Sezione II
Norme sulla giurisdizione

(Artt. 129-133)

Art. 129
(Principio di offensività. Divieto di interpretazione analogica o estensiva
in materia penale. Riserva di codice)

Le norme penali tutelano beni di rilevanza costituzionale.

Non è punibile chi ha commesso un fatto previsto come reato nel caso in cui esso non abbia determinato una concreta offensività.

Le norme penali non possono essere interpretate in modo analogico o estensivo.

Nuove norme penali sono ammesse solo se modificano il codice penale ovvero se contenute in leggi disciplinanti organicamente l'intera materia cui si riferiscono

Contenuto

Principio di offensività. Divieto di interpretazione analogica ed estensiva in materia penale. Riserva di codice.

Il primo e il secondo comma del testo approvato dalla Commissione propongono la costituzionalizzazione del principio di offensività - secondo il quale, posto che il diritto penale trova legittimazione soltanto nella tutela di beni socialmente rilevanti (cfr. primo comma), ai fini della sussistenza di un reato non basta la realizzazione di un comportamento materiale, ma è necessario che tale comportamento leda o ponga in pericolo beni giuridici (cfr. secondo comma).

Le disposizioni in esame si rivolgono quindi sia al legislatore (primo comma) che alla giurisdizione (secondo comma) e sono tra loro strettamente e funzionalmente connesse. Esse, in sostanza, propongono la costituzionalizzazione quei principi che si compendiano nella formula "diritto penale minimo".

Va rilevato che il primo comma si riferisce alla nozione di beni "di rilevanza" costituzionale che, quindi, non devono essere espressamente menzionati nel testo costituzionale. Rimane pertanto aperta al legislatore ordinario la possibilità di sanzionare penalmente l'offesa anche di beni o interessi che, seppur non espressamente contemplati nella Costituzione, siano funzionalmente collegati alla salvaguardia di quelli, invece, espressamente menzionati nella stessa.

Il terzo comma reca il divieto di interpretare analogicamente o estensivamente le norme penali.

Il divieto di interpretazione analogica delle norme penali è già previsto dalla legislazione ordinaria (v. art. 14 preleggi), mentre non è espressamente contemplato dalla Costituzione. La dottrina prevalente ritiene, tuttavia, che esso debba intendersi ricompreso nel principio di legalità (v. secondo comma art. 25).

Per quanto riguarda invece, il divieto d'interpretazione estensiva, non espressamente previsto né dalla normativa costituzionale né da quella ordinaria, occorre rilevare che la stessa Corte costituzionale ha in sostanza ritenuto che, alla stregua delle disposizioni costituzionali vigenti, sia consentito il ricorso all'interpretazione estensiva in materia penale (v. le sentenze n. 79/1982, n. 120/1965 e n. 27/1961).

Sul punto, infine, appare opportuno precisare che non sembra potersi sostenere che una eventuale ed espressa previsione in Costituzione del divieto di interpretazione estensiva sia suscettibile di vietare il ricorso a tale modalità di interpretazione in ordine alle norme cosiddette di favore; infatti (secondo la dottrina) il divieto di analogia è circoscritto alle norme che operano in malam partem (ossia a quelle che aggravano la posizione dell'imputato), e non si estende a quelle di favore, in quanto tale divieto è posto in funzione di garanzia dell'individuo e non in funzione di certezza dell'ordinamento. Si deve quindi ritenere che tale ragionamento valga a maggior ragione in ordine all'interpretazione estensiva e che, conseguentemente, il relativo divieto non si applichi alle norme di favore.

Il quarto comma prevede l'introduzione nella Carta costituzionale del principio della "riserva di codice", con il duplice scopo di assicurare la effettiva e concreta conoscibilità della legislazione penale, rendendo peraltro ragionevolmente possibile l'adempimento del relativo obbligo (cfr. art. 5 c.p.) e di porre rimedio all'inflazione legislativa in materia penale.

Dibattito in Commissione

Le norme in questione, unitamente a quelle recate dall'articolo 130, traggono origine dal lavoro del Comitato ristretto che, a sua volta, ha elaborato i testi contenuti nelle proposte di riforma costituzionale assegnate alla Commissione.

Nel testo approvato in giugno dalla Commissione gran parte delle disposizioni contenute dagli articoli 129 e 130 era recata dagli articoli 119 (al terzo, quarto e quinto comma) e 131 (terzo, quarto e quinto comma). Nell'ultima fase dei lavori della Commissione, per una loro migliore collocazione sistematica, si è convenuto d'inserire le norme in due nuovi articoli, in apertura della sezione dedicata alle norme sulla giurisdizione.

Il dibattito in Commissione si è incentrato soprattutto sulla omogeneità dell'art. 129 (e dell'articolo 130) con la parte seconda della Costituzione, oggetto di revisione da parte della Commissione stessa. Si è ritenuto in merito che i due articoli in questione costituissero uno sviluppo (non contraddittorio) dei principi sanciti nella prima parte della Costituzione.


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