(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Seguito dell'esame dei progetti di legge di revisione della parte seconda della Costituzione.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame dei progetti di legge di revisione della parte seconda della Costituzione.
Colleghi, il testo in distribuzione contiene già, nella colonna di sinistra, una serie di modifiche rispetto al testo risultante dalla votazione degli emendamenti: esse sono state unanimemente ritenute dal comitato di redazione non modificative della sostanza delle decisioni assunte, ma formali e migliorative del testo sotto il profilo di una più corretta redazione delle varie disposizioni. È quindi evidente che queste modifiche, in quanto considerate unanimemente formali, sono state incorporate nel nuovo testo, che è appunto quello stampato nella colonna di sinistra; nella colonna di destra, invece, sono indicate modifiche ritenute necessarie ai fini di un migliore coordinamento complessivo del progetto elaborato, ma che il comitato di redazione ha considerato non meramente formali. Tali modifiche, quindi, devono essere sottoposte all'esame della Commissione, in particolare qualora vi siano colleghi che ritengano debba essere esaminata specificamente questa o quella: era comunque giusto metterle in evidenza per la Commissione.
È naturale che sia le modifiche di carattere formale, sia quelle di carattere più sostanziale ma tuttavia ritenute necessarie ai fini del coordinamento del testo, dovranno essere poi sottoposte ad una votazione complessiva: vorremmo che la mattinata fosse dedicata proprio a questa parte del lavoro, cioè all'esame del coordinamento del testo e ai chiarimenti che sono necessari, in modo che nel pomeriggio possano esservi le dichiarazioni di voto ed il voto finale per la trasmissione alle Assemblee del testo elaborato. Per quest'ultima fase delle dichiarazioni di voto, propongo che vi sia il tempo di un quarto d'ora per ciascun gruppo, più un tempo fino a cinque minuti per gli interventi in dissenso: ce ne occuperemo comunque nel pomeriggio, quando dovremo completare il nostro lavoro con il voto finale.
Questa mattina, dunque, ci occuperemo di eventuali osservazioni, o di problemi che vengano sollevati (uno ne richiamerò personalmente io) rispetto al testo coordinato ed alle correzioni che sono state apportate, innanzitutto quelle che vengono proposte, per sentire se vi siano colleghi che ritengano che ve ne siano alcune che hanno natura sostanziale, o che alterano il senso del testo che abbiamo approvato in Commissione, perché naturalmente queste correzioni sono state sottoposte all'esame del comitato di redazione, il quale però è un organo che non ha potere deliberativo, visto che è la Commissione che delibera.
Nel corso dell'esame del testo, è stato sollevato un problema relativo all'articolo 72: dal momento che rispetto ad esso non si è avuta unanimità nel comitato di redazione, correttamente, credo, non è stato riportato nel testo distribuito. L'articolo 72 è relativo ai poteri di scioglimento
MARCO BOATO. Se possibile, sarebbe utile che fossero distribuiti i testi.
PRESIDENTE. Il testo sarà distribuito, ma non richiede un grande studio. Il relatore propone che all'ultimo comma dell'articolo 72 le parole «dodici mesi» siano sostituite dalle parole «sei mesi», mentre l'onorevole Calderisi propone la seguente diversa formulazione che non cambia molto la sostanza: «qualora le elezioni siano avvenute successivamente
». Si tratta della stessa formulazione che egli aveva proposto nel corso del dibattito e sulle quali non siamo arrivati ad una conclusione. Ricordo che il relatore osservò che se fossero nati contrasti la questione poteva essere risolta in sede di coordinamento. In realtà, essa è rimasta sospesa, ma i suoi termini sono chiarissimi.
Chiedo ai colleghi di valutare, mentre il relatore parla, se ritengano che alcune delle correzioni proposte siano tali da alterare il senso della norma e quindi meritino di essere esaminate o votate.
CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. Quello che si è posto è effettivamente un problema di coordinamento in relazione a due norme introdotte, che rappresentano due punti di forza della soluzione adottata. La prima riguarda il fatto che, attraverso la costituzionalizzazione
GIUSEPPE CALDERISI. Nel metodo che abbiamo adottato per le votazioni degli emendamenti il presidente, in maniera molto giusta e fondata, si è avvalso di quella flessibilità tipica della sede referente; questo ci ha consentito, appunto, grande flessibilità, un dibattito molto puntuale e preciso (grazie alla conduzione del presidente della Commissione) e l'opportunità di sviscerare tutti i problemi al nostro esame. In questo modo, in alcuni casi abbiamo votato gli emendamenti nella loro testualità, in altri casi abbiamo votato sui principi emersi nel dibattito e che sono stati riassunti dal presidente, dal relatore o da entrambi. Molto spesso, quindi, le votazioni sono avvenute non su testi scritti ma, appunto, su testi riformulati o su principi enunciati alla fine del dibattito. Credo che ciò sia avvenuto con grande correttezza ed abbia consentito - lo ripeto - un dibattito pienamente democratico e grande flessibilità. Non ritengo pertanto che si tratti di rimettere in discussione quanto è emerso attraverso questa procedura.
Per quanto riguarda invece la questione ora discussa, relativa all'articolo 72, ultimo comma, e all'emendamento Russo IV.05.19.7, ritengo che per comprendere tale questione occorra rivedere la discussione che si è svolta. Dal resoconto stenografico della seduta pomeridiana di mercoledì 25 giugno, che tutti possono leggere, emerge con chiarezza che i dodici mesi di protezione rispetto alla possibilità di scioglimento riguardano i primi dodici mesi di vita della Camera eletta successivamente alle elezioni del Presidente della Repubblica. Il presidente D'Alema, nell'ambito della discussione e a seguito di richieste di chiarimento sollevate da più parti, a un certo punto interviene ed afferma quanto segue: «Così come noi consentiamo al Presidente neoeletto, accogliendo le dimissioni del primo ministro e sempre che lo ritenga, di sciogliere le Camere e di nominare un nuovo primo ministro» (
) «allo stesso modo, noi tuteliamo per dodici mesi le Camere neoelette e, quindi, forti dell'ultimo pronunciamento popolare». Questo è il concetto espresso molto chiaramente dal presidente: la tutela riguarda le Camere forti dell'ultimo pronunciamento popolare. Prosegue il presidente: «Questo è il concetto, che non ha nulla a che vedere con la data delle elezioni. È chiaro questo aspetto?». Interviene il sottoscritto nella discussione, dicendo: «Presidente, ho compreso, ma evidentemente si riferisce alla nuova Camera eletta dopo le elezioni presidenziali». Il Presidente risponde: «Non c'è dubbio». Il relatore Cesare Salvi afferma: «È certamente così, collega Calderisi». Intervengo nuovamente e chiedo: «Perché allora non specificarlo?». Il relatore Salvi osserva: «Se in sede di coordinamento dovesse sorgere qualche dubbio in proposito, sarà eliminato».
La questione riguarda quindi un punto che era stato più che ampiamente discusso e risolto con questi interventi del presidente e del relatore. Chiaramente l'emendamento Russo si riferiva alle Camera elette dopo le elezioni presidenziali, tant'è che è stato votato anche dal sottoscritto e da altri colleghi di forza Italia; è
SERGIO MATTARELLA. Prendo atto dello stemperarsi di polemiche peraltro piuttosto sgradevoli ed ingiustificate, anche perché risulta che vi è una richiesta di modificare il testo approvato: ci proponiamo di esaminarla con serenità. Sul testo del resoconto stenografico potrebbero essere evocate anche altre battute, che comunque non avrebbero carattere prescrittivo (come nessuna battuta ha, se non consacrata da un voto) e stiamo parlando della modifica di un testo votato, quello dell'emendamento Russo che prevede il termine di un anno.
Poiché dobbiamo trovare, serenamente ed in maniera costruttiva, una soluzione, vorrei esprimere qualche riflessione di merito. Stiamo parlando, come ha evidenziato il relatore, di un'ipotesi piuttosto remota, che non ha nulla a che vedere - lo dico senza polemica - con la Bulgaria: bisognerebbe lasciar stare questo ricorrente e fantasioso riferimento alla Bulgaria, che è tutt'altra cosa e che ha ben altri problemi, che non sono questi. Dicevo che è un'ipotesi remota, quella del caso in cui il Capo dello Stato venga eletto nel periodo che intercorre tra il sesto e il dodicesimo mese dopo l'elezione della Camera dei deputati, nel secondo semestre successivo all'elezione di questa, perché nel primo semestre sostanzialmente è impossibile per quanto già previsto dal testo dell'articolo 72. Si tratta, lo ribadisco, di un'ipotesi remota, di quelle che in realtà non si codificano, per evitare di codificare ogni possibile fattispecie anche remota.
Tuttavia la considerazione che va fatta (e chiedo ai colleghi del Polo un po' di attenzione) è che in realtà in questa ipotesi dell'elezione del Capo dello Stato, che intervenga nel secondo semestre successivo all'elezione della Camera, la ratio per cui si è previsto che il Governo si dimette nelle mani del Presidente neoeletto, che può eventualmente sciogliere la Camera stessa, viene meno, perché la ratio di questa facoltà concessa al Presidente della Repubblica è la seguente: verificare che sono mutati, tra l'elezione della Camera e quella propria, gli umori dell'elettorato e quindi sciogliere la Camera per registrare i nuovi umori, le nuove tendenze dell'elettorato. Ma se le Camere sono state elette da appena sei mesi e mezzo, sette mesi, otto mesi, questo è obiettivamente difficile da immaginare. Allora in realtà si dovrà fare in modo che si evitino circostanze di questo genere, che si eviti che intercorra tra le due elezioni meno di un anno. Sin dall'inizio occorrerà evitare che vi sia un intervallo tra le due elezioni inferiore ad un anno.
In realtà abbiamo davanti due esigenze, due obiettivi, entrambi meritevoli di tutela. Da un lato, che nessun Presidente della Repubblica neoeletto si veda sottratta la circostanza che il Governo si dimetta ed egli possa eventualmente sciogliere le Camere, se lo ritiene. Dall'altro lato, evitare che una Camera appena eletta, da sei mesi e mezzo, sette mesi o otto mesi, venga mandata a casa se sta funzionando. Si tratta di due esigenze in merito alle quali dobbiamo scegliere non quale sacrificare, ma come tutelare entrambe.
Allora, accanto all'ipotesi del relatore e a quella avanzata da Calderisi, che sacrificano la seconda, prevedendo cioè che una Camera eletta da pochi mesi possa essere mandata a casa pur se funziona, vi possono essere altre soluzioni che garantiscano sia la facoltà del Capo dello Stato
PRESIDENTE. Si potrebbe evitare un dibattito di tre ore sulla questione.
GIOVANNI RUSSO. Sarò infatti molto breve, presidente. Vorrei anzitutto chiarire che l'emendamento che avevo presentato era riferito ad entrambe le ipotesi, sia alle elezioni precedenti, sia alle elezioni successive a quelle del Presidente della Repubblica. Senza dubbio, quell'emendamento tende a porre un rimedio soprattutto di fronte alla situazione di una elezione della Camera successiva a quella del Presidente della Repubblica perché lì è il punto più grave. Tuttavia, anche nell'altra ipotesi credo sia giusto, per le ragioni illustrate poco fa dall'onorevole Mattarella, garantire comunque uno spazio di vita sufficiente al Parlamento e al Parlamento che funziona, proprio per rispetto della volontà dell'elettorato. Quindi, ipotizzare uno scioglimento da parte del Presidente della Repubblica dopo sette-otto mesi in funzione di un'ipotetica verifica di mutamento degli umori elettorali mi pare sbagliato, perché sacrifica un voto popolare che è stato dato e che in un sistema come questo, basato sulla doppia legittimazione di poteri, potrebbe anche essere ispirato dall'esigenza di creare un equilibrio rispetto alla Camera eletta e caratterizzata da un indirizzo politico diverso; in quel caso, a così breve distanza di tempo, potrebbe essere proprio volontà dell'elettorato avere questa differenziazione. Credo quindi che l'anno debba essere conservato.
La previsione a sei mesi mi sembra eccessivamente riduttiva nell'ipotesi di elezioni della Camera successive a quelle del Presidente della Repubblica, perché, se vogliamo ipotizzare - come si sta facendo - i casi limite (ed è anche giusto farlo), dobbiamo porci il problema di un Presidente della Repubblica che entri in conflitto con la Camera, che voglia far prevalere la sua volontà; poiché non abbiamo previsto la sfiducia costruttiva, lo spazio di sei mesi potrebbe essere occupato da successive nomine di primi ministri non graditi dal Parlamento fino a che non si arriva a quella soglia temporale che consente al Presidente della Repubblica di sciogliere.
Preferirei quindi che rimanesse il termine di un anno in entrambi i casi. Eventualmente, come suggeriva il relatore, si potrebbe anche prevedere un diverso termine (sei mesi nel caso di elezioni precedenti, dodici mesi nel caso di elezioni della Camera successive) oppure - mi sembra interessante la prospettiva offerta
PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Rebuffa, vorrei dire che bisognerebbe evitare di riaprire una discussione generale; in altri termini, sarebbe opportuno limitare la questione ad una fattispecie abbastanza contenuta. Il relatore propone una soluzione tecnica onde evitare una contraddizione normativa e lo fa sulla base della discussione che si era svolta nella Commissione. Penso che torneremo ad esaminare questa materia, anche perché di fatto - parliamoci chiaro - un Presidente della Repubblica eletto sei-sette mesi dopo l'elezione del Parlamento è privato del potere di scioglierlo perché, al di là dei casi limite che stiamo esaminando, è del tutto evidente che siamo nel campo dell'irragionevolezza.
Mi permetto anche di dire che la fattispecie proposta dal senatore Russo è impensabile perché la norma costituzionale vincola il Presidente a scegliere il Primo ministro sulla base dei risultati elettorali, per cui se egli ne scegliesse uno che il Parlamento non vuole e lo facesse reiteratamente, si renderebbe responsabile di una ripetuta violazione della Costituzione e il Parlamento lo metterebbe in stato di accusa.
Capisco che il tema dell'elezione del Presidente della Repubblica crea emozioni in un campo e nell'altro, ma stiamo esaminando delle patologie il cui grado di probabilità è pressoché nullo. Detto questo, credo che la discussione dovrebbe limitarsi alla soluzione tecnica che il relatore propone onde evitare una possibile contraddizione tra le due norme. Sulla materia potremo tornare in modo più meditato; per esempio, non c'è dubbio che se noi prevediamo che per i mandati una scansione temporale evitiamo in radice i rischi di queste sovrapposizioni. In ogni caso, adesso non riaprirei una discussione generale.
GIORGIO REBUFFA. La ringrazio, presidente; non seguirò il vezzo di puntualizzare tutto quello che c'è da puntualizzare che qualche volta ci prende. Mi limiterò a sviluppare tre punti.
Vi è stato un voto su un principio, ossia sulla teoria dell'allineamento, sul quale non si può tornare indietro. Mi pare che la soluzione proposta dal relatore Salvi questa mattina, come ha detto anche il collega Calderisi, sia accettabile e che si possa proseguire.
Voglio dire al collega Mattarella che ho un grande rispetto per la sua posizione. Quando verranno presentati gli emendamenti scritti - purtroppo ho questo «paraocchi» -, se non andranno contro il principio che abbiamo votato, potranno essere discussi ed eventualmente anche votati; scriviamoli e ne discuteremo.
In secondo luogo, carissimo presidente, contesto che si tratti solo di un'ipotesi di scuola, perché prevedendo il meccanismo di cinque e sei anni capiterà alla prima rielezione del Presidente della Repubblica. E poiché quando si svolgerà la prossima elezione del Presidente della Repubblica, se la provvidenza divina continuerà ad aiutarmi, sarò giovane ed attivo, non vorrei vedere il macello provocato da una soluzione di quel genere.
La terza questione riguarda la sgradevolezza delle polemiche. Io, che come è noto sono filoanglosassone, so che nel mondo politico inglese le polemiche sono sempre sgradevoli; una cosa invece non è sgradevole normalmente ed è il rispetto della legalità parlamentare. Questo vuol dire che su una questione votata, su cui sono stati assunti impegni politici non si può tornare indietro di un millimetro; sarebbe stato uno sfregio di rilevante entità, rispetto al quale le sgradevolezze che possono riguardare l'etichetta sono state e sarebbero state ancor più necessarie, perché non c'è niente di più sgradevole che ritornare sulle votazioni e sulle deliberazioni.
Credo che su questo siamo tutti d'accordo, che la polemica possa essere chiusa, ma soprattutto che possa essere restaurato il livello minimo di lavoro di un collegio come questo.
PRESIDENTE. Se mi permette, onorevole Rebuffa, non c'era nulla da restaurare perché nella discussione del Comitato di redazione, non essendosi registrato consenso, il relatore ha preso impegno a proporre una soluzione in Commissione, impegno che ha adempiuto senza nessun motivo di polemica.
GIORGIO REBUFFA. Infatti, ne sono orgoglioso; sono orgoglioso di appartenere ad un collegio in cui il relatore si è comportato così.
PRESIDENTE. Benissimo, la ringrazio.
PAOLO ARMAROLI. Intervengo molto brevemente fuori dal contesto finora trattato, perché credo che l'abbiamo affrontato abbastanza a lungo. Le segnalo, però, signor presidente, il problema che nella storia della Repubblica italiana parecchi misfatti si sono consumati in sede di coordinamento. Ne ricordo due molto eclatanti: quanto al primo, ai tempi dell'Assemblea costituente, le leggi elettorali non dovevano essere sottoposte a referendum ed invece questo aspetto sfuggì in sede di coordinamento. Ricordo inoltre che nel 1957 fu approvata una legge di sovvenzione all'Ente cellulosa, in cui si aggiunse, in sede di coordinamento, uno zero; poi intervenne la Corte costituzionale, che fece chiarezza ed abbattè l'antico feticcio che era l'insindacabilità assoluta degli interna corporis.
Sulla base di questa premessa, passo alla conclusione: credo che fino a venerdì gli uffici non avessero il testo da noi approvato per fare in modo che tutti i commissari potessero collazionare lo stesso testo approvato con le modifiche di carattere formale o sostanziale del testo Salvi sulla forma di governo. Non dubito che poi, in sede di Comitato di redazione, le cose siano andate nel migliore dei modi, ma siccome, come si suol dire, quattro occhi vedono meglio di due, mi sarebbe piaciuto poter effettuare questa collazione, mentre ciò non mi è stato possibile.
PRESIDENTE. Fortunatamente stiamo varando semplicemente il secondo testo base di una procedura di riforma costituzionale che impegnerà tutti noi ancora per un anno e mezzo, onorevole Armaroli, cosicché lei, nel corso di questo lungo periodo, potrà evitare una serie incalcolabile di misfatti. La ringrazio.
CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. Presidente, intendo proporre una soluzione di cui ho parlato poco fa con il collega Calderisi, che mi pare la condividesse: tenendo conto dei rilievi mossi sia dal collega Russo sia dall'onorevole Mattarella, si potrebbero accogliere entrambi gli emendamenti, nel senso di prevedere comunque come regola generale la riduzione del termine da dodici a sei mesi, ipotizzando però la sua estensione a dodici mesi, come propone il collega Calderisi, quando l'elezione della Camera sia avvenuta successivamente a quella del Presidente della Repubblica. Si tornerebbe, in sostanza, alla soluzione che era prevista nel vecchio testo B, ipotizzando però il dimezzamento dei due termini: in quel caso, si trattava rispettivamente di dodici e ventiquattro mesi, mentre secondo questa proposta potrebbero essere sei e dodici.
Se si accogliesse questa tesi, che evidentemente andrebbe votata, l'ultimo comma dell'articolo 72 sarebbe così riformulato: «La Camera dei deputati non può essere sciolta durante i sei mesi che seguono le elezioni. Il termine è di dodici mesi qualora le elezioni siano avvenute successivamente all'elezione del Presidente della Repubblica». Resta salva, naturalmente, la possibilità di verificare tutti gli aspetti tecnici.
PRESIDENTE. Chiedo se vi siano obiezioni.
SERGIO MATTARELLA. Non presento emendamenti alternativi e mi riservo di farlo nella fase successiva dell'attività della Commissione.
PRESIDENTE. Comunque, lei considera la soluzione migliorativa, dal suo
SERGIO MATTARELLA. Rispetto alla proposta iniziale, sì, ma non in misura sufficiente.
PRESIDENTE. Almeno si apprezza la buona volontà!
Pongo in votazione l'ultima proposta avanzata dal relatore.
(È approvata).
L'articolo 72 si considera pertanto così modificato.
A questo punto, torno a porre il quesito: vi sono osservazioni relativamente a singoli punti?
GIUSEPPE VEGAS. Desidero soffermarmi sulla questione, affrontata dalla Commissione nella seduta pomeridiana del 26 giugno, delle conseguenze delle sentenze onerose della Corte costituzionale. In particolare, l'articolo 137, terzo comma, recita: «La sentenza è comunicata alle Camera ed alle Assemblee legislative regionali interessate affinché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali». Tale formulazione mi sembra alquanto criptica rispetto al principio che era stato accolto in Commissione. Ricordo a me stesso che in quella sede il senatore Elia affermò testualmente: «Si potrebbe allora precisare che il differimento del termine serve a risolvere il problema del pari trattamento, eliminando il privilegio o estendendolo a tutti, trovando però i mezzi per finanziarlo eventualmente anche riducendo la situazione di vantaggio».
In conclusione, il presidente, nel dare per ritirato il mio emendamento, precisò che il testo avrebbe dato «il senso della possibilità di introdurre fra la sentenza e la sua esecuzione una decisione parlamentare o per reperire una diversa copertura, o per distribuire diversamente le risorse, in modo che l'esecuzione priva di questo ammortizzatore non abbia un effetto scardinante sulla finanza pubblica».
Se questa era l'intenzione, riassunta dal presidente, il testo presentato mi sembra piuttosto carente. Per questo motivo, mi sono permesso di presentare una proposta di coordinamento che fa salva l'esigenza prospettata e modifica le ultime due righe del terzo comma dell'articolo 137, che risulterebbe conseguentemente del seguente tenore: «La sentenza è comunicata alle Camere ed alle Assemblee legislative regionali interessate affinché, nel caso in cui la sentenza comporti oneri a carico dei rispettivi bilanci, provvedano nelle forme costituzionali alla soppressione o alla conferma della spesa».
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Il problema posto dal collega Vegas è corretto, nel senso che effettivamente non abbiamo risolto, in sede di dibattito, la questione posta sia dal suo emendamento sia da quello del collega Villone, che dava altra soluzione a questa materia. Comunque, l'ultimo comma dell'articolo 137, ex 136, che presumibilmente diventerà di nuovo 136 se sarà approvata la soppressione di un articolo (tornerà quindi la numerazione già presente nell'attuale Costituzione), di cui il collega Vegas ha dato lettura, non è una riformulazione del relatore sul sistema delle garanzie, ma è semplicemente il testo attuale della Costituzione.
Ho dato conto - mi auguro correttamente - del dibattito che si è svolto sulla questione e delle due diverse posizioni, quella prospettata dal senatore Vegas e quella del senatore Villone, nel testo della relazione che ho predisposto negli ultimi due giorni (questo il collega Vegas non poteva ovviamente saperlo), in modo che nella fase successiva dei nostri lavori non solo i colleghi possano ripresentare emendamenti al riguardo, ma la Commissione, nella fase ulteriore della sua attività, possa trovare eventualmente una soluzione costituzionale corretta a questo problema.
Ho ritenuto che non fosse possibile, da parte del relatore, arrogarsi, per così dire, il diritto di risolvere autonomamente un problema di grandissima delicatezza e rilevanza (riconosco questo), che però era rimasto obiettivamente aperto ed irrisolto nella discussione. Poiché non mi sembrava
PRESIDENTE. Senatore Vegas, in effetti, la correzione che lei propone è tutt'altro che formale; non entro nel merito, ma in questa fase ci stiamo occupando di coordinamento formale.
GIUSEPPE VEGAS. Sotto il profilo della forma, è chiaro che la correzione non è formale ma riprende il dibattito, così come la Commissione aveva avuto l'affidamento dal suo presidente; quindi, la formalità dipende dallo stato dei testi. Non posso ovviamente fare altro che accedere alla proposta del relatore, anche se avverto un po' di amarezza complessiva per tutta la vicenda riguardante la parte della Costituzione relativa all'economia: abbiamo sentito infatti aleggiare nella Commissione uno spirito dei tempi che avremmo desiderato fossero definitivamente tramontati.
PRESIDENTE. Il senatore Villone intende riproporre la questione, anche ora che il senatore Vegas ha ritirato il suo emendamento?
MASSIMO VILLONE. No, vorrei sottolineare che apprezzo la decisione del senatore Vegas. Ritengo, poiché si era manifestato un consenso verso una direzione specifica, e cioè che a seguito della sentenza la questione andasse comunque rimessa alla decisione politica, che individueremo poi le forme tecniche ed opportune. Ribadisco, pertanto, il mio apprezzamento al senatore Vegas, assicurandogli che comunque riprenderemo in esame la questione, perché anche noi condividiamo questa posizione.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Confermo lo stesso impegno da parte mia. Il senatore Vegas comprende bene che non potevo da solo, in qualità di relatore, arrogarmi il diritto di risolvere una questione importante, tuttora aperta.
PRESIDENTE. Invito i colleghi ad intervenire su questioni specifiche, dovendo poi concludere.
ETTORE ANTONIO ROTELLI. Signor presidente, intervengo su questioni specifiche riguardanti le proposte di coordinamento. Rientra infatti nel coordinamento anche l'ordine seguito nell'adozione dei titoli. Esprimo il mio compiacimento perché il titolo I comincia con «Comune, provincia, regione, Stato», come a suo tempo avevo anch'io prospettato. Da questo punto di vista, io che sono considerato e sono tra i presidenzialisti, trovo non corretto che il titolo IV, il Parlamento sia collocato dopo il titolo II, il Presidente della Repubblica, ed il titolo III, il Governo. Nell'ordine che avevo suggerito, avrei collocato al primo posto le autonomie...
PRESIDENTE. Mi permetta di fornirle un chiarimento: abbiamo ritenuto di dover seguire l'ordine stabilito dalla legge istitutiva della Commissione, la quale prevede che suo compito è quello di riesaminare la materia forma di Stato, forma di Governo, bicameralismo e sistema delle garanzie.
Dato che di tale questione non si era discusso (e quindi si sarebbe trattato di una decisione totalmente arbitraria da parte del Comitato di redazione), avevamo due possibilità: innanzitutto, seguire l'ordine
MASSIMO VILLONE. Il fatto che questa sia la motivazione non esclude la mia soddisfazione per quanto riguarda la decisione relativa al titolo I e la mia insoddisfazione per quanto concerne la collocazione del titolo riguardante il Parlamento.
Con riferimento all'articolo 58, sottolineo che l'elencazione delle regioni è tratta dalle disposizioni transitorie. Per chi ritiene, come io ritengo e come ho sempre ritenuto, che si debba procedere ad una revisione delle regioni dopo che si è proceduto alla revisione dei comuni e delle province, la collocazione dalla parte delle norme transitorie non è indifferente, tanto più che questa modificazione trascina con sé la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e Bolzano. A questo riguardo, a parte la dubbia eleganza delle parole «si articola», che non sono un termine da Costituzione, ma rientrano nella generale sciatteria dell'attività redazionale, vi è il fatto che qui si vuole...
PRESIDENTE. Ci vuole suggerire un termine più proprio, al di là dell'obiezione?
MASSIMO VILLONE. Suggerirei: «È costituita
», oppure: «Fanno parte
», ma non l'espressione: «Si articola», perché l'articolazione...
PRESIDENTE. «È costituita dalle province autonome di Trento e Bolzano».
MASSIMO VILLONE. Questa è una formulazione sicuramente più elegante, anche se non sarei d'accordo sul merito, perché se domani si volesse costituire la provincia di Rovereto, tanto per fare un esempio, non si vede perché non dovrebbe essere consentito.
PRESIDENTE. Lo sarebbe con legge costituzionale.
MASSIMO VILLONE. Anche la modificazione sulla potestà legislativa dello Stato, che non riguarda più la forma di governo, ma gli organi di governo comunali e provinciali, non è esattamente la stessa cosa; infatti, che non sia la stessa cosa, si deduce dal fatto che successivamente è stata operata un'inversione a proposito di un altro articolo, che citerò tra breve.
Un'altra modifica riguarda l'articolo 59, in base alla quale lo Stato e le regioni, ciascuno nel proprio ordine, promuovono ed organizzano attività culturali. Questa nuova formulazione implica che le regioni in quanto tali, organizzano attività culturali e non semplicemente, come si poteva pensare con la disciplina precedente, che approvano leggi con cui ne promuovono l'organizzazione. Tra l'altro poiché venti, trenta anni di dottrina giuridica ci hanno sempre insegnato che le regioni non devono svolgere attività amministrativa, ma soltanto approvare leggi, questa disposizione modifica tale orientamento e trasforma, sia pure soltanto nell'ambito culturale, la regione in un'ente di organizzazione, anziché di pura legislazione sulle attività culturali.
Per quanto concerne l'articolo 61, vorrei sottolineare che, mentre prima lo statuto disciplinava l'organizzazione costituzionale della regione, adesso questa diventa esattamente la forma di governo: non è proprio la stessa cosa, soprattutto se si considera che tale forma avrebbe dovuto essere scelta, secondo alcune proposte, dai cittadini. Così pure non è indifferente l'obiezione sulla modifica apportata al punto c) dell'articolo 61, perché un conto è prevedere «le funzioni attribuite
PRESIDENTE. Prima di dare la parola al relatore, senatore D'Onofrio, la senatrice Adriana Pasquali ha chiesto di intervenire a proposito di una norma relativa al tema concernente la forma di Stato.
ADRIANA PASQUALI. Signor presidente, ho chiesto la parola per una riserva espressa su un punto specifico della parte concernente la forma di Stato.
Rilevo che in quest'aula c'erano troppi convitati di pietra ad impedire di lavorare in modo ottimale; forse anche per questo passeremo al Parlamento una proposta di normazione di non perfetta tecnica legislativa, ma con qualche vulnus, se non alla prima parte della Costituzione, a princìpi sostanziali che dovrebbero essere intoccabili.
Un principio importante mi sembra quello che una Costituzione non recepisca l'obbligo di rispetto degli adempimenti internazionali comunque nascenti. Mi domando quale altra Costituzione al mondo contenga il riconoscimento di obblighi, che si presuppone debbano comunque essere rispettati anche senza un riferimento espresso in Costituzione. Ma la questione è più grave quando ci si riferisce ad un obbligo internazionale assunto nel 1946, come l'accordo De Gasperi-Gruber, ed assolto dall'Italia nel 1948, con il primo statuto di autonomia. La verità è che questa Commissione ha liquidato in cinque minuti un problema discusso per cinquant'anni da costituzionalisti ed internazionalisti e sul quale lo Stato italiano ha sempre mantenuto una fermissima posizione.
Nelle norme transitorie del rifacimento della Costituzione abbiamo un preciso richiamo ad obblighi internazionali che la Farnesina ha negato siano ancora aperti dopo il 1948, ponendosi ancora oggi in questa posizione, che poi è la più corretta, se si considera la volontà delle parti contraenti dell'accordo De Gasperi-Gruber, sulla quale non voglio soffermarmi ancora una volta, ma che voi dovreste tenere presente.
Gli storici hanno rilevato come, dopo aver dato atto della realizzazione dell'accordo con l'autonomia regionale solo il 15 febbraio 1954, vale a dire esattamente sei anni dopo lo statuto regionale, i rappresentanti della SVP presentarono al Governo italiano un memoriale nel quale sostenevano l'incompleto adempimento dell'accordo e richiedevano nuove garanzie di carattere internazionale, che l'Italia non ha mai dato, forte della convinzione di aver adempiuto. Se la stessa convinzione, frutto di buona fede, ovviamente di segno opposto, avesse avuto l'Austria, non si comprende perché la querelle non sia stata portata davanti al tribunale de l'Aia, ciò che Austria e SVP hanno sempre accuratamente evitato.
In realtà, dal 1946 e per parecchi anni ancora l'Austria mantenne un atteggiamento scrupolosamente rispettoso dell'impegno, assunto da Gruber il 5 settembre 1946, di riconoscere che la materia era di assoluta competenza dell'Italia e di accettare quindi che l'autonomia non fosse limitata alla provincia di Bolzano e dei comuni bilingue della provincia di Trento ma che il suo ambito territoriale fosse successivamente definito dall'Italia nell'esercizio della sua sovranità.
Gruber scrisse a De Gasperi a quasi un anno dall'accordo esprimendo la soddisfazione del Governo federale austriaco nell'apprendere che il Presidente del Consiglio italiano aveva invitato a Roma i rappresentanti della SVP per discutere della posizione dell'Alto Adige nell'ambito dell'autonomia e per aver offerto ad essi la possibilità di esprimere la loro opinione. Nella Commissione che fu costituita per l'applicazione dell'accordo e che portò poi al primo statuto di autonomia figuravano nomi come quelli di Ivanoe Bonomi, di Luigi Einaudi, di Gaetano Martino,
PRESIDENTE. La ringrazio, senatrice, anche se il suo intervento va considerato come anticipatorio del dibattito del pomeriggio perché, per quanto riguarda la norma alla quale lei ha fatto riferimento, non è stata apportata alcuna variazione in sede di coordinamento: il testo è quello approvato e l'emendamento soppressivo dell'inciso «e degli obblighi internazionali» è stato discusso e respinto dalla Commissione. Pertanto, non si poteva far altro che riportare il testo approvato.
Prima di dare la parola al relatore D'Onofrio, vorrei sapere se tra gli iscritti a parlare vi siano altri colleghi che intendano svolgere osservazioni sulle variazioni del testo sulla forma di Stato, in modo che il relatore possa poi raccoglierle.
STEFANO PASSIGLI. Mi limito a far presente che la previsione, contenuta all'articolo 61, secondo la quale lo statuto è sottoposto a referendum popolare entro due mesi dalla sua approvazione contiene un termine temporale davvero molto
ANTONIO ENRICO MORANDO. Vorrei sottoscrivere l'osservazione del collega Passigli relativamente all'articolo 61.
PRESIDENTE. Tuttavia, se non stabiliamo un termine, lo statuto rischia di non entrare mai in vigore.
ANTONIO ENRICO MORANDO. Un termine va certamente fissato; il problema è che stabilire che regioni con nove milioni di abitanti debbano raccogliere in due mesi il 20 per cento delle firme significa mettere alla prova le capacità organizzative anche della più grande forza politica.
VALDO SPINI. Riterrei utile lasciare a verbale il mio compiacimento per la nuova norma di coordinamento che riguarda il secondo comma dell'articolo 59. Forse i colleghi ricordano che non solo io - penso agli emendamenti di rifondazione comunista ed a quelli della senatrice Dentamaro - avevo posto un problema di maggior chiarimento in ordine al rispetto della potestà legislativa dello Stato in rapporto alla prima parte della Costituzione.
Mi vorrei felicitare perché la dizione «Spetta inoltre allo Stato la potestà legislativa ad esso attribuita dalle altre disposizioni della Costituzione e per la tutela di preminenti e imprescindibili interessi nazionali» è molto limpida, soprattutto per quanto riguarda la tutela dei diritti fondamentali di cui alla parte prima della Costituzione e, in particolare, alla tutela della libertà religiosa, di cui all'articolo 8, che in altre formulazioni non era assicurata in maniera altrettanto chiara. Quindi, nel ribadire il mio compiacimento per questa formulazione rivolgo un ringraziamento al Comitato di coordinamento.
GIANCLAUDIO BRESSA. Mi sembra che il nuovo testo della V disposizione transitoria non sia chiaro rispetto al processo di delega attualmente in corso. Mi rendo conto che nella formulazione da noi proposta fosse utilizzata una previsione troppo arzigogolata, ma la nuova dizione non tiene presente il processo di delega attualmente in corso. Pertanto, potrei immaginare talune funzioni amministrative statali «già ad essi conferite dalle leggi vigenti», perché il senso della nostra proposta era esattamente quello di tener conto non tanto delle funzioni già trasferite, ma del processo di delega attivato dalla legge Bassanini e mi pare che nella dizione proposta tutto questo non venga garantito.
PRESIDENTE. Ricordo che il problema si poneva al di là di questa norma e che nel vecchio testo la norma transitoria era stata scritta come se la Costituzione dovesse entrare in vigore domani. Poiché con ogni probabilità questa nuova Costituzione, se mai sarà approvata, entrerà in vigore tra alcuni anni, la nuova formulazione teneva presente la possibilità che anche nel successivo periodo possano intervenire misure di trasferimento.
GIANCLAUDIO BRESSA. Mi rendo conto di ciò, però la legge Bassanini prevede tre anni di tempo per concludere il processo di delega ed immagino che questa norma possa essere approvata prima di tre anni, per cui potrebbe essere senz'altro utile una formulazione che in qualche modo cercasse di contemperare le due cose.
PRESIDENTE. Va bene; quindi, si tratterebbe di aggiungere, dopo le parole «ad essi conferite», le parole «o in corso di conferimento sulla base
»; mi sembra una correzione abbastanza semplice.
FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Alcune delle osservazioni molto puntualmente svolte dai colleghi inducono a proporre una diversa formulazione di talune delle correzioni. Quindi, chiederei ai colleghi la cortesia di prendere nota della nuova formulazione di taluni punti che mi accingo a suggerire, avendone parlato con il collega Boato e avendo avuto anche il suo consenso, che ovviamente sarà acquisito in modo formale.
Non intervengo sulle questioni sulle quali le opinioni sono diverse dalle mie e che quindi lasciano le cose come sono; mi riferisco, piuttosto, all'osservazione molto puntuale del collega Rotelli relativamente all'articolo 59, dove si prevede che «Lo Stato e le Regioni, ciascuno nel proprio ordine, promuovono ed organizzano attività culturali». Avevamo adottato questa dizione in sede di coordinamento allo scopo di evitare che soltanto le leggi dello Stato e delle regioni potessero svolgere quest'opera di promozione e di organizzazione delle attività culturali, volendo consentire che anche altri enti potessero farlo. Poiché, però, l'osservazione del collega Rotelli è giusta, suggerirei questa formulazione: «Lo Stato e le Regioni, ciascuno nel proprio ordine, disciplinano la promozione e l'organizzazione di attività culturali», in modo da far riferimento alla disciplina e non alla gestione diretta.
In merito alla considerazione dei colleghi Morando ed altri sull'estrema brevità del termine entro il quale si dovrebbero raccogliere le firme per poter promuovere i referendum sugli statuti, di cui all'articolo 61, essa mi sembra ragionevole: se il termine di due mesi viene giudicato troppo esiguo, non vorrei però che lo statuto venisse lasciato «per aria» troppo a lungo e pertanto propongo di portare a tre mesi tale periodo; credo, infatti, che tre mesi possano costituire un termine ragionevole per raccogliere le firme, tenuto conto che lo statuto può essere approvato, per esempio, a luglio e che quindi, nei tre mesi, sarebbero compresi anche quelli estivi.
All'articolo 62 si prevede la soppressione della lettera b) del primo comma, che prevede a sua volta l'attuazione diretta delle direttive comunitarie da parte delle regioni. Non avevamo nessuna intenzione di ridurre la possibilità da parte delle regioni di attuare direttamente queste decisioni comunitarie e quindi all'articolo 119, al quale si deve fare riferimento, alla fine del primo comma, dopo le parole «Nelle medesime materie le Regioni provvedono» propongo di aggiungere l'avverbio «direttamente».
PRESIDENTE. Vorrei segnalare un fatto puramente formale che mi è stato fatto presente dal senatore Elia. Alla lettera c) dell'articolo 62 si parla di accordi della regione «con gli altri Stati».
FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. È preferibile scrivere «con altri Stati».
LEOPOLDO ELIA. Sì, ma le regioni non sono Stati.
FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. L'osservazione mi sembra ineccepibile, non c'è dubbio: propongo di parlare semplicemente di Stati.
Nell'ambito dell'articolo 78 abbiamo inserito, tra i principi dell'amministrazione, una lettera g) che riporta il testo dell'articolo 79 che parlava di leggi che prevedono effetti sull'attività della pubblica amministrazione. Poiché anche a questo proposito la preoccupazione del collega Rotelli è fondata, vogliamo mantenere la sostanza della previsione e quindi la lettera g) propongo venga modificata nel modo seguente: «predisposizione di strumenti per l'analisi degli effetti organizzativi e di funzionamento delle iniziative relative a progetti di legge, regolamenti ed atti amministrativi generali», in modo che non vi sia modifica di sostanza, se non per quanto riguarda la sede.
PRESIDENTE. Intendiamo accolta l'osservazione del collega Bressa?
FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Senz'altro. All'entrata in vigore della Costituzione possono essere in corso procedimenti di trasferimento che devono essere salvaguardati.
ETTORE ANTONIO ROTELLI. Vorrei fare una piccola, ma non tanto piccola, osservazione di merito sulla questione. Avendo avuto occasione di parlare a nome del gruppo di forza Italia sulle leggi in parola, osservo che esse, nella mia personale valutazione, realizzano anche un centralismo regionale nei confronti dei comuni e delle province. Dire «ferma restando l'attribuzione ai comuni, alle province e alle regioni», vuol dire fermo restando anche tale centralismo regionale; se supponiamo che la Costituzione revisionata colpisca tale centralismo, può anche risultare che, mantenendo ferma questa distribuzione delle funzioni, si vada contro la Costituzione. Si pone quindi un problema di merito non tanto marginale.
PRESIDENTE. Più avanti si dice che le ulteriori funzioni sono garantite con legge costituzionale; questa quindi è una pura norma di salvaguardia onde evitare che ci sia una riduzione rispetto alla normativa vigente. È del tutto chiaro che se la Costituzione comporterà ulteriori funzioni, queste sono garantite con legge costituzionale. Quindi la sua osservazione non mi pare fondata, anche perché la correzione elimina il riferimento specifico alla legge Bassanini. È una pura norma di salvaguardia per assicurare che comunque le funzioni non possono essere meno di quelle di oggi, quelle ulteriori saranno attribuite con legge costituzionale.
ETTORE ANTONIO ROTELLI. Per la verità la proposta sostituisce l'intera disposizione.
ANTONIO SODA. Signor presidente, l'articolo 59, che è costituito da sette commi corposi, nella parte relativa alla cultura così come riformulata dal relatore D'Onofrio mi sembra presenti alcuni problemi. Affermare che lo Stato e le regioni disciplinano la promozione e l'organizzazione delle attività culturali confligge con il principio generale del potere organizzatorio e regolamentare dei comuni in tutte le loro attività. Noi andremo a scrivere in Costituzione che i comuni hanno la competenza generale amministrativa e poi gliela sottraiamo per la cultura.
LEOPOLDO ELIA. Non hanno la competenza legislativa.
ANTONIO SODA. Non c'è scritto con proprie leggi: disciplina vuol dire anche disciplina amministrativa.
LEOPOLDO ELIA. Ci saranno manifestazioni culturali anche a livello regionale: non mi pare ci sia da scandalizzarsi.
ANTONIO SODA. Io continuo a scandalizzarmi perché dire seccamente in Costituzione
LEOPOLDO ELIA. Non si può dare il potere legislativo ai comuni!
ANTONIO SODA. Se si tratta di poteri legislativi, lo si scriva, perché disciplinare l'organizzazione è una tipica attività amministrativa.
Mi pongo però un altro problema sul quale vorrei invitare alla riflessione finale. Abbiamo elencato trentuno materie che riguardano lo Stato, abbiamo poi parlato di residue competenze generali delle regioni: è utile, è funzionale, è necessario o è un semplice vezzo estrarre una delle tante materie e inserirla in Costituzione? Continuo a chiedermi che senso abbia, fra le mille materie per le quali dettiamo dei principi generali, dedicare un comma particolare alla cultura, perché lo considero non utile né necessario, né funzionale. Oltretutto vi è tutta la prima parte della Carta costituzionale che fa riferimento all'istruzione, alla cultura, all'alta cultura, all'economia. Mi pare un errore e mi sembra che il testo proposto dal relatore D'Onofrio sia ambiguo e lasci perplessità sulla competenza generale dei comuni.
PRESIDENTE. Propone quindi di ripristinare il testo precedente? Per abolire quello adottato, si sarebbe dovuto proporre, discutere e votare un emendamento, adesso è un po' tardi; ci sono tante cose che anch'io vorrei abolire o aggiungere - si potrebbe, per esempio, introdurre il doppio turno - ma siamo in sede di coordinamento formale e non si può fare. Si può adottare il testo corretto oppure dire che era meglio quello precedente, non possiamo riaprire un dibattito.
ANTONIO ENRICO MORANDO. È meglio il testo precedente.
PRESIDENTE. Si sostiene essere meglio il testo precedente. Questa correzione è nata dalla volontà di aggiungere l'inciso «ciascuno nel proprio ordine» onde evitare che nelle stesse materie Stato e regione si pestino i piedi.
MARCO BOATO. Non basterebbe aggiungere «ciascuno nel proprio ordine e nel rispetto delle autonomie locali»?
PRESIDENTE. Il rispetto delle autonomie locali è implicito.
MARCO BOATO. Così lo risolviamo esplicitamente.
PRESIDENTE. Poiché abbiamo già introdotto la disciplina ed il riferimento alle leggi, è sufficiente introdurre l'inciso «ciascuno nel proprio ordine» nel testo precedente, se il relatore non ha nulla in contrario.
FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. L'intendimento era proprio quello di salvaguardare le autonomie locali, che si temeva potessero non esserlo nel caso di una disciplina legislativa. Qual era la formula finale che si suggeriva?
PRESIDENTE. Semplicemente di lasciare il vecchio testo aggiungendo l'inciso «ciascuno nel proprio ordine»...
FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Va benissimo: pertanto propongo tale modifica, perché l'intento era di salvaguardare l'autonomia comunale e provinciale.
PRESIDENTE. ...in modo da lasciare la funzione dello Stato e delle regioni e disciplinare con leggi, non ingenerando l'equivoco che abbiano anche un potere amministrativo.
Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la Commissione adotta le modifiche fin qui proposte dal relatore D'Onofrio.
(Così rimane stabilito).
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Presidente, mi limito ad alcune osservazioni di puro coordinamento tecnico-formale e a due leggermente più sostanziali. Le prime riguardano le norme sul Parlamento e quelle sul Governo (il testo Salvi). Rilevo che le disposizioni sulla promulgazione delle leggi sono ripetute esattamente sia nella parte relativa al Presidente della Repubblica - all'articolo 69, lettera e) - sia nella parte riguardante il procedimento legislativo, all'articolo 103. Credo che in una delle due sedi queste disposizioni debbano essere soppresse. Personalmente, propenderei per lasciarle tra le funzioni del Presidente della Repubblica, poiché si tratta di chiarire che tra i poteri presidenziali rientra quello del rinvio alle Camere.
PRESIDENTE. Quindi, l'articolo 103 risulterebbe composto esclusivamente del secondo comma, che abbiamo aggiunto in sede di coordinamento.
FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. E che deve rimanere.
PRESIDENTE. Sì, certo.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. L'articolo 104 sarebbe soppresso. Però, riguardo all'articolo 103, faccio notare che almeno l'indicazione che le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica dovrebbe rimanere.
CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. Dovrebbe rimanere l'intero articolo 103, presidente.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Infatti, mentre l'articolo 104 dovrebbe essere soppresso in quanto assorbito dalla lettera e) dell'articolo 69.
SERGIO MATTARELLA. Presidente, posso obiettare ai due relatori per sottoporre loro un'altra ipotesi?
PRESIDENTE. Un'altra ipotesi?
SERGIO MATTARELLA. Non un'altra, un'alternativa. Si disciplina il procedimento di formazione della legge che è di competenza del Parlamento. Poiché questo dato, nella sistematica, a mio avviso è prevalente rispetto all'elencazione dei poteri del Capo dello Stato, questo meccanismo mi sembra più congruamente collocato all'articolo 104, piuttosto che al 69. Non togliendo nulla al Capo dello Stato, è semanticamente più ragionevole, perché è il Parlamento che approva le leggi e si regola il relativo procedimento.
MASSIMO VILLONE. Si potrebbero lasciare alla lettera e) dell'articolo 69 solo le parole «promulga le leggi», delegando la disciplina di dettaglio agli articoli 103 e 104.
PRESIDENTE. Personalmente, credo sia utile un'elencazione compiuta dei poteri presidenziali all'articolo 69, senza doverli andare a cercare qui e là, proprio ai fini della comprensione e della ratio del testo.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Propongo che l'articolo 104 possa essere utilmente soppresso, mentre il 103 resterebbe così come è; magari, alla lettera e) dell'articolo 69 si potrebbe lasciare genericamente il potere di promulgazione delle leggi, senza precisarne i termini (o eventualmente ripetendoli), citando esplicitamente, però, la possibilità del rinvio alle Camere. Quest'ultimo dovrebbe essere anticipato nell'articolo riguardante il Presidente della Repubblica.
Penso, pertanto, che la Commissione possa accettare questa mia proposta.
CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. Mi pare che questa soluzione
PRESIDENTE. Questo non esclude che si possa anche ripetere senza le ulteriori specificazioni. L'articolo 103 potrebbe essere del seguente tenore: «Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica. Sono pubblicate (
)», in modo da riprendere il concetto dell'articolo 69. Anche nell'attuale Costituzione questi concetti sono espressi. Mi sembra inutile ripetere il termine di un mese se questo è già formulato all'articolo 69, ma si può ribadire che le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica aggiungendo poi il secondo comma.
GIOVANNI RUSSO. Riterrei preferibile, nell'articolo che elenca i poteri del Presidente della Repubblica, limitarsi a dire: «promulga le leggi. Può, prima della promulgazione
». L'articolo 103 prevederebbe che le leggi sono promulgate entro un determinato termine e continuerebbe con il secondo comma.
PRESIDENTE. È la versione più simile alla Costituzione attuale.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Presidente, ho trovato fondata l'osservazione del collega Mattarella sul mantenimento dell'articolo 104. In ogni caso, pongo a lei e ai colleghi una questione non irrilevante, anche se riguarda semplicemente la numerazione degli articoli. Abbiamo già acconsentito - fra poco voteremo - alla soppressione dell'articolo 79, ricomprendendone il contenuto nella lettera g) dell'articolo 78. Questo comporta che il testo complessivo consterà non più di 140 articoli, come appare attualmente nel documento stampato che abbiamo a disposizione, bensì di 139, con il risultato - chiedo al collega Salvi di prestare attenzione a questo aspetto - che torneranno alla loro numerazione originaria l'articolo 138 sulla revisione della Costituzione e l'articolo 139 sull'impossibilità di sottoporre a revisione costituzionale la forma repubblicana, i due articoli di chiusura che sono tali già nella Costituzione vigente. Se ora sopprimessimo l'articolo 104 torneremmo ad una numerazione sfalsata di questi due articoli ed anche degli articoli 134, 135, 136 e 137 riguardanti la Corte costituzionale. Sottopongo pertanto alla Commissione l'opportunità, in questa fase, di non modificare ulteriormente la numerazione degli articoli, dato che la soppressione dell'articolo 79 ci consentirà di ritornare alla numerazione originaria degli ultimi due articoli della Costituzione. Oppure, qualora si volesse sopprimere l'articolo 104, chiederei di disaggregare altri articoli, per esempio in materia di forma di governo (per questo mi rivolgo al collega Salvi), in modo che, dal voto finale odierno, sia pure ancora interlocutorio perché siamo in fase referente, emerga un testo della Costituzione con un totale complessivo di 139 articoli, quindi ottenendo l'effetto che prima ho indicato di mantenere l'attuale numerazione degli articoli sulla Corte costituzionale e degli articoli 138 e 139.
CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. Questa osservazione del collega Boato cade, come si suol dire, «a fagiolo», perché mi stavo interrogando sull'opportunità, che mi è stata segnalata da alcuni colleghi, di sdoppiare l'articolo 70, attualmente molto lungo. La Costituzione vigente, fra tanti pregi, ha anche quello di essere composta da articoli brevi. Senza toccare una virgola, naturalmente, di quanto è stato deciso, l'articolo 70 potrebbe essere diviso in due articoli. Il primo articolo comprenderebbe gli attuali primo, secondo, sesto e settimo comma; il secondo articolo comprenderebbe
PRESIDENTE. Penso che dobbiamo evitare la ripetizione in ambedue le parti di tutta la normativa, ma il riferimento al fatto che il Presidente promulga le leggi deve essere sia nella parte sui poteri presidenziali, sia nell'altra parte.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Presidente, questo è previsto all'articolo 103. In sostanza, l'articolo 70 verrebbe sdoppiato in due articoli e, in questa ipotesi, l'articolo 104 verrebbe soppresso, mentre l'articolo 103 verrebbe riformulato.
CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. Se è così, dovremmo correggere i riferimenti agli articoli di cui cambia la numerazione.
PRESIDENTE. Oppure la soluzione potrebbe consistere nella semplificazione dell'articolo 69, che potrebbe prevedere soltanto che il Presidente promulga le leggi secondo quanto stabilito dagli articoli 103 e 104 della Costituzione, lasciando intatta la numerazione degli articoli, compreso l'articolo 70.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Signor presidente, lo sdoppiamento dell'articolo 70 è opportuno, perché i due articoli sarebbero più omogenei e stringati.
LEOPOLDO ELIA. Si potrebbe fondere l'articolo 103, oppure lasciarlo come disciplina accorpata facendo riferimento nell'articolo 69 soltanto all'articolo 103.
PRESIDENTE. In sostanza, resta l'articolo 103: il relatore, nei prossimi attimi, valuterà come coordinare gli articoli 69 e 103; l'articolo 104 verrebbe cancellato.
CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. L'articolo 69, alla lettera e), potrebbe essere del seguente tenore: «promulga le leggi. Può, prima della promulgazione, chiedere una nuova deliberazione (...)»; la parte precedente, che verrebbe soppressa, è infatti compresa nel primo comma dell'articolo 103.
Per quanto riguarda l'articolo 70, sarebbe diviso in due articoli, il primo dei quali composto dagli attuali commi primo, secondo, sesto e settimo; seguirebbe un articolo 71 composto dagli attuali commi terzo, quarto, quinto, ottavo e nono. Da questo articolo in poi, fino all'articolo 103, va aggiunto un numero a tutti gli articoli.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Si arriva, però, alla soppressione dell'articolo 79: propongo di affidare la numerazione degli articoli agli uffici in un momento successivo, perché salta l'articolo 79 e salterà anche l'articolo 104. A quel punto, alla fine, saremo a 139 articoli.
CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. Naturalmente, vi è un problema di coordinamento interno: per esempio l'ultimo comma dell'articolo 70 fa riferimento alle «modalità di applicazione del presente articolo», mentre avremmo due articoli.
LEOPOLDO ELIA. A rigore, fra l'altro, si sarebbe dovuto disciplinare prima l'elezione del Presidente e poi le sue funzioni.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Infatti, vorrei avanzare un suggerimento diverso al relatore Salvi: la formulazione attuale dell'articolo 70 percorre, in maniera a mio avviso corretta, la sequenza del procedimento per l'elezione del Presidente della Repubblica, che non può essere riformulata per salti secondo la proposta di accorpare primo, secondo, sesto e settimo comma; altrimenti, come osservava giustamente il presidente Elia, si parlerebbe prima del giuramento per l'assunzione delle funzioni e poi, in una
PRESIDENTE. A me sembra che la senatrice Dentamaro abbia ragione, nel senso che l'articolo 70 disciplina la procedura per l'elezione del Presidente della Repubblica; secondo un ordine logico, gli ultimi due commi effettivamente affrontano un'altra materia (conflitti di interessi, assegno e dotazione).
CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. Infatti erano messi in questo ordine per tale ragione.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Anche il quinto comma potrebbe rientrare in quest'ipotesi.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Il quinto comma riguarda la campagna elettorale, per cui è perfettamente nell'ordine di svolgimento delle operazioni elettorali.
PRESIDENTE. Il relatore si occuperà di risistemare questa parte.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Signor presidente, ancora, per coordinamento con il testo Salvi, nell'articolo 69, lettera l), si fa riferimento allo stato di guerra deliberato dalle Camere, mentre nel testo sul Parlamento, all'articolo 110, si fa riferimento al Parlamento in seduta comune: propongo, pertanto, che anche nell'articolo 69 si facesse riferimento al Parlamento in seduta comune.
CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. Accetto la proposta della senatrice Dentamaro di fare riferimento al Parlamento in seduta comune: se dobbiamo dichiarare guerra, va previsto un minimo di solennità!
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Ancora, nel testo sulla forma di Stato ed in quello sul Parlamento è utilizzata indifferentemente la dizione «assemblea legislativa regionale», oppure «assemblea regionale»: suggerirei, d'accordo con il relatore D'Onofrio, di usare sempre la stessa espressione, che potrebbe essere quella più breve, sia per ragioni testuali, sia perché in fondo queste assemblee adottano anche regolamenti. Propongo quindi di utilizzare sempre la dizione «assemblea regionale».
Nella formulazione dei titoli, poi, suggerirei di utilizzare o sempre o mai l'articolo determinativo: poiché l'attuale Costituzione lo utilizza sempre, proporrei di riformulare il titolo I nel seguente modo «I comuni, le province, le regioni, lo Stato» in adesione alla formulazione del titolo V dell'attuale Costituzione. Quanto al titolo V del testo in esame bisognerebbe adottare «La partecipazione dell'Italia all'Unione europea» ed al titolo VII «Le garanzie costituzionali». Mi rendo conto che sono sfumature, ma stiamo licenziando un testo che sarà sottoposto...
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. L'attuale Costituzione prevede la formulazione «Garanzie costituzionali»: ho mantenuto il titolo dell'attuale Costituzione, da questo punto di vista sono stato il più conservatore di tutti!
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Vi sono poi le due questioni più sostanziali (innanzitutto la questione dei decreti-legge), di cui lei, presidente, è al corrente: se ritiene, le illustro ora.
PRESIDENTE. Al riguardo, nessuno ha sollevato obiezioni, per quanto abbia chiesto
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Signor presidente, per quanto riguarda i titoli, invito la collega Dentamaro a ritirare le sue proposte, che potranno eventualmente essere valutate in settembre, nella fase conclusiva del lavoro.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Signor presidente, ritiro le mie proposte relative ai titoli.
PRESIDENTE. Ci sono ulteriori osservazioni alle proposte di coordinamento del testo, compresa la sistemazione degli articoli (che però non deve spezzare la procedura elettorale del Presidente della Repubblica)?
FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Signor presidente, la formulazione da me proposta recava «ordinamento federale della Repubblica». Si era stabilito di decidere la questione relativa all'ordinamento complessivo della Repubblica al termine delle votazioni attraverso una proposta dei colleghi della sinistra democratica relativa alla formulazione dell'articolo 1.
Mantengo la convinzione che il testo, con le modifiche che non abbiamo potuto esaminare relative alla revisione costituzionale e con quelle relative alla struttura del Parlamento oggetto di iniziativa politica, possa contenere la parola «federale» al termine del processo, per cui ho suggerito di omettere tale aggettivo nella definizione dell'ordinamento della Repubblica, ritenendo che si tratti di un traguardo da raggiungere ma non raggiunto sulla base del testo di oggi.
Desideravo fosse chiaro il motivo per cui la definizione è cambiata rispetto al testo iniziale da me proposto.
FRANCESCO SERVELLO. Avrei voluto rinunciare in questa fase a qualsiasi intervento, atteso che nel pomeriggio vi saranno le dichiarazioni di voto dei gruppi, ma prendo spunto dalle parole finali del relatore D'Onofrio per fare una dichiarazione - che spero non sia solo personale - con una puntualizzazione che mi riguarda.
Credo di essere il decano di questa Commissione bicamerale non tanto per anzianità anagrafica - da questo punto di vista sono battuto da un collega - quanto per numero di legislature (sono alla mia undicesima legislatura). Quindi, ho vissuto l'itinerario quasi intero del dopoguerra, dal 1958 in poi, e devo ascrivere a mia profonda e personale soddisfazione - ringraziando coloro i quali mi hanno designato, dal presidente del partito Fini al capogruppo al Senato Maceratini - per aver potuto partecipare a questa importante sessione della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali.
Ritengo sia stato compiuto un passo estremamente importante e lo dico con forza, perché non soltanto osservatori esterni, politologi, esperti e gran parte della stampa italiana hanno remato contro questa Commissione bicamerale ma anche all'interno delle forze politiche vi sono stati contrasti, e una dialettica, del tutto legittima. Però la tappa che stiamo per raggiungere e sanzionare oggi con il voto finale è positiva, anzitutto perché rappresenta un momento di verifica dal punto di vista della capacità di questa classe politica di corrispondere ad alcune delle grandi attese che si sono dimostrate vive, piene di fermenti ed energie vitali nella società italiana. Vi era e vi è una richiesta di rinnovamento alla quale questa bicamerale ha in parte risposto attraverso l'elezione diretta del Capo dello Stato, la modifica dei suoi poteri, il rafforzamento di fatto del premier e la permanenza di una viginanza e di una partecipazione diretta del Parlamento, soprattutto attraverso la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica dal punto di vista dei controlli.
Si tratta di fatti di grande rilievo, come lo è il referendum propositivo che da tanti anni veniva proposto e che è contenuto nel testo che stiamo per approvare.
PRESIDENTE. Abbiamo fatto uno strappo alla regola in considerazione della qualità di decano parlamentare della nostra Commissione del senatore Servello, il cui intervento ci introduce al dibattito pomeridiano.
Qualcuno intende fare osservazioni sul testo?
STEFANO PASSIGLI. Nell'ultimo comma dell'articolo 116 è sparita la parola «anche» che forse era mal collocata nel testo ma che, a mio avviso, aveva un significato.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. La questione riguarda l'impugnazione per legittimità costituzionale dei regolamenti del Governo.
PRESIDENTE. Sì, ma si vuole capire perché sia stato tolto il termine «anche».
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Il collega Passigli ha annotato la questione con molta attenzione. Nel Comitato di redazione abbiamo valutato che la congiunzione «anche», che era stata inserita con riserva, avrebbe reso più confusa la materia invece di chiarificarla. Ci era parso opportuno, quindi, all'unanimità, proporre di non inserirla almeno in questa fase, salva eventualmente una rivalutazione complessiva nella fase successiva.
PRESIDENTE. In sostanza, si obietta che togliendo la parola «anche» i regolamenti non sono più sottoposti a sindacato di legittimità per la loro conformità alle leggi.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Avevamo ritenuto che la questione fosse ancora aperta e che comunque fosse opportuno in questa sede mantenere soltanto il riferimento alla sottoponibilità al giudizio di legittimità costituzionale nelle forme e con le modalità previste per le leggi, perché si tratta di regolamenti per i quali la nuova Costituzione prevederà la riserva assoluta di regolamento (non potranno più esserci leggi in quella materia). In questo senso chiedo al collega Passigli di accettare l'ipotesi del Comitato di redazione. Avremo poi tutto il tempo necessario per rimeditare sulla materia; ma in questa
SALVATORE SENESE. Debbo ricordare ai colleghi che quella particella «anche», assai poco elegante e foriera, come oggi riconosce il relatore, di grandi confusioni, è stata però la ragione che ha indotto a superare le forti obiezioni che venivano rivolte alla previsione dell'assoggettabilità dei regolamenti allo stesso giudizio di legittimità costituzionale previsto per le leggi.
Nel momento in cui si è riscontrato che quella particella non andava bene, era fonte di confusione, e si è deciso di eliminarla, a me pare che si riapra tutto intero il problema sul quale abbiamo discusso a lungo, per cui riterrei, come soluzione alternativa, o di far cadere l'intero quinto comma, e quindi di rivedere in una seconda fase questo problema, o di accogliere la proposta che era stata avanzata dal senatore Pellegrino e che prevedeva una formula secondo la quale una legge bicamerale avrebbe disciplinato il procedimento e le forme di sindacato giurisdizionale in relazione ai vari regolamenti.
Lasciare invece il testo, eliminata la particella «anche», come propone l'emendamento, significherebbe per intanto consacrare l'affermazione che a fronte di questi regolamenti, sia pure coperti da riserva di regolamento, non è dato altro rimedio che l'impugnazione in via incidentale dinanzi alla Corte costituzionale. Il che significa che si restringe enormemente, come è stato detto nel corso del dibattito, l'area di garanzie.
Questa osservazione è stata accettata dal relatore Boato, il quale però ha ritenuto di superarla sostenendo che invece rimanevano aperti tutti gli altri rimedi. La verifica compiuta dal Comitato di coordinamento ha dato invece ragione alla tesi, a mio avviso correttamente sostenuta dal presidente Elia, secondo cui la sottoposizione dei regolamenti al sindacato della Corte costituzionale escludeva il sindacato giurisdizionale, diciamo così, ordinario degli stessi regolamenti, i quali - debbo ricordarlo -, anche secondo la formula che li prevede in Costituzione, debbono muoversi nell'ambito dei principi generali della legge, nell'ambito dei principi generali che in materia il diritto esprime; quindi non possono essere attaccati soltanto per violazione di norme costituzionali.
LEOPOLDO ELIA. Ricordo che avevo addirittura citato i conflitti di attribuzione.
FAUSTO MARCHETTI. Credo che correttamente il Comitato di coordinamento abbia affrontato la questione, nel senso che effettivamente era stato inserito «anche» con la riserva poi di esaminare la questione in sede di coordinamento. Non ho quindi obiezioni di carattere formale. Ritengo che «anche» sia una parola che non può essere elegante in un comma ed inelegante in un altro; l'abbiamo usata per risolvere diversi problemi nel corso dei nostri lavori. Credo comunque che nel momento in cui il Comitato di coordinamento elimina «anche», occorra però avere chiarezza sulla soluzione della questione, perché quell'espressione dava chiarezza.
Se si elimina l'«anche» resta aperta la questione di merito. Non sollevo obiezioni formali, ma ricordo che il Comitato di coordinamento era autorizzato espressamente dalla Commissione a risolverla, mentre in tal modo resta del tutto aperta: la affronteremo in un secondo momento.
MASSIMO VILLONE. Credo che la disposizione di cui all'ultimo comma dell'articolo 116 sia sbagliata ed inopportuna, però non c'è dubbio che noi l'abbiamo approvata, e l'abbiamo approvata con riserva di coordinamento sull'«anche», che a mio avviso è stato opportunamente tolto; diversamente, infatti, si sarebbe creata una categoria di atti a mio modo di vedere suscettibile di due regimi diversi. Il professor Elia richiamava adesso i conflitti di attribuzione, per i quali il problema in qualche misura si è posto; ma si è posto proprio nei termini della necessità
GIOVANNI PELLEGRINO. Condivido il parere espresso da Boato e Villone. Vorrei dire solo poche parole per fugare i dubbi che avanzava il collega Senese. Se coordiniamo l'ultimo comma dell'articolo 116 con la lettera b) dell'articolo 135, diventa chiaro che il giudizio di legittimità costituzionale su questi tipi di regolamento sarà sempre un giudizio incidentale, quindi di fronte al giudice amministrativo si impugnerà l'atto puntuale di esecuzione del regolamento o si impugnerà il regolamento, come oggi è possibile, e in quella sede si solleverà l'incidente di costituzionalità, come mi sembra giusto, una volta che si tratta di una zona coperta da riserva assoluta di regolamento. A quel punto, se non si inserisse l'ultimo comma, una violazione della Costituzione da parte del regolamento sarebbe sindacabile direttamente dal giudice amministrativo e non dalla Corte costituzionale, come mi sembra più proprio.
Pertanto togliere la parola «anche» significava eliminare ogni dubbio sull'impugnabilità diretta davanti alla Corte costituzionale del regolamento come una giurisdizione alternativa a quella del giudice amministrativo. Lascerei quindi il testo così, salvo affrontare nuovamente la questione a settembre in sede di valutazione di eventuali emendamenti.
PRESIDENTE. Diversi colleghi hanno espresso l'opinione di lasciare il testo corretto dal relatore, salvo poi riesaminarlo in sede di emendamenti; altri colleghi hanno invece espresso l'opinione di lasciare la parola «anche», pur essendo un termine brutto.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Presidente, in realtà non era stata solo una mia proposta; è l'intero Comitato di redazione che aveva suggerito alla Commissione di eliminare quella parola. Correttamente mi sono fatto carico, nella relazione che ho predisposto sabato e domenica, di dar conto nel testo della relazione stessa di questa problematica ancora aperta. Chiederei quindi se possibile (associandomi a Villone e a Pellegrino, nonché a Marchetti, che mi pare convenisse su questa opportunità) di adottare il testo senza la parola «anche», nella consapevolezza però che è una questione ancora aperta; di tale questione do conto nella relazione e potremo nuovamente valutarla a settembre.
PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, decidiamo in questo senso: la relazione dà conto che la questione è aperta, anche perché effettivamente le leggi non sono i regolamenti, e viceversa. Anche nelle materie in cui vi è riserva assoluta di regolamento, i regolamenti devono essere sempre conformi alle leggi.
SALVATORE SENESE. Presidente, vorrei formulare una semplice domanda. Attualmente un principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico, che ha più di un secolo di vita, stabilisce che il giudice applica i regolamenti solo se conformi alla legge. Con l'approvazione di questa norma, per questo tipo di regolamenti potrà continuare ad applicarsi questo principio, oppure no?
MASSIMO VILLONE. Vorrei segnalare al collega Senese che il problema non è dato da questo profilo tecnico, ma dall'accettazione in sé della figura del regolamento indipendente. Allora discutiamo delle premesse, perciò dovremo riaprire per forza il merito della questione.
PRESIDENTE. Non discutiamo delle premesse.
MASSIMO VILLONE. Per questo dico che non è questo il momento per aprire il discorso; risale alla figura in sé, non a questo profilo tecnico e specifico.
PRESIDENTE. Propongo allora di confermare il testo del relatore, salvo tornare su questa materia successivamente. Anche la formulazione comprensiva della parola «anche» non risolve la questione; non risolta per non risolta, tanto vale scegliere un testo più limpido.
Rispetto all'articolo 70, il relatore Salvi ha proposto una riformulazione, per cui i primi sette commi, ed un ottavo sul procedimento elettorale e le modalità operative rimangono costitutivi dell'articolo 70 e poi c'è un articolo 71...
MARCO BOATO, Relatore sul sistema della garanzie. Benissimo.
PRESIDENTE. ...secondo i suggerimenti della relatrice Dentamaro. L'onorevole Boato è interessato solo alla numerazione...
MARCO BOATO, Relatore sul sistema della garanzie. Presidente, sono interessato alla tenuta del testo nel suo insieme!
PRESIDENTE. Parlavo anche per quelli interessati al merito.
MARCO BOATO, Relatore sul sistema della garanzie. Avevo esaminato anche il merito, presidente.
PRESIDENTE. Abbiamo concluso questo lavoro.
Adesso, vi chiedo, anche senza una votazione formale, che resti stabilito che il testo sottoposto oggi pomeriggio all'approvazione per la trasmissione alle Camere sia quello che risulta così definito sulla base delle correzioni apportate in sede di coordinamento.
Se non vi sono obiezioni, restiamo intesi che il testo da sottoporre alla Commissione sia quello comprensivo delle modifiche di coordinamento prospettate nel testo in distribuzione e di quelle ulteriori sulle quali si è fin qui convenuto.
(Così rimane stabilito).
La Commissione è convocata per le 16, per procedere alle dichiarazioni di voto e alla votazione.
Si darà la parola ai rappresentanti dei gruppi nell'ordine crescente, a cominciare dai gruppi meno numerosi salendo verso quelli più numerosi, secondo tradizione. Per quanto riguarda i rappresentanti del gruppo misto, avranno la parola diversi parlamentari che rappresentano differenti opzioni politiche all'interno del gruppo stesso e quelli che lo vorranno, ma ad essi si darà la parola per dieci minuti (se ci perdonano!).
I rappresentanti dei gruppi avranno la parola per quindici minuti (come massimo, non è obbligatorio!); infine si darà la parola a coloro i quali chiederanno di parlare in dissenso dai rispettivi gruppi per cinque minuti ciascuno. Seguirà infine la votazione.
La seduta termina alle 13,40.
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