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Elisabetta Catelani


Prof.ssa ELISABETTA CATELANI, “Leggi e regolamenti statali e regionali e loro interrelazioni”. I problemi che si pongono attualmente a livello normativo ed in particolare con riguardo al rapporto fra leggi e regolamenti sono molteplici e dimostrati anche dal fatto che a livello parlamentare si è tentato di elaborare una proposta di legge per la disciplina dell’attività normativa (tema già affrontato nei precedenti incontri), nonché sono stati istituiti organi quali il nucleo per la semplificazione delle norme o comunque procedimenti (quali l’analisi impatto regolamentazione) che consentano di valutare gli effetti della normazione.

Queste possono essere strade sicuramente idonee a risolvere alcuni dei problemi che si profilano, ma in realtà attualmente pare che vi sia una forte incertezza da parte degli stessi organi sulle modalità di emanare i singoli atti normativi, che rende complesso anche individuare le strade per dare più ordine al sistema delle fonti.

Tale incertezza da parte dei soggetti legittimati e nello stesso tempo l’uso non costante di tali strumenti, ha effetti rilevanti anche nei confronti dei privati cittadini, che, in modo diretto o indiretto, sono destinatari di tali atti o semplicemente interessati a conoscerne il contenuto. Pertanto, un intervento sulle modalità di normazione deve tener conto in primo luogo della predisposizione dei mezzi idonei a garantire la conoscibilità di tutti gli atti normativi da parte dei cittadini (se non addirittura di tutti gli atti, anche non normativi, che comunque hanno un’efficacia generale).

Particolare attenzione deve essere prestata comunque al potere regolamentare, che dal 1988 ad oggi ha subito grandi innovazioni, interferendo tuttavia in modo rilevante sulle relazioni interistituzionali.

Se, apparentemente, tale funzione è stata disciplinata in modo preciso dalla legge, sia a livello statale (legge n. 400 del 1988, con le tante modifiche successivamente intervenute), regionale (legge costituzionale n. 1 del 1999), locale (da ultimo, il testo unico enti locali) e con diverse tipologie per le autorità amministrative indipendenti, dall’altro si è avuto un costante incremento con atti legislativi ad hoc delle modalità di esercizio di tale potere regolamentare o non regolamentare affidato al Governo. Cosicché, adesso, il regolamento governativo rappresenta solo una delle forme attraverso cui si esercita la normazione secondaria.

La pluralità dei regolamenti e dei tanti atti normativi sostanzialmente regolamentari determina, tuttavia, innumerevoli problemi di rapporto fra gli atti adottati dai diversi livelli istituzionali.

In particolare, in primo luogo, a livello centrale si pongono problemi di coesistenza fra regolamenti governativi, decreti o regolamenti ministeriali, decreti o comunque atti del dirigente ai fini dell’organizzazione amministrativa. Si pensi in particolare a quel complesso insieme di disposizioni che regola gli uffici ministeriali (l’articolo 17, comma 4-bis, lettere a) e e); gli articoli 6 e 16 del decreto legislativo n. 29 del 1993; l’articolo 4 del decreto legislativo n. 300 del 1999 e temporaneamente anche l’articolo 55 del medesimo decreto legislativo, solo per citare le principali disposizioni in materia).

In secondo luogo, a livello regionale si pongono problemi di interventi statali mediante leggi o regolamenti che distribuiscono competenze o impongono alle regioni l’uso di determinate fonti. Si pensi ad esempio alla più recente versione dell’articolo 20, comma 2, della legge n. 59 del 1997 (legge di semplificazione del 1999, legge n. 340 del 2000), che consente al Governo di intervenire con regolamenti di delegificazione anche sulle materie dell’articolo 117 della Costituzione fino a quando la regione non intervenga direttamente.

Il primo problema che deve essere risolto è dunque quello di evitare, per quanto è possibile, la fuga dalla forma regolamentare (sottolineo fuga regolamentare e non fuga dal regolamento che si poneva all’inizio dell’attuazione della legge n. 400), prevista dall’articolo 17 della legge n. 400. Si pensi, per fare un esempio, che l’articolo 17 non si applica per i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, di autonomia organizzativa e contabile, di bilancio e della Presidenza del Comsiglio, così com’è previsto dal decreto legislativo n. 303; inoltre spesso il ministro sceglie in modo autonomo se dare la forma regolamentare ad atti normativi; infine la stessa legge comunitaria prevede attuazione in via regolamentare od amministrativa, lasciando una scelta al Governo su come attuarlo.

Tale fuga, tuttavia, determina non soltanto l’impossibilità di intervento da parte del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, ma anche l’impossibilità da parte del Parlamento di fissare i criteri della fonte secondaria.

Il problema principale, tuttavia, attiene al rapporto tra normazione statale e normazione regionale, sia con riguardo all’intervento dei regolamenti di delegificazione statale nelle materie affidate alle regioni, sia in riferimento al contenuto della legge statale su materie oggetto di disciplina regionale. Un esempio ci consente di capire meglio il problema ed i riflessi che tale problematica crea sul sistema delle fonti: la legge-quadro sui lavori pubblici, la cosiddetta legge Merloni, all’articolo 3 prevede un’articolata procedura di delegificazione su una materia tipicamente regionale.

Il regolamento emanato in attuazione di tale delegificazione, che quindi è una fonte secondaria, sostanzialmente determina una disapplicazione temporanea della normativa regionale fino a quando le regioni non avranno deciso di adeguare la propria legislazione ai principi desumibili dalla legge. Inoltre, per determinati tipi di lavori come quelli finanziati in modo prevalente da parte dello Stato, si ha una disapplicazione permanente, ossia un’abrogazione sostanziale della normativa regionale, quindi con grossi problemi di rapporto fra Stato e regioni. La confusione, dunque, è grande e forse è utile fornire delle linee con le quali si potrebbero risolvere in parte questi problemi, perseguendo una razionalizzazione delle fonti.

L’ipotesi migliore, ma anche difficile a realizzarsi, è quella di una legge organica sulle fonti, che tuttavia impone un’autorizzazione costituzionale, quindi qualcosa di diverso da quanto ha indicato il professor Cerulli Irelli. In particolare sono tre le strade che mi permetto di suggerire. Il primo strumento è quello di adottare tecniche normative che esplicitino con chiarezza la natura suppletiva di determinate norme, primarie o secondarie che siano.

Il riferimento alla legge-quadro consentirebbe nell’attuazione pratica di distinguere le ipotesi nelle quali l’intervento statale è totale e quale invece deve essere successivamente integrato dalla regione, quindi l’intervento dell’uno e dell’altro sui singoli settori, in definitiva il loro carattere recessivo dinanzi all’esercizio del potere normativo proprio delle regioni.

La seconda soluzione è di intervenire sul corpo normativo della delegificazione, unificando le tante specie emerse. Un’ipotesi potrebbe essere quella di applicare in via definitiva l’articolo 17, comma 2, della legge n. 400 come unico strumento e criterio per la delegificazione, non le tante forme previste.

Terza soluzione potrebbe essere quella di intervenire con i nuovi statuti regionali e con le leggi corrispondenti per gli statuti speciali. Attraverso gli statuti regionali in particolare si dovrebbero definire in primo luogo la tipologia dei regolamenti regionali ed i confini di questi regolamenti con gli atti meramente organizzativi delle regioni.

In secondo luogo è necessario, attraverso questi statuti, arrivare ad una soddisfacente disciplina dei processi di delegificazione regionale. Ultimo aspetto è la necessità di intervenire, attraverso gli statuti, sulla disciplina dei procedimenti di elaborazione dei regolamenti regionali. Infatti risulta ancora incerto dal dettato della legge costituzionale chi e come debba esercitare in concreto tale potere regolamentare, se cioè possa adottare un regolamento il presidente della giunta, o addirittura l’assessore, o invece – soluzione che appare preferibile – soltanto la giunta regionale.

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