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Marco Cammelli


MARCO CAMMELLI,
Professore di diritto amministrativo, Università di Bologna

Le brevi considerazioni che seguono riguardano tre aspetti del problema cui è dedicato l'incontro odierno: a) il rapporto sullo stato della legislazione; b) il metodo seguito e i presupposti da cui muove; c) qualche cenno alle prospettive future.

a) il rapporto sullo stato della legislazione: si tratta di un materiale importante per il risultato ottenuto e per il modo con cui vi si è giunti. Quanto al primo aspetto, è di tutta evidenza l'utilità (a mio parere, determinante) di avere allargato il fuoco della ricognizione aggiungendo alla legislazione nazionale e straniera l'esame della legislazione regionale. Quest'ultima, infatti, non solo rappresenta una quota consistente dell'intera produzione legislativa del nostro Paese, ma costituisce ormai un fattore determinante per il successo o meno delle stesse innovazioni introdotte a livello nazionale.Altrettanto importante è il come si è giunti al rapporto, vale a dire la collaborazione tra l'Osservatorio della Camera dei deputati, l'Osservatorio legislativo interregionale e la ricerca svolta dall'Istituto regioni del CNR.
Nel merito, va sottolineato l'intreccio tra tipologie di leggi regionali (rapporto Istituto regioni) e analisi delle politiche settoriali (Osservatorio Camera e interregionale), fondamentale perché mette in luce che oltre agli atti (legislativi) vi sono processi (decisionali di settore) che interagiscono con una complessità assai maggiore di quella abitualmente riconosciuta. Tali processi, infatti, non sono ordinabili secondo il modello elementare del passaggio dall'alto al basso e dal generale al particolare, tutt'ora prevalente nella concezione di larga parte degli attori politici e istituzionali, ma risentono in misura almeno corrispondente (e talvolta, maggiore) di dinamiche generate in via autonoma dal sistema regionale-locale.
Si tratta di elementi in alcuni casi comuni a tutte le regioni, in altri limitati ad un determinato contesto, ma comunque sempre diversi (e talvolta confliggenti) con quelli valutati nelle decisioni assunte a livello nazionale. La loro mancata considerazione è dunque indice di un deficit: o di autonomia (riserva del loro apprezzamento all'autodeterminazione del sistema locale) o di una necessaria collaborazione (rappresentazione e valutazione al centro di tali variabili).
Segno di un problema, cioè, esattamente al centro dell'iniziativa assunta dalla Camera dei deputati e dalle Assemblee regionali.

b) il metodo seguito e i presupposti da cui muove.

Se questi sono (alcuni dei principali) problemi che il rapporto Stato/Regioni si trova ad affrontare sul piano della funzione legislativa, allora non si può che condividere il presupposto da cui muove l'intera ricerca, il fatto cioè che l'autonomia in un ordinamento unitario è contrassegnata da due attributi egualmente necessari: la complessità (vale a dire l'accettazione di esiti diversificati generati dalla molteplicità di processi decisionali) e l'elemento di sistema (l'innesto di questi ultimi in un tessuto generale unitario). Con un corollario importante: che tutto ciò non è affidabile solo all'armonia, verificabile ex post, del rapporto tra atti legislativi ma va perseguito, direi principalmente, con strumenti procedurali e conoscitivi operanti ex ante.

In questo senso, le condizioni di crisi o la vera e propria rottura non si realizzano nel momento della condotta attiva (legge regionale illegittima) o passiva (inadempimento) di una assemblea regionale, anche se queste ne sono le espressioni manifeste: si verificano prima, all'interno di un processo decisionale che non ha saputo rappresentare al centro le variabili più significative del contesto locale o che ha portato a sottovalutare, in sede regionale, gli aspetti di sistema connessi all'intervento. Stando così le cose, non c'è alcun dubbio che è su questo terreno che va portata l'attenzione dei centri di ricerca e l'iniziativa degli attori istituzionali.

Questo, d'altronde, mi pare essere il significato attuale dell'art.5 Cost. e del suo richiamo all'adeguamento dei principi e dei metodi della legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento, con due importanti precisazioni:

  • - per la prima, identiche considerazioni vanno effettuate anche in merito alla legislazione regionale e al rapporto tra quest'ultima e l'autonomia regolamentare e amministrativa degli enti territoriali: poiché, come è indubitabile, l'art.5 Cost. pone un principio che vale per tutti e si riferisce non solo ai rapporti tra Stato e regioni ma alla "Repubblica" che si riparte, appunto, in regioni, province e comuni. Si tratta di un versante che è sempre stato delicato, ma che è destinato a diventare decisivo negli anni a venire in occasione della attuazione del d.lgs. 112/1998 e delle restanti riforme amministrative;
  • - la seconda, a mio giudizio altrettanto importante, consiste nel fatto che a ben guardare l'adeguamento della funzione legislativa non dovrà riguardare solo le relazioni tra livelli istituzionali di governo ma l'intero rapporto tra legislazione (o, se si vuole, normazione, per comprendere anche le "leggi" degli enti minori) e amministrazione. Anche qui, infatti, si pone in modo similare un problema di integrazione di processi e di qualificazione e autolimitazione di contenuti normativi, perché in un sistema amministrativo segnato, come il nostro sta facendo, dall'orientamento al risultato e da estesi momenti di integrazione consensuale (tra soggetti pubblici e tra pubblico e privato) è necessario che la normazione sappia ripensarsi a fondo per definire le regole del processo decisionale e lasciare, nello stesso tempo, ad altri momenti le scelte ulteriori.

E questo è ottenibile con un più di collaborazione (informativa, procedimentale, ecc.) prima e un meno di prescrizioni specifiche (nei contenuti normativi), poi.

c) qualche ipotesi sulle prospettive future. Se queste considerazioni sono condivise, mi pare che si debba proseguire il cammino intrapreso e battere con ancora più decisione la strada della collaborazione sia a livello istituzionale che tecnico: per il primo, nel prendere nota delle recente possibilità di innesto dei rappresentanti del sistema delle autonomie nei lavori parlamentari, va dato atto della esperienza decisamente positiva offerta in questi anni, proprio su questo terreno, dai lavori della Commissione parlamentare per l'attuazione della riforma amministrativa; sul secondo, mi sembra confermata l'utilità della strada intrapresa e cioè il lavoro integrato di istituti di ricerca e strutture delle assemblee. E' quanto si è fatto in questa occasione e, mi auguro, si proseguirà a fare.

Ma tutto questo richiede anche che gli statuti che le Regioni stanno elaborando in questi giorni prevedano l'inserimento di organismi in grado di svolgere, all'interno delle assemblee, quelle funzioni di verifica preventiva, di richiamo dell'esperienza passata, di garanzia di coordinamento (tra discipline) e di coerenza (all'interno dello stesso atto) che, salvo l'esperienza di recente avviatasi all'interno della Camera dei Deputati, è oggi largamente assente, pregiudicando in tal modo (a tutti i livelli) buona parte di quello che si è detto.

Data la natura dell'incontro odierno, vorrei concludere sottolineando che la valorizzazione di questi organismi non toglie nulla alla politica: anzi, evita che là dove quest'ultima è limitata o assente (per la specificità o tecnicità dell'argomento, per la mancanza di evidenti interessi generali in gioco, o altro) il processo di produzione normativa resti ostaggio dei gruppi di pressione e delle spinte settoriali e corporative.

Il rafforzamento del processo legislativo e la collaborazione tra le assemblee può servire anche a questo.

Fine contenuto

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