per realizzare un legame a questo livello. Ecco perché oggi tra la sussidiarietà con l’Unione europea e la sussidiarietà nei livelli minori istituzionali – forse l’espressione è eccessiva, ma mi riferisco agli enti locali e a tutto quanto avviene nel territorio – si deve parlare di sussidiarietà integrata, che vuol dire il momento nel quale si riconoscono nell’ambito dello Stato-comunità tanto gli interessi dei quali è portatore l’assemblea regionale, tanto gli interessi dei quali è portatore il Parlamento nazionale, che sono poi gli interessi della comunità che opera.

Ecco, dunque, il rapporto tra istituzioni attraverso le fonti ed il tema di due legislazioni forti, perché forte deve essere la legislazione regionale e forte quella statale, senza edulcorare in qualcosa di mieloso un problema che potrebbe portare a difficili esiti.

Il metodo dovrebbe essere trovato parallelamente tanto nell’attività statutaria della regione, relativamente al modo in cui il consiglio si debba misurare rispetto alle sue competenze, tanto nei regolamenti parlamentari, per creare un forum nel quale tutto ciò venga discusso (Applausi).

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