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Giuseppe Tagliente


GIUSEPPE TAGLIENTE, Presidente del consiglio regionale d’Abruzzo, decano dei presidenti dei consigli regionali. Signor Presidente, onorevoli deputati, colleghi presidenti dei consigli regionali, svolgo alcune brevi considerazioni appunto – come veniva ricordato – in qualità di decano dei colleghi presidenti dei consigli regionali.

La nuova fase dell’autonomia regionale aperta nel sistema istituzionale del paese ha prodotto il primo effetto dell’elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto ordinario. Intento non ultimo di questa innovazione è stato certamente il superamento del progressivo distacco nei confronti dei pubblici poteri del sistema politico, da tempo sconfinato in elevati livelli di astensionismo elettorale, con la conseguente instabilità dei governi e della stessa legislazione.

L’organicità dello Stato è nella legge e nel valore che in questa si esprime. L’esigenza di far sentire la voce del legislatore in maniera chiara ed univoca è particolarmente avvertita. Tale primaria esigenza è però mortificata – mi sembra di poter dire a tutti i livelli – dalla proliferante e caotica giungla di norme ogni giorno più incomprensibili, spesso scoordinate, talvolta di dubbia costituzionalità.

Il continuo mutamento del quadro normativo, la sua instabilità e la pluralità di leggi sul medesimo oggetto elidono la certezza delle situazioni giuridiche soggettive e minano la fiducia del cittadino verso le istituzioni. Nella consapevolezza di ciò, pertanto, si ritengono indispensabili ma non sufficienti nuove regole di riforma istituzionale e non, in quanto la crisi delle istituzioni non è solo di modelli e di assetti istituzionali ma investe le stesse modalità di esercizio della funzione pubblica. Se è vero, come è vero, che la legislazione costituisce una parte rilevante dei problemi dello Stato, è certo che l’istituzione regionale si ritrova accomunata ad esso nella medesima situazione, per il ruolo che è chiamata ad assolvere con e verso i comuni e le province e fra lo Stato e il cittadino, soggetti primari del rapporto istituzionale.

Il rinnovamento della Repubblica passa attraverso lo sviluppo ed il potenziamento delle autonomie, anche in quanto momento di valorizzazione della comunità di cui il cittadino è membro. La prima forma di potenziamento deve quindi realizzarsi nell’ambito della comunità attraverso nuove forme di partecipazione garanti della rappresentanza la più estesa, capace di coinvolgere tutti i soggetti del sistema. In questo quadro il principio di autogoverno costituisce un complemento indispensabile del pluralismo sociale e si esalta nel federalismo. Pertanto, lo sviluppo del concetto e la pratica attuazione della nozione di federalismo deve valere ad assicurare la complessiva governabilità e l’efficienza delle istituzioni, oltre che a rinsaldare metodi di cooperazione e di solidarietà fra tutti i soggetti operanti all’interno dell’ordinamento della Repubblica.

E’ chiaro che la fase d’avvio della riforma costituzionale delle regioni costituisce un momento essenziale di verifica politica sulla reale volontà di incidere profondamente nel sistema istituzionale. E’ qui che si potranno collaudare le inedite possibilità di un’azione regionale impegnata nella migliore ed innovativa impostazione della riscrittura degli statuti e dei regolamenti regionali in senso autonomistico e federalista, non scevra della ricerca di più adeguate ed incisive forme di intesa e di collaborazione con lo Stato, con il Parlamento e con una nuova attenzione all’Unione europea.

La ricerca di un equilibrato percorso perché il legislatore statale e quello regionale perseguano il risultato dell’adeguamento dei principi e dei metodi della legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento in corretto rapporto con il principio di sussidiarietà è un buon segnale per tutti, e pertanto abbiamo apprezzato, come presidenti dei consigli regionali, l’iniziativa della Camera dei deputati e del Presidente Violante.

Si ritiene perciò di non poter prescindere dalla necessità che quanto qui stamani si discute sia propedeutico alla creazione di appositi canali informativi per un permanente omogeneo criterio di studio, di approfondimento e di confronto sui metodi della legislazione statale e regionale. Sui grandi temi della qualità delle leggi e su quelli concernenti la semplificazione e il riordino normativo appare ineludibile riaprire un confronto e cercare soluzioni adeguate. Certamente l’adeguamento di principi e metodi della legislazione dello Stato alle esigenze dell’autonomia e del decentramento è appena agli albori, d’altronde, e non è stato neanche compiutamente attuato il principio contenuto nell’articolo 118 della Costituzione, che vuole le regioni a loro volta non accentratrici di compiti e di funzioni.

Le problematiche cui né il Parlamento né le regioni possono oggi sottrarsi sono suscitate dalla significativa modificazione del testo costituzionale introdotta dalla legge di riforma 22 novembre 1999, n. 1, e da quanto si va predisponendo peraltro anche per le regioni a statuto speciale, che forniscono però anche un punto fermo di partenza per la trasformazione del paese e per l’individuazione di nuovi ruoli cui strettamente si correlano le giuste attenzioni sui contenuti e sulla qualità della produzione legislativa.

Le riflessioni che in questo scenario occorre fare investono certamente quattro precisi quadri, dei quali il primo si pone per alcuni aspetti pregiudiziale agli altri ed attiene alla forma di governo che ciascuna regione riterrà di darsi; il secondo riguarda i nuovi rapporti fra organi regionali alla luce delle rispettive funzioni e come queste si debbano estrinsecare e riversare sul territorio in un rinnovato rapporto con le autonomie locali; il terzo è certamente la forma e la qualità della normazione; l’ultimo, ma non per rilevanza, è la necessaria e chiara ridefinizione della normativa statale che si attagli al processo innovativo.

La rimozione del vincolo dell’esclusività del potere normativo in capo al consiglio regionale contribuirà a liberare le assemblee da discipline di dettaglio ma non mancherà di creare zone di incertezza nei confini che distinguono le diverse sfere di autonomia legislativa e regolamentare.

E’ risaputo che nell’esperienza e nella prassi regionalistica la funzione regolamentare ha avuto un ruolo piuttosto marginale. La netta propensione per la via legislativa era dovuta non tanto a problemi di competenze o di procedure, quanto all’opportunità di disporre di una fonte primaria avente maggiore forza giuridica. Non è da escludere che la redistribuzione delle competenze normative all’interno degli organi regionali conseguente alla riforma dell’articolo 121 della Costituzione si presti al rischio di reciproci sconfinamenti, nel senso che l’attività legislativa non si limiti alla disciplina delle grandi questioni, mentre la normativa secondaria potrebbe invadere il campo della legislazione. La riscrittura degli statuti e dei regolamenti interni dovrà chiarire molti di questi aspetti problematici per evitare confusione di ruoli ed introdurre regole a presidio della qualità della produzione normativa regionale. Discusse questioni riguardanti il potere regolamentare, che avevano perso interesse per il fatto che tutta la potestà normativa era stata a suo tempo riferita al consiglio regionale, potrebbero riesplodere e tornare di attualità. Si pensi al problema dei limiti della riserva di legge, alla distinzione tra regolamenti di esecuzione della legge regionale e regolamenti attuativi della legge statale.

La questione della riserva di legge regionale ha condizionato non poco l’espansione della potestà regolamentare in ambito regionale. Certo è che l’attribuzione di un generale potere regolamentare alle giunte, che sarebbe già operante nella fase transitoria secondo una opinabile interpretazione data da alcuni commissioni statali di controllo, pone non pochi problemi di carattere politico, istituzionale e pratico. Mutuare per le regioni ordinarie il sistema di ripartizione bipolare delle funzioni normative tra potere legislativo e potere esecutivo tipico nell’ordinamento statuale non sembra tenere conto delle differenze sostanziali tra i due sistemi e del fatto che solo a livello statale i regolamenti hanno trovato un’organica e puntuale ridefinizione della legge n. 498, che ne ha fissato forme e contenuti. In un sistema in cui si è saldamente affermato l'indirizzo giurisprudenziale, che riconosce alle regioni un'ampia libertà nella scelta della forma di estrinsecazione della loro potestà normativa, ci si troverebbe di fronte a due organi, consiglio e giunta, entrambi legittimati ad intervenire sullo stesso oggetto, l'uno in via legislativa, l'altro in via regolamentare.

Il che comporterebbe delicati problemi di competizione rappresentativa e di scoordinamento delle rispettive discipline. Di qui l'esigenza prioritaria di fissare nello statuto regole univoche sui limiti delle competenze degli organi in modo da evitare dannose sovrapposizioni ed interferenze tra fonti. Sarà comunque la qualità e non la quantità delle leggi il parametro che misurerà la capacità delle assemblee regionali di interpretare il ruolo di ente di legislazione di indirizzo. È necessario oggi pertanto pensare a leggi veramente organiche per ogni materia, ricercare criteri di omogeneità di linguaggio tra le varie assemblee legislative, introdurre meccanismi procedimentali che scoraggino il ricorso a leggi di tipo provvedimentale, inserire accorgimenti per la qualità delle leggi regionali anche mutuando sistemi già introdotti dal regolamento della Camera, tra cui il Comitato per la legislazione, dare spazio alla delegificazione e alla predisposizione di testi unici, rendere funzionali i canali dell'informazione e della comunicazione, porre a frutto le enormi potenzialità che vengono offerte dai sistemi informativi e dalle metodologie più avanzate.

La stretta collaborazione ed il supporto reciproco delle strutture parlamentari e di quelle regionali sono - come ricordava un attimo fa il Presidente Violante - le premesse migliori per ammodernare il nostro sistema generale. Ma questo sforzo comune rischia di affievolorsi nei suoi effetti se ad esso non si accompagna un forte impegno - a livello politico istituzionale, intendo - per portare avanti subito e concretamente il processo di devoluzione delle funzioni dal centro alla periferia, su cui fondano i principi dell'autonomia e di decentramento dell'articolo 5 della Costituzione appena richiamato, anche quale necessaria premessa all'attuazione del processo di delega previsto dal successivo articolo 118.

In una prospettiva realmente federalista le regioni nono possono continuare ad avere una dimensione schiettamente amministrativa. Si deve invece intervenire con incisività sulla qualità dei poteri regionali, segnatamente quelli legislativi, se non si vuole che la competenza legislativa regionale si fermi al livello di una normazione interna ai principi dettati dallo Stato, non in grado come tale di fare scelte veramente innovative. E' questo forse il punto di maggiore sofferenza nei rapporti Stato-regioni, che finisce poi per coinvolgere le relazioni con il sistema delle autonomie. Occorre dunque una regione più libera verso lo Stato e più responsabile delle proprie scelte, ma anche una regione più forte e più aperta alla partecipazione degli enti locali, verso i quali deve avvenire un vero e completo processo di devoluzione delle funzioni amministrative (Applausi). (*) Gli interventi, ove non corretti dagli autori, sono stati rivisti dagli uffici.

Atti dell'incontro

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