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Antonio Maccanico


ANTONIO MACCANICO, Ministro per le riforme istituzionali. Ringrazio il Presidente per questa occasione di incontro, che ci consente di discutere su temi importanti e vitali per il nostro ordinamento.

Sono stati presi in esame diversi argomenti; personalmente mi limiterò ad alcune osservazioni su tre ordini di questioni. È chiaro che in una fase di mutamento della forma di Stato (stiamo creando uno Stato con forti autonomie, di tipo federale) la molteplicità delle fonti normative è un fatto inevitabile nel momento in cui si procede all'integrazione europea. Dobbiamo quindi rassegnarci ad un fenomeno di molteplicità delle fonti normative. Qui ovviamente si pone un problema: come raccordare queste fonti normative; come fare in modo che non siano motivo di conflitto permanente, ma siano reciprocamente armonizzate.

Recentemente il Governo si è fatto carico del problema della normativa comunitaria - in particolare dei regolamenti e delle direttive comunitarie - presentando un disegno di legge di revisione abbastanza radicale della legge La Pergola sul recepimento delle direttive comunitarie. Si tratta di una proposta abbastanza radicale, perché per un verso - per la parte discendente – esalta la possibilità offerta dall’articolo 17 della legge n. 400 (recepimento per via regolamentare), per fare in modo che l'Italia non rimanga troppo indietro nel recepimento delle direttive; d'altra parte il disegno di legge rivede in maniera molto approfondita anche la fase ascendente, nella quale si partecipa all'elaborazione della normativa comunitaria. In questa fase è messo in rilievo il ruolo delle regioni. Infatti da un lato è previsto per il Governo l'obbligo di informare puntualmente e tempestivamente il Parlamento su ciò che sta maturando a livello comunitario (in termini di regolamenti e di direttive), dall’altro quando le materie sono di competenza regionale anche le regioni vanno coinvolte in questa fase preliminare, con una loro presenza nelle sedi comunitarie in cui si elaborano queste normative.

A me pare che il disegno di legge vada nella direzione giusta, anche se naturalmente il Parlamento potrà ancora migliorarlo. Non credo che sarà approvato durante la presente legislatura, però costituisce un contributo che sarà di orientamento nella prossima legislatura. Il testo è molto importante anche perché contiene un’altra innovazione: per le direttive comunitarie che riguardano materie di competenza regionale il recepimento potrà essere realizzato direttamente dalle regioni senza passare dalla mediazione dello Stato. Si tratta – in sostanza - di una revisione complessiva della legge che riguarda questi rapporti, che è stata elaborata tenendo conto dei punti di vista delle regioni.

Il secondo tema sul quale vorrei concentrarmi riguarda la fase per così dire di transizione nella quale ci troviamo. Nella riorganizzazione dello Stato, nel cambiamento della forma di Stato che stiamo realizzando, ci troviamo oggi un po' in mezzo al guado. La legge costituzionale n. 1 del 1999 è un atto di grande importanza, perché oltre a creare una nuova forma di governo attraverso l'elezione diretta del presidente della regione ha enormemente ampliato i poteri di autonomia statutaria delle regioni. Tuttavia questa rivoluzione dell'ordinamento delle regioni non è stata ancora completata con quella che noi chiamiamo la riforma del titolo V della Costituzione, che finora è stata approvata dal Parlamento solo in prima deliberazione. Credo che questo ponga un problema serio, con un grave rischio per le regioni. Infatti se non si procederà all'approvazione di questo disegno di legge le regioni potranno attraversare una fase di incertezza e addirittura - in certi casi - di paralisi.

In primo luogo la revisione degli statuti regionali - che è importante se vogliamo fare in modo che la nuova forma per così dire presidenziale delle regioni abbia effetti anche nella loro capacità operativa - sarà sostanzialmente bloccata, perché nel nuovo ordinamento gli statuti incontrano un solo limite: devono essere in armonia con la Costituzione. Ma se il titolo V della Costituzione rimane così com'è, mi pare assai difficile che si possa imboccare la strada della revisione degli statuti.

In secondo luogo, nel nuovo testo del titolo V si prevede il capovolgimento dell'articolo 117 della Costituzione, fissando le attribuzioni dello Stato e lasciando tutte le altre materie affidate alle regioni, in via concorrente – previa l’approvazione di principi direttivi - o in via esclusiva. Ma come potranno operare e legiferare i nuovi consigli regionali con la camicia di forza del vecchio ordinamento senza avvalersi del nuovo? Mi pare uno dei punti sui quali occorrerebbe riflettere. Infatti il nuovo articolo 117 rappresenta un allargamento di poteri molto forte rispetto al testo attuale, che prevede il vincolo dell’interesse nazionale ed altri limiti sanciti in chiave interpretativa dalla Corte costituzionale (la quale non ha escluso che la legislazione di principio dello Stato possa contenere anche elementi di dettaglio). La nuova formulazione dell’articolo 117 elimina tutto questo e sopprime anche il controllo del Governo sulla legislazione, con effetti diretti sulla capacità di normazione da parte dei consigli regionali.

In terzo luogo, poiché non abbiamo potuto prevedere una revisione del bicameralismo con l’istituzione di un Senato delle regioni, nella riforma è stata prevista la partecipazione dei rappresentanti delle regioni ai lavori della Commissione parlamentare per le questioni regionali, i cui pareri sarebbero obbligatori e superabili solo a maggioranza assoluta. In pratica per le materie di interesse regionale si è determinata in nuce la necessità di leggi organiche.

Gli aspetti che ho sottolineato dovrebbero indurre a mio parere alla più rapida approvazione – in seconda deliberazione – del disegno di legge di riforma del titolo V della Costituzione, altrimenti faremmo un passo indietro nei rapporti fra lo Stato e le regioni, perché si creerebbe una situazione giuridica di incertezza e comunque permarrebbero vincoli molto più forti rispetto a quelli che in realtà sono maturati (quando si arriva a queste decisioni vuol dire che le esigenze hanno spinto verso l’allargamento). È un problema di decisione politica che spero possa essere serenamente affrontato e risolto prima della fine della legislatura.

L’ultimo tema sul quale vorrei soffermarmi riguarda la politica della legislazione. Siamo sempre accusati di avere un eccesso di normazione, un eccesso di leggi. Addirittura si è parlato di 150 mila leggi vigenti in Italia; poi il Servizio studi della Camera ha calcolato che in tutto si tratta di 34 mila: sempre troppe rispetto agli altri paesi europei. Tuttavia anche su questo punto va ricordato che non siamo all'anno zero e che stiamo procedendo abbastanza efficacemente. In proposito vorrei richiamare le iniziative che sono state assunte per la semplificazione e per la creazione di testi unici. Dai dati a disposizione risulta che abbiamo realizzato 5 testi unici, 58 regolamenti di semplificazione e 64 decreti legislativi, che corrispondono a 5 leggi di delega: sono state così abrogate 684 leggi. In sostanza la fase della semplificazione sta andando avanti. Naturalmente gli effetti di questo processo non sono visibili in breve tempo, però la strada è stata imboccata.

L'amico Besostri ha detto che il rapporto fiduciario fra governo e parlamento sembrerebbe essersi capovolto, nel senso che oggi sarebbe il governo ad accordare la fiducia al parlamento. Io non la porrei in questi termini. In realtà i tentativi di delegificazione derivano proprio dal fatto che il Parlamento tende a intervenire - con le cosiddette leggi provvedimento - anche in materie che non sono coperte da riserva di legge. L’articolo 17 della legge n. 400 ha segnato la strada perché si proceda nella delegificazione; il che in questa legislatura per la verità è stato fatto. Qui però esprimo un parere personale: credo la normativa dell'articolo 17 della legge n. 400 non sia sufficiente, perché trattandosi di legge ordinaria non può mai porre un vincolo al Parlamento, cioè il divieto a ritornare con legge anche su materie che sono state delegificate, come spesso è avvenuto. Credo allora che la via maestra sia l’introduzione di una riserva di regolamento in Costituzione: uno strumento già presente nell'ordinamento costituzionale francese.

Credo sia la strada da battere se vogliamo veramente porre un limite alla moltiplicazione dell'intervento legislativo anche nelle materie non coperte da riserva di legge. Infatti l'ambito delle riserve di legge esistente nella nostra Costituzione è veramente molto ampio: penso che non ci sia un’altra Costituzione in Europa con un ambito così vasto di riserva di legge.

Questa sarebbe una strada, dunque. Però senza dubbio non potrebbe metterci al riparo da un eccesso di normazione realizzato attraverso decreti legislativi e regolamenti. Qui sovviene allora un altro indirizzo, relativo al controllo della normazione. In proposito il Governo ha assunto un’iniziativa: la direttiva “AIR” sull'analisi dell'impatto sulla regolamentazione. Si tratta di affidare ad un organismo specializzato l’analisi preventiva dell'impatto della regolamentazione; lo stesso centro dovrebbe essere al servizio anche delle regioni, al fine di impostare un metodo costante per la legislazione, studiare in anticipo gli effetti della norma, scegliere la fonte normativa più adatta. Per ora è solo una direttiva che non ha trovato applicazione, ma mi auguro che in futuro possa essere attuata.

Un altro problema che secondo me va tenuto presente è quello della delega. Siamo chiamati ad affrontare problemi di regolamentazione su questioni sempre nuove e amplissime e credo che sarà difficile anche in futuro sfuggire alla necessità di corpose leggi di delega. Allora mi domando se non sia il caso di mettere a fuoco il problema della delega anche in sede di ordinamento costituzionale, con riferimento a limiti e modi di operatività. Oggi, per esempio, abbiamo deleghe che possono essere esercitate ad oltre due anni dall’approvazione della legge, utilizzando lo strumento dei decreti correttivi. In pratica si è creata una prassi che secondo me richiede uno sforzo di regolamentazione.

In questo modo credo che affronteremo i problemi che ci stanno davanti, che sono veramente molto spinosi. Mi sono soffermato soltanto su tre ordini di problemi; naturalmente ce ne sono altri, ma a questi corrisponde in modo particolare l'attenzione dovuta dalla mia responsabilità istituzionale di Governo. Vi ringrazio.

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