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Beniamino Caravita


Prof. BENIAMINO CARAVITA. “Progetti per la collaborazione tra i centri di ricerca specializzati su scala nazionale per la raccolta delle conoscenze sulla formazione degli statuti e regolamenti delle Assemblee regionali”. Ringrazio i Presidenti della Camera e del Senato per l’organizzazione di questo incontro. Cercherò di attenermi agli aspetti molto concreti che caratterizzano il tema che mi è stato affidato; mi sia tuttavia consentita una premessa e alcune considerazioni conclusive, nelle quali traccerò rapidamente qualche meccanismo di interpretazione della legge costituzionale n.1 del 1999.

Personalmente non riesco a far parte di quei settori della dottrina costituzionalista che di fronte a quella legge hanno finora ritenuto di dover sottolineare, e secondo me sopravalutare, i pur evidenti aspetti di imperfezione della tecnica legislativa, ovvero di mancata organicità della riforma. A me pare, invece, che il legislatore costituzionale abbia almeno per una volta adempiuto al suo compito di prendere decisioni politiche che siano non solo formalmente ma anche sostanzialmente costituzionali.

Saranno poi la dottrina e la prassi che si preoccuperanno di sistemare ed attuare adeguatamente e congruamente le decisioni costituzionali assunte dal decisore politico. Certamente, le imperfezioni della n. 1 del 1999 ci sono, ma il legislatore costituzionale non è surrogabile nel suo compito di decisione politica, mentre il compito di sistemazione della decisione politica può forse essere affidato agli interpreti e alla prassi.

La legge costituzionale n. 1 , seguita poi dalla n. 2 del 2001, ha assunto queste decisioni politiche: da un lato ha fissato l’elezione diretta del presidente della regione con i suoi corollari della nomina e revoca degli assessori e della dissoluzione dell’assemblea in caso di sfiducia del presidente o di sue dimissioni (si tratta, come tutti noi sappiamo, di disposizioni immediatamente applicabili); dall’altro, ha garantito l’autonomia statutaria in tema di forma di governo, con le ulteriori specificazioni della sottrazione dello statuto al controllo politico dello Stato, essendo questo subordinato solo al controllo della Corte, e della previsione di un’autonoma potestà legislativa regionale in materia elettorale.

Dalla riforma discende poi, anche se questo fatto non era poi così esplicito nelle scelte del legislatore costituzionale, in modo implicito ma assolutamente evidente la creazione di un ordinamento delle fonti del diritto di livello regionale, di cui andranno verificati il grado di autonomia, le modalità delle connessioni e dei collegamenti con le fonti statali, le possibilità di creare strumenti di garanzia endoregionali dell’una fonte rispetto all’altra (ma questi sono titoli di una ricerca su cui non posso soffermarmi).

Fra il principio maggioritario sotteso all’elezione diretta del presidente della regione e il principio autonomistico, almeno nell’organizzazione e nella forma di governo, vi è in realtà una qualche contraddizione e problematicità, tutta inseribile nella discussione, che ormai in dottrina si sta svolgendo da tempo, sull’ampiezza delle deroghe che il legislatore statutario regionale può apportare alla Costituzione. Le deroghe sono apportabili solo dove la Costituzione prevede esplicitamente la derogabilità delle disposizione in essa previste relative alle elezioni dei presidenti, ovvero con più ampiezza valorizzando la competenza statutaria in tema di forma di governo? Questo è l’interrogativo che aleggia su tutti noi e fondamentalmente sul prossimo lavoro statutario.

Fa parte di quel principio autonomistico nella decisione sulla forma di governo anche la sottrazione dello statuto regionale a controlli politici dello Stato: non vi è più la legge statale di approvazione, ma non vi sono nemmeno forme di garanzia o di controllo politico delle costituzioni regionali, che pure altre esperienze federal-regionali in Europa conoscono. L’unico controllo sugli statuti regionali è il ricorso governativo alla Corte costituzionale.

Ancora non è definito se avvenga prima o dopo l’eventuale referendum; parametro di riferimento è la Costituzione o forse in realtà la sola armonia con la Carta costituzionale; sicuramente, pur ad ammettere una diversa ampiezza e logica argomentativa della Corte costituzionale, questo controllo non potrà sconfinare nel merito politico, dovrà mantenersi sui confini politico-costituzionali e confrontarsi con i problemi di maggiore respiro; non potrà andare in sede di ricorso governativo a controllare i singoli dettagli.

Se questo è il quadro, le regioni oggi o, se si vuole, in prima battuta i consigli regionali sono di fronte ad una svolta a mio avviso cruciale, che avrà riverberi su tutto l’ordinamento costituzionale. Devono darsi propri statuti, senza cedere alla tentazione riduttiva di accettare una logica che li porta a rimanere fermi al diritto transitorio della legge costituzionale n. 1 del 1999 (questo è un problema che aleggia). Devono saper valorizzare strumenti, percorsi e procedure nell’ambito della propria esperienza regionale.

Devono però sapere che essendo quelle rapidamente delineate le modalità di raccordo fra Stato e regioni, la capacità di selezione dei temi e della risposte da darsi nello statuto è tutta affidata al livello di sensibilità regionale.

Da qui discende la necessità di individuare strumenti di coordinamento orizzontale, luoghi dove confluiscano le conoscenze, le esperienze, le ipotesi che da qui ai prossimi due o tre anni verranno discusse a livello regionale. Penso, per esempio, allo scioglimento dei consigli regionali, all’ampiezza del limite di cui all’articolo 126 della Costituzione, agli atti con forza di legge, alla distribuzione della potestà regolamentare, agli strumenti di controllo, allo statuto dell’opposizione.

Solo la circolazione delle conoscenze fra i consigli e il confronto continuo dell’esperienza dei lavori preparatori permetterà di evitare la strettoia tra la tentazione di rimanere ancorati al diritto transitorio e la fuga in avanti verso ipotesi scoordinate o centrifughe.

Allora, la proposta non può che essere quella di individuare un luogo in cui questa attività di coordinamento sia attività di ricerca e scientifica; mi sembra, pertanto, che non si possa non pensare alla necessità di individuare luoghi di ricerca, osservatori, che coordinando le loro forze, offrano alla politica regionale quello strumento di coordinamento e di circolazione delle conoscenze indispensabile per far avanzare in questo momento la fase dell’autonomia statutaria.

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