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Massimo Villone


PRESIDENTE. Avverto che il presidente Meloni, impossibilitato ad intervenire, ha inviato un testo scritto. Possiamo dunque passare alla fase conclusiva. Il primo intervento è quello del senatore Villone.

MASSIMO VILLONE, Presidente della Commissione affari costituzionali del Senato della Repubblica. Comincerei con il dire che è opportuno ragionare sull’assunto che la riforma in chiave cosiddetta federale (tralascio ogni commento sull’ipotesi che sia appropriata o meno questa definizione) sia approvata, perché penso che così sarà. Quindi mi pare utile svolgere qualche considerazione e raccogliere gli spunti che sono venuti stamattina su questo versante. Credo in particolare che questa riforma inciderà non poco, come è emerso anche da molti interventi, proprio sul tema di cui oggi discutiamo. Per vari aspetti, dei quali mi limito a ricordarne solo alcuni.

Anzitutto il punto della legislazione concorrente. Qui sono state manifestate opinioni diverse e si è anche detto che questa scelta può costituire un problema. Devo dire che credo anch’io che possa essere un problema. Sicuramente con questo strumento abbiamo scelto una via che oggettivamente aumenta la complessità del sistema. Questo lo diceva Cassese in apertura. Per la verità tale argomento andrebbe contro qualsiasi scelta di autonomia, quindi di per sé non è conclusivo. Però qui siamo di fronte ad una scelta che può essere senz’altro ritenuta discutibile per altri versi. Abbiamo una nozione scivolosa, abbiamo l’uso di un termine che tra l’altro richiama espressamente uno dei punti più deboli dell’esperienza regionalistica fin dal suo inizio, forse uno dei passaggi che maggiormente hanno determinato in senso negativo l’evoluzione dell’esperienza regionalista.

Il collega Lombardi prima diceva – e in questo non ha torto – che però la legislazione concorrente di cui si parla ora può essere altro. Può darsi che sia così, però a me pare che sia comunque un terreno dove si sta in due (questo mi pare che alla fine non si possa negare), con tutte le questioni che ineriscono ai confini, con l’inevitabile tendenza all’aumento del carico normativo in uscita, perché ovviamente ciascuno dei soggetti interessati cercherà di coprire normativamente il maggior spazio possibile. In questo concetto, anche per il notevole rilievo delle materie che tocca, si concentrerà la competizione tra sistemi politici regionali e sistema politico nazionale. Infatti, poiché in questi ultimi anni certamente abbiamo grandemente rafforzato la soggettività politica delle regioni, non possiamo pensare che ciò rimanga senza conseguenze. Il che vuol dire che giustamente il ceto politico regionale, chi governa o rappresenta le regioni, pretenderà di coprire con le proprie scelte il maggior spazio possibile, anche dal punto di vista normativo.

Badate che non è una censura; do per scontato che accada e ritengo giusto che accada. Ma allora forse non era utile una scelta di questo tipo; era utile invece una scelta che andasse più nel senso della chiara distinzione delle competenze.

Temo che andiamo a mantenere lo stesso problema di oggi, quello che richiamava il collega Cerulli Irelli dicendo che il Parlamento non rispetta le regioni. E’ verissimo. In questa legislatura abbiamo avuto la continua esperienza di vivere l’attuazione delle leggi Bassanini e il ritorno nelle sedi parlamentari di tante minute leggine che cercavano di rioccupare il medesimo spazio. Ma queste cose non succedono per caso. Il Parlamento non rispetta le regioni non perché ci sia qualche malvagio istinto che lo spinge a comportarsi in questo modo, ma perché è inevitabile che questo accada quando si hanno mille parlamentari di collegio, che quindi esprimono interessi minuti che portano avanti come possono, evidentemente anche con la presentazione di proposte di legge.

Nella Commissione affari costituzionali del Senato abbiamo abusivamente svolto una sorta di funzione di filtro esprimendo parere negativo sulla costituzionalità di tante minute iniziative legislative proprio in relazione alla complessiva tendenza nel rapporto Stato-regione, e quindi in qualche modo abbiamo tutelato le leggi Bassanini negando il parere sulla costituzionalità. Ciò ha significato non poter procedere in sede deliberante e in tante occasioni ciò ha comportato che molte proposte di legge sono morte per strada. Ma sia chiaro che queste conseguenze si sono prodotte di fatto, perché nessuna norma ce ne dava il potere; ed è accaduto e molti si sono arrabbiati per questo. Io credo che abbiamo fatto bene, ma questo vuol dire che occorre pensare a momenti di filtro, che possono essere gli stessi pareri di costituzionalità espressi dalla Commissione affari costituzionali oppure una specifica funzione affidata ai Presidenti delle Assemblee; diversamente ci troveremo in gravissima difficoltà. Se non governeremo questo processo, potremo avere un notevole maggior carico normativo.

Il collega Lombardi ha osservato – ed è una conseguenza che si può verificare come sviluppo di sistema – che una diversa lettura del concetto di legislazione concorrente e una Corte costituzionale attenta e rigorosa potrebbero fare la differenza. Questo è giusto; e può darsi che accada, anzi speriamo che accada. Io però dubito che alla fine sia un meccanismo che riesce a chiudersi, perché vedo aggirarsi qui anche un altro problema su cui ci siamo consumati molto nella Commissione bicamerale, che è quello degli interessi nazionali.

Si è fatta la scelta di cancellare questa formula, e io penso che sia stato un errore, perché ci troveremo gli interessi nazionali in tutte le salse: era meglio disciplinarla. Nella nostra esperienza gli interessi nazionali hanno costituito limite interno alla legislazione e fondamento di competenza statale e quindi di ritaglio delle competenze legislative regionali. Voi pensate che semplicemente non menzionando gli interessi nazionali si arrivi alla conseguenza che laddove ce ne sia veramente bisogno il legislatore statale sia impedito dall’intervenire; penso che sbagliate. Nei margini di ambiguità, nei confini incerti, ci rivedremo spuntare gli interessi nazionali sostenuti da qualche argomentazione di potere implicito o cose di questo genere, semplicemente perché quello diventa un punto su cui si scarica una pressione di sistema non resistibile; molto meglio sarebbe stato disciplinarlo in modo espresso, definendone chiaramente i limiti e la portata. E’ stata la mia tesi in sede di Commissione bicamerale ed è la mia tesi ancora oggi: è stato un errore la scelta che si è conclusivamente operata.

Vi è un complesso di questioni che certamente vanno nella direzione di una scelta di integrazione, come è stato giustamente osservato, che può essere più o meno positivamente valutata. Personalmente ritengo che in una fase di grande incertezza nello sviluppo del sistema politico, in un momento nel quale il sistema politico-istituzionale non ha ancora trovato una sua nuova stabilità, alla scelta di integrazione avrei preferito una scelta nel senso della chiarezza del riparto delle competenze. Ma, visto che le cose stanno così, credo che comunque bisogna trarne alcune conseguenze. Mi pare che dall’appuntamento odierno siano emerse anche alcune indicazioni utili. Anzitutto quelle che sono venute già in apertura, cioè il suggerimento che esperienze come quella di questo tavolo siano mantenute e consolidate. Devono essere guardate con attenzione – e per quanto riguarda il Senato certamente ce ne sarebbe la massima disponibilità – tutte le iniziative congiunte, anche dirette a coinvolgere le due Camere contestualmente, in modo da governare con maggiore efficacia un processo che è sicuramente molto complesso e difficile.

Queste sono iniziative alle quali occorre prestare la massima attenzione e sulle quali esprimo senz’altro un parere positivo. L’obiettivo di tali iniziative deve essere a mio avviso tutto ciò che potrà ridurre il carico complessivo di norme che poi graveranno sul sistema. Lo diceva Cassese inizialmente, ma non solo lui: c’è stato chi ha detto in modo chiaro che il carico normativo è alla fine un costo per il sistema. Sono assolutamente d’accordo con questa osservazione. Inoltre il collega Cerulli Irelli osservava che non è vero che se si delegifica ma si mantiene in piedi un apparato normativo si fa bene: qualche volta si fa male. Noi dobbiamo invece puntare a mantenere al minimo il carico complessivo di normazione, tenendo conto che ancora una volta l’innovazione che introduciamo cambierà la normazione regionale almeno sotto due profili, quello quantitativo (naturalmente ci saranno più leggi regionali) e quello qualitativo (la legislazione regionale diventerà meno caduca, più permanente, per così dire). Fin qui infatti la legislazione regionale è stata molto spesso di vita corta, ma ciò perché era legata al modo di essere della regione, ente erogatore di spesa, quindi si trattava spesso di legislazione di mera copertura. Adesso invece si tratta di legislazione che va nel merito delle questioni, di leggi “vere”, quelle che rimangono nei codici a lungo.

Da questo punto di vista mi sembra dunque da perseguire tutto ciò che tende a ridurre al minimo il carico complessivo delle norme che gravano sul sistema. Come anche deve essere perseguito tutto ciò che possa privilegiare i momenti preventivi di confronto, di sintesi e anche di natura tecnica rispetto alla decisione politica conclusiva. Non credo invece – esprimo una mia personale opinione – alla sovrapposizione delle tecnicalità alla scelta politica. Se c’è un problema politico non si risolve attraverso la verniciatura della scelta tecnica. So di dire una cosa che fa dispiacere a molti, ma in questo ambito inserisco anche soluzioni come quella del Comitato per la legislazione. Poiché questo organo ha una composizione paritetica, o la scelta è puramente tecnica, e in questo caso vale di più un buon ufficio legislativo o un comitato di supporto tecnico ma non necessariamente composto da parlamentari; oppure la scelta è politica, e allora la composizione dell’organo è sbagliata perché non vedo quale scelta politica vera si possa assumere in un soggetto a composizione paritetica. In questo senso mi sembra una di quelle cose a metà, che non possono dare un buon risultato né in un senso né nell’altro.

Credo che dobbiamo fare lo sforzo di accompagnare l’innovazione normativa con un po’ di fantasia anche dal punto di vista dell’organizzazione tecnico-burocratica di supporto al lavoro legislativo, sia sul versante del Parlamento sia su quello delle regioni. Potrebbe forse essere utile la scelta della Commissione per gli affari regionali, nella quale anch’io vedo una notevole potenzialità e spero che si riesca a realizzare. Il problema di fondo è che dobbiamo cercare di governare tutto questo nel mentre si creano nuove prassi, nuove linee interpretative, facendo emergere nuove linee giurisprudenziali, in un momento di perdurante stabilità politica e istituzionale. Questo mi pare che in fondo sia il vero e più difficile problema che ci troviamo davanti.

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