Art. 72
(Responsabilità del Presidente della Repubblica)

Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.

In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri. Con legge costituzionale sono regolatele le procedure del giudizio avanti la Corte costituzionale e le sanzioni penali e costituzionali.

Per atti diversi da quelli compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, il Presidente della Repubblica risponde penalmente, secondo la procedura stabilita con legge costituzionale, previa autorizzazione deliberata dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Si applicano le disposizioni di cui all’art. 94.

Contenuto

L’art. 72 riproduce con qualche integrazione la disciplina costituzionale vigente (art. 90 Cost.) in materia di irresponsabilità del Presidente della Repubblica per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni.

Come previsto anche dal nuovo articolo, l'attuale art. 90 Cost. dispone infatti che la responsabilità del Presidente per gli atti compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni sia limitata ai reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione. Il potere di porre in Stato di accusa il Presidente è attribuito al Parlamento in seduta comune, che delibera a maggioranza assoluta dei propri componenti. Il giudizio è pronunciato dalla Corte costituzionale in composizione integrata, ai sensi della disciplina dettata dagli art. 134 e 135, settimo comma, della Costituzione vigente – anch’essa rimasta sostanzialmente immutata (si vedano i successivi artt. 134, lett. e) e 135, ottavo comma, della proposta di riforma).

Lo stesso art. 90 Cost., tuttavia, non tratta altri aspetti rilevanti della responsabilità presidenziale:

- le pene che possono essere comminate dalla Corte;

- la responsabilità penale del Presidente per atti diversi da quelli compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni.

Il testo proposto prevede invece una disciplina di tali aspetti.

L’ultimo periodo del primo comma stabilisce che la legge costituzionale che regola la procedura del giudizio avanti alla Corte costituzionale individui anche le sanzioni penali e costituzionali comminabili per i reati presidenziali di alto tradimento e attentato alla Costituzione. Si vuole cioè superare il sistema attuale, che rinvia, per la determinazione della pena, a quella massima prevista dall’ordinamento, senza individuarne una specifica per il reato in oggetto.

Inoltre, il terzo comma prefigura una specifica disciplina dettata con legge costituzionale per chiamare il Presidente a rispondere degli atti compiuti al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni. Pur rinviandosi per la procedura da seguire ad altra legge costituzionale, viene contestualmente sancito uno specifico principio, che consiste nell’applicabilità del successivo art. 86, che detta la disciplina relativa all’inviolabilità (oltre che all’insindacabilità) dei parlamentari.

Dibattito in Commissione

La formulazione dell’articolo non ha suscitato significativi contrasti in seno alla Commissione, anche se, nel corso della prima fase dei lavori, si era prospettata la scelta di una strada diversa, analoga a quella vigente in alcuni Paesi a regime presidenziale.

Il testo sul quale si era iniziato l'esame in Commissione, infatti, proponeva che il giudizio sulla sussistenza dei reati presidenziali di alto tradimento e attentato alla Costituzione fosse rimesso al Parlamento in seduta comune, invece che alla Corte costituzionale. Inoltre, la sanzione comminata era individuata nella decadenza del Presidente dal proprio ufficio. La decisione avrebbe dovuto essere assunta a maggioranza dei due terzi dei componenti.

La procedura prospettata configurava un vero e proprio sistema di impeachment, che accentuava il carattere di giudizio politico, prima ancora che giuridico, sui reati presidenziali.

Nel corso della seduta del 25 giugno, il Presidente Elia chiedeva alla Commissione di valutare l’opportunità di approvare un suo emendamento (Elia IV. 12. 9, pp. 1996ss.) volto sostanzialmente a ripristinare la disciplina vigente, integrandola con disposizioni in merito alla responsabilità per atti compiuti al di fuori delle proprie funzioni. Analoga finalità aveva anche l’emendamento Pera IV. 12. 10, sostenuto dal gruppo di Forza Italia. In quella sede, le obiezioni del senatore Villone (1996ss.) convincevano la Commissione a prospettare una soluzione in cui le due diverse procedure (quella vigente e quella di impeachment) potessero coesistere, rinviando ad altro momento la concreta formulazione del testo. Alla ripresa dei lavori veniva quindi proposta una formulazione in cui l’intervento del Parlamento rimaneva essenzialmente limitato alla messa in stato d'accusa del Presidente; alcuni elementi della proposta alternativa venivano però recuperati, prevedendosi che, se la decisione fosse stata presa con la maggioranza dei due terzi dei componenti, la messa in stato di accusa avrebbe avuto la conseguenza ulteriore di sospendere il Presidente dal suo ufficio, in attesa del giudizio della Corte costituzionale.

L’esame in sede di Comitato ristretto, nel corso della seconda fase dei lavori (successiva al testo di giugno), ha però convinto la maggioranza dei commissari che fosse più opportuno mantenere immutata la sostanza del sistema attuale: il testo definitivo è stato approvato nella seduta del 22 ottobre (p. 2658).


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