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Sabino Cassese


PRESIDENTE. Do ora la parola al professor Cassese. Avverto che il professor Cammelli, il professore De Siervo e il presidente del Consiglio regionale della Lombardia, Fontana, impossibilitati ad intervenire, hanno inviato un testo scritto.

SABINO CASSESE, Professore di diritto amministrativo presso l’università “La Sapienza” di Roma. L’8 pluvioso dell’anno secondo il Comitato di salute pubblica rimetteva alla Convenzione un rapporto sugli idiomi. Vi voglio leggere un brano di questo rapporto. “Il legislatore parla una lingua che quelli che debbono eseguire ed obbedire non intendono. Voi avete deciso di inviare le leggi a tutti i comuni della Repubblica ma questo beneficio è perduto perché le leggi non vi sono capite. Il Comitato ha pensato di proporre l’invio di un istitutore di lingua francese incaricato di insegnare a tutti i cittadini a leggere le leggi, i decreti e le istruzioni della Convenzione. La Francia insegnerà ad una parte dei cittadini la lingua francese nel libro della dichiarazione dei diritti”.

Sono passati due secoli e lì si avviano ad avere in una cinquantina di codici tutte le leggi; noi dobbiamo soltanto accontentarci dell’articolo 5 della legge 27 luglio 2000, n. 212, nella quale si cerca di “assicurare la completa ed agevole conoscenza delle leggi”. Ho citato un brano di una legge che riguarda peraltro solo il settore tributario. Pochi paesi hanno tante disposizioni normative quanto l’Italia, pochi paesi hanno tanto pochi codici pubblici, pochi paesi hanno tanti codici privati, che naturalmente suppliscono all’assenza di codici pubblici, pochi paesi hanno poca certezza del diritto come l’Italia.

La diagnosi essendo stata fatta più volte, vorrei destinare i sette minuti che mi sono stati assegnati ad enunciare sette proposizioni, che riguardano non la politica legislativa ma la tecnica legislativa; sette proposizioni che riguardano, le prime due, lo stock delle leggi e, le altre cinque, il flusso delle leggi. Dando l’avvertenza che, se non si riguarda lo stock e il flusso delle leggi, e cioè se non si fa una politica generale della tecnica legislativa, si commette l’errore che hanno commesso recenti governi, che si vantano di aver realizzato la semplificazione di 180 procedimenti amministrativi, dimenticando che nello stesso tempo se ne complicano altri 200 e che comunque i procedimenti in vigore, nella sola amministrazione statale, sono poco più di 5 mila, e quindi quei 180 sono una goccia nel mare.

La prima proposizione è semplice ed è: codificare, e codificare sul serio. Prendete l’esempio del recente testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, la legge 18 agosto 2000, n. 267. E’ un finto testo unico perché non è l’unica legge che riguarda gli enti locali. Prendete invece il codice delle collettività locali, cioè l’equivalente di questo emanato due anni fa in Francia, e vi troverete tutte le norme che riguardano gli enti locali.

Si dice: è difficile codificare. Non è vero. Una sola persona, Massimo Annesi, per circa cinquant’anni ha fatto quasi tutti i codici delle leggi sul Mezzogiorno. Si può dire che c’era la Banca d’Italia alle spalle, ma abbiamo un testo unico delle leggi in materia di credito di banca che da solo ha abrogato 140 leggi esistenti e che tuttora costituisce la base dell’intera normativa in materia, rendendo agevole, per l’utente e per l’amministrazione, l’utilizzazione di queste norme. Il ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica tre mesi fa ha incaricato me ed altre persone, alcune delle quali qui presenti, di redigere un testo unico delle leggi sull’università che è praticamente fatto, non ci sono voluti anni di lavoro.

Seconda proposizione e quindi seconda raccomandazione. Vi sono codificazioni che ormai vengono fatte in campi in cui vi è autonomia, come per esempio le regioni, i comuni e – perché no? – le università. E allora queste codificazioni devono semplificare e riconoscere l’avvenuta abrogazione di norme in virtù del principio dell’autonomia. Badate bene, non sto parlando di abrogare ma di riconoscere la già intervenuta abrogazione di norme a causa del riconosciuto principio di autonomia. Ecco un modo concreto per rendere utile la cooperazione, di cui parliamo, tra Stato e regioni: che lo Stato innanzitutto codifichi norme riconoscendo contemporaneamente il principio dell’autonomia e quindi l’intervenuta abrogazione di norme statali. La commissione di cui parlavo poc’anzi ha anche redatto una relazione, che tra breve sarà resa pubblica, in cui spiega il percorso che è stato seguito e che sarà utile qualcun altro segua.

Terza proposizione: che le nuove norme siano sempre scritte con il criterio della sostituzione. Il comma 4 dell’articolo 2 della legge 27 luglio 2000, n. 212, reca: “Le disposizioni modificative di leggi devono essere introdotte riportando il testo conseguentemente modificato”. Ma perché il Parlamento approva una legge di questo tipo solo per il settore tributario e non l’approva per tutti i settori? Perché non si comporta di conseguenza? Questa è una legge della Repubblica italiana, e peraltro sarebbe utile che fosse una norma di carattere generale, sicché praticamente ogni nuova norma andrebbe a sostituirsi nel luogo della norma precedente. E più si fa così più sarà possibile fare così.

Quarta proposizione: che nuove norme siano sempre scritte con il criterio dell’assorbimento delle norme precedenti. Cioè che non si leggano più norme del tipo “Il provvedimento della pubblica amministrazione di cui all’articolo 3 della legge del 1833, come modificato dall’articolo 7 dalla legge del 1927, è ulteriormente modificato”. Non ci vorrebbe molto, anche perché un primo passo è già stato compiuto: cito questa volta il comma 3 dell’articolo 2 della legge n. 212 del 2000 che dice, un po’ timidamente: “I richiami di altre disposizioni si fanno indicando anche il contenuto sintetico della disposizione alla quale si fa rinvio”.

Notate quanto si procede timidamente, perché si parla ancora di un richiamo, mentre una nuova norma non dovrebbe richiamare una norma precedente: dovrebbe assorbirne i contenuti prescrittivi in modo da non costringere il cittadino italiano ad essere necessariamente un’arca di scienza in materia di diritto. E vi assicuro che anche arche di scienza cadono su queste cose. Quinta proposizione. Qualche anno fa è stato calcolato che, se ogni nuova norma si preoccupasse di un compito modesto, e cioè di abrogarne altre dieci o venti, in un arco lungo o lunghissimo di tempo, tra i trenta e i cinquant’anni, riusciremmo ad avere un numero di leggi pari a quello degli altri paesi europei con i quali di solito ci confrontiamo. Ma anche senza avere questo obiettivo ambizioso, non potrebbe ogni nuova legge abrogarne almeno cinque o sei di quelle precedenti facendo un po’ di piazza pulita? Ecco, questa mi pare una buona ricetta di cucina per portare il discorso sul concreto.

Sesta proposizione. Non ci illudiamo, con la moltiplicazione dei centri di legislazione e con l’aumento dei compiti delle regioni si moltiplicheranno le leggi, non diminuiranno. Ma se non ci facciamo illusioni, guardiamo al di là della punta del nostro naso e quindi cominciamo a pensare a codificazioni conoscitive di atti normativi nazionali e di atti normativi regionali. Perché dobbiamo costringere sempre il cittadino a fare, come dire, il va e vieni tra i vari livelli di governo? Vi rendete conto quanto sarà difficile in futuro, con l’ampliamento delle funzioni regionali, sapere in una certa materia dove è collocata la norma, a livello nazionale o a livello regionale? Non sarebbe più semplice, a titolo puramente conoscitivo, fare, non chiamiamoli neppure codici, ma compilazioni di atti, compilazioni che naturalmente dovrebbero recare la fonte da cui provengono le singole prescrizioni? La mia ultima proposizione.

Dato che ho cominciato con la fine del settecento mi sposto alla metà dell’ottocento, epoca nella quale una testa calda osò scrivere che i filosofi fino a quel momento avevano interpretato il mondo e che era ora di cominciare a cambiarlo. Io che non sono così testa calda come quel signore vi proporrei una piccola variante di quella proposizione, che suona più o meno così: noi studiosi e voi politici finora abbiamo parlato della codificazione e della semplificazione, sarebbe ora di farla.

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