RESOCONTO STENOGRAFICO SEDUTA N. 42

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La seduta comincia alle 15.40.


(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).


Seguito dell'esame dei progetti di legge di revisione della parte seconda della Costituzione.


PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame dei progetti di legge di revisione della parte seconda della Costituzione.
Avevamo precedentemente accantonato l'articolo 6 del testo base sulla forma di Stato, di cui è relatore il senatore D'Onofrio, al fine di arrivare ad una decisione nel corso della seduta di oggi pomeriggio. Ora, dobbiamo innanzitutto prendere in esame la proposta sostitutiva dell'articolo 6 redatto dal relatore che è stata presentata dal senatore Grillo ed altri e, se eventualmente fosse respinta, dovremmo esaminare altri subemendamenti. Ricordo che avevamo accantonato la questione per consentire ai presentatori un'ultima riformulazione del testo: mi sembra che l'ultima formulazione del subemendamento Grillo rimanga in sostanza uguale al testo che era stato presentato ieri, mentre del tempo a disposizione si è giovato il relatore il quale propone una riformulazione del suo testo nel senso di aggiungervi la previsione di un fondo disciplinato con legge; il concetto di solidarietà era già contenuto nel testo (v. allegati alla Commissione bicamerale contenenti l'emendamento del relatore ed il subemendamento Grillo). All'emendamento del relatore I.6.42, cui è riferito il subemendamento Grillo I.0.6.42.2.
Devo precisare che, a questo punto, vi sono alcune proposte modificative del subemendamento che però non metterei in votazione, anche perché avremo successivamente tempo per valutarle; in sostanza, penso che ora dobbiamo scegliere fra le due formulazioni, quella del relatore e quella del senatore Grillo, quale vada inserita nel testo che licenziamo. La materia, comunque, è complessa, ne abbiamo lungamente discusso ed avremo modo di tornarci sopra successivamente, anche sulla base delle proposte di modifica che potranno essere avanzate dai colleghi nel corso dell'ulteriore fase che avremo di fronte prima dell'inizio dell'esame nelle aule parlamentari.
A questo punto, però, sottoporrei a votazione il subemendamento Grillo ed altri in alternativa al testo del relatore: se proprio è essenziale, prima del voto, darei la parola ad un oratore a sostegno di ciascuno dei due testi, altrimenti passerei direttamente al voto.
Porrò dunque in votazione il subemendamento Grillo ed altri riferito all'emendamento del relatore, senza ulteriori aggiunte e correzioni (che pure sono pervenute, ma che potremo valutare successivamente, perché adesso non possiamo proseguire oltre una discussione che è stata già lunga). Passeremo dunque subito al voto, a meno che non si vogliano fare brevi dichiarazioni.


GIULIO TREMONTI. Icasticamente, sono testi radicalmente alternativi: non è vero che siano simili o assimilabili. Il subemendamento è una variante - io ritengo formalmente e tecnicamente non migliore - del testo elaborato nella precedente Commissione bicamerale De Mita-Iotti; è conseguentemente un testo ispirato da un criterio di autonomia regionale,


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basato su una meccanica assolutamente convenzionale, tanto nella struttura del sistema fiscale quanto nella struttura del federalismo fiscale.
Il testo D'Onofrio contiene potenzialità di effettivo federalismo fiscale: è stato elaborato in una logica di possibilità in tal senso; esprimo forte approvazione per la variante introdotta dal relatore basata sull'ipotesi di istituzione di un fondo. Faccio presente, comunque, che il testo del subemendamento presentato, a mio avviso, non sta assolutamente in piedi, anche dal punto di vista tecnico. Faccio un esempio per tutti, e concludo: si prevede che esista un fondo di perequazione per le regioni ed abbiamo appena votato una meccanica di competenze amministrative che per sussidiarietà vanno ai municipi: i diritti fondamentali che dovrebbero essere garantiti dall'azione amministrativa dei municipi sono fuori dalla meccanica del fondo. All'ultimo momento è stata introdotta l'ipotesi di una pluralità di fondi, ma francamente, come vi era la Cassa depositi e prestiti (che non c'entra nulla ma serve per dare un'immagine) così vi dovrebbe essere un solo fondo. A mio parere, è un testo che porterà la gente ad affrontare problemi del seguente tipo: se uno vive a Roma e ha la casa a Gallipoli, deve informarsi sull'addizionale...


PRESIDENTE. Io sono in affitto: da questo punto di vista, sono esente da questo terribile rischio; può darsi che l'onorevole Buttiglione si trovi in questa situazione!
Comunque, prosegua.


GIULIO TREMONTI. Parlo a suo beneficio: è un rischio che si diffonde ad una pluralità non marginale nella popolazione. Quella persona deve chiedere quali sono le addizionali e le sovraimposte regionali, provinciali, comunali relative a quell'immobile, vivendo a Roma: mi sembra oggettivamente l'opposto di quello che si immagina come federalismo.


PRESIDENTE. Colleghi, non è previsto un dibattito.


FRANCESCO SERVELLO. Signor presidente, desidero richiamare alla memoria del relatore una piccola modifica che avevo chiesto all'ultimo capoverso del suo emendamento che è stato approvato, con riferimento alla ripetizione per due volte della sottolineatura «solo», che non aggiunge nulla alla disposizione.


PRESIDENTE. Onorevole Servello, valuteremo tali questioni in sede di coordinamento formale.


MICHELE SALVATI. Sarò non icastico, ma comunque breve. Devo innanzitutto evidenziare un errore materiale, che vorrei venisse corretto perché è su un punto molto importante: nel nostro subemendamento, al comma 1, dopo le parole «tributi erariali, istituiti con leggi regionali» seguono le parole «sulla base di principi», per cui va cancellata la parola «o» erroneamente aggiunta; altrimenti si stravolge il senso della norma.
Quanto alle affermazioni molto generali e trancianti dell'onorevole Tremonti, non vorrei rispondere in questa sede se non per il seguente aspetto: il testo del relatore D'Onofrio può sicuramente svilupparsi in una direzione di concessione di poteri impositivi molto più netta e drastica nei confronti degli enti locali e delle regioni; può però benissimo svilupparsi in direzione diversa. Se vi è un difetto del testo che abbiamo presentato con il nostro subemendamento, è un'eccessiva articolazione per un testo costituzionale, derivata però dal seguente principio: la nostra è una Commissione referente che deve presentare, in modo chiaro ed ordinato alle Camere, che avranno il potere decisionale ultimo, l'insieme dei problemi sui quali devono essere prese delle decisioni. In un certo senso, questo testo è quasi un menù di problemi che vengono però chiaramente indicati: non crediamo che questo testo uscirà dalle Camere nella sua attuale forma, poiché a nostro avviso dovrà essere prosciugato, semplificato eccetera; inoltre, alcuni dilemmi dovranno essere sciolti.
Do, per esempio, un'idea di un dilemma esistente: come ha fatto giustamente


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notare l'onorevole Tremonti in un suo precedente intervento, rispetto al fondo perequativo per le regioni, se queste non hanno alcun potere di operare trasferimenti agli enti locali in esse compresi a fini perequativi (in questo articolo non è loro riconosciuto questo potere), un'attenzione così ampia, tale da dedicare un articolo apposito (l'articolo 6-bis) al fondo stesso non si giustifica. Evidentemente, occorrerà assumere una decisione su chi opererà la perequazione, se questa sarà infraregionale o soltanto intraregionale: è una delle decisioni che dovranno essere prese.
Potrei fare una serie di altri esempi: l'unica ambizione che ha questo testo, nella sua analiticità, è quella di indicare i problemi ed i dilemmi che dovranno essere sciolti allo scopo di rivolgerli in direzione più o meno federalistica. Questo è il merito che ha.


GIULIO TREMONTI. Presidente, qui assistiamo all'apparizione di una nuova specie giuridica: il «quasi testo», quello che dovrebbe essere non un testo articolato ma semplicemente un testo base per attivare una procedura dialettica. Io avevo la convinzione che i nostri lavori fossero finalizzati alla redazione ed all'approvazione di un articolato normativo, non di «testi-tentativi». Se riteniamo che l'ipotesi prospettata dall'onorevole Salvati non sia rispondente alle nostre finalità, se crediamo che il testo-tentativo non costituisca l'oggetto del nostro lavoro, dobbiamo concludere che quella proposta è insufficiente come testo normativo.


PRESIDENTE. Ho capito. Lei ha già pronunciato su quel testo parole demolitorie che tutti hanno potuto udire. Adesso dovremmo però passare al voto.


LUIGI GRILLO. Vorrei sinteticamente soffermarmi su tre questioni che al punto in cui siamo arrivati necessitano di un chiarimento. L'attenzione di molti colleghi si è appuntata sul testo del quale sono primo firmatario; vorrei però spiegare perché si è partiti dal rifiuto del testo D'Onofrio.
Innanzitutto il testo D'Onofrio è evanescente. Poiché esso non enuncia i criteri attraverso i quali la perequazione si espliciterà, di fatto li confonde con i principi che dovrebbero presiedere al trasferimento di funzioni speciali e finalizzate (i trasferimenti vincolati).
In secondo luogo, il testo D'Onofrio - che non esplicita, ma semplicemente enuncia, il principio della restituzione - di fatto indurrà un sistema nel quale la restituzione diventerà una decisione unilaterale a livello statale, che potrebbe essere fortemente condizionata dai diversi poteri contrattuali delle singole regioni (dico «potrebbe», ma l'esempio spagnolo ci fa ritenere che sarà proprio così). A quel punto scommetto che la Basilicata avrebbe un potere diverso dalla Lombardia, dal Veneto o dalla Sicilia nel trattare con il Governo centrale.
Infine, laddove nel testo D'Onofrio si parla di basi imponibili separate ed autonome per ogni livello di governo (comuni, province, regioni, Stato) si giunge ad una costruzione bellissima, ma teorica. Credo che sarà molto difficile immaginare che nel nostro paese i quattro possibili livelli di governo inventino tributi diversi senza, per esempio, mettere in conto l'aumento dei costi amministrativi e burocratici indotto da una simile moltiplicazione di tributi.
Per tutti questi motivi, signor presidente, non soltanto mantengo il mio testo, ma ne raccomando l'approvazione con la consapevolezza che non è un «quasi testo», anche se come tutte le proposte è suscettibile di essere migliorato.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Non avrei chiesto la parola, signor presidente, se il collega Grillo non avesse usato un'espressione impropria dal punto di vista tecnico-costituzionale.
Il testo che ho proposto non è «evanescente»: rimette alla legge bicamerale - della quale stiamo per occuparci - la


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definizione dei parametri, esattamente come l'altra proposta in esame.
Ho voluto evitare guerre di parole sui due testi perché - nonostante le radicali differenze, sottolineate poco fa dal collega Tremonti - in nessuno di essi viene meno la capacità dello Stato di assolvere al dovere di pagare gli interessi sul debito pubblico, il che li rende da questo punto di vista «tranquilli». Vi è però singolarità nelle parole di Grillo: sembra preoccupato del Mezzogiorno, ma dell'argomento parla il mio testo e certo non il suo. Allora, se si preoccupa del meridione senza poi farvi riferimento nella sua proposta, mi sembra faccia un'opera molto singolarmente incomprensibile.


FAUSTO MARCHETTI. Signor presidente, il testo della proposta Grillo è a mio avviso senz'altro preferibile a quello del relatore. La direzione verso la quale si muove può essere considerata positiva. Ritengo però che effettivamente esso abbia una sorta di carattere provvisorio, riconosciuto dal collega Salvati, mentre in questa fase dovremmo votare testi con una stesura già accettabile (anche se naturalmente dovranno essere sottoposti, come sappiamo, all'ulteriore esame del Parlamento).
Ieri ho rivolto a questo testo critiche che riconfermo. Pertanto il gruppo di rifondazione comunista esprimerà un voto di astensione.


KARL ZELLER. Signor presidente, vorrei chiedere di mettere in votazione innanzitutto un mio subemendamento al testo del relatore, in materia di beni demaniali.


PRESIDENTE. Non è possibile in questo momento. Stiamo infatti per procedere alla votazione della proposta interamente sostitutiva del testo del relatore: se non fosse approvata, si passerebbe successivamente all'esame dei subemendamenti al testo del relatore.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Signor presidente, vorrei avanzare una semplicissima proposta. Poiché dalla redazione dei testi risulterebbe una diversità di autonomia finanziaria dei diversi livelli di governo, si potrebbe premettere all'inizio dell'articolo: «Regioni, province e comuni hanno autonomia finanziaria, di entrata e di spesa». Conseguentemente occorrerebbe sopprimere la prima parte del primo comma («L'autonomia finanziaria e tributaria...»). Infine...


PRESIDENTE. Mi scusi, senatore, ma se intende apportare questo genere di correzioni dovrebbe presentare un subemendamento, che sarà discusso nella fase successiva.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Va bene, presidente.


MARIO RIGO. Presidente, vorrei chiedere la votazione per parti separate del testo D'Onofrio, nel senso di votare innanzitutto i primi tre commi e successivamente la restante parte.


PRESIDENTE. Dobbiamo ora votare sul testo proposto dal senatore Grillo.
Passiamo ai voti.
Pongo in votazione il subemendamento Grillo I.0.6.42.2.


(È approvato).


È così completata la fase relativa alla forma di Stato.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Presidente, come sappiamo restano ancora da affrontare i tre temi del Parlamento (del quale abbiamo già cominciato ad occuparci), del governo e delle garanzie, ma devo dire che il contesto della forma di Stato complessivamente delineata dalla Commissione è a mio avviso una costruzione dignitosa (anche se non condivido la soluzione che è stata adottata sulla parte relativa al federalismo fiscale).
Vorrei ora esprimere la mia gratitudine, non solo formale, al presidente del Comitato Elia, il quale in tutti questi mesi


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non ha mai voluto esercitare la sua - ovvia e superiore - capacità culturale e tecnica nei nostri confronti. Lo ha fatto con una tale cortesia ed una tale amabilità che gli sono personalmente grato.
La mia gratitudine va anche al presidente D'Alema: se ad aprile, quando chiesi che il Comitato forma di Stato tenesse incontri con gli altri tre Comitati, il presidente D'Alema non avesse dato il via libera, consentendo - al di là di mille perplessità - di affrontare il tema del federalismo nel modo in cui ciò è stato fatto, oggi non saremmo qui. Voglio quindi rendere pubblica, formale e sentita testimonianza di una forte gratitudine che mi auguro al termine dei nostri lavori sia ancora più forte.


PRESIDENTE. Me lo auguro anch'io!
Riprendiamo l'esame della parte relativa al Parlamento. (v. testo base e relativi emendamenti)
Ricordo che mi ero iscritto a parlare sull'articolo 3.
Si tratta di una norma cruciale nel testo che stiamo esaminando e, stando anche alle considerazioni svolte questa mattina, effettivamente è uno dei punti più tormentati; allo stato delle cose - mi riferisco sia al testo che ci è stato proposto sia agli emendamenti - è una delle questioni a mio avviso più irrisolte, attorno alle quali si confrontano soluzioni molto diverse, mentre su altri temi contrastati siamo arrivati ad un notevole grado di avvicinamento delle posizioni. È anche un tema sul quale l'attenzione del mondo politico ed istituzionale - non dirò dell'opinione pubblica: sinceramente non lo saprei giudicare - è più forte: le tensioni potranno manifestarsi nel modo più vivo (penso anche al sistema autonomistico e regionale).
Pur riconoscendo tutto questo, credo che alcuni giudizi formulati questa mattina non siano da accogliere e non siano improntati ad uno spirito di serenità.
Vorrei dire all'onorevole D'Amico che, senza entrare nel merito dell'esito finale di questa architettura costituzionale, l'idea di una seconda Camera con poteri di richiamo e di garanzia non appare così singolare, nemmeno rispetto agli ordinamenti democratici degli altri paesi europei e del mondo.
L'onorevole Bertinotti ha esaminato il testo sotto il profilo scientifico e lo ha scientificamente demolito. In realtà il monocameralismo è dottrina di una scienza non diffusissima, dato che non esiste in nessun grande paese democratico del mondo. Appartiene ad una scienza «bertinottiana» che come tale io rispetto, ma evidentemente è difficile affermare con quella sicurezza...


FRANCESCO SERVELLO. Conservatrice e rivoluzionaria!


PRESIDENTE. Una scienza particolare, diciamo, che non ha trovato applicazione in nessuna grande democrazia contemporanea. Evidentemente si deve considerare con maggiore tolleranza un diverso punto di vista.
Non so se il testo finale sarà un compromesso mediocre, alto o basso, ma vorrei ricordare all'onorevole Occhetto che questo tema ha sempre tormentato la sinistra (torno con la memoria alle vicende che abbiamo vissuto insieme nell'ambito della sinistra italiana).
Ho sotto gli occhi gli atti della Commissione De Mita-Iotti; la delegazione del PDS era guidata all'epoca (1992) dal suo segretario. La proposta del PDS fu la seguente: La Commissione si orienta per un bicameralismo differenziato, articolato in una Assemblea nazionale di 400 deputati e in una Camera delle regioni di 200 membri; entrambe le Camere concorreranno all'elezione del Presidente della Repubblica, all'approvazione delle leggi costituzionali, all'investitura del Presidente del Consiglio, all'indirizzo e al controllo sul Governo; la Camera delle regioni sarà composta in modo da rappresentare la collettività e le istituzioni regionali.
Richiamo alla mente questa discussione non per polemica, ma perché ci rendiamo conto di quanto questa versione sia complessa e abbia interessato tormentosamente le forze politiche per ragioni


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anche comprensibili che non nascono ora ma sono storicamente motivate. Se si leggono gli atti, appare chiaro che la proposta con cui la sinistra democratica affrontò quella discussione, alla fine era quella di un'Assemblea mista; in questo c'è una perfetta continuità - persino nei numeri - con il testo con il quale oggi il gruppo della sinistra democratica si presenta in questo dibattito. Può darsi che quel testo non sia rispondente ad una esigenza di rinnovamento, ma è una posizione politica che non è stata improvvisata ora, ma che nasce da una lunga discussione.
Ricordo bene come la posizione monocameralista fu sostenuta all'interno del nostro partito e come poi fu soverchiata da altre esigenze ed altre posizioni; parlo di molto tempo fa, quindi di una questione la cui difficoltà non nasce ora qui e per esigenze di natura congiunturale. Credo tuttavia che la difficoltà nella quale ci troviamo nasca dal fatto che le soluzioni introno alle quali lavoriamo si sono sforzate di contemperare due diverse esigenze che sono difficilmente sommabili.
Da una parte vi è l'esigenza di un'Assemblea che abbia una funzione di richiamo, di garanzia nell'esame di leggi bicamerali che richiedono procedure aggravate e un consenso particolarmente ampio, questione a mio giudizio non priva di fondamento. D'altro canto, su questo ci siamo interrogati fin dal momento in cui con il passaggio al maggioritario è cambiata tutta una serie di garanzie previste nell'attuale Costituzione e legate a quel sistema di quorum che, poggiando sulla legge costituzionale, faceva sì che si garantisse la rappresentatività della maggioranza che si formava in Parlamento; da quel momento ci siamo posti il problema di come costruire un sistema di garanzie che reggesse la sfida del maggioritario. Naturalmente questo sistema può essere creato anche attraverso un elevamento dei quorum, però lo considero pericoloso perché una logica di questo genere può condurre alla paralisi o al consociativismo.
La risposta che qui si tenta, naturalmente discutibile - io stesso la vedo come aperta e problematica- va in una direzione diversa, in quella cioè di un bicameralismo nettamente distinto nelle sue funzioni, che tende ad assegnare ad una Assemblea il rapporto fiduciario con il Governo e all'altra un compito di garanzia più distaccato rispetto alla dialettica maggioranza-opposizione e un compito di richiamo soltanto di quei provvedimenti che, toccando diritti di libertà individuali e collettivi, si prestino ad essere esaminati al di fuori di una stretta dialettica maggioranza e opposizione.
A questa esigenza che - lo ripeto - a mio giudizio non è infondata, se ne somma un'altra con essa difficilmente componibile: quella di trovare all'interno di questa seconda Assemblea parlamentare il luogo di rappresentanza del sistema delle autonomie nello spirito di una riforma federale dello Stato. È apparso chiaro fin dal primo momento che era difficile percorrere la strada del modello tedesco e non soltanto perché a questo si opponesse una resistenza corporativa dei senatori a cui qualcuno ha fatto riferimento, ma anche per una ragione più immanente al tipo di federalismo verso il quale andiamo. Il modello tedesco poggia sull'articolazione dei Lnder, noi puntiamo ad un sistema di attribuzione di responsabilità amministrative e legislative che coinvolge comuni e province; il problema della rappresentanza del sistema autonomistico degli enti locali è abbastanza complesso, dovrebbe trovare soluzione o attraverso forme di rappresentanza di terzo grado (sindaci eletti dai cittadini che eleggono rappresentanti dei sindaci eletti dai cittadini) oppure attraverso meccanismi - che pure qualcuno ha proposto - che privilegerebbero per esempio le grandi aree metropolitane, determinando una diseguaglianza nella rappresentanza tra i cittadini difficilmente comprensibile (vi sarebbero cioè cittadini rappresentati più volte ed altri rappresentati meno volte nel Parlamento).
In realtà ritengo che l'idea di un Parlamento delle regioni e delle autonomie

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sul modello tedesco confligga con il modello autonomistico o federalistico - chiamiamolo come vogliamo - verso il quale andiamo. Personalmente credo che siano in campo due tentativi di conciliare queste diverse esigenze. Il primo è quello proposto in origine dal senatore Elia di collocare dentro il Senato delle garanzie una Commissione rappresentativa del sistema autonomistico con speciali funzioni e poteri, che rappresenti non dico un corpo separato ma una realtà particolare; l'idea è di incorporare questa rappresentanza dentro un Senato che abbia un carattere misto che rappresenti insieme - come diceva la vecchia proposta del PDS - la collettività nazionale e le istituzioni regionali.
Apprezzo quest'ultima proposta presentata dal gruppo al quale appartengo, tuttavia ritengo si presti a notevoli controindicazioni, in particolare per l'idea che i presidenti delle regioni possano svolgere pleno iure e con pieno impegno quel tipo di funzione parlamentare di garanzia, che è notevolmente assorbente, conciliandola con le funzioni di governo. È evidente che qui si sovrappongono due modelli in uno sforzo generoso di conciliazione che però, alla prova pratica, rischia di essere difficilmente percorribile.
Sotto questo profilo - parlo in dissenso, per così dire - allo stato delle cose personalmente trovo più persuasiva la proposta Zecchino-Elia perché dà una forte connotazione speciale a questa presenza delle regioni e del sistema delle autonomie nel Parlamento e la lega ad un ruolo di specifica garanzia. Mi sembra quindi che questa soluzione si presenti come la più convincente, quella che ha meno controindicazioni, pur avendo anch'essa qualche carattere di artificiosità e di provvisorietà.
Adesso non possiamo riscrivere testi, ma ci sono questioni sulle quali possiamo tornare a riflettere; nel corso delle discussioni che si sono svolte si sono affacciate anche altre due ipotesi, richiamate in misura parziale da alcuni emendamenti. Una è l'idea che l'elezione popolare diretta sia in qualche modo associata alle elezioni regionali, attraverso liste che si presentano contestualmente; naturalmente questa soluzione si scontra con i rischi legati all'autonomia ordinamentale delle regioni, ma fino a un certo punto, perché potremo benissimo prevedere che, una volta stabiliti alcuni principi nazionali tra i quali l'elezione popolare diretta, le regioni possano scegliere i senatori che le rappresentano in una Assemblea federale. L'idea che l'elezione popolare diretta possa avvenire attraverso un meccanismo che coinvolge le istituzioni regionali o nella selezione delle candidature o per la contemporaneità del voto con le elezioni regionali o per il collegamento tra i candidati al Senato della Repubblica e i candidati alle elezioni regionali, l'idea di creare una forma di selezione e di formazione di questa rappresentanza che coinvolga le istituzioni regionali, può essere un tema sul quale approfondire la ricerca.
L'altra ipotesi è invece quella di una più netta demarcazione, cioè la scelta netta di un Senato delle garanzie e di una diversa soluzione per dare risposta all'esigenza di concertazione in relazione alla riforma federalista dello Stato dando dignità costituzionale alla Conferenza-Stato-regioni-autonomie; collocando cioè in un organismo ad hoc l'esigenza concertativa e di collaborazione tra governo nazionale, governi regionali e governi delle grandi aree metropolitane costituzionalizzando un organismo già previsto dalla legge, che potrebbe trovare una più robusta definizione anche con l'attribuzione di pareri vincolanti in Costituzione.
Chiedo scusa se ho fatto questo excursus, ma l'ho ritenuto giusto dato che questi sono temi dei quali abbiamo discusso e che continueremo a discutere. Anch'io condivido un travaglio, nel senso che credo che la soluzione cui siamo arrivati si presti a molti rilievi critici e comunque constato che su di essa non c'è il largo concorso che si è determinato intorno ad altre soluzioni. Allo stato delle carte che abbiamo di fronte, la mia personale opinione è che la proposta più

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persuasiva sia quella Elia-Zecchino; ma ho voluto esternare considerazioni che vanno oltre, sulle quali potremo continuare a riflettere nella fase ulteriore, anche raccogliendo le opinioni fuori di qui che si potranno manifestare nel Parlamento, per verificare se, lavorando intorno ad ipotesi ulteriori nella fase successiva, quando torneremo a ragionare sugli emendamenti che verranno presentati, sarà possibile cercare una soluzione che possa apparire più largamente persuasiva. Su questa in effetti c'è un contrasto, una difficoltà, manca un consenso pieno qui dentro, nel rapporto con altre istituzioni. Registro che questa è una situazione reale, rispetto alla quale sarebbe sbagliato considerare che non abbia un peso; queste ragioni di disagio hanno un qualche fondamento perché noi abbiamo cercato di dare, con soluzioni ingegnose e generose, risposte ad esigenze diverse, che non appaiono tuttavia facilmente componibili entro un medesimo meccanismo istituzionale.


ACHILLE OCCHETTO. Presidente, una sola precisazione; sarò brevissimo, nei miei interventi sono sempre stato breve.
Lei sicuramente è stato molto attento al mio intervento, e comunque credo che sia registrato. Non ho fatto alcun riferimento alle posizioni congressuali del PDS, ma alla cultura istituzionale della sinistra e in particolare del PCI che, come sappiamo, per ciò che riguarda il monocameralismo, risale alla Costituente, quindi è di vecchia data; ho detto che gli aspetti più avanzati di quella cultura oggi sono contraddetti.
Che poi nel corso della travagliata storia del PDS soluzioni culturali più avanzate abbiano trovato punto di compromesso anche a basso livello, credo non sia lei che me lo debba ricordare; io - ahimè - ne sono profondamente consapevole e ricordo non soltanto quello del bicameralismo, ma anche il modo in cui la mia prima proposta riguardante il premierato è stata accolta come se fosse un aspetto che rompeva con la tradizione democratica della sinistra; non parliamo delle discussioni sul presidenzialismo.
Ma, non essendo questa una sezione di partito, non voglio contrastarla nel richiamo alla storia del PDS, anche se ricordo perfettamente di aver condotto intere campagne elettorali difendendo e proteggendo il monocameralismo.
Il pasticcio cui facevo riferimento non riguardava il fatto che ci potessero essere due Camere - l'ho detto anche nel mio intervento - di cui una di sintesi del problema posto dalla riforma regionale, ma si riferiva nel mio intervento - naturalmente può essere accettato o meno - a questa dizione di Camera delle garanzie di cui si è parlato. Confermo che a mio avviso questo è un mostro istituzionale.


PRESIDENTE. Non volevo mettere in discussione le posizioni del PCI alla Costituente; ricordo bene che furono quelle. Volevo semplicemente dire che nella tradizione della storia della sinistra la proposta di fronte alla quale ci troviamo ha un precedente, nel senso che fu sostenuta pressoché negli stessi termini nella Commissione De Mita-Jotti.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Certamente non posso non svolgere qualche considerazione dopo aver ascoltato questo ulteriore dibattito generale sulla struttura del Parlamento...


FRANCESCO SERVELLO. Più che generale, individuale!


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Direi che è stata una riapertura del dibattito generale sulla struttura del Parlamento e sul Senato, il che del resto testimonia dell'estrema difficoltà incontrata nel tentativo di conciliare esigenze e spinte estremamente diverse e a volte contrastanti, alle quali si è cercato di dare una risposta su cui evidentemente la riflessione - anche dopo il voto che ci sarà tra poco - resterà aperta, come del resto resta aperta su tutti i temi che questa Commissione ha


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esaminato, stante la sua funzione esclusivamente referente. Quindi, senza dubbio nel confronto con l'opinione pubblica, con le altre istituzioni e soprattutto nel dibattito che si svolgerà nelle aule parlamentari approfondimenti, miglioramenti e ripensamenti potranno aver luogo; quella di oggi non sarà certo la parola definitiva.
In questa sede mi sforzerò quindi, anche per essere breve, di riprendere soltanto questioni nuove, che siano emerse oggi per la prima volta o quasi o che comunque oggi siano state prospettate in modo nuovo. Si consideri anche che stiamo certamente parlando di emendamenti, ma, come dicevo, siamo quasi nello spirito di un dibattito generale e soprattutto siamo nella logica, che a questo punto è del resto necessaria, di un confronto tra modelli possibili; siamo cioè nella necessità di effettuare la scelta del modello che riterremo rispondere - al meglio allo stato dell'arte, allo stato delle proposte in campo e della riflessione maturata fino a questo momento - all'esigenza di assicurare un ruolo serio e forte alle autonomie nel Parlamento.
Mi pare che questo sia il punto centrale del dibattito, anche se sulla fine del suo intervento, proprio lei, presidente, ha avanzato l'ipotesi di una soluzione ancora diversa da quelle fino ad oggi esaminate; ipotesi che non mi vede in linea di principio contraria, pur se con tutte le riserve derivanti dall'assoluta mancanza di riflessione e di confronto su questa possibilità e sulle sue modalità di attuazione; l'ipotesi cioè di un organismo esterno al Parlamento che svolga una funzione di confronto diretto con il governo, che quindi lascerebbe non soddisfatta la domanda di una presenza all'interno del Parlamento.
Ritengo che il confronto tra governo centrale ed esecutivi regionali rappresenti forse il cuore del problema, un momento essenziale, importantissimo, che non sarebbe comunque eliminabile nel rapporto tra Stato centrale e istituzioni regionali. Credo che questo rapporto implichi necessariamente un momento istituzionale di confronto tra esecutivi almeno tanto quanto implica una voce all'interno del Parlamento.
Probabilmente, quindi, sarebbe molto opportuna l'idea di costituzionalizzare un organismo del tipo conferenza Stato-regioni-città; addirittura potrebbe esserlo anche indipendentemente e accanto alla presenza delle regioni e delle autonomie locali all'interno del Parlamento.
È ancora più decisivo il confronto tra esecutivi in un sistema federale che veda le regioni dotate di un fortissimo potere legislativo autonomo (per cui ciascuno lo avrebbe al proprio interno), quindi in questo profondamente diverso dal modello tedesco, che è un federalismo amministrativo, nel quale i L|f3nder svolgono essenzialmente, in modo larghissimamente prevalente, funzioni amministrative, per cui il momento della legislazione si svolge quasi esclusivamente all'interno del Bundesrat. Ci troviamo nella situazione quasi diametralmente opposta, per cui diventa essenziale questo momento di confronto istituzionale tra esecutivi.
Detto questo, vengo al confronto tra le soluzioni già in parte arate, più discusse - qualcuna più, qualcuna meno - a proposito della presenza delle regioni e delle autonomie locali all'interno del Parlamento, prima di tutto la soluzione (prospettata dal senatore Morando ed altri) della contestualità e in qualche modo del collegamento tra elezioni regionali ed elezioni del Senato. Mi pare molto sensato ricordare le difficoltà che questa soluzione comporterebbe sul piano tecnico per via dell'autonomia delle regioni nella scelta del sistema elettorale. Mi permetto anche di ricordare che questa scelta non terrebbe in alcuna considerazione il sistema dei comuni e delle province, si limiterebbe alla considerazione delle istituzioni regionali. Comunque, a me pare che tra le varie soluzioni possibili sarebbe quella - lo dico in modo rozzo per sintesi - meno federalista, quella che assicurerebbe con minor forza la presenza e la voce istituzionale delle regioni e comunque delle sole regioni all'interno del Parlamento. Ci sarebbe un forte collegamento politico, ma

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non potremmo certamente parlare di rappresentanza istituzionale, per cui mi pare che questa soluzione darebbe una risposta lieve, morbida, non forte all'istanza di riflettere la scelta federalista anche nella struttura e nel funzionamento del Parlamento nazionale.
Restano quindi in campo due soluzioni: quella del Senato misto affacciata, per così dire, sullo scorcio dei lavori del Comitato dalla sinistra democratica, poi meglio puntualizzata ed approfondita attraverso la presentazione dell'emendamento firmato da quasi tutto il gruppo; quella della commissione, sulla quale a lungo ha lavorato il presidente Elia, il senatore Zecchino ed io stessa.
Tra queste due soluzioni a me pare - svolgo veramente delle riflessioni ad alta voce - che quella più federalista, sempre per utilizzare espressioni rapide e sintetiche, quella che attribuisce alle regioni ed alle autonomie un ruolo più forte ed un peso maggiore, sia quella della commissione. Alcune di queste considerazioni sono state già svolte questa mattina dal presidente Elia. Mi pare che tra l'esprimere un parere vincolante, ossia l'esercitare un potere chiaramente deliberativo, e l'esprimere invece un voto diluito all'interno dell'Assemblea e del Senato, non ci sia confronto quanto al peso che questa voce avrebbe rispetto alla decisione complessiva del Parlamento.
Nello stesso tempo la soluzione della commissione rispetto a quella della composizione mista mi sembrerebbe più coerente con le funzioni di garanzia attribuite al Senato, sulle quali poi spenderò ancora qualche parola. Si tratta di funzioni estremamente delicate; non dimentichiamo che dal punto di vista della legislazione dovrebbero essere attribuite alla potestà decisionale piena del Senato le materie più delicate per la vita della collettività, per cui non si addice all'esercizio di questa funzione una rappresentanza che non sia squisitamente politica. È vero che i presidenti delle regioni sono eletti dai cittadini, è vero che nell'emendamento qui presentato si propone che anche i sindaci siano eletti dai cittadini, sia pure con elettorato passivo ristretto. Tuttavia, proprio in questo mi pare che sia la contraddizione interna a questa proposta, nel senso che qui non si scioglie il nodo della differenza tra rappresentanza politica e rappresentanza istituzionale. Se rappresentanza istituzionale deve essere, non valgono le considerazioni sull'elezione a suffragio universale; se invece è rappresentanza politica, allora non ha senso pensare ad un elettorato passivo ristretto (del resto, mi è parso di sentire considerazioni analoghe negli interventi del presidente Elia e del senatore Passigli).
Quindi, semmai volessimo attribuire alla presenza regionale e municipale, nell'ambito di questo Senato misto, un valore di rappresentanza istituzionale - il che, ripeto, mi sembrerebbe indispensabile nella logica del modello - ciò renderebbe estremamente difficile la sintesi politica per la coesistenza di due tipi di rappresentanza. Del resto, da questo punto di vista, il modello spagnolo insegna: non mi pare che sarebbero superati gli inconvenienti che l'esperienza di questo paese ha messo in evidenza negli anni.
Temo anche che la composizione prevista in quell'emendamento sia piuttosto squilibrata tra componente regionale e componente municipale: a questo punto, non so se poi non insorgerebbero forse i presidenti delle province o se gli stessi presidenti delle regioni non vedrebbero ridotto il loro ruolo, stante la loro presenza in numero pari alla metà dei sindaci.
Un altro aspetto che voglio sottolineare è che se si trattasse di componenti a pieno titolo del Senato, non vedo come potrebbero svolgere le loro funzioni senza avere il dono dell'ubiquità: come potrebbero conciliare le funzioni di parlamentare con lo svolgimento dei loro compiti istituzionali sul territorio? L'idea che abbiamo posto alla base della riforma del Parlamento è un'idea complessiva di rigore e credo che la stessa drastica riduzione proposta del numero dei parlamentari sia significativa proprio in questa direzione. Però, se pochi devono essere, mi pare che dobbiamo anche determinare le condizioni

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perché siano effettivamente presenti o, almeno, non dovremmo predeterminare le condizioni di un'assenza sistematica e quasi fatale di una percentuale consistente di senatori alle sedute, ai lavori dell'Assemblea, delle Commissioni, ai lavori parlamentari in genere.
Ho troppo rispetto per la classe politica regionale e locale per pensare che se ne faccia un problema di status. Non credo che sia questo il punto decisivo per effettuare una scelta tra i due modelli. Però, pur essendo aperta ad altre considerazioni, pur rendendomi conto della necessità di ulteriori approfondimenti, a me sembra che tra l'attribuire ad esponenti delle regioni e degli enti locali questo status, diluendone però la presenza e la partecipazione alla decisione nell'ambito di un'Assemblea di cui rappresenterebbero comunque una percentuale, e l'attribuire invece alla rappresentanza istituzionale piena delle regioni e delle comunità locali, in una composizione equilibrata, un potere decisionale su tutte le materie di competenza delle autonomie ed un potere consultivo su tutte le questioni che in qualche modo possano interessare le autonomie, non ci sia confronto sul piano della soluzione istituzionale, proprio dal punto di vista del rafforzamento del federalismo e delle autonomie.
Un'osservazione sull'intervento del senatore Passigli, che affacciava, almeno in termini dubitativi, la considerazione per cui sarebbe forse più opportuna la collocazione di questa Commissione all'interno della Camera dei deputati, piuttosto che del Senato. A me sembra, in primo luogo, che collocarla all'interno del Senato favorisca quella funzione di riflessione e di approfondimento che deriva dalla seconda lettura, nel senso che su questioni così importanti come quelle che riguardano l'intero sistema e la vita delle autonomie credo sia opportuno assicurare la doppia lettura, sia pure con attribuzione del potere decisionale definitivo alla Camera dei deputati; in secondo luogo, ritengo che la collocazione nella Camera diversa da quella che ha il rapporto diretto con il Governo eviti il rischio, per così dire, di inquinamento politico della rappresentanza istituzionale: ognuno dei presidenti delle regioni e dei sindaci sarebbe probabilmente meno condizionato dalla propria appartenenza politica, che è pure un dato ineliminabile, rispetto a quanto lo sarebbe nella Camera dei deputati, nella Camera dove si svolge la dialettica maggioranza-opposizione all'interno del Parlamento nazionale.
Credo di non aver altro da dire su questo tema, se non che nella sede di questa Commissione la riflessione comune non ha generato, a mio avviso, soluzioni diverse da questa, che comunque a me sembra dignitosa ed assai meno pasticciata di quanto non sia stato contestato.
Qualche considerazione sulla questione, che possiamo ritenere ormai vexata, della funzione di garanzia. Mi associo alle parole del presidente D'Alema a proposito della funzione storica e delle seconde Camere anche in una considerazione di tipo comparatistico. L'onorevole D'Amico ripropone, ancora una volta, le sue perplessità per il fatto che questo sarebbe un modello unico nel panorama europeo o, comunque, nel panorama del mondo occidentale. Ma credo che se avessimo dovuto copiare o anche soltanto ritoccare altre Costituzioni, altre esperienze, gran parte del lavoro che abbiamo svolto fino a questo punto sarebbe stato o sarebbe inutile. Se dovessimo ritenere che è così, credo che faremmo torto a noi stessi e al nostro impegno: i risultati che produrremo potranno essere giudicati bene o male, meglio o peggio, nel modo più vario ma almeno la convinzione di avere inteso svolgere un lavoro utile, di aver tentato di portare avanti un lavoro utile credo che debba appartenere, anzi che appartenga ad ognuno di noi.
La seconda preoccupazione, sempre espressa dall'onorevole D'Amico, attiene alle sottrazioni che verrebbero operate all'indirizzo politico maggioritario. Ma se mi chiedessi, retoricamente, che cosa stiamo sottraendo all'indirizzo politico maggioritario, risponderei che stiamo sottraendo, nella logica della bozza che viene proposta come testo base, la disponibilità

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piena ed esclusiva delle regole e dei diritti di libertà, che mi pare un fatto positivo sottrarre all'indirizzo politico maggioritario in modo esclusivo. Vedremo, quando passeremo - non so a che ora - ad esaminare l'articolo 15 e i relativi emendamenti, il catalogo delle leggi bicamerali, ma sono convinta che così come è stato formulato, dopo una meditazione molto attenta e molto collegiale, non vada oltre i limiti che ho indicato. Tengo anche a precisare che non comprende affatto la politica estera: comprende i trattati internazionali nelle materie delle libertà.
Presidente Elia, non so se e quanto profondamente occorra differenziare la legittimazione per fondare e per giustificare la funzione di garanzia. Il bicameralismo - lei stesso lo ha ricordato - assolve di per sé una funzione di garanzia, solo che non si traduca in un mero fatto organizzativo, in una ripartizione di carichi di lavoro. La assolve certamente se è bicameralismo perfetto, la assolve se è bicameralismo funzionale, la assolve laddove consente la doppia lettura delle leggi, naturalmente secondo meccanismi procedurali diversi dalla navette; cioè meccanismi che evitino che la lettura doppia si trasformi in tripla, quadrupla o plurima o, peggio ancora, che determinino quella prassi, di cui stiamo facendo esperienza recentemente, per cui, pur di fermarci alla terza lettura e di evitare la quarta, a volte si rinuncia anche ad emendamenti o a miglioramenti sulla cui necessità tutti saremmo d'accordo proprio ai fini della qualità della legislazione.
Certo, è un tema che si potrà ulteriormente approfondire: se ne parlerà fuori di questa sede a proposito di legge elettorale, se ne parlerà a proposito di numero e per altri aspetti ma credo che rappresenti un corollario importante e certo le sue riflessioni, presidente Elia, mi sembrano confermative della utilità della funzione di garanzia.
All'onorevole Bertinotti voglio dire che so bene che rifondazione comunista come gruppo ha sostenuto fermamente, sin dall'inizio, la tesi monocameralista, rispetto alla quale il suo intervento è pienamente coerente. È una tesi che ha al fondo l'idea della monoliticità del potere storicamente cara alla sinistra autoritaria e parte del suo armamentario veteromarxista, tesi di cui il senatore Rotelli ha messo bene in evidenza, questa mattina, le ricadute. In questa Commissione mi pare una tesi in contrasto stridente con la posizione sostenuta con altrettanta fermezza dal gruppo di rifondazione in tema di forma di governo, perché sostenere con forza il parlamentarismo - più o meno neoparlamentarismo - certamente è una posizione conservatrice e contrastante con la filosofia che regge la scelta monocameralista.
Una contraddizione ulteriore sta nel fatto che se si riconosce la differenziazione di funzioni - e su questo mi è parso di capire che fosse favorevole l'onorevole Bertinotti - se ne deve ammettere la ricaduta sul piano organizzativo. Se c'è una differenza tra queste funzioni è impossibile non differenziare e non articolare anche le strutture.
Concludo dicendo ancora una volta - e spero proprio che sia l'ultima - che con molta pacatezza ma con molta fermezza respingo ogni sospetto di difesa corporativa del Senato. Questo è un atteggiamento che appartiene certamente a me ma credo anche a tutti i senatori. Ricordiamo che nessuno di noi è senatore a vita e che difendiamo una serie di principi quali il bicameralismo in funzione di garanzia e l'elezione diretta come principio di massima democraticità ed autorevolezza della rappresentanza.


PRESIDENTE. I relatori non dovrebbero fare interventi ostruzionistici, o almeno è raro che ciò accada!
Passiamo ai voti.
Pongo in votazione l'emendamento Bressa II.3.25.


(È respinto).


Pongo in votazione l'emendamento D'Amico II.3.24.


(È respinto).


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Pongo in votazione l'emendamento Zeller II.3.3.


(È respinto).


Pongo in votazione l'emendamento Rigo II.3.19.


(È respinto).


Pongo in votazione l'emendamento D'Amico II.3.23.


(È respinto).


Passiamo all'emendamento Morando II.3.12.


GIORGIO REBUFFA. Vorrei chiedere a titolo personale di votare questo emendamento per parti separate ed in particolare il primo ed il terzo comma. Vorrei anche che esso fosse accorpato all'emendamento Grillo II.3.21, che afferma lo stesso principio.


PRESIDENTE. Non so se sia possibile la fusione dei due emendamenti, anche perché bisogna prima sentire il parere del presentatore, senatore Grillo. Il principio può essere comunque votato.


LUIGI GRILLO. Il principio è identico, ma dal punto di vista tecnico ci sono alcune sfumature diverse.


PRESIDENTE. Infatti, l'emendamento Morando prevede una soluzione tecnica che si giustifica in relazione all'attuale legge elettorale regionale, che potrebbe venire meno. L'onorevole Grillo, invece, propone il principio in termini più generali.


CLAUDIA MANCINA. Credo che il problema si possa risolvere eliminando dall'emendamento il quarto e l'ultimo comma.


PRESIDENTE. In questo modo viene meno il riferimento che vincola il meccanismo all'attuale legge elettorale regionale.
Pongo in votazione l'emendamento Morando II.3.12.


(È respinto).


Passiamo all'emendamento Zeller II.3.2, sostitutivo del primo comma dell'articolo, che contiene una formulazione che di fatto sarebbe superata.


KARL ZELLER. Lo ritiro.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Grillo II.3.21.

(È respinto).


Passiamo all'emendamento Armando Cossutta II.3.14 che propone di inserire nell'articolo il principio secondo cui il sistema per l'elezione del Senato delle garanzie sia finalizzato ad assicurare effettivamente la rappresentanza delle diverse ispirazioni politiche e culturali presenti nella società.
Onorevole Cossutta, vi è una richiesta di accantonare questo emendamento e di discuterlo nel momento in cui affronteremo il tema delle leggi elettorali, cioè nel capitolo della forma di governo.


ERSILIA SALVATO. Possiamo anche accedere a questa richiesta, però mi consenta di dire in modo semplice, innanzitutto alla relatrice e a quanti voglaono ascoltare, che la proposta di un Parlamento monocamerale può anche essere rigettata ma è espressione di un'alta idea della democrazia. Questa, infatti, si basa sulla rappresentanza e sul pluralismo e non sul fatto che vi siano due o una Camera; anzi, una sola Camera, poiché può portare avanti un processo decisionale più chiaro e trasparente con un rapporto più diretto con gli elettori, a mio avviso, può dare più senso e sostanza alla democrazia.


PRESIDENTE. Passiamo all'emendamento Selva II.3.22.


GUSTAVO SELVA. Per la stessa ragione per cui ho espresso un voto favorevole sull'abbassamento dell'età per l'elettorato passivo per i deputati, ritengo


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si debba abbassare l'età dei senatori di cinque anni, tanto più che l'elettorato attivo per il Senato viene portato a 18 anni.


PRESIDENTE. Sullo stesso tema vi è anche un emendamento Cossutta che propone di portare l'età a trenta anni.


ARMANDO COSSUTTA. Dovrebbe essere votato prima.


PRESIDENTE. Sì, però li discuterei contestualmente.


MARCO BOATO. Sono favorevole alla riduzione dell'età, avendo operato nello stesso senso questa mattina per l'elettorato passivo della Camera. Mi pare più opportuno portare l'età a 35 e non a 30 anni.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Armando Cossutta II.3.15.


(È respinto).


Pongo in votazione l'emendamento Selva II.3.22.


(È approvato).


Passiamo all'emendamento Villone II.3.11.


CESARE SALVI. Il gruppo della sinistra democratica conferma la proposta per l'elezione del Senato presentata in questo emendamento, nonostante gli autorevoli dissensi che abbiamo ascoltato.
A noi sembra che obiettare a questo modello in base alla difficoltà di svolgere insieme due attività, anche se l'obiezione ha una sua rilevanza, rischi di palesare una visione conservatrice delle funzioni del nuovo Parlamento e in particolare del Senato. L'esperienza straniera ci mostra, per esempio, che il sindaco di Parigi è nelle condizioni di svolgere l'attività parlamentare.
Vorrei aggiungere che questa soluzione ha raccolto significativi consensi da parte di soggetti istituzionali chiamati a partecipare al processo costituente anche con riferimento al dibattito e alle polemiche che vi sono state a questo riguardo. Desidero ribadire come questa proposta, per le sue caratteristiche anche numeriche (i senatori sono indicati in numero di 160), parli da sé per sconfessare alcune tesi singolari che abbiamo ascoltato questa mattina circa le proposte che vengono formulate con riferimento al bicameralismo.
Siamo peraltro consapevoli che, se questa proposta non passerà, vi è una soluzione sulla quale certamente si dovrà ancora lavorare ma per la quale non userei i termini sprezzanti che sono stati usati nel dibattito. Mi riferisco sia all'ipotesi originale di una collaborazione all'attività parlamentare dei rappresentanti delle istituzioni sia alla funzione di garanzia che questa Camera è chiamata a svolgere.
Vorrei ricordare a chi accusa di conservatorismo proposte di questo tipo una delle grandi discussioni che si è aperta in Italia dopo l'introduzione del maggioritario e che riguarda il futuro della democrazia e non il passato: quali componenti delle decisioni legislative e non che spettano alla politica, e per essa alla sua principale istituzione rappresentativa che è il Parlamento, sono nella disponibilità del Governo e quali devono essergli sottratte.
Finora come ipotesi alternative rispetto a questo problema - a meno che non ci si dica che esso non esiste - erano stati formulati soltanto macchinosi e barocchi meccanismi di elevamento dei quorum e singolari soluzioni da adottare nell'ipotesi in cui con quorum elevatissimi non si fosse giunti ad un buon esito.
Per queste ragioni ribadiamo la proposta che abbiamo qui presentato.


ARMANDO COSSUTTA. Vorrei, se possibile, un chiarimento. Noi siamo contrari a questa proposta di composizione del Senato ma vorrei capire - anche se di questo si parla in riferimento ad una legge regionale con modalità che dovranno essere stabilite - come si farebbe concretamente


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ad eleggere i sindaci che dovrebbero far parte del Senato. Penso solo alla mia regione di provenienza, la Lombardia, che ha 1.200 sindaci: si può realisticamente pensare alla possibilità di scegliere quattro sindaci su più di mille? È vero che si rinvia ad una legge ma immagino che essa sarà talmente farraginosa e complicata...


CESARE SALVI. Si devono candidare!


ARMANDO COSSUTTA. Nell'emendamento è previsto che i sindaci siano eletti! Comunque, siamo contrari a questa composizione del Senato.


GUSTAVO SELVA. Il gruppo di alleanza nazionale voterà contro questo emendamento ma non perché siamo contro il principio dell'associazione all'azione legislativa delle autonomie locali ma perché - come già annunciato dal collega Servello - voteremo a favore dell'emendamento proposto dai colleghi Zecchino ed Elia, la cui illustrazione è già stata svolta dal professor Elia e al quale si è riferita compiutamente anche la relatrice Dentamaro.
Siamo decisamente favorevoli all'associazione dei presidenti delle regioni, dei sindaci e dei rappresentanti delle autonomie, principio che ci sembra meglio salvaguardato, anche per l'essenzialità e la precisione con cui viene presentato, oltre che per la funzione che i rappresentanti delle autonomie avranno in ordine alla legislazione in una commissione speciale, dall'emendamento del professor Elia. I nostri voti, negativo su questo emendamento e positivo sull'emendamento presentato dal senatore Elia, dovranno avere questo preciso significato.


RENATO GIUSEPPE SCHIFANI. Preannunzio il nostro voto contrario a questo emendamento in quanto siamo convinti che, pur ravvisando l'opportunità di una rappresentanza del mondo delle autonomie in ambito parlamentare, riteniamo che per come essa viene configurata nell'emendamento in esame faccia assumere ai rappresentanti delle autonomie il ruolo di parlamentari e li coinvolga in un'attività molto più ampia rispetto a quella che sarebbe loro congeniale in funzione della partecipazione esclusivamente agli aspetti regionali e locali. Ciò non si attaglia perfettamente al modello parlamentare tracciato dalla relatrice, che noi condividiamo.


NATALE D'AMICO. Vorrei anzitutto sottolineare un problema formale. Immagino che l'emendamento Villone II.3.11 sia sostitutivo dell'intero articolo 3 e non solo del suo terzo comma, perché senza quest'ultimo esso non avrebbe significato. Avevo presentato un emendamento simile, che prevedeva una Camera mista (era l'emendamento II.3.23) e vorrei motivare il mio voto contrario a questo emendamento. Mi pare infatti che esso confonda i criteri della rappresentanza. Secondo me sarebbe augurabile l'esistenza di una Camera in cui fossero presenti alcuni sindaci e rappresentanti di questi ultimi, ma non mi pare ragionevole che ci siano parlamentari che rappresentano direttamente gli elettori per i quali l'elettorato passivo è ristretto dal fatto che è necessario essere sindaci. Questo è il motivo del mio voto contrario.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Villone II.3.11.


(È respinto).


Passiamo agli emendamenti Greco II.3.16 e Zeller II.3.4.


MARIO GRECO. Ritiro il mio emendamento II.3.16, poiché è collegato all'emendamento che ho già ritirato questa mattina.


KARL ZELLER. Anch'io ritiro il mio emendamento II.3.4.


PRESIDENTE. Passiamo all'emendamento Rotelli II.3.1. Ricordo che questo emendamento propone un criterio di ripartizione dei seggi su base proporzionale


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al numero degli abitanti, mentre il criterio proposto all'articolo 3 è di tipo paritario.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Vorrei precisare che la proposta è relativa alla sostituzione del quarto e del quinto comma dell'articolo 3. Applicando i criteri individuati nel quarto e quinto comma del testo della relatrice si producono effetti distorsivi notevoli. Si tratta di un criterio che privilegia le regioni più piccole rispetto a quelle più popolose. Molto sommessamente faccio presente che, secondo calcoli effettuati, le sette regioni attualmente governate dal Polo, che assommano circa il 60 per cento della popolazione italiana, non avrebbero neanche la metà più uno dei senatori.
Faccio anche presente che questa non è neanche un'applicazione del criterio federalista tedesco (a parte le critiche sullo stesso) perché esso prevede una gradualità simile a quella che era stata proposta in una certa fase dal professor Elia.
In un momento in cui si propone di ampliare la base proporzionale, mi sembra sbagliato alterare la proporzionalità del Senato. Faccio presente che, per il tipo di competenze attribuite a questo ramo del Parlamento, nel Senato si svolgono politiche pubbliche determinate. A mio parere, almeno in questa fase, è opportuno non aprire questo fronte ulteriore. Mi permetto quindi di rivolgere un invito particolare ai colleghi a considerare l'opportunità di ripensare questa proposta: sarebbe bene non alterare la proporzionalità.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Mi rimetto alla Commissione su questo emendamento.


ARMANDO COSSUTTA. La proposta del senatore Rotelli mi pare ragionevole. È vero che nel testo originario si prevede una base uguale per tutte le regioni e poi un numero di senatori individuati in proporzione al numero degli abitanti, ma la differenza tra regioni in Italia è molto forte e non si può pensare di garantire la rappresentanza solo per una parte della popolazione.
Mi pare che il rapporto tra senatori e numero di abitanti (o tra senatori ed elettori) sia il più corretto, salvo naturalmente garantire quelle pochissime regioni (credo che alla fine saranno un paio) che non riuscirebbero ad avere neanche un senatore affinché abbiano un posto in più rispetto ai 200 senatori elettivi.
Quella di Rotelli mi pare una proposta ragionevole, tenendo conto anche delle esigenze di rappresentanza in larga misura proporzionale che dovrebbero caratterizzare un Senato come quello che stiamo cercando di definire, volto soprattutto a funzioni di garanzia. Ciò può avvenire soprattutto se si adotta un criterio fortemente proporzionale.


PRESIDENTE. Vorrei segnalare che successivamente verranno esaminati due emendamenti analoghi: mi riferisco agli emendamenti Mussi II.3.8 e Calderisi II.3.18. Essi, riducendo la quota fissa a quattro senatori per ogni regione hanno un effetto attenuativo delle distorsioni denunciate dal senatore Rotelli. Altri emendamenti invece introducono criteri diversi di riparto.


MASSIMO VILLONE. Vorrei dichiarare il mio voto contrario all'emendamento Rotelli II.3.1. Come egli ben sa, la rappresentanza territoriale non ha alcun collegamento necessario con criteri distributivi come quelli giustamente richiamati, ma che valgono in altre prospettive, cioè per la Camera politica. È tipico degli Stati di impianto federalista e autonomista non prevedere questo equilibrio rappresentativo nella Camera che vanta un aggancio con la rappresentanza territoriale.
Nell'annunciare il nostro voto contrario sull'emendamento Rotelli, ritiriamo l'emendamento Mussi II.3.8, che prevede l'abbassamento della quota fissa per ogni regione in parallelo all'abbassamento del numero totale dei senatori. A questo punto, siamo favorevoli al mantenimento del testo originario.


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PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Rotelli II.3.1.


(È respinto).


Hanno votato a favore 20 colleghi e 23 hanno votato contro.
Passiamo ora all'emendamento Zeller II.3.5.


KARL ZELLER. Vorrei brevemente illustrarlo perché a prima vista potrebbe sembrare...


PRESIDENTE. A prima vista fa un po' impressione ma, poiché in questa sede ci siamo già molto occupati del Trentino-Alto Adige... Prego.


KARL ZELLER. A prima vista potrebbe sembrare che quest'emendamento miri all'introduzione di un ingiustificato privilegio per la regione Trentino-Alto Adige ed invece non è così in quanto, in forza della misura 111 del pacchetto Alto Adige, i collegi senatoriali della regione sono stati disegnati in modo da favorire la rappresentanza proporzionale dei vari gruppi linguistici esistenti sul territorio.
Se adesso si riduce il numero dei senatori da 7 a 5, il gruppo italiano della provincia di Bolzano rimarrebbe automaticamente escluso dalla rappresentanza in Senato e questo, secondo me, romperebbe un delicato equilibrio esistente nella nostra provincia perché praticamente un gruppo linguistico verrebbe privato della sua rappresentanza. Il mio partito, infatti, farebbe il pieno, cioè otterrebbe tutti e due i senatori e con 5 collegi senatoriali nella regione, ve ne sarebbero due per la provincia di Trento, due per quella di Bolzano ed uno fluttuante; molto probabilmente il mio partito conseguirebbe entrambi i collegi di Bolzano ed il gruppo italiano verrebbe escluso, cosa che riterrei non giusta. Peraltro, sarebbe anche in contrasto con la misura 111 del pacchetto, in virtù della quale i collegi sono stati disegnati in numero di tre, due ai tedeschi e uno è sempre andato al gruppo linguistico italiano.
Per questo motivo mi appello alla sensibilità dei colleghi su questo problema, in quanto esso potrebbe riaprire sul fronte internazionale una certa problematica.


PRESIDENTE. Do ora la parola alla senatrice Pasquali e poi ha chiesto di parlare l'onorevole Boato, dopo di che direi che potremmo fermarci, anche perché non vorrei che alla fine tra le norme transitorie si inserisse qualcosa contro il Trentino-Alto Adige che tutti noi amiamo, almeno finora!


ADRIANA PASQUALI. Signor presidente, prendo la parola, forse sorprendentemente per lei, in senso adesivo alla proposta Zeller.


PRESIDENTE. E invece ce l'aspettavamo tutti, sinceramente (Si ride).


ADRIANA PASQUALI. Aderisco alla proposta Zeller anche per ragioni istituzionali. Se ieri abbiamo approvato un emendamento che ha tenuto conto in modo particolare del tripolarismo e quindi dell'esistenza, accanto alla regione, delle due province e se dobbiamo tener conto del pacchetto, al quale si vuole dare anche una valenza internazionale che io nego, ma che comunque mi sembra riconosciuta da quello stesso emendamento, allora mi sembra che logica vuole che, se esiste la misura 111 del pacchetto quale richiamata dall'onorevole Zeller, che vede questa riserva di collegi senatoriali nella regione, ripartiti in tre per la provincia di Bolzano e tre per quella di Trento, a prescindere dal soggetto cui possa andare il terzo seggio senatoriale della provincia di Bolzano (perché non credo che l'onorevole Zeller abbia parlato preoccupandosi solo in questa prospettiva - mi scuserà se faccio una battuta in questo senso - perché fino a questa legislatura il terzo senatore è andato alla Volkspartei), l'emendamento dovrebbe essere approvato.
Ad ogni modo, con i collegi così disegnati - anche se le cose potrebbero


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cambiare domani - effettivamente è vero che l'unica possibilità perché la minoranza (perché di minoranza dobbiamo parlare) di lingua italiana a livello provinciale abbia riporti la vittoria in un collegio si avrà solo con l'approvazione di quest'emendamento.


MARCO BOATO. Visto che si è fatto riferimento a questioni internazionali, è bene che resti traccia nel nostro resoconto di un'interpretazione diversa. È evidente che, se cambieremo il numero dei componenti il Senato (tema che abbiamo in qualche modo accantonato), si riaprirà la questione di quale numero di senatori attribuire ad ogni regione. Tuttavia, allo stato, di fronte alla proposta di portare a 200 il numero dei senatori, credo che non si possa accettare l'emendamento del collega Zeller, e voglio spiegare il perché.
La cosiddetta misura 111, che fa parte del pacchetto del 1969, era riferita alla legislazione elettorale allora vigente nel nostro paese; all'epoca nella regione Trentino-Alto Adige vi erano due collegi senatoriali in provincia di Bolzano e quattro in quella di Trento. Per parificare a tre e tre questi numeri siamo arrivati ad approvare una legge nel 1991: passarono, cioè, 22 anni prima che questa misura fosse recepita.
Inoltre, è totalmente sbagliato sostenere che uno di questi collegi è del gruppo di lingua italiana, e ciò per due ordini di motivi. Il primo, ricordato dalla senatrice Pasquali poco fa, è che fino alla scorsa legislatura venivano eletti tutti i rappresentanti di lingua tedesca; il senatore Karl Ferrari apparteneva all'SVP. Lo scorso anno il senatore Karl Ferrari si è candidato ma è stato battuto dalla senatrice Pasquali, per cui in questo caso abbiamo avuto una rappresentante del Polo, di alleanza nazionale.
Il secondo motivo per cui è sbagliato fare quell'affermazione è che non si può parlare di rappresentanza politica in riferimento a gruppi etnico-linguistici, perché questo distorce una concezione democratica della rappresentanza politica. Certo che in provincia di Bolzano esistono gruppi linguistici, ma proiettare automaticamente tali gruppi a livello della rappresentanza politica è una grave distorsione. In provincia di Bolzano esistono, per esempio, gruppi politici bilingui o trilingui e quindi non si può dividere questo concetto, che ci porterebbe al livello di qualche situazione al di là dell'Adriatico che tutti noi ben conosciamo.
Sta di fatto che oggi abbiamo legittimamente una cittadina di lingua italiana che rappresenta quel collegio; ieri avevamo legittimamente un cittadino di lingua tedesca espresso in quel collegio, ma proiettare questi criteri dentro la rappresentanza è a mio parere inaccettabile.
Comunque, per quanto riguarda il numero, ribadisco che esso cambierà a seconda di quale numero complessivo di senatori stabiliremo; in rapporto all'ipotesi che i senatori scendano a 200, immaginare che vi sia una sovrarappresentanza del Trentino-Alto Adige (regione alla quale appartengo, ma io ragiono in termini di logica istituzionale e non di difesa di una singola regione) sarebbe assolutamente sbagliato per cui invito i colleghi a respingere quest'emendamento.


GIULIO MACERATINI. Vorrei far presente che nel testo dell'emendamento è riportata la dizione tedesca, il che è inaccettabile.


PRESIDENTE. Sì, ma l'onorevole Zeller ha scritto i suoi emendamenti coerentemente con la proposta ed evidentemente in sede di coordinamento la dizione dovrebbe essere cambiata. Non credo, comunque, che sia questa la cosa che sta maggiormente a cuore in questo testo all'onorevole Zeller.
Pongo in votazione l'emendamento Zeller II.3.5.


(È respinto).


Passiamo all'emendamento Greco II.3.17, che però mi pareva collegato alla questione dell'aumento del numero dei parlamentari.


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MARIO GRECO. In effetti, non è collegato. Comunque, presidente, la dispenso subito dall'effettuare una votazione perché vedo che si sono create delle convergenze trasversali tra l'emendamento II.3.8 e l'emendamento II.3.18; quest'ultimo è firmato da ben quattro colleghi del mio stesso movimento politico e, per evitare una brutta sorte al mio emendamento, preferisco ritirarlo, almeno in questa sede.


PRESIDENTE. Poiché l'onorevole Mussi ha dichiarato di ritirare l'emendamento II.3.8, pongo in votazione l'identico emendamento Calderisi II.3.18, che chiede di ridurre da 5 a 4 il numero dei senatori per ciascuna regione.


(È respinto).


L'emendamento Zeller II.3.7 è precluso, perché ripropone il meccanismo di designazione da parte delle Assemblee legislative. Anche l'emendamento Mussi II.3.9 risulta precluso perché collegato all'emendamento che è stato respinto e che riguardava una composizione mista del Senato.
Passiamo ora all'emendamento Grillo e Greco II.3.20, che per la verità non riesco a comprendere bene visto che, oltre alla soppressione dell'ultimo comma, propone di inserire al successivo articolo 35, dopo la parola «vita», le parole «e di diritto».


MARIO GRECO. In effetti, esso richiama il successivo articolo 35 ed è una duplicazione. Con la modifica che noi proponiamo si può evitare...


PRESIDENTE. Prego la relatrice di esprimersi in proposito.


MARIDA DENTAMARO, Relatore sul Parlamento e le fonti normative. Se ho ben compreso, quello in oggetto è un emendamento collegato alla proposta di soppressione della previsione dei senatori a vita di diritto, cioè degli ex Capi dello Stato. Pertanto, si crea la necessità di estendere la norma transitoria, che nel testo base riguarda soltanto i senatori a vita nominati, anche a quelli di diritto, ad esaurimento di entrambe le categorie.
In sostanza, nel testo base si prevede di conservare la disposizione per la quale i Presidenti della Repubblica, una volta cessati dal mandato, sono senatori a vita di diritto, mentre si sopprime la previsione dei senatori a vita di nomina presidenziale; conseguentemente, è stata inserita una norma transitoria in base alla quale gli attuali senatori a vita di nomina presidenziale restano in carica. Avendo soppresso la fattispecie dei senatori a vita di diritto, si estende a quelli attuali la norma transitoria.


MARCO BOATO. A mio parere, l'emendamento dei colleghi Grillo e Greco non può essere accettato, salvo che non si voglia ottenere il risultato che ne deriverebbe, perché, sopprimendo l'ultimo comma dell'articolo 3 del testo della relatrice, si eliminerebbe l'ipotesi che diventa senatore a vita di diritto chi ha ricoperto la carica di Presidente della Repubblica, mentre la disposizione transitoria prevede che chi è attualmente senatore a vita resti in carica ad esaurimento (termine davvero brutto). Se, come propongono i colleghi Grillo e Greco, sopprimiamo l'ultimo comma, e riferiamo tutto all'articolo 35, gli ex Presidenti della Repubblica attualmente senatori a vita manterrebbero tale prerogativa, mentre il Presidente della Repubblica in carica e quelli futuri non ne godrebbero più. È una questione delicata, presidente, e secondo me l'emendamento va respinto.


CESARE SALVI. Abbiamo presentato l'emendamento soppressivo del sesto comma insieme però ad una norma transitoria per coerenza con la scelta che si è assunta in materia di forma di governo; mi riferisco al fatto che un Presidente della Repubblica elettivo, con un mandato più breve dell'attuale e rieleggibile, che inevitabilmente diventa espressione di una scelta maggioritaria, allo spirare del mandato avrà la possibilità, se lo riterrà, di partecipare nuovamente alla competizione politica.


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Peraltro, essendoci fatti carico del problema, nella norma transitoria proponiamo la salvaguardia di coloro che siano attualmente senatori a vita o abbiano titolo, secondo le norme vigenti, di diventarlo.


MARCO BOATO. Suggerirei di approvare il testo della relatrice così com'è, respingendo quindi gli emendamenti soppressivi, salvo riesaminare in una fase successiva, cioè a luglio, quando avremo i nuovi emendamenti, la questione in base al sistema complessivo che sarà stato delineato. Ma credo che in questo momento daremmo un brutto segnale sopprimendo questo comma, perché ciò darebbe luogo ad un'interpretazione esterna, anche dal punto di vista politico-giornalistico, che riterrei opportuno evitare.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Ritengo che l'elezione popolare diretta del Capo dello Stato, ossia di chi riveste la più alta carica della Repubblica, legittimi ancora di più la sua presenza in un'Assemblea parlamentare.


PRESIDENTE. Propongo di accantonare la questione, che riguarda in sostanza la figura del Capo dello Stato: sarebbe opportuno regolarsi in relazione a come essa emergerà dalla riforma della forma di governo, su cui credo che non possiamo dare per scontato nulla, neanche che nel testo costituzionale rimanga l'elezione popolare. Accantonerei quindi la questione, approvando l'articolo così com'è, salva la possibilità di tornarci sopra nel caso in cui le soluzioni che adotteremo discutendo della forma di governo siano tali da giustificare la soppressione di questa norma.


MARIO GRECO. Condivido la proposta del presidente.


CLAUDIA MANCINA. Dichiaro, a titolo personale, il mio voto contrario all'articolo 3, perché ritengo che la soluzione adottata non sia soddisfacente. Poiché si è parlato della problematicità di tale questione non in una generica opinione pubblica ma nel mondo politico e istituzionale delle regioni e degli enti locali, credo che, sulla base di un ampio dibattito svoltosi anche in quest'aula, vi sia la certezza che quel mondo politico non consideri tale soluzione soddisfacente, e neanche io la considero tale. Ritengo infatti che una Camera delle garanzie debba essere anche una Camera federale, ossia debba garantire innanzitutto l'assetto federale del paese.
Credo che neanche la soluzione prevista nell'articolo 14, con la Commissione federale, sia idonea a soddisfare tale esigenza, perché si tratta in sostanza o di una terza Camera, il che mi sembra francamente eccessivo, oppure di un organismo in qualche modo di secondo grado, non tale da essere costitutivo della natura stessa del Senato.
Per queste ragioni, voterò contro l'articolo 3.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Dichiaro il mio voto contrario all'articolo 3, per il significato di regime autoritario che tale norma assume, in particolare nella formulazione dei commi 4 e 5.
Dopo aver escluso che si tratti di rappresentare i territori, si applica un criterio territoriale che un collega ha cercato di qualificare in maniera maldestra. Se le regioni italiane fossero state originariamente degli Stati (cosa che non è), se fosse stata data alle regioni (come si sarebbe dovuto in questa occasione) la possibilità di ridefinire se stesse, allora sarebbe stato giustificato addirittura un criterio paritario, in base al quale ogni regione avesse lo stesso tipo di rappresentanza. Ma questo non solo non è avvenuto, ma si è reso impossibile che avvenisse, perché, mentre secondo la Costituzione vigente è sufficiente un milione di abitanti per formare una nuova regione, in base al testo deliberato nella giornata di ieri occorrono due milioni di abitanti. Si è così sanzionato e rafforzato il privilegio e quindi la disuguaglianza, in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione:


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vi sono cittadini di serie A e di serie B, a seconda delle regioni in cui essi abitano. Tutto questo senza prevedere un Senato delle regioni: si tratta pertanto di una norma di regime e per questo il mio voto sarà contrario.


GIORGIO REBUFFA. A titolo personale, dichiaro che voterò contro l'articolo 3, soprattutto perché in radice non sono in grado di comprendere quale sia il significato della Camera delle garanzie; speravo che il dibattito mi avrebbe consentito di superare tale incomprensione, invece ciò non è accaduto. Trovo anzi che sia uno strumento estremamente pericoloso, nel modo in cui viene configurato.


GIANCLAUDIO BRESSA. Richiamando le dichiarazioni più volte rese, preannuncio, a titolo personale, il mio voto contrario.


GIULIO TREMONTI. Anch'io dichiaro il mio voto contrario.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'articolo 3 nel testo della relatrice.


(È approvato).


Passiamo all'esame dell'articolo 4.
Ricordo che sono stati presentati alcuni emendamenti relativi alla durata delle legislature. Porrei in votazione l'emendamento Calderisi II.4.2, perché l'emendamento Cossutta II.4.1 è riferito all'Assemblea nazionale.


ERSILIA SALVATO. Non ne chiediamo la votazione.


PRESIDENTE. Per quanto riguarda la durata di quattro anni, porrò in votazione l'emendamento Calderisi II.4.2, che afferma lo stesso principio.


GIUSEPPE CALDERISI. Desidero precisare che l'emendamento II.4.2 si dovrebbe intendere riferito soltanto la Camera, mentre per il Senato si può ipotizzare la stessa durata o anche una diversa. Dico questo perché nel testo predisposto dal senatore Salvi sulla forma di governo si prevede che il Presidente della Repubblica sia eletto per cinque anni. Allora, se dobbiamo mantenere una certa logica ed una certa flessibilità nel sistema di cui si è discusso e su cui non mi soffermerò ora, dobbiamo evidentemente prevedere una diversa durata dei mandati: se in quel caso si prevedono cinque anni, credo sia logico prevederne quattro per la Camera, a meno che non si intenda cambiare in quella sede. Tuttavia, questo è lo stato della nostra discussione, per cui credo sia bene mantenere in quella sede la durata di cinque anni prevedendo quattro anni per la Camera: infatti, considerato che si pensa ad un adattamento del sistema semipresidenziale alla realtà italiana, la riduzione della durata del mandato del Presidente della Repubblica da sette anni, come è previsto in Francia, a cinque, rappresenta, a mio avviso, un aspetto non di poco conto di tale adattamento alla realtà italiana.
Potremo eventualmente ridiscutere tale questione allorché si affronterà la forma di governo.


PRESIDENTE. Il suo pensiero è chiaro.


CESARE SALVI. Invito il collega Calderisi a ritirare questo emendamento: proprio perché la questione che egli ha posto è fondata, la esaminerei in quella sede (Commenti del deputato Calderisi).


PRESIDENTE. Ricordo che siamo in sede referente, per cui possiamo approvare l'articolo, salva la possibilità di correggerlo in sede di coordinamento. Non siamo ancora alla fase dell'adozione formale di un testo costituzionale.


GIUSEPPE CALDERISI. Insisto per la votazione dell'emendamento II.4.2.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Calderisi II.4.2, con la precisazione che vale solo per la Camera.


(È respinto).


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Non porrò in votazione l'emendamento D'Amico II.4.5, perché è riferito ad un tipo di rappresentanti che non sono più previsti.
L'emendamento Grillo II.4.4 risulta precluso a seguito della reiezione dell'emendamento II.3.21.
Sull'emendamento Greco II.4.3 la relatrice ha espresso parere favorevole.
Lo pongo in votazione.


(È approvato).


Passiamo alla votazione dell'articolo 4.


GIUSEPPE CALDERISI. Dichiaro il mio voto contrario su tale articolo, perché ritengo che il voto precedente rappresenti un fatto molto grave e sintomatico di una strana concezione dell'adeguamento del sistema semipresidenziale alla realtà italiana.


PRESIDENTE. In quel caso, è sintomatico che il fatto che lei abbia preteso il voto perché se avesse accettato la soluzione proposta non si sarebbe votato!
Pongo in votazione l'articolo 4, con la modifica testé apportata.


(È approvato).


Passiamo all'esame dell'articolo 5. Cominciamo dall'emendamento D'Amico II.5.8, interamente sostitutivo di tale articolo.


NATALE D'AMICO. Di questo emendamento resta valido soltanto l'ultimo comma, il quale prevede che ciascuna Camera elegga tra i suoi componenti il Presidente e l'Ufficio di presidenza; verrebbe così meno la maggioranza dei due terzi.
La parte precedente dell'emendamento era invece riferita all'ipotesi in cui il Senato avesse tutt'altra composizione.
Chiedo comunque che l'ultimo comma dell'emendamento sia posto in votazione.


PRESIDENTE. Poiché lo stesso principio viene recepito in altri emendamenti, possiamo considerare ritirato il II.5.8; voteremo poi le proposte specifiche relative alla maggioranza di due terzi. Infatti, anche l'emendamento Calderisi II.5.6 è volto a sopprimere il riferimento a quel tipo di maggioranza.


NATALE D'AMICO. Ritiro l'emendamento II.5.8 ed aggiungo la mia firma all'emendamento Calderisi II.5.6.


PRESIDENTE. Passiamo ora all'emendamento Grillo II.5.7.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Se ben comprendo, il senso dell'emendamento è di circoscrivere soltanto al Senato la proroga dei poteri, non di prevederla, in quanto è già prevista nel testo con riferimento ad entrambe le Camere.


MARCO BOATO. Nel testo del relatore si fa riferimento a ciascuna Camera, per cui ciò è evidente.


MARIO GRECO. Se tale è l'interpretazione, possiamo ritirare l'emendamento: ci affidiamo al relatore perché si trovi una forma meno equivoca.


PRESIDENTE. È solo un problema di coordinamento: il senso è chiaro, poiché è evidente che ambedue le Camere godono dello stesso diritto.


MARCO BOATO. Presidente, l'attuale testo della Costituzione prevede «Finché non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti», per cui si può continuare ad utilizzare tale formula.


CESARE SALVI. Se non ho inteso male, ma la relatrice può correggermi, lo scopo di questa formulazione è legata alla diversa disciplina di scioglimento delle due Camere.


MARCO BOATO. Vi è un principio di prorogatio per il quale, finché non vi sono i nuovi deputati e i nuovi senatori, sono prorogati i poteri delle precedenti Camere.


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GIOVANNI RUSSO. Signor presidente, mi sembra che questo emendamento sia legato all'altro emendamento respinto, sempre presentato dai senatori Grillo e Greco, che prevedeva l'elezione dei senatori contestualmente all'elezione dei consigli regionali: vi era allora la logica che, finché non avvenisse la sostituzione...


PRESIDENTE. Non è così; l'emendamento nasce dalla sensazione, lasciata dal testo, che il principio della prorogatio sia applicato soltanto alla Camera e non al Senato. Chiarito che non è così, in sede di coordinamento valuteremo l'eventuale chiarimento; vi è poi la questione sollevata da Salvi, che preferisce l'espressione «ciascuna Camera» al posto del plurale che sottintende la contemporaneità, mentre la differenziata funzione può comportare tempi diversi.
Passiamo all'emendamento Calderisi II.5.5, che propone di ripristinare un periodo di 60 giorni tra lo scioglimento e l'elezione di ciascuna Camera, anziché la sua riduzione a 45 giorni, che per la verità mi sembrava più europea.


GIUSEPPE CALDERISI. Signor presidente, la ragione che ispira l'emendamento è semplicemente tecnica: sono anch'io favorevole alla logica europea, ma questo emendamento prevede un termine massimo, e non minimo, per cui non toglie la possibilità di andare nel senso che lei indicava. Tenendo però conto che nel nostro paese, per ragioni di varia natura, in specie climatiche, di fatto le elezioni si svolgono in un periodo molto ristretto dell'anno (almeno storicamente è avvenuto così), credo che lasciare meccanismi di maggiore elasticità sia conveniente, anche laddove, in particolare, dovessimo avere elezioni presidenziali ed elezioni politiche nello stesso anno, ambedue a due turni. Mi sembra quindi che una maggiore elasticità sia opportuna: può sembrare che vi sia un allungamento del termine, ma in realtà si tratta soltanto di un elemento di maggiore elasticità.


PRESIDENTE. È un elemento seducente, ma solo per alcuni!


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Sono favorevole all'emendamento Calderisi II.5.5.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Calderisi II.5.5, accettato dalla relatrice.


(È approvato).


Passiamo all'emendamento Boato II.5.10, che prevede anch'esso un allungamento di termini.


MARCO BOATO. Signor presidente, lo illustro brevemente: la Costituzione attualmente prevede che la prima riunione delle Camere abbia luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni; anticipare tale termine al decimo giorno mi sembra una forzatura inutile (mi sono anche consultato con gli uffici in relazione alle operazioni che devono essere compiute). D'altro canto, la formula «non oltre» non esclude che la prima riunione possa avere luogo entro il decimo giorno: tuttavia, gli adempimenti necessari dopo le elezioni suggeriscono di non irrigidire oltre misura il termine in Costituzione.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Sono favorevole all'emendamento Boato II.5.10.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Boato II.5.10, accettato dalla relatrice.


(È approvato).


Passiamo ad alcuni emendamenti che riguardano la questione del quorum per l'elezione dei Presidenti delle Camere.


GIUSEPPE CALDERISI. Signor presidente, sono già intervenuto nel dibattito su questa materia: mi chiedo se non sia più opportuno esaminare questi emendamenti in una fase successiva, poiché stabilire il quorum con cui si elegge il Presidente delle Camere significa definire in qualche modo il tipo di ruolo che


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prevediamo per questa figura istituzionale. Può trattarsi di un ruolo di speaker, di garante, oppure di una figura con poteri di indirizzo politico: in quest'ultimo caso, evidentemente, deve essere espresso dalla maggioranza; se invece si tratta di uno speaker può essere indicato dall'opposizione.
Mi chiedo, quindi, se questa decisione debba essere assunta alla luce di una decisione diversa che riguarda, da una parte, i poteri del Governo in Parlamento, dall'altra parte, alcuni elementi dello statuto dell'opposizione in Parlamento. Bisogna capire, per esempio, se l'ordine del giorno nei lavori delle Camere, che è un potere di indirizzo politico, viene riservato da una parte al Governo, dall'altra parte all'opposizione: in questa logica, tale potere non spetterebbe al Presidente della Camera, per cui se ne definisce un certo ruolo, ma può anche definirsi un altro tipo di ruolo.
Non so se vogliamo assumere questa decisione successivamente; comunque, dovremo tenere conto dell'aspetto che ho indicato, poiché decidere sul quorum dipende dal tipo di funzione che si pensa di attribuire al Presidente della Camera. Bisognerà decidere, ripeto, se sarà un garante, uno speaker, se sarà ancora dotato di poteri di indirizzo politico, come nei fatti è oggi, poiché il Presidente della Camera, in assenza di unanimità nella Conferenza di Capigruppo, decide l'ordine del giorno dei lavori, assumendo quindi una decisione che è carica di un enorme compito che attiene all'indirizzo politico.


PRESIDENTE. Vi è dunque una proposta di accantonare la questione: per la verità, trovo singolare la proposta di prevedere un quorum dei due terzi; in nessun sistema (maggioritario, proporzionale, presidenziale) è previsto che il Presidente di un'assemblea venga eletto con tale quorum. Sarebbe davvero una singolarità totale: in questo caso, avrebbe davvero ragione l'onorevole D'Amico.


NATALE D'AMICO. Propongo infatti di eliminare quel quorum.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Desidero precisare che sono favorevole all'emendamento che comporta l'elezione del Presidente a maggioranza assoluta.


PRESIDENTE. In realtà, l'effetto dell'emendamento Calderisi II.5.6 sarebbe quello di eliminare di qualsiasi quorum.


PAOLO ARMAROLI. Signor presidente, il collega Calderisi ha posto un problema che è più da regolamento parlamentare che da Costituzione: quello del ruolo di un Presidente di assemblea. Ritengo che il problema del quorum sarebbe risolto qualora si adottasse, codificandola, la prassi del Parlamento inglese e si stabilisse che in una delle due Camere - in questo caso potrebbe essere anche il Senato della Repubblica, quale Camera delle garanzie - il Presidente è designato dall'opposizione, fermo poi ovviamente la votazione da parte della maggioranza, con la conseguenza che, se l'opposizione fosse così folle da presentare un nome non eccelso, chiaramente la maggioranza non lo approverebbe. Il principio, però, che sia designato dall'assemblea dei parlamentari dell'opposizione mi sembra un principio liberaldemocratico. In tal senso ho peraltro presentato insieme con il collega Selva l'emendamento II.5.2.


PRESIDENTE. Mi permetto di osservare che le modalità di elezione del Presidente della Camera sono disciplinate nel regolamento della Camera, che prevede in prima votazione il quorum dei due terzi dei componenti che successivamente si riduce fino alla maggioranza dei voti, non dei componenti. Gli emendamenti in esame prevedono una procedura rafforzata: sinceramente, però, posso condividere o ritenere degna di essere valutata l'idea politica che il Presidente di un'assemblea parlamentare possa essere espressione dell'opposizione, a parte il fatto che andiamo verso una forma di bicameralismo che semmai - se sarà approvata - farebbe considerare più proprio un ruolo di questo tipo nel Senato;


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questo tuttavia è un concetto politico. Possiamo stabilire in una Costituzione che il Presidente di un'assemblea è designato dalla minoranza dei suoi membri? Può essere una norma costituzionale? Lei, onorevole Armaroli, è più dotto di me in materia: verrebbero a visitarci dall'estero!


PAOLO ARMAROLI. No, per carità, non sono più dotto di lei! Le convenzioni in Italia non vengono mai rispettate, si possono allora codificare le regole...


PRESIDENTE. Ma stabiliremmo davvero una norma spettacolare prevedendo in Costituzione che il Presidente di un'assemblea è designato dalla minoranza dei suoi membri, compreso l'obbligo per la maggioranza di votarlo!


CESARE SALVI. Vorrei invitare i colleghi Armaroli e Selva, se lo ritengono, a riservare questo emendamento alla parte relativa alla forma di governo, nel cui ambito è prevista una serie di disposizioni sullo statuto dell'opposizione; si potrà valutare l'emendamento in quel contesto.


PRESIDENTE. In questa sede, mi limiterei a prevedere che il Presidente è eletto dalla maggioranza: poi si potrà valutare chi lo designa. È forse un principio più banale; altrimenti si può semplicemente lasciare la previsione che ciascuna Camera elegge il Presidente lasciando alla norma regolamentare, come è attualmente, la definizione delle modalità di elezione.


CESARE SALVI. Propongo di rinviare la questione alla sede dello statuto dell'opposizione.


SERGIO MATTARELLA. Signor presidente, credo che sia meglio risolvere la questione in questa sede, senza collocarla in altre sedi che sarebbero improprie. Il modo in cui ciascuna Camera elegge il suo Presidente non ha molto a che vedere con la forma di governo; ha invece a che vedere con il Parlamento e con la sua struttura. La questione, quindi, va decisa in questo ambito: vi sono degli emendamenti da valutare e credo sia ragionevole non irrigidire in misura abnorme la scelta del Presidente, ma dobbiamo deciderlo in questa parte.


PRESIDENTE. Posso pronunciarmi a favore dell'emendamento Calderisi II.5.6, che ci lascerebbe al testo attuale della Costituzione: in sostanza, ciascuna Camera elegge il suo Presidente. Rinvieremo poi ai regolamenti, o allo statuto dell'opposizione, eventuali altre modalità, anche rafforzate; in questa sede, sinceramente, rischiamo di anticipare una discussione che è impropria. Nel momento in cui discuteremo del rapporto maggioranza-opposizione in relazione alla forma di governo, potremo discutere anche su particolari forme di garanzia ma ora siamo alla definizione di una norma generale.


GIUSEPPE CALDERISI. In questo senso, presidente, può essere forse utile che questo approfondimento avvenga quando discuteremo della forma di governo, perché nell'ambito della discussione sul rapporto tra Governo e Parlamento, tra maggioranza e opposizione, possiamo capire bene anche qual è il ruolo del Presidente della Camera: se deve essere uno speaker, oppure un Presidente dotato di indirizzo politico. Si può procedere come ha detto lei rinviando alla discussione sulla forma di Governo la valutazione del ruolo del Presidente della Camera.


PRESIDENTE. Per ora, quindi, ci limitiamo a stabilire che elegge il Presidente e l'Ufficio di Presidenza tra i suoi componenti, come è nel testo della Costituzione vigente.
Pongo in votazione l'emendamento Calderisi II.5.6.


(È approvato).


I restanti emendamenti riferiti al terzo comma si intendono pertanto ritirati.


PAOLO ARMAROLI. Vorrei precisare che non ritiro il mio emendamento II.5.2,


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sul Presidente designato dall'opposizione, ma mi riservo di ripresentarlo nella parte relativa alla forma di governo. Capisco che non è una impostazione congrua, ma aderisco così all'invito del collega Salvi.


PRESIDENTE. Sta bene.
Passiamo all'emendamento Armando Cossutta II.5.4, soppressivo del quarto comma. Il testo della relatrice prevede che per le riunioni del Parlamento in seduta comune il Presidente e l'Ufficio di Presidenza siano quelli del Senato.


MARCO BOATO. Signor presidente, il mio emendamento II.5.12 tende a ripristinare il testo della Costituzione attuale (articolo 63). Se non altro per ragioni materiali, le sedute del Parlamento a Camere riunite si svolgono nella sede della Camera dei deputati: sarebbe paradossale che ciò avvenisse con l'Ufficio di Presidenza del Senato della Repubblica. Anche in questo caso, quindi, è opportuno e saggio mantenere il testo della Costituzione vigente. Piuttosto che sopprimere il quarto comma, pertanto, propongo di ripristinare la formulazione prevista dall'attuale articolo 63, secondo comma, della Costituzione.


PAOLO ARMAROLI. Mi associo, presidente, anche per ragioni logistiche: nonostante la diminuzione del numero dei parlamentari - che resta tutta da verificare - il Parlamento in seduta comune si riunirà comunque a Montecitorio e sarebbe incongruo che nella sede della Camera dei deputati la direzione dei lavori spettasse al Presidente del Senato.


SERGIO MATTARELLA. Soltanto una battuta, presidente, poiché è sufficiente quello che ha detto il collega Boato. Non vorrei si pensasse che la Presidenza del Senato - in quanto Camera delle garanzie - sia in grado di fornire un maggior livello di garanzia! È chiaro che il Presidente di un'Assemblea svolgerà funzioni di garanzia anche se facente parte della Camera dei deputati. Almeno speriamo! Il problema dell'imparzialità, quindi, rientra nel ruolo stesso della Presidenza. Mi pare obiettivamente improprio mutare la previsione oggi vigente.


PRESIDENTE. Porrò pertanto in votazione per primi gli identici emendamenti presentati al fine di ripristinare sostanzialmente la previsione della Costituzione vigente. Si configurano infatti come le proposte più lontane dal testo base in esame.
Pongo in votazione gli identici emendamenti Armaroli II.5.3, Boato II.5.12 ed Elia II.5.9.


(Sono approvati).


L'emendamento Armando Cossutta II.5.4 si intende pertanto precluso.
Pongo in votazione l'articolo 5, nel testo modificato dagli emendamenti approvati.


(È approvato).


Passiamo all'esame dell'articolo 6 e dell'unico emendamento ad esso presentato, soppressivo del primo comma. Vuole illustrarlo, onorevole Armaroli?


PAOLO ARMAROLI. Grazie, presidente. Il mio emendamento II.6.1 tende a sopprimere una garanzia che oggi risulterebbe superflua. Il primo comma dell'articolo 6 (identico al primo comma del vigente articolo 62) riprende una formulazione analoga contenuta nello Statuto albertino e tesa a garantire al Parlamento la possibilità di riunirsi. Negli ultimi cinquant'anni di vita parlamentare, però, abbiamo accertato che in quei giorni il Parlamento siede comunque. Francamente quindi questa garanzia può essere soppressa.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Esprimo parere favorevole sull'emendamento Armaroli II.6.1.


MAURIZIO PIERONI. Presidente, in caso di approvazione di questo emendamento forse occorrerebbe apportare qualche


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modifica in sede di coordinamento. Infatti, venendo meno il primo comma dell'articolo 6, sulle riunioni di diritto, la norma resterebbe in vigore soltanto per la convocazione delle sedute straordinarie.


PRESIDENTE. Le sedute ordinarie sono convocate dai Presidenti delle due Camere. La norma in realtà è di garanzia...


MAURIZIO PIERONI. Sì, ma resterebbe solo la norma sulla seduta straordinaria.


PRESIDENTE. Appunto a garanzia della convocazione straordinaria. Il che significa che, al di là delle sessioni ordinarie, il Parlamento può essere convocato in via straordinaria non solo dal suo Presidente, ma anche per iniziativa del Presidente della Repubblica o di un quinto dei componenti. Qui sta la garanzia.


SERGIO MATTARELLA. È il regolamento, presidente, che stabilisce le forme ordinarie di convocazione.


PRESIDENTE. Comunque, per chiarire questo punto, il testo potrà essere così formulato: «Ciascuna Camera può essere convocata anche in via straordinaria...». In questo modo non si potrà pensare che il Parlamento può riunirsi «solo» in via straordinaria; il che effettivamente risulterebbe piuttosto restrittivo dei suoi poteri.
Pongo in votazione l'emendamento Armaroli II.6.1, accettato dalla relatrice.


(È approvato).


Pongo in votazione l'articolo 6 nel testo modificato dall'emendamento approvato.


(È approvato).


Passiamo all'esame dell'articolo 7. Il primo gruppo di emendamenti ad esso riferiti riguarda la questione della maggioranza per l'adozione dei regolamenti parlamentari; il primo è l'emendamento D'Amico II.7.8, interamente sostitutivo del primo comma dell'articolo 7.


NATALE D'AMICO. La mia proposta verte sostanzialmente su due punti: innanzitutto il quorum ipotizzato nel testo base viene modificato passando alla maggioranza assoluta; in secondo luogo si prevede, a garanzia delle opposizioni, che un decimo dei membri della Camera possa impugnare il regolamento davanti alla Corte costituzionale per vizi di legittimità. A me pare, anche in considerazione dei testi e degli emendamenti in esame, che si vada verso un aumento dei vincoli costituzionali in materia di regolamenti parlamentari; in tal senso mi sembra giusto prevedere la possibilità che la minoranza disponga di questo strumento di tutela.


PRESIDENTE. Proporrei, però, di accantonare la parte di questo emendamento concernente il ricorso alla Corte costituzionale. Analogamente a quanto abbiamo già deciso in precedenza, infatti, poiché il meccanismo dell'impugnazione è stato prospettato già in diverse occasioni, sarà opportuno esaminare le diverse fattispecie in rapporto al ruolo che complessivamente si viene delineando per la Corte. Non vorrei, infatti, che - per consentire tutti gli adempimenti che sono stati proposti - fossimo costretti ad aumentare il numero dei componenti a cento...


SERGIO MATTARELLA. Presidente, chiedo al proponente di ritirare il suo emendamento II.7.8. Infatti qui non ci si limita ad affidare, come lei ha ricordato, un compito aggiuntivo alla Corte costituzionale, ma si decide di sottoporre i regolamenti parlamentari ad un controllo esterno. È una questione studiata da decenni, ma che è stata risolta sempre negativamente. A questo punto, forse è meglio evitare di precostituire un ingresso così clamoroso.


NATALE D'AMICO. Accetto l'invito all'accantonamento, ma faccio presente all'onorevole


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Mattarella che questo non è l'unico caso di intervento sul principio degli interna corporis: per esempio nel testo della relatrice è previsto il ricorso alla Corte riguardo alla proclamazione degli eletti. Personalmente io sono a favore del superamento di quel principio, quindi mantengo il mio emendamento.


PAOLO ARMAROLI. Signor presidente, sono assolutamente favorevole alla norma prevista dalla senatrice Dentamaro nel testo base relativamente al quorum di adozione e modifica dei regolamenti parlamentari. Lo dico per ragioni di fatto e di diritto.
Un episodio recentissimo ci aiuta a capire quali sono le motivazioni di fatto. Quando in questa Commissione è stato approvato il testo sul semipresidenzialismo sono stati proprio i leader del Polo - da Gianfranco Fini a Silvio Berlusconi - a sostenere che a questo punto occorreva una larga maggioranza, perché evidentemente una maggioranza risicata non avrebbe retto all'urto dell'aula. Questa è una ragione di fatto che mi pare di elementare buonsenso.
Vi è poi una ragione di diritto, che sta scolpita nell'articolo 138 della Costituzione. A tal punto si ritiene che le regole del gioco debbano essere convenute dalla maggior parte degli attori politici, che l'articolo 138 prescrive la maggioranza dei due terzi dei componenti per la revisione della Costituzione, procedimento in tutto e del tutto analogo alla riforma dei regolamenti parlamentari; in ambedue i casi, infatti, si stabiliscono le regole del gioco.
Ricordo infine - e concludo, signor presidente - che proprio la sua parte politica nella scorsa legislatura presentò una proposta di legge costituzionale a firma Bassanini per elevare il quorum necessario per la modifica dei regolamenti parlamentari dalla maggioranza assoluta alla maggioranza di due terzi dei componenti.
Per queste ragioni, signor presidente, la mia parte politica è favorevolissima al testo della relatrice Dentamaro.


ARMANDO COSSUTTA. Mi pare che il testo della relatrice sia da accogliere. L'attuale Costituzione, infatti, stabilisce che la modifica dei regolamenti parlamentari debba avvenire attraverso la maggioranza assoluta dei componenti; ma la Costituzione vigente è espressione di un contesto caratterizzato dal sistema proporzionale. Non so quale sarà il sistema elettorale futuro, ma siamo già in un contesto largamente o totalmente maggioritario. Ragione di più per chiedere che le modifiche dei regolamenti debbano avvenire non in base alla maggioranza assoluta, ma con una maggioranza più ampia che garantisca di più il Parlamento. In tal senso il quorum dei due terzi mi pare più consono alla situazione in cui ci troviamo.


FRANCESCO D'ONOFRIO. Presidente, noto che tutti i gruppi politici dell'Ulivo hanno presentato proposte per riportare il quorum alla maggioranza assoluta. Io non sono «innamorato» dell'idea dei due terzi per forza, come unica garanzia delle minoranze. Se nel testo costituzionale stabiliremo garanzie per i gruppi politici minori, dal punto di vista del quoziente o delle funzioni da assolvere, non avrei alcun timore per la conservazione dell'attuale maggioranza per l'adozione e la modifica dei regolamenti. Il quorum dei due terzi infatti comporta il rischio di non poter cambiare nemmeno le regole di cui potrebbe aver bisogno la maggioranza di Governo e noi dobbiamo prevedere una norma che tenga conto sia del diritto del Governo a governare e sia dei diritti delle opposizioni ad opporsi. Ecco perché la composizione di questi due aspetti è più importante del solo problema della modifica dei regolamenti.
Per questi motivi mi asterrò sugli emendamenti che sono stati presentati su questo punto, cercando di capire successivamente se alle minoranze saranno accordate sufficienti garanzie o se, invece, queste ultime si ridurranno al solo quorum di approvazione dei regolamenti.


MARCO BOATO. Presidente, condivido il ragionamento del collega D'Onofrio.


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Propongo però di votare a favore degli emendamenti che prevedono la maggioranza assoluta dei componenti. È vero che nel corso della passata legislatura furono presentate proposte in senso di ampliamento della maggioranza necessaria per la modifica dei regolamenti (non fu soltanto Bassanini ad esprimersi in tal senso), ma è anche vero che si trattò di un orientamento reattivo rispetto all'ingresso di un sistema prevalentemente maggioritario nel nostro paese: si stabilivano garanzie con quorum altissimi. Tutti ci siamo resi conto che, se fosse passata questa logica, avremmo ingessato tutto, dalla Costituzione ai regolamenti parlamentari, tanto che per modificarli sarebbe stato necessario un colpo di stato. È una battuta, ma non del tutto paradossale perché mi diceva poco fa il senatore Salvi che l'Assemblea costituente del 1848 aveva a tal punto ingessato tutti i quozienti che Tocqueville affermò che in questo modo si impedivano i cambiamenti per via ordinaria e quindi si spingeva ad introdurli per via eversiva. Non siamo nel 1848, ma voglio insistere sul fatto che è stata una reazione primitiva, impaurita dal sistema maggioritario, quella che ha portato a spingere verso quozienti altissimi.
Dobbiamo avere quozienti qualificati e la maggioranza assoluta dei componenti è un quoziente fortemente qualificato, lo stesso è previsto dalla Costituzione per la seconda lettura delle riforme costituzionali, perché per la prima lettura - lo ricordo - è sufficiente la maggioranza semplice. Andare oltre mi sembrerebbe un rischio per tutti, maggioranza e opposizione; insisto pertanto per introdurre questa modifica alla quale mi pare la relatrice si sia dichiarata favorevole.


GIUSEPPE CALDERISI. Anche su questo aspetto sono intervenuto nel dibattito generale, condivido però l'argomentazione del collega Armaroli circa il fatto che siamo di fronte ad una situazione contraddittoria; Boato ha ricordato il clima con il quale nella scorsa legislatura si era svolto questo dibattito, a fronte della richiesta di quella che allora era l'opposizione di elevare il quorum a due terzi, con iniziative parlamentari e proposte di modifica costituzionale. In questa legislatura, dove i ruoli sono invertiti perché la sinistra ora è al Governo, assistiamo ad un capovolgimento della situazione; alcuni esponenti della sinistra hanno addirittura dichiarato in aula che si può procedere «con le scarpe chiodate» a modifiche regolamentari a maggioranza; si usano cioè espressioni che tendono a riprodurre il clima di cui parlava prima il collega Boato. Vorremmo allora capire quale sia la logica con la quale si deve procedere alle modifiche regolamentari: stante questo tipo di dibattito, presidente, anch'io credo sia opportuno mantenere la garanzia maggiore prevista dal testo della collega Dentamaro.


PRESIDENTE. Onorevole Calderisi, cosa succede adesso alla Camera non c'entra nulla, mi permetta di dirlo: stiamo disegnando un modello politico che prevede il Senato delle garanzie, il federalismo, il presidente eletto dai cittadini, lo statuto dei diritti delle opposizioni, non possiamo prendere decisioni di questo tipo sulla base della polemica congiunturale. Non entro nel merito...


GIUSEPPE CALDERISI. Ma le proposte di modifica costituzionale sarebbero entrate nel sistema in via definitiva.


PRESIDENTE. Ma anche le proposte di modifica costituzionale si inserivano nell'attuale Costituzione in relazione alle vicende della lotta politica contingente: noi stiamo ridisegnando il sistema politico, dobbiamo quindi capire se questa norma ha un senso oppure no non in relazione al dibattito in corso nella Giunta per il regolamento, ma in relazione al modello di sistema politico che stiamo disegnando.


GIOVANNI PELLEGRINO. Condivido pienamente quello che lei ha detto: in questa fase dobbiamo cercare di rimuovere l'impatto non felicissimo che abbiamo avuto con le regole del maggioritario


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appena entrato in vigore. Vorrei rispondere al collega Calderisi che stiamo approvando una regola e dobbiamo cercare di farci carico del suo prodotto. Con gli attuali regolamenti certamente le nuove Camere non potranno funzionare, mi domando allora che tipo di regolamento verrà fuori se dovrà essere approvato con la maggioranza dei due terzi. Crede il collega Calderisi che quello che verrà fuori consentirà la funzionalità della Camera e del Senato o non avremo piuttosto un regolamento che tenderà naturalmente ad ingessarli?
Non è questa la sede per dare le garanzie alle opposizioni, sarà altra la sede nella quale dovremo pensare ad uno statuto delle opposizioni: pensare che le nuove Camere debbano innanzitutto trovare un'intesa di questo tipo sui nuovi regolamenti significa probabilmente condannarle ad un lungo periodo di stasi e questo mi sembra un fatto preoccupante. L'impatto delle nuove norme convincerà i cittadini che forse stavano meglio quando stavano peggio.


PAOLO ARMAROLI. Qui forse non è chiaro che quello di cui stiamo discutendo è un di più rispetto al testo Dentamaro, il quale prevedeva - con un largo accordo del Comitato Parlamento - una maggioranza dei due terzi dei componenti. Poi tra l'ultima riunione del Comitato ed i lavori della Commissione, la senatrice Dentamaro ha ritenuto di poter accogliere un emendamento che era rimasto in minoranza e che proponeva di abbassare di nuovo il quorum alla maggioranza assoluta.
L'onorevole Boato è sempre intelligente e sagace, ma la sua è la classica motivazione suicida. Egli infatti ha giustificato il fatto che nella scorsa legislatura l'onorevole Bassanini ed altri esponenti di spicco del PDS avessero presentato una proposta di legge costituzionale per elevare il quorum a due terzi con il timore del sistema maggioritario. Non vorrei che mentre nella scorsa legislatura il PDS considerava il presidente Berlusconi un pericolo pubblico numero uno, noi dovessimo invece considerare il Presidente Prodi un benefattore dell'opposizione.


PRESIDENTE. Cosa c'entra, onorevole Armaroli! Non c'entrano niente Prodi o Berlusconi: stiamo discutendo regole che entreranno in vigore nel futuro, stiamo disegnando un nuovo sistema politico.


PAOLO ARMAROLI. Boato ha introdotto questo genere di polemica.


MARCO BOATO. Ho parlato della paura del maggioritario, non di Berlusconi!


ERSILIA SALVATO. Signor presidente, credo che nella nostra riflessione dobbiamo tentare, per quanto è possibile, di espungere valutazioni di ordine politico; stiamo scrivendo una norma costituzionale che riguarda i regolamenti, cioè le regole dello stare insieme nel Parlamento. Queste non possono essere tali da garantire né maggioranza né opposizione, ma devono garantire tutto il Parlamento, e ogni singolo parlamentare, per questo credo che debbano essere approvate non con una maggioranza qualificata, che poi potrebbe corrispondere alla maggioranza eletta, ma con una larghissima maggioranza. Quella dei due terzi di cui avevamo discusso nel Comitato mi sembra la più adatta.


MASSIMO VILLONE. In un sistema maggioritario la garanzia vera delle opposizioni è nell'alternanza, che crea prassi e convenzioni di comportamento politico che sono la vera tutela reciproca. Lo statuto e le garanzie per l'opposizione a cui pensiamo non stanno nel quorum elevato per l'approvazione dei regolamenti, ma in istituti direttamente radicati nella Costituzione, come per esempio le Commissioni su proposta di iniziativa della minoranza.


PRESIDENTE. Passiamo alla votazione. Chiedo all'onorevole D'Amico di accantonare la questione dell'impugnativa di fronte alla Corte costituzionale. Pongo in


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votazione congiuntamente la parte residua dell'emendamento D'Amico II.7.8. e gli identici emendamenti Salvi II.7.1, Elia II.7.12 e Boato II.7.14.


(Sono approvati).


Ci sono adesso alcuni emendamenti che affrontano il problema della possibilità di seduta segreta.


MARCO BOATO. È evidente che è difficile immaginare una seduta segreta del Parlamento se non in caso di guerra, ma la possibilità della seduta segreta riguarda soprattutto le Commissioni parlamentari d'inchiesta. Se non prevediamo nella Costituzione questa possibilità, rischiamo di impedire che si riuniscano in seduta segreta le Commissioni parlamentari d'inchiesta (come l'antimafia o la stragi che lo fanno abitualmente) avvalendosi di un regolamento che trova fondamento in questo articolo della Costituzione. Questo è il motivo dell'emendamento.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Non mi pare che la formulazione di questo articolo si limiti a coprire quell'ipotesi; si può eventualmente trovare una formulazione più ristretta perché qui si fa riferimento ad una situazione anacronistica di seduta di aula segreta.


MARCO BOATO. Potrebbe succedere in caso di guerra; ci sono alcuni articoli della Costituzione che parlano di prorogatio del Parlamento in caso di guerra o di dichiarazione dello stato di guerra, possiamo allora immaginare che questa sia una riserva da mantenere sapendo che non verrà mai utilizzata dall'Assemblea, ma che copre le Commissioni parlamentari di inchiesta che invece tengono frequentemente sedute segrete per ragioni di rilevanza giudiziaria.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Sono comunque più favorevole ad affermare un principio di massima pubblicità dei lavori parlamentari.


PRESIDENTE. Questa sarebbe un'eccezione e non un principio.


MARIO GRECO. Così come è formulato, più che un'eccezione diventa un principio generale. Il riferimento che ha fatto il collega Boato alle Commissioni d'inchiesta attiene ad oggetti ben definiti.


MARCO BOATO. Senatore Greco, questo principio è già scritto in Costituzione!


MARIO GRECO. Stiamo innovando la Costituzione vigente; poniamoci il problema di come si prospetta questa formulazione di seduta segreta in aula.


MARCO BOATO. È l'attuale articolo 64, secondo comma, della Costituzione!


PRESIDENTE. I proponenti sono mossi dalla preoccupazione per cui l'attuale norma costituzionale consente le riunioni in seduta segreta o riservata di organi parlamentari, sicché il venir meno di questa previsione potrebbe determinare una difficoltà rispetto a tale possibilità, in quanto effettivamente non si capisce perché un organo parlamentare possa riunirsi a pieno titolo in modo segreto o riservato sulla base di una norma costituzionale che dica soltanto «le sedute sono pubbliche».


MARIO GRECO. Per questo invitavo noi tutti e soprattutto l'onorevole Boato che ha fatto osservare questo principio a collegarlo, se possibile, nella Costituzione all'oggetto delle sedute segrete delle Commissioni d'inchiesta.


PRESIDENTE. Non possiamo fare la casistica delle sedute segrete delle Commissioni!


FRANCESCO SERVELLO. Per la verità, penso che a questo riguardo l'articolo 64 sia sufficiente: «Le sedute sono pubbliche; tuttavia ciascuna delle due Camere


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e il Parlamento a Camere riunite possono deliberare di adunarsi in seduta segreta».


PRESIDENTE. Lei dunque propone di mantenere questa formulazione; anche gli emendatori propongono questo.


SERGIO MATTARELLA. Forse stiamo eccedendo rispetto a questo emendamento. A parte la considerazione che in questo paese nulla rimane segreto, il fatto che questa possibilità non viene mai adoperata - che io sappia in questi cinquant'anni non è mai accaduto, se non per le Commissioni d'inchiesta - stempera le preoccupazioni. Per altro verso, che il Parlamento non abbia in condizioni di straordinaria, imprevedibile, inauspicabile eventualità questa facoltà mi sembra un errore. Nell'articolo 64 è stata prevista, non è stata mai utilizzata, grazie a Dio non vi è stato bisogno; ci auguriamo che sia sempre così, ma privare il Parlamento di questa facoltà sarebbe un errore anche, ma non soltanto per le Commissioni d'inchiesta.


ANTONIO SODA. Una norma di questo tipo è presente in tutte le costituzioni.


FRANCESCO SERVELLO. La norma costituzionale vigente è identica!


PRESIDENTE. Gli emendamenti tendono a ripristinare il testo della norma costituzionale vigente in relazione alla proposta di togliere questo riferimento. Per questo se ne discute.


GIOVANNI PELLEGRINO. Vorrei ricordare ai colleghi fautori della massima pubblicità che questa introdurrebbe elementi di difficoltà nel rapporto Governo-Parlamento. Il Governo può decidere di riferire al Parlamento questioni coperte dal segreto; se non potesse chiedere la segretezza della seduta sarebbe costretto ad opporre il segreto. Infatti, nel regolamento del Senato è previsto che si tenga seduta segreta anche su richiesta del Governo.


PRESIDENTE. Questo aspetto verrebbe semmai rinviato a norme regolamentari. Qui si tratta di prevedere la possibilità eccezionale di sedute segrete di organi parlamentari.


SERGIO MATTARELLA. Laddove viene previsto con emendamenti, che non so se siano stati già valutati o accolti, che il numero legale scenda dalla metà più uno ad un terzo, è bene che la decisione di adunarsi in seduta segreta sia adottata con la presenza di almeno la metà più uno dei componenti.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Elia II.7.13.


(È approvato).


In realtà questo emendamento, prevedendo la deliberazione a maggioranza qualificata, è più vicino al testo, per cui andava posto in votazione successivamente all'emendamento Boato II.7.15. Ho sbagliato io, ma ormai è fatta!
Passiamo all'emendamento D'Amico II.7.11. che propone di introdurre in Costituzione la previsione per cui il programma e il calendario dei lavori parlamentari sono formati sulla base delle priorità indicate dal Governo. Personalmente, proporrei di accantonare la questione.


FRANCESCO SERVELLO. Vorrei invitare il collega D'Amico a ritirare questo emendamento, la cui seconda parte, in particolar modo, deve essere oggetto di una norma regolamentare. Non può essere parte di una previsione costituzionale la formulazione «tenendo conto delle richieste dell'opposizione per soddisfare le quali è riservata una seduta d'aula ogni settimana». Queste sono norme regolamentari, non norme di carattere costituzionale! I diritti dell'opposizione saranno tutelati in una norma generale della Costituzione.


NATALE D'AMICO. Non ho obiezioni rispetto alla richiesta di accantonamento,


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ma devo premettere un chiarimento politico.
Secondo la mia personale opinione il problema della forza del Governo in Parlamento è indipendente dalla forma di governo che noi presceglieremo; a mio avviso, questo ed una serie di altri emendamenti tesi a rafforzare il Governo in Parlamento, a dare la possibilità all'esecutivo di realizzare il proprio programma, ad impedire che il Parlamento si limiti, come spesso purtroppo è avvenuto, ad atteggiamenti ostruzionistici rispetto all'attività di Governo sono assolutamente necessari.
Possiamo accantonare l'emendamento, se vogliamo esaminare questo problema insieme a quello della forma di governo, ma è mia personale opinione che la questione sia indipendente dalla forma di governo che individueremo.
Faccio presente che una serie di altri emendamenti tendono ad introdurre vincoli ai regolamenti parlamentari. Ho ben presente che alcune di queste norme sono già previste nei regolamenti, mentre altre modificano disposizioni presenti nei regolamenti stessi, ma nelle moderne costituzioni è diffusa la fissazione di limiti ai regolamenti parlamentari. A me pare che anche in Italia sia necessario procedere lungo questa strada, che alcuni principi riguardanti il funzionamento del Parlamento ed in particolare il rapporto tra Parlamento e Governo siano fissati in Costituzione.


FRANCESCO SERVELLO. Desidero sottolineare ancora una volta che ci sono le norme regolamentari della Camera e del Senato, c'è la Conferenza dei Capigruppo, nell'ambito della quale le priorità poste dal Governo vengono normalmente accettate o poste in votazione tra i partecipanti; se il Governo ha una maggioranza, chiaramente decide la Conferenza dei Capigruppo. Non è un consiglio comunale!


GIUSEPPE CALDERISI. Poiché l'emendamento Urbani II.7.7 (che reca anche le firme dei colleghi Rebuffa, Vegas e mia) riguarda questa materia con riferimento non al Governo ma ai diritti delle opposizioni, ritengo che alcuni aspetti di tali questioni rivestano carattere costituzionale. La stessa relatrice all'articolo 19 propone di costituzionalizzare alcuni diritti del Governo per quanto riguarda l'agenda dei lavori delle Camere.
Si può fare un'unica discussione se lo si ritiene opportuno, non ho difficoltà ad accantonare, ma alcune di queste norme sono di carattere costituzionale, pur dovendo poi essere sviluppate dai regolamenti parlamentari. Quindi, se crede, presidente, si può rinviare ad un altro momento, ma ritengo che sia le prerogative del Governo sia quelle delle opposizioni vadano discusse in questa sede di riforma costituzionale.


ANTONIO SODA. Vorrei chiedere all'onorevole D'Amico di accantonare l'emendamento, e per le ragioni indicate dall'onorevole Calderisi e perché l'istituto della disponibilità del calendario dei lavori dell'aula in mano al Governo non è mai sancito con principio generale neppure nelle costituzioni ove il Governo dispone di alcuni poteri forti nel Parlamento; tale disponibilità si ricava dall'insieme dei poteri attribuiti di volta in volta rispetto al disegno di legge, alle modalità di svolgimento dell'esame degli emendamenti, al voto bloccato, ad un insieme di tanti istituti. Mai si arriva a sottrarre al Parlamento la disponibilità del programma e del calendario, così come accadrebbe in seguito all'approvazione di questo emendamento; attraverso le priorità si potrebbe arrivare all'esproprio totale da parte del Governo della disponibilità del calendario dei lavori dell'Assemblea.


GIUSEPPE CALDERISI. Per aiutare i lavori della Commissione, vorrei leggere il terzo comma dell'articolo 19 del testo approvato dal Comitato: «Su richiesta del Governo sono inseriti con una priorità nel calendario e iscritti all'ordine del giorno delle Camere, secondo le norme dei rispettivi regolamenti, i disegni di legge


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presentati o i progetti accettati dal Governo. Il Governo può chiedere che il disegno di legge sia votato entro una data determinata, secondo le modalità stabilite dai regolamenti».


PRESIDENTE. Va benissimo, ma proprio per questo l'emendamento è ridondante; abbiamo una parte della normativa dove si affrontano tali questioni.


NATALE D'AMICO. Va bene, accantoniamo l'emendamento per riprenderlo in sede di esame dell'articolo 19; non è la stessa cosa...


PRESIDENTE. L'emendamento recita: «Il programma ed il calendario dei lavori sono formati sulla base delle priorità indicate dal Governo». Nella formulazione dell'articolo 19 si legge: «Su richiesta del Governo sono inseriti con priorità (...) i disegni di legge presentati o i progetti accertati dal Governo». Non sarà la stessa cosa, ma le due formulazioni si somigliano parecchio.
Passiamo all'emendamento Elia II.7.16., simile all'emendamento D'Amico II.7.9., con il quale si propone di ridurre il numero necessario per la validità delle deliberazioni del Parlamento ad un terzo dei suoi componenti.


GIUSEPPE CALDERISI. Poiché nella formulazione Dentamaro non è scritto nulla al riguardo - mentre nella Costituzione vigente viene richiesta la presenza della maggioranza dei componenti - sono più lontani dal testo gli emendamenti Armando Cossutta II.7.2. e Calderisi II.7.6 che propongono la maggioranza dei componenti.


PRESIDENTE. Comunque, qui si confrontano in sostanza due tesi: quella di mantenere il principio della maggioranza dei componenti per la validità delle deliberazioni e quella che propone di ridurre questo quorum ad un terzo.


GIUSEPPE CALDERISI. Nel testo Dentamaro non è previsto alcun quorum!


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Avevo ritenuto di rinviare ai regolamenti la determinazione del quorum di validità delle sedute, secondo una previsione che, non fissandolo in modo rigido, mi sembra più coerente con il sistema maggioritario; del resto, così è in democrazie nelle quali tale sistema viene applicato con antica tradizione.
Tuttavia, se il quorum deve essere previsto in Costituzione, ritengo sia opportuno mantenere quello attuale; la soluzione di un terzo mi sembra non...


GIORGIO REBUFFA. Non «se deve»: il quorum deve essere previsto in Costituzione, perché è un principio base del funzionamento del Parlamento.


PRESIDENTE. Ho capito, senatore Rebuffa, ma la relatrice ha una diversa opinione.


LEOPOLDO ELIA. Questo emendamento è suggerito dall'esperienza, anche molto negativa, di quest'ultimo periodo, ma anche di altri precedenti, in cui l'esasperata richiesta di verifica del numero legale è diventata un mezzo di ostruzionismo direi permanente da parte di alcuni gruppi, in particolare da un gruppo che stasera non è qui presente. Questo ostacola l'andamento dei lavori, mentre sappiamo che in Camere anche illustri, come la Camera dei comuni o altre, non vi è un principio così rigido: all'Assemblea nazionale francese, per esempio, anche dopo l'abolizione delle deleghe si ammette la validità delle deliberazioni quando è rispettato il rapporto maggioranza-opposizione (per non parlare del paring inglese).
Quindi, una maggiore elasticità a noi pare giustificata sia dalle esperienze di funzionalità sia anche dal fatto che con questo quorum è possibile rispettare il rapporto maggioranza-opposizione.


PRESIDENTE. Le tesi sono chiare. Vogliamo passare ai voti? Vi prego di prendere posto per facilitare il computo


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dei segretari, trattandosi di una votazione importante.
Pongo in votazione l'emendamento Armando Cossutta II.7.2 (che propone il quorum della maggioranza dei componenti per la validità delle deliberazioni delle Camere) accettato dalla relatrice.


(È respinto).


Pongo in votazione l'emendamento Elia II.7.16 (che propone che le deliberazioni di ciascuna Camera del Parlamento non siano valide se non è presente almeno un terzo dei suoi componenti).


(È approvato).


Passiamo all'emendamento D'Amico II.7.10, che stabilisce che le votazioni hanno luogo a scrutinio palese e che sono effettuate a scrutinio segreto le sole votazioni riguardanti le persone. Diciamo che si tratta di un emendamento che si intromette pesantemente nei regolamenti delle Assemblee, in quanto tende a stabilirne le modalità di votazione con norma costituzionale. Come direbbe lei, onorevole D'Amico, questo è un caso unico nelle costituzioni del mondo.


NATALE D'AMICO. A me pare che il principio fondamentale della democrazia consista in un principio di responsabilità: è necessario che gli elettori sappiano come hanno votato i loro eletti. È questo il motivo in base al quale riconosciamo agli eletti un insieme di garanzie del tutto particolari e molto estese. A me pare necessario prevedere che il principio di responsabilità politica possa essere fatto valere attraverso la più ampia conoscenza, da parte degli elettori, dei voti dati in Parlamento dai loro rappresentanti.


MAURIZIO PIERONI. Condividendo le premesse politiche che spingono alcuni colleghi a presentare i loro emendamenti, rivolgerei l'invito a ritirare tutti quelli che sono palesemente e manifestamente oggetto di regolamento e non di Costituzione.


PRESIDENTE. L'invito non è accolto.


ROCCO BUTTIGLIONE. Constato che esiste una serie coerente di emendamenti volti a rafforzare la posizione del Governo e ad indebolire quella dell'opposizione. Trattandosi di emendamenti presentati da colleghi che fanno parte dell'attuale maggioranza di Governo, vorrei sommessamente invitarli a riflettere sul fatto che in una democrazia non si è permanentemente né maggioranza né opposizione, e non vorrei che venissero tempi in cui...


CESARE SALVI. È reciproco!


ROCCO BUTTIGLIONE. Non vorrei che venisse un tempo in cui ci sia occasione di dolersi dei voti che sono stati dati. La tutela del diritto delle opposizioni non credo che sia un interesse di chi provvisoriamente è all'opposizione: credo che sia un interesse del Parlamento come tale.


PRESIDENTE. Qui si tratta della tutela del diritto dei singoli parlamentari, non delle opposizioni.


CESARE SALVI. Vorrei che fosse chiaro a tutti i presenti che stiamo votando regole che si applicheranno al prossimo Parlamento, non alla situazione attuale, quindi in situazioni di incertezza. A meno che i colleghi dell'attuale opposizione non ritengano che la loro condizione sia destinata a protrarsi indefinitamente nel tempo, siamo alla classica situazione sulla quale vi è il famoso velo di incertezza.


PRESIDENTE. Vorrei che ci si pronunciasse sull'emendamento D'Amico, con il quale si chiede che le votazioni abbiano luogo a scrutinio palese, salvo quelle riguardanti le persone. Quindi, il problema non riguarda chi sarà all'opposizione o al Governo.


FAUSTO BERTINOTTI. Com'è noto, faccio parte, ora, della maggioranza, però devo dire che trovo pertinente l'osservazione


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generale che poco fa è stata fatta: anche con questa modalità, escludendo soltanto le votazioni riguardanti le persone, si preclude una possibilità di voto segreto che, invece, il Parlamento può scegliere di adottare di fronte a materie particolarmente delicate, a materie riguardanti casi di coscienza, a materie riguardanti questioni coinvolgenti i diritti, sulle quali le minoranze hanno diritto ad avere una particolare tutela e a verificare, anche attraverso la modalità della segretezza, cioè della mancanza di coazione della maggioranza sui singoli componenti del Parlamento, un voto in assoluta protezione di libertà.
Per questa ragione, trovo davvero un po' inquietante questa proposta e chiederei che oggi venga sottratta al voto.


PRESIDENTE. Questo invito è già stato rivolto dal senatore Pieroni all'onorevole D'Amico, il quale, tuttavia, insiste per la votazione.


NATALE D'AMICO. Proprio in relazione, per esempio, alle questioni di libertà, io sarei preoccupato se un parlamentare potesse dare un voto senza che io sapessi come sta votando. Proprio su questa questione mi pare preoccupante il voto segreto. Vi sono questioni decisive: sulle questioni di coscienza mi pare preoccupante che vi sia il voto segreto. Mi pare che il problema sia esattamente il contrario, cioè che su questioni che investono diritti fondamentali dei cittadini, per esempio, sia possibile prevedere che un parlamentare non porti a conoscenza degli elettori il proprio voto. A me pare una misura garantistica delle libertà non una misura forcaiola (Commenti dell'onorevole Cossutta).


PRESIDENTE. Onorevole Cossutta, è un'opinione, è un antico dibattito che è possibile fare civilmente, tanto più che l'emendamento non mi sembra largamente condiviso in Commissione. Non c'è nessuna minaccia, quindi, per cortesia, onorevole Cossutta...


NATALE D'AMICO. Non capisco perché venga collegato ad una serie di emendamenti che prevedono - questi sì - un rafforzamento del Governo in Parlamento...


PRESIDENTE. Non c'entra nulla questo emendamento con il rafforzamento del Governo.


NATALE D'AMICO. ...ma non già per sacrificare il Parlamento: per ridurre la possibilità che si crei quella dialettica infelice tra il Governo e la sua maggioranza che è causa di molti mali di questo paese. Quindi, non è un sacrificio del Parlamento; anzi, io stesso ho presentato alcuni emendamenti che rafforzano la capacità delle opposizioni. La cosa che a mio avviso sarebbe necessario evitare è che si crei questa dialettica infelice ed improduttiva tra il Governo e la sua maggioranza.


SERGIO MATTARELLA. Signor presidente, mi associo all'invito al proponente a ritirare questo emendamento ed annuncio, se fosse mantenuto, il voto contrario del mio gruppo.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento D'Amico II.7.10.


(È respinto).


Passiamo adesso all'emendamento Greco II.7.4 che, a mio giudizio, ha un carattere informale, anche se non infondato. Qual è il parere della relatrice?


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Vorrei sentire il proponente perché non mi pare...


PRESIDENTE. È un emendamento formale: i membri del Governo hanno diritto di partecipare alle sedute, non è necessario specificare «anche se non fanno parte delle Camere».


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MASSIMO VILLONE. Però c'è la parte dell'obbligo, signor presidente.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. È l'obbligo che non è superfluo.


PRESIDENTE. Allora, propongo di accogliere in parte l'emendamento Greco, nel senso che mi sembra superfluo l'inciso «anche se non fanno parte delle Camere».


MARCO BOATO. Siccome questo è il testo attuale della Costituzione, suggerisco di non cambiarlo. Il quarto comma dell'articolo 64 della Costituzione stabilisce che «I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto, e se richiesti obbligo, di assistere alle sedute». Mi pare che sia opportuno mantenere il testo della Costituzione.


MARIO GRECO. Ritiro l'emendamento II.7.4. Ritiro anche l'emendamento a mia firma II.7.5 perché l'approvazione dell'emendamento Elia II.7.13, il cui secondo periodo fa espresso riferimento alla seduta di ciascuna Camera, fa venir meno la preoccupazione che era alla base del mio emendamento. È vero che la relatrice ha riproposto la formula del secondo comma dell'articolo 64, ma poiché questo articolo non risulta titolato, mi preoccupavo di indicare il soggetto delle sedute.


PRESIDENTE. Passiamo agli emendamenti Urbani II.7.7 e Cossutta II.7.3 che riguardano il tema dei diritti delle opposizioni. Il primo ha un carattere dettagliato e descrittivo, mentre il secondo contiene una formulazione più generale.


GIUSEPPE CALDERISI. Il testo della collega Dentamaro così recita: «I regolamenti garantiscono i diritti delle opposizioni». Se in questa sede dobbiamo affrontare il tema, il testo proposto con l'emendamento II.7.7 precisa: «Il regolamento della Camera dei deputati garantisce i diritti delle opposizioni» e poi specifica alcuni di questi diritti: «disciplinando le modalità di designazione da parte di esse dei presidenti delle commissioni di controllo e di garanzia» - lasciando ai regolamenti l'individuazione di tali commissioni - «e assicura altresì il diritto delle opposizioni stesse all'inserimento nell'ordine del giorno dei lavori di argomenti autonomamente determinati, con previsione del voto finale». Sono questi aspetti fondamentali del cosiddetto statuto delle opposizioni di cui abbiamo discusso moltissimo in questi anni.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Vorrei segnalare che l'articolo 19 che riguarda il procedimento legislativo, all'ultimo comma, così recita: «I regolamenti disciplinano l'assegnazione di tempi all'iniziativa legislativa parlamentare e prevedono una riserva per le proposte e le iniziative delle opposizioni». Mi sembra che questa formulazione coincida nella sostanza e in qualche modo assorba - salvo verificare possibilità di formulazione diversa - l'ultima parte dell'emendamento Urbani, nonché l'emendamento Cossutta.
Per ciò che riguarda la designazione dei presidenti di alcune categorie particolari di commissioni, forse si tratta di un tema da rinviare ad una discussione più ampia e completa sullo statuto delle opposizioni. Invece, per la parte procedimentale potremmo prendere in considerazione - non so quando, magari nel momento in cui affronteremo l'articolo 19 - quell'ultimo comma che ho formulato. La previsione dell'articolo 7, ultimo comma, è di per sé ampliativa, cioè prevede l'obbligo dei regolamenti di garantire anche in altre forme i diritti delle opposizioni, però con un rinvio ai regolamenti.


CESARE SALVI. Siamo d'accordo sulla sostanza dell'emendamento, salve le questioni poste dalla relatrice in termini di formulazione.
Vorrei ricordare - ma può diventare oggetto di coordinamento - che nel testo sulla forma di Governo è previsto un articolo 11 formulato in termini sintetici


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proprio per dare la possibilità di articolare in modo unitario il tema dello statuto delle opposizioni. Tuttavia, poiché abbiamo a disposizione la possibilità del coordinamento, il presidente valuterà quale sia la procedura migliore.


GIUSEPPE CALDERISI. Non faccio assolutamente una questione sulla sede o sul luogo in cui affrontare il tema. Desidero solo far osservare che vi è una differenza non di poco conto tra il testo dell'emendamento Urbani e l'ultimo comma dell'emendamento 19. Nel primo, per quanto riguarda il diritto delle opposizioni all'inserimento di argomenti nell'ordine del giorno dei lavori, queste non devono contrattare ed inoltre vi è la previsione del voto finale, due aspetti che rendono diversa la qualità delle garanzie per le opposizioni.


PRESIDENTE. Propongo di votare il principio, anche in considerazione della volontà adesiva della Commissione.


FRANCESCO D'ONOFRIO. Votiamo l'intero testo dell'emendamento?


PRESIDENTE. Sì, però votiamo il principio.


FAUSTO MARCHETTI. Se votiamo un principio forse è più adatto l'emendamento Cossutta II.7.3.


PRESIDENTE. L'onorevole Calderisi insiste sulla rilevanza di principio che ha la precisazione secondo cui l'opposizione ha il diritto di determinare autonomamente l'inserimento e di previsione della votazione finale. Questa precisazione non è presente nell'emendamento Cossutta.


FAUSTO MARCHETTI. Però la formulazione dell'emendamento II.7.3 è comprensiva delle varie fasi dell'attività parlamentare, per cui l'emendamento Calderisi, anche se individua momenti specifici e importanti, probabilmente è riduttivo.


PRESIDENTE. Se volete possiamo porli in votazione entrambi.


SERGIO MATTARELLA. Sostanzialmente, quindi, daremmo un voto di principio, anche se il testo è articolato con puntualità. Non ho alcuna difficoltà a farlo, considerato che si tratta di un voto di principio, senza che poi nel rivedere il testo siamo vincolati dalla specifica puntualità della previsione, perché parlando dei presidenti, delle commissioni di garanzia si fa una previsione assoluta.


PRESIDENTE. Sì, ma non si sa quali siano. Vi è una riserva di regolamento; sarà questo a stabilire quali commissioni debbano essere ritenute di garanzia.


SERGIO MATTARELLA. Credo che il lessico dell'emendamento vada al di là di un'indicazione di principio ai regolamenti.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Per sintetizzare e fondere i due emendamenti, il testo potrebbe essere sintetizzato in questo senso: «Il regolamento della Camera dei deputati garantisce i diritti delle opposizioni in ogni momento dell'attività parlamentare, disciplinando le modalità di designazione da parte di esse dei presidenti delle Commissioni aventi funzioni di controllo e di garanzia e assicurando altresì il diritto delle opposizioni all'inserimento nell'ordine del giorno dei lavori di argomenti autonomamente determinati, con previsione del voto finale».


PRESIDENTE. Pongo in votazione la formulazione della relatrice comprensiva degli emendamenti Urbani II.7.7. e Cossutta II.7.3.


(È approvata).


Pongo in votazione l'articolo 7, così come modificato dagli emendamenti approvati.


(È approvato).


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Passiamo all'articolo 8 che regolamenta i casi di ineleggibilità e incompatibilità.


ERSILIA SALVATO. Ritiro l'emendamento Cossutta II.8.3.


PRESIDENTE. Passiamo all'emendamento Passigli II.8.6.


STEFANO PASSIGLI. A mio avviso non è sufficiente disciplinare i casi di incompatibilità e ineleggibilità come tradizionalmente viene fatto perché tradizionalmente incompatibilità e ineleggibilità sono disciplinate con riferimento allo status dei soggetti al momento dell'elezione e con un'attenzione particolare rivolta al formarsi del consenso politico, cioè si considerano ineleggibili o incompatibili - soprattutto ineleggibili - coloro che potrebbero influenzare la formazione del consenso politico.
Una volta validamente eletto, il parlamentare storicamente ha cessato di interessare il legislatore. Mentre credo che recentemente, o più recentemente, si è venuta formando una teoria secondo cui il mandato deve essere svolto in assenza di possibile conflitto di interessi. Quindi, indicare in Costituzione che la legge può prevedere limiti ad alcuni consolidati diritti individuali mi sembra opportuno, perché altrimenti si potrebbe sollevare l'eccezione di costituzionalità (eccezioni sono già state sollevate in occasione del dibattito al Senato sulla legge relativa al conflitto di interessi per i membri del Governo) per una legge ordinaria che ponesse limiti e configurasse casi di conflitto di interessi - ripeto - per i membri del Governo ma anche per i membri del Parlamento nell'esercizio della loro attività legislativa. Si tratta quindi di applicare sviluppi più recenti ad un principio consolidato dei Parlamenti che vedono limiti all'eleggibilità ed alla compatibilità dell'esercizio del mandato parlamentare con alcune situazioni di status del soggetto.


PRESIDENTE. Vorrei proporre un'obiezione preliminare. Capisco che possa determinarsi uno stato di incompatibilità anche nel corso dell'esercizio del mandato parlamentare e si potrebbe persino capire che in una condizione di questo tipo possa scattare la decadenza dal mandato; ma che si possano stabilire limitazioni al diritto di proprietà, di impresa e di esercizio di libere professioni dei membri del Parlamento mi sembra opinabile, nel senso che non so se ciò intacchi principi sanciti nella prima parte della Costituzione.


ERSILIA SALVATO. Anch'io ritengo che questo emendamento non possa essere ritenuto ammissibile perché appare in palese conflitto con la prima parte della Costituzione, laddove sono previste norme che riguardano l'uguaglianza dei cittadini anche di fronte al fatto di essere eletti in Parlamento.
Altra questione è il conflitto di interessi da disciplinare con legge, che non può essere affrontato in questo modo. Capisco la ratio di questo emendamento ma confesso che secondo me esso è scritto male: non solo lo ritengo inammissibile ma, se posto ai voti, io voterei contro perché non mi sento assolutamente di limitare i diritti e le garanzie di nessuno, neanche di chi abbia conflitti di interesse rispetto alla sua funzione di parlamentare. Tra l'altro, dovremmo giudicare tali conflitti soprattutto rispetto alla funzione di governo e per responsabilità precise. Mi sembra davvero una materia molto difficile e complessa che non si può affrontare in questi termini.


PRESIDENTE. Senatore Passigli, vuole accedere all'invito e ritirare il suo emendamento?


STEFANO PASSIGLI. Non aderirei all'opinione per cui il mio emendamento sia inammissibile; se è ammissibile porre limiti al sorgere del mandato parlamentare, è sicuramente possibile farlo anche rispetto all'esercizio di questo mandato.


PRESIDENTE. All'esercizio del mandato certamente; mi riferisco alla previsione


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di decadenza dal mandato nel caso in cui insorga un conflitto di interesse: è il limite all'esercizio del diritto che è lesivo di principi fondamentali.


STEFANO PASSIGLI. Infatti, mentre considero che la materia sia ammissibile, sono pronto a concedere che la formulazione è impropria, dovuta anche ai ritmi del nostro lavoro. Ritiro quindi il mio emendamento II.8.6, riservandomi di ripresentarlo in altra sede ed in altro momento.


PRESIDENTE. Ricordo che gli emendamenti Rigo II.8.4 e Zeller II.8.1 sono preclusi.
Passiamo ora all'emendamento D'Amico II.8.5.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Sono contraria a questo emendamento.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento D'Amico II.8.5.


(È respinto).


Passiamo all'emendamento Loiero II.8.2.


AGAZIO LOIERO. Ritengo che l'incompatibilità prevista dal testo della relatrice tra mandato parlamentare nazionale e mandato europeo vada rimossa per due ordini di motivi. Il primo è che essa esiste in pochi paesi europei: ho fatto una rapidissima ricerca dalla quale risulta che solo Belgio, Finlandia, Spagna e Portogallo la prevedono. Il secondo è un motivo più politico. Nel momento in cui le politiche nazionali tendono a trasferirsi in quelle europee riteniamo sia più giusto superare l'incompatibilità. C'è l'esigenza di trasferire le linee di politica nazionale nel contesto europeo. Per concludere, credo che nel Parlamento europeo ci sia bisogno di un supplemento e non di un deficit di politica.


GUSTAVO SELVA. Vorrei aggiungere a quanto detto dal collega Loiero che nel momento in cui vogliamo integrare sempre di più la nostra legislazione con quella europea prevedere in Costituzione l'incompatibilità tra mandato nazionale ed europeo è eccessivo. Ci sono situazioni in cui è opportuno mantenere questa distinzione, che però è compito dei partiti far rispettare nel momento in cui propongono le candidature. Prevedere in Costituzione questa incompatibilità, nella visione di una sempre maggiore pregnanza tra legislazione nazionale ed europea, non mi sembra opportuno: è meglio consentire il doppio mandato.


CESARE SALVI. Siamo favorevoli al mantenimento della compatibilità tra i due mandati perché riteniamo che la possibilità - della quale del resto si è fatto finora un uso parco - di candidarsi al Parlamento europeo sia utile anche per leader politici nazionali. La classe dirigente politica italiana potrà così essere parte dei dibattiti sui temi dell'Europa ai quali è legato il futuro della democrazia italiana, tanto più in una fase come l'attuale, in cui auspichiamo che il Parlamento europeo abbia poteri maggiori e soprattutto diventi sede di dibattiti politici.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Loiero II.8.2.


(È approvato).


Pongo in votazione l'articolo 8, nel testo modificato dagli emendamenti approvati.


(È approvato).


Passiamo all'articolo 9. Il secondo comma di questo articolo prevede la possibilità di impugnazione di fronte alla Corte costituzionale delle decisioni di ciascuna Camera in materia di ineleggibilità e incompatibilità dei suoi membri. Allo stato attuale, sulla base di quanto previsto dalla nuova formulazione dell'articolo 134, ultimo capoverso, questa facoltà è già


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prevista. Propongo quindi di esaminare questa parte - analogamente con quanto abbiamo fatto in relazione ad altre possibilità di ricorso alla Corte - quando discuteremo l'articolo 134 e quindi di accantonare tutti gli emendamenti relativi al secondo comma dell'articolo 9.
Mi sembra non vi siano obiezioni; passiamo quindi all'emendamento Elia II.9.6, il quale prevede che ciascuna Camera abbia un termine di sei mesi entro il quale giudicare dei titoli dei propri membri, sul quale mi permetto anche di esprimere un parere positivo. Ricordo che nella proposta originaria questa previsione si accompagnava all'altra per cui, se non si delibera entro sei mesi, avviene un trasferimento alla Corte costituzionale del relativo procedimento.


LEOPOLDO ELIA. Evidentemente si voleva reagire ai trascinamenti fino a metà legislatura!


PRESIDENTE. Effettivamente, se fosse approvato questo termine, a mio avviso giusto, venendo meno il secondo comma che prevede le conseguenze del mancato adempimento entro il termine stesso, il rischio che la questione resti sospesa c'è.


GIOVANNI PELLEGRINO. È giusto prevedere un termine ma sei mesi mi sembra troppo poco: bisognerebbe pensare che tutto il procedimento di verifica si chiuda in sei mesi, il che storicamente non è mai avvenuto. Una volta, al Senato, battemmo il record e concludemmo in diciotto mesi.


CESARE SALVI. Il presidente della Giunta era il senatore Pellegrino!


PRESIDENTE. Anche il regolamento della nostra Assemblea prevede il termine di diciotto mesi per la pronuncia e non l'abbiamo quasi mai rispettato.


GIUSEPPE CALDERISI. Presidente, la Giunta presieduta dal collega Vito ci è riuscita in nove mesi, ma si è trattato di un record!


PRESIDENTE. L'onorevole Vito è più pericoloso come contraddittore che come presidente: se lui non lo fosse ma intervenisse ai lavori della Giunta non si riuscirebbe a concludere in nove mesi!


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Condivido senz'altro l'esigenza che sta alla base di questo emendamento, mentre mi preoccupa un po' la conseguenza, quella relativa alla trasmissione automatica alla Corte costituzionale, anzitutto per le considerazioni più volte sottolineate circa un sovraccarico del lavoro della Corte: una cosa è farla funzionare come seconda istanza rispetto a una decisione già presa, altra cosa è trasmetterle direttamente tutte le questioni su cui la Camera non abbia avuto il tempo di pronunciarsi.
In secondo luogo, ci sarebbe una ragione di parità di trattamento. Alcune situazioni di verifica dei poteri avrebbero un doppio grado ed altre no: potrebbe anche accadere che l'organismo competente della Camera faccia una selezione a priori fra i procedimenti da trattenere e quelli da inviare alla Corte.
Mi rendo anche conto che porre un termine senza prevedere una sanzione avrebbe poco senso. Una soluzione intermedia - anche se non direbbe molto di più della previsione attuale - potrebbe consistere nel prevedere che ciascuna Camera esamina questi argomenti entro il termine stabilito dal proprio regolamento, visto che l'esperienza dimostra che il termine di sei mesi è sicuramente inadeguato.


MARCO BOATO. Sono d'accordo con la proposta che lei ha formulato all'inizio, presidente, ed anche con questo subemendamento all'emendamento Elia II.9.6 proposto dalla relatrice. Aggiungerei un aggettivo che la Corte costituzionale usa in casi di questo genere, parlando cioè di un termine «ragionevole» stabilito dal regolamento di ciascuna Camera, in modo che se ci fossero eventuali ricorsi vi sia anche un riferimento.


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PRESIDENTE. Io proporrei di accantonare l'intera materia: esistendo un evidente collegamento tra il termine e la previsione di cui al secondo comma relativa al ricorso alla Corte costituzionale, sarebbe opportuno votare il principio per cui ciascuna Camera mantiene in prima battuta il giudizio sulle cause di ineleggibilità e incompatibilità dei suoi componenti, mentre rinvierei al momento dell'esame dell'articolo 134 tutta la disciplina del ricorso alla Corte, senza la quale anche fissare un termine in Costituzione rischia di dar vita ad una norma senza sostanza.


MARCO BOATO. Assumiamo l'attuale primo comma dell'articolo 9 proposto dalla relatrice, che è l'articolo 66 della Costituzione.


PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell'articolo 9 del testo della relatrice, che è poi l'articolo 66 della Costituzione vigente, con l'intesa di rinviare la questione del ricorso alla Corte costituzionale ad un esame successivo.


(È approvato).


Passiamo all'articolo 10.
A tale articolo sono stati presentati due emendamenti identici, quello Cossutta II.10.1 e quello Calderisi II.10.2, che propongono di sostituire le parole «tutto il popolo» con «la Nazione». Quanto all'emendamento D'Amico II.10.3, mi pare che esso si rapporti ad un diverso ordinamento del bicameralismo, facendo riferimento alla differenziazione tra parlamentari eletti e parlamentari rappresentativi, per cui è da considerarsi precluso.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice per il Parlamento e le fonti normative. Sono favorevole agli identici emendamenti Cossutta II.10.1 e Calderisi II.10.2.


MARCO BOATO. Credo che invece il testo predisposto dalla relatrice fosse giustamente innovativo, tenendo conto che la Costituzione, al secondo comma dell'articolo 1, stabilisce che «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Quindi, il riferimento al popolo, che è presente tra l'altro anche nell'articolo della Costituzione riguardante la giustizia, che è amministrata in nome del popolo italiano...


ERSILIA SALVATO. L'articolo 67 della Costituzione parla di Nazione.


MARCO BOATO. Lo so, altrimenti non si parlerebbe di un emendamento, non sono così ignorante!


PRESIDENTE: Boato è favorevole ad innovare.


MARCO BOATO. Ad innovare nel senso proposto dalla relatrice (Commenti della senatrice Salvato).


PRESIDENTE. Capisco che la parola innovazione susciti la vostra irritazione, tuttavia lasciamo parlare il collega Boato!


ERSILIA SALVATO. Stavo solo sorridendo.


MARCO BOATO. Sorrida pure; quando non condivide qualcosa, la collega Salvato sorride e sorriderà molto perché in questa Commissione condivide ben poco!
Insisto sul fatto che la proposta della relatrice mi sembrava coerente con il secondo comma dell'articolo 1 della Costituzione e con altre disposizioni contenute in articoli diversi. È vero che l'articolo 67 parla di nazione, ma mi sembra una terminologia propria dell'ottocento, della concezione dello Stato-azione, quando invece siamo qui per varare una Costituzione che parla di Repubblica, oltretutto in una situazione in cui obiettivamente viviamo in una Repubblica una ed indivisibile, ma che ha al suo interno una pluralità di identità nazionali: ne ha una prevalente, maggioritaria, che è anche la mia, ma al suo interno ha anche identità nazionali, come quella tedesca o quella slovena o quella francese, e via


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dicendo, diverse. Mi sembra, quindi, di gran lunga preferibile il testo proposto dalla relatrice.


MARCELLO PERA. Credo che la relatrice si sia rimessa alla Commissione.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice per il Parlamento e le fonti normative. Sostanzialmente sì; il collega Boato ha illustrato in maniera molto chiara le ragioni che mi avevano indotta a proporre una modifica del testo vigente, cioè l'appartenenza della sovranità al popolo e comunque l'uso, divenuto ormai anacronistico per qualche aspetto, di un termine che ha caratterizzato una certa fase della storia e della cultura ottocentesca.
Tuttavia, avevo anticipato il mio parere favorevole rispetto ad un ritorno al testo vigente della Costituzione alla luce degli emendamenti e delle motivazioni che anche in altra sede mi erano stati esposti, cioè dell'opportunità di non rinunciare in questa fase, in questo clima politico, ad un riferimento, in quanto questa rinuncia potrebbe essere intesa come rinuncia ad un mantenuto senso dell'unità nazionale. A questo punto, mi rimetto alla Commissione, ma non drammatizzerei la questione.


MARCELLO PERA. Senza alcuna drammatizzazione, dichiaro di aderire agli emendamenti Cossutta e Calderisi. Credo che il riferimento, fatto dall'onorevole Boato, al secondo comma dell'articolo 1 della Costituzione, che stabilisce che la sovranità appartiene al popolo, sia - mi permetto di dirlo - improprio. Certo, il parlamentare è eletto dal popolo, che è sovrano, ma, eletto dal popolo, rappresenta la nazione, né credo che il concetto di nazione debba essere espunto e dichiarato decaduto, oppure di origine e declino ottocentesco. È un concetto assolutamente importante, distinto da quello di popolo, e quindi preferirei dire che sono eletto dal popolo e rappresento la nazione.


MARCO BOATO. Vorrei soltanto precisare di aver detto non che è un concetto superato, ma che nella stessa Repubblica, una ed indivisibile, possono esistere diverse identità nazionali, come storicamente è.


GUSTAVO SELVA. In questo caso sono per una volta tanto e felicemente d'accordo con il conservatore onorevole Cossutta, quindi per conservare il termine usato nella Costituzione vigente. Petanto, voterò a favore dell'emendamento Cossutta.


CESARE SALVI. Presidente, si tratta di quelle formule classiche che nascono dalla storia, da quando hanno iniziato la propria attività i liberi Parlamenti. È mia personale opinione che, se si tocca anche una sola virgola, si rischia di guastare tutto. Quindi, voterò a favore degli identici emendamenti Cossutta e Calderisi: voglio ripristinare il testo della Costituzione italiana come omaggio al Parlamento.


ROCCO BUTTIGLIONE. Signor presidente, un popolo ha bisogno di identificarsi in una storia e tale identificazione è espressa dal termine nazione, che indica ciò a cui si appartiene per nascita ed implica nient'affatto un'identità etnica prima di tutto, ma un'identità culturale di cui si partecipa anche quando la propria identità etnica sia differente, anche quando la propria identità culturale sia parzialmente differente. Credo che i cittadini italiani di lingua tedesca partecipino della nazione italiana con le modalità loro specifiche che la storia ha determinato.
Credo che un patriottismo della Costituzione legato ad un'idea di popolo priva di questi contenuti storico-culturali sarebbe debole proprio nel momento in cui la consapevolezza dell'identità nazionale è fortemente attaccata.


KARL ZELLER. Presidente...


PRESIDENTE. Mi sembra che i termini della questione siano chiari; capisco che l'onorevole Buttiglione ha commesso l'errore di riferirsi alla minoranza tedesca e


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che quindi lei si senta in dovere di rispondere, però credo che la questione sia chiara.
Pongo in votazione gli identici emendamenti Cossutta II.10.1 e Calderisi II.10.2, accettati dalla relatrice.


(Sono approvati).


Come (Commenti dei commissari di rifondazione comunista)? Io non discuto di questo, io discuto l'intolleranza delle opinioni altrui, che da quella parte è continuativa nel nome dei diritti delle minoranze!
Pongo in votazione l'articolo 10 con la modifica testé apportata.


(È approvato).


Passiamo all'articolo 11 (Commenti).


PRESIDENTE. Mi si fa notare che sono le 8. Per essere esatti, sono le 8 meno 10: almeno questo...


FAUSTO BERTINOTTI. È un intervento d'innovazione!


PRESIDENTE. Quello di dire l'orario sbagliato? Siamo a posto! Con queste innovazioni... L'ultimo aspetto rivoluzionario che vi è rimasto è dire l'orario sbagliato!


MAURIZIO PIERONI. Le ricordo il richiamo sull'intolleranza, presidente, l'ha appena fatto!


PRESIDENTE. Va bene.
Tornando all'articolo 11, vi sono tre emendamenti che presentano aspetti di una certa delicatezza perchè l'articolo 11 è la riformulazione dell'articolo 68 della Costituzione.
Con l'emendamento Greco II.11.2 si propone di aggiungere le parole «o a causa» in tema di insindacabilità delle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari.


MARIO GRECO. Mi sono preoccupato di eliminare alcune perplessità che spesso vengono sollevate in sede di Giunta per le autorizzazioni a procedere nel momento in cui si discute di opinioni espresse extra moenia. Con il mio emendamento si eliminerebbero varie perplessità che, come il collega Senese può confermare, potrebbero insorgere. In questo caso, in sostanza, si tratta delle opinioni espresse o nell'esercizio delle funzioni parlamentari o a causa di tali funzioni.


PRESIDENTE. Vorrei osservare che questa proposta estensiva è controbilanciata dall'emendamento Passigli II.11.3, in base al quale: «Fanno eccezione affermazioni lesive dell'onorabilità di persone, espresse al di fuori delle aule parlamentari e non inscindibilmente connesse alla formulazione di opinioni politiche». Lo dico perché è argomento evidentemente connesso.


SALVATORE SENESE. A mio avviso, l'emendamento proposto dal collega Greco non varrebbe a risolvere le perplessità che quotidianamente insorgono in sede di Giunta per le autorizzazioni a procedere. Non v'è dubbio, infatti, che già adesso sia da tutti accolto il principio della non necessarietà della - per così dire - intrinsechezza fisica delle opinioni con l'aula o i luoghi parlamentari.
Il problema nasce circa il rapporto di connessione stretta tra le opinioni espresse e l'attività propria del mandato parlamentare. Pertanto, l'aggiunta delle parole «a causa» non risolverebbe il problema e creerebbe ulteriori dubbi interpretativi.
Tuttavia, valutando i due emendamenti insieme, mi pare che una soluzione potrebbe essere quella di votarli congiuntamente, perché in tal modo si ribadirebbe, per un verso, un principio già acquisito e si traccerebbe con maggior nettezza, per altro verso, una linea di demarcazione tra ciò che è coperto dall'immunità e ciò che invece non può esserlo.
Conclusivamente, se i due presentatori accolgono il mio invito, propongo di fondere gli emendamenti e di sottoporli insieme al voto.


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LEOPOLDO ELIA. Sarei favorevole all'impostazione del testo della Legge fondamentale tedesca che, all'articolo 46, afferma in prima battuta l'insindacabilità, però aggiunge: «Questa disposizione non ha valore nei casi di diffamazione e di ingiuria». L'impostazione dell'emendamento Passigli II.11.3 si avvicina a quella di tale norma.
Credo per altro che dobbiamo reagire allo «sgarbismo» e al «bossismo», perché altrimenti la stessa garanzia dell'insindacabiltà sarà sempre più contestata dinanzi alla Corte costituzionale, che è già oberata da qualche conflitto di attribuzione tra rami del Parlamento e magistratura, perché ormai, com'è noto, si ricorre al giudice per risarcimento danni, per responsabilità civile di fronte a molte esternazioni esorbitanti di parlamentari, specialmente rese fuori dai palazzi del Parlamento. Anche all'interno di questi ultimi si verifica uno scompenso, perché ciò che sarebbe vietato in aula e che il Presidente dovrebbe reprimere, viene invece giudicato legittimo dalla maggioranza dei parlamentari se compiuto in un altro locale del Palazzo, magari nella sala stampa.
Quindi, almeno in via di prevenzione, sono favorevole all'impostazione dell'emendamento Passigli, perché si è troppo abusato di questo articolo della Costituzione e credo che non dobbiamo fare in modo che, com'è avvenuto in parte per gli abusi in materia di autorizzazione a procedere, la Corte costituzionale reagisca, e lo facciano anche i giudici, di fronte agli abusi impuniti nei confronti delle lesioni dell'onore e dell'onorabilità altrui.


TIZIANA PARENTI. Pochi mesi fa abbiamo avuto una lunga disquisizione, che si è conclusa con l'approvazione quasi unanime, da parte della Camera dei deputati, di norme in materia di articolo 68 della Costituzione, poi affossate, a mio avviso molto dolosamente, dal Senato; ne è prova anche il fatto che il senatore Passigli abbia presentato un emendamento del genere.
Se si legge tale emendamento con attenzione ed in connessione logica, si può constatare come esso preveda che «fanno eccezione affermazioni lesive dell'onorabilità di persone». Evidentemente, l'onorabilità è un concetto che ciascuno ha di se stesso, ma che non necessariamente deve corrispondere all'opinione generale; ancor meno questo è compatibile con l'attività politica, che spesso è fatta anche di denuncia, di richieste di accertamenti e che può far emergere situazioni obiettivamente incresciose che, dal punto di vista di chi ne è oggetto, possono risultare in contraddizione con il concetto della propria onorabilità. Tuttavia, ciò non toglie che sia comunque necessario che le opinioni vengano espresse pubblicamente, perché questo è un diritto-dovere del parlamentare.
Procedendo nella lettura dell'emendamento, si rileva che fanno eccezione queste affermazioni, lesive nella misura in cui ho detto e secondo quei concetti che in qualche modo si elidono l'uno con l'altro, che sono espresse al di fuori delle aule parlamentari; ne deriva che, una volta usciti dal Parlamento, possiamo fare semplicemente uno sciopero della parola. È evidente, infatti, che l'attività del parlamentare è in qualche modo provocatoria, di critica, e deve avere anche dei toni accentuati; sarà naturalmente la Giunta per le autorizzazioni a procedere a decidere se si sia trattato o meno di ingiurie. Se però togliamo al Parlamento la possibilità di sindacare sulle opinioni espresse da un parlamentare nell'ambito di un'attività politica (non si può stabilire quale sia la sede esclusiva di tale attività, perché l'attività politica di un parlamentare dovrebbe essere condotta per tutto il corso della legislatura, minuto dopo minuto), se sottraiamo al Parlamento anche il sindacato sulle espressioni politiche (è difficile scindere l'attività politica tra quella che è una critica politica e quella che invece viene considerata dalla magistratura una critica non politica e rivolta verso persone), certamente ci precludiamo la possibilità di fare politica. Nessuno di noi, infatti, potrà mai più rilasciare un'intervista né parlare in pubblico, nei comizi elettorali.


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In questo modo, consegniamo alla magistratura il sindacato sulle opinioni dei parlamentari, ossia il giudizio sul fatto che siano lesive o meno dell'onorabilità di persone, semplicemente se sono espresse al di fuori delle aule parlamentari.
Possiamo fare anche questo, come abbiamo fatto altro, ma dobbiamo renderci conto che il primo momento di grande civiltà è stato quello in cui il Parlamento si è arrogato il diritto di sindacare esso stesso se le opinioni espresse da propri membri, al di fuori o all'interno dello stesso Parlamento, fossero una libera espressione del cittadino parlamentare, che rientra in un suo diritto-dovere. Se si eliminasse questo principio di massima civiltà, credo che si creerebbe una grande commistione di poteri: vi sarà infatti qualcuno, esterno al Parlamento, che ci dirà, ovviamente a seconda della sua impostazione, se sia lecito esprimere un'opinione o un'altra, se quell'opinione leda o meno l'onorabilità di persone.
Poiché credo che ci siamo già arrecati molti danni, spero che ce ne vogliamo evitare di maggiori per il futuro.


ANTONIO SODA. Intervengo per rilevare che il richiamo alla Costituzione tedesca deve essere fatto integralmente: è vero che in quella Costituzione si fa eccezione per le ingiurie e la diffamazione, ma è altrettanto vero che il Parlamento tedesco si riserva in ogni momento la possibilità di esercitare un sindacato, anche fermando la magistratura. Infatti, il comma 4 dell'articolo 46 prevede espressamente che ogni processo penale a carico di un parlamentare deve essere sospeso su richiesta del Bundestag; ciò significa che l'Assemblea parlamentare si riserva comunque il diritto di esercitare il sindacato sulle opinioni espresse.
Noi non abbiamo un istituto analogo, per cui le formule che si propone di introdurre con l'emendamento del senatore Passigli e con altri che fanno riferimento all'ingiuria ed alla diffamazione consegnano esclusivamente alla magistratura ordinaria il sindacato sulla manifestazione...


LEOPOLDO ELIA. Ma questo riguarda i processi penali, non il risarcimento danni.


ANTONIO SODA. Certamente, riguarda i processi penali. L'ingiuria e la diffamazione sono oggetto del processo penale.


PRESIDENTE. Quindi, in sostanza lei è contrario all'emendamento Passigli II.11.3?


ANTONIO SODA. Sì.


PRESIDENTE. Gliel'ho chiesto per ricondurre la discussione al suo tema: non stiamo svolgendo un dibattito sulla Costituzione tedesca, ma ci stiamo pronunciando sull'emendamento Passigli II.11.3.


FRANCESCO SERVELLO. Mi associo alle argomentazioni svolte dall'onorevole Parenti, rappresentante di forza Italia, perché l'emendamento Passigli, già nella sua formulazione, è pericoloso, in quanto la valutazione dell'onorabilità è estremamente labile e complessa da parte di un giudice piuttosto che di un altro.
Inoltre, questa formulazione darebbe la stura ad una serie di denunce nei confronti dei parlamentari, salvo poi recedere di fronte ad una diversa valutazione da parte della Giunta per le autorizzazioni a procedere. Intanto, però, sulle prime pagine dei giornali apparirebbero le notizie di parlamentari denunciati per calunnia, ingiuria, diffamazione e quant'altro. In questo modo, si alimenterebbe, a mio avviso, un processo di sfiducia nei confronti dei parlamentari che è già abbastanza avviato ed ha leso gravemente l'immagine del Parlamento nel suo complesso.


ORTENSIO ZECCHINO. Anche se non sono favorevole a privare il parlamentare di queste minime guarentigie, credo che il problema sia diventato acuto di fronte al progressivo venir meno del self control, che costituiva una garanzia: basti pensare che fino a qualche tempo fa questo dibattito sarebbe stato inipotizzabile. Tuttavia,


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di fronte all'esplosione di alcuni fenomeni ai quali ha fatto puntualmente riferimento il senatore Elia, credo che tali fenomeni non possano meritare alcuna copertura; dobbiamo dirlo con grande franchezza.
Sono pertanto favorevole all'emendamento Greco II.11.2, in quanto rappresenta un'estensione o soltanto un chiarimento (considerato quanto ha rilevato il collega Senese): poiché la dizione «nell'esercizio» ha dato adito a qualche dubbio interpretativo, la questione si può risolvere aggiungendo l'espressione «o a causa». A questo punto, però, dobbiamo fermarci, poiché non possiamo dare il via libera al turpiloquio che sembra diventato ormai una consuetudine, peraltro molto riprovevole e cagione di ulteriore discredito per la classe politica. Allora, tenendo conto di questo dato di fatto che ormai è storicamente di fronte ai nostri occhi, non sarebbe male che noi stessi stabilissimo che l'insindacabilità incontri un limite, potremmo dire nel buon gusto, ma diciamo nella difesa dell'onorabilità delle persone.
Intendo ora porre una questione al senatore Passigli, presentatore dell'emendamento II.11.3: credo sia difficile ipotizzare che l'espressione di opinioni politiche possa essere inscindibilmente legata a manifestazioni offensive dell'onorabilità di persone; ma chi è giudice di questa inscindibilità?
Tra l'altro, stento a capire come un giudizio politico possa comportare necessariamente l'offesa all'onorabilità di persone; in ogni caso, ritengo che dovrebbe essere chiarita la questione del potere di giudizio su questa inscindibilità, su cui nutro forti dubbi.
In conclusione, condivido l'emendamento Greco II.11.2, mentre per quanto concerne l'emendamento Passigli II.11.3, ne condivido la ratio ma mi pongo il problema dell'inscindibilità, dal punto di vista sia dell'essenzialità dell'espressione sia del giudice della stessa inscindibilità.


GIOVANNI RUSSO. Invito i colleghi Greco e Passigli a ritirare entrambi i loro emendamenti, perché a mio avviso l'attuale formulazione del primo comma dell'articolo 68 della Costituzione è chiara, in quanto fa riferimento alle opinioni espresse e ai voti dati nell'esercizio delle funzioni parlamentari. L'interpretazione che è stata data, purtroppo molte volte, dal Parlamento, con la copertura dell'articolo 68 estesa ad ingiurie e diffamazioni del tutto slegate dall'esercizio delle funzioni parlamentari, è un'interpretazione distorta che è compito del Parlamento correggere. Ma la formulazione, di per sé, non si presta a quelle interpretazioni distorte: credo, infatti, che le opinioni espresse e i voti dati non abbiano nulla a che vedere con insulti gratuiti, al di fuori dell'esercizio delle funzioni parlamentari.
L'emendamento Passigli, di cui comprendo e condivido la finalità, mi appare però contraddittorio, perché non è possibile prevedere un'eccezione per affermazioni lesive dell'onorabilità di persone non connesse con l'espressione di opinioni politiche. Quelle sono già fuori dalla formula del primo comma dell'articolo 68 della Costituzione. È una formula che si tramanda nel tempo, che ha un significato storico molto preciso di copertura e di garanzia per il parlamentare, il quale deve essere libero nell'esercizio delle funzioni parlamentari anche di fare affermazioni che possono essere lesive dell'onorabilità, perché se io nella mia libertà di parlamentare esprimo un giudizio pesante su una determinata persona posso avere il diritto e il dovere di farlo, ma non può essere un insulto o un'ingiuria gratuita, che non sono un'opinione.
Credo allora che il Parlamento dovrebbe avere la capacità di recuperare, nell'applicazione concreta, il senso vero di questa disposizione, che è garanzia per i parlamentari nell'esercizio delle loro funzioni. Sono anch'io convinto che, se il Parlamento proseguirà in un'interpretazione sbagliata della norma, metterà a repentaglio una garanzia che è fondamentale per i parlamentari. Mi auguro che il Parlamento sappia recuperare questa capacità di interpretazione, ma credo che la formula dell'articolo 68 sia chiara e possa


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essere mantenuta: sono quindi contrario anche all'emendamento Greco II.11.2, perché mi sembra che non abbia senso aggiungere le parole «o a causa»; è nell'esercizio delle funzioni parlamentari che devo essere libero di esprimere opinioni e di dare voti.


PRESIDENTE. Colleghi, i due emendamenti si completano, si bilanciano e vanno in una direzione diversa l'uno dall'altro: vorrei sapere se l'invito motivato del senatore Russo induce i presentatori a decidere di ritirarli.


STEFANO PASSIGLI. Signor presidente, mi dispiace di non poter aderire all'invito al ritiro, proprio per le ragioni che veniva illustrando il collega Russo. Non ho dubbi che l'istituto dell'immunità vada conservato: ho la stessa visione del senatore Elia, il quale afferma chiaramente - e condivido tale affermazione - che l'interpretazione che viene troppo spesso data dalle Giunte per il regolamento dell'articolo 68 fa sì che l'istituto dell'immunità goda di sempre meno favore nell'opinione pubblica e sia stato messo in discussione, essendo invece un istituto centrale nella vita dei Parlamenti e per la tutela del parlamentare.
Proprio per le ragioni che diceva Russo, per il fatto cioè che le Giunte delle Camere non si stanno comportando, nell'interpretazione dell'articolo 68, in maniera corretta, a me sembra che vada indicata alle Giunte una via interpretativa: è ben chiaro, però, che la decisione sulla connessione delle affermazioni con l'attività politica del parlamentare e con la formulazione di opinioni politiche rimarrebbe pur sempre alle Giunte. Non penso minimamente ad una magistratura che possa interpretare questa norma: in tal senso, non vedo il timore che veniva avanzato dall'onorevole Parenti. Sarà pur sempre la Giunta che dovrà valutare se affermazioni lesive di onorabilità sono comunque connesse alla formulazione di espressioni politiche da parte del parlamentare, o meno: rimarrebbe pur sempre, quindi, il filtro della Giunta e la formula è sicuramente più restrittiva di quella, a mio avviso troppo estensiva, della Costituzione tedesca, di cui comunque non parlo. Per queste ragioni, proprio per difendere e consolidare l'istituto, ma anche per indicare una via interpretativa alle Giunte, che per ammissione dello stesso Russo si comportano diversamente, ritengo di mantenere l'emendamento, che vedrei invece utilmente completato, come suggeriva il senatore Senese, dall'emendamento presentato dal collega Greco, che è forse pleonastico ma sicuramente indica anch'esso una via interpretativa.


FAUSTO MARCHETTI. Comprendo le preoccupazioni del senatore Elia e dei presentatori degli emendamenti. Mi riferisco in particolare all'emendamento presentato dal senatore Passigli, perché l'emendamento Greco si colloca comunque in un'ottica di precisazione ma non di mutamento sostanziale della norma che la relatrice ha proposto. Credo però che queste preoccupazioni, indubbiamente motivate da comportamenti che vi sono stati, specialmente nel corso degli ultimi anni, da parte di alcuni parlamentari, non debbano avere il sopravvento rispetto ad un'altra preoccupazione più di fondo che vi deve essere: quella di non togliere alla stragrande maggioranza dei parlamentari che non hanno tenuto quei comportamenti ai quali il professor Elia faceva riferimento, e che tengono comportamenti che possono essere discussi ma che in generale rientrano perfettamente nell'ambito dell'attività politica del parlamentare, la possibilità della massima libertà di espressione nell'esercizio del proprio ruolo.
Porre vincoli, limiti come quelli che vengono proposti, indubbiamente può indurre anche ad un'autolimitazione eccessiva: credo che fra i valori che sono in gioco vi sia l'esigenza di tutela dell'onorabilità delle persone, che è anch'essa un'esigenza generale; ritengo però che effettivamente occorra garantire al parlamentare quella libertà e quella tutela senza le quali potrebbe venire un pregiudizio al suo ruolo fondamentale. In tal


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senso, credo che non sia il caso di introdurre ulteriori limitazioni: già alle norme originarie della Costituzione sono state apportate modificazioni del tutto opportune, io credo, per cui ritengo che a questo punto il testo proposto dalla relatrice corrisponda alle esigenze, che oggi ancora vi sono, di tutela del parlamentare anche rispetto ad evoluzioni che oggi possiamo ritenere del tutto improbabili, e che mi auguro che siano tali ma che non siamo mai in grado di escludere del tutto. Ritengo quindi che non sia assolutamente il caso di arrivare ad avere dei parlamentari eccessivamente limitati nell'esercizio delle loro funzioni.


GIORGIO REBUFFA. Ritengo che sia un peccato che l'emendamento Passigli non sia stato ritirato e credo che vada respinto per due ragioni: la prima è che contiene, in poche righe, un numero enorme di clausole generali, cioè di proposizioni che rimandano all'interprete una definizione esatta. «Onorabilità di persone», «non inscindibilmente connesse» sono termini che possono variare nel tempo, quindi pericolosissimi da inserire in Costituzione, soprattutto in materia di immunità parlamentare. La seconda è che sono sempre molto sconcertato di fronte all'uso delle norme giuridiche per colpire dei fenomeni di costume: vi sono dei fenomeni di costume, o di malcostume, che ognuno di noi giudica in modo diverso; io credo che una base della civiltà politica, oltre che giuridica, sia considerare i fenomeni di costume come tali e i fenomeni giuridici come tali. Non allarmiamoci tanto, quindi! Ci allarmiamo per fenomeni che sono molto diffusi e che fanno parte del costume, i quali, comunque, in questo modo di costruire la norma, hanno un controeffetto che è peggiore del male che si vuole rimediare.


PRESIDENTE. La materia è chiara. A questo punto, mi sembra che gli emendamenti vadano posti in votazione distintamente, prima l'uno poi l'altro.


ANTONIO LISI. Signor presidente, vorrei fare una domanda al collega Passigli, il quale poco fa, nel suo intervento, ha ribadito il concetto che comunque l'aggiunta del periodo che egli propone al primo comma dell'articolo 11 «fanno eccezione affermazioni lesive dell'onorabilità di persone...» riguarda una materia che apparterrebbe alla Giunta, se ho ben capito; vorrei che mi spiegasse come egli pensa che appartenga alla Giunta la materia che deriverebbe dall'approvazione di quel comma. Il «fanno eccezione» si riferisce al primo comma, dove si prevede «I componenti del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere...»; l' eccezione significa che non spetta certamente alla Giunta la valutazione di quanto viene posto in essere dal parlamentare, poiché viene demandata, collega Passigli, alla magistratura...


STEFANO PASSIGLI. No!


ANTONIO LISI. Come no! Se si prevede l'eccezione al principio generale, non siamo noi ma sarà la magistratura a decidere.


PRESIDENTE. Prima di passare al voto, voglio fare una dichiarazione di voto perché all'inizio ero convinto di votare a favore di ambedue gli emendamenti, mentre il dibattito mi ha convinto a votare contro entrambi per lasciare invariato il testo della relatrice.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Signor presidente, solo per amore di precisione, è il testo della Costituzione vigente!


PRESIDENTE. Questo lo sappiamo, ma in questa sede lo esaminiamo in quanto testo della relatrice.
Passiamo ai voti.
Pongo in votazione l'emendamento Greco II.11.2.


(È approvato).


Pongo in votazione l'emendamento Passigli II.11.3.


(È respinto).


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Passiamo all'emendamento Soda e Boato II.11.1, che prevede di aggiungere dopo il terzo comma la previsione della necessità di autorizzazione della Camera di appartenenza per l'utilizzazione in giudizio delle conversazioni di cui è parte un componente delle Camere, comunque oggetto di intercettazione o di registrazione. Si tratta di una questione delicata e complessa. L'attuale articolo 68 della Costituzione (così come l'articolo 11 del testo base in esame) prevede l'autorizzazione della Camera di appartenenza per intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni e per il sequestro di corrispondenza. Con l'emendamento in esame si propone analoga autorizzazione per l'utilizzazione in giudizio di queste registrazioni qualora, nel caso di intercettazione di altra persona, si acquisiscano elementi di conversazioni cui partecipa un membro delle Camere.


TIZIANA PARENTI. Presidente, con l'onorevole Soda già in passato siamo arrivati a conclusioni comuni su questo tema. D'altra parte l'argomento è stato ampiamente dibattuto in sede di esame di un disegno di legge e per l'arco di tre anni.
L'articolo 68 in realtà non può rimanere così com'è, perché è evidente che oggi nei confronti di un parlamentare non vengono disposte intercettazioni legali. Il fatto è che esistono molteplici metodi di intercettazione illegale. È possibile, inoltre, inquisire persone vicine al parlamentare per un qualsiasi motivo - mai verificato o verificabile - ed arrivare all'intercettazione di conversazioni attraverso terze persone anche su telefoni pubblici. Non si tratta necessariamente di elementi rilevanti per un giudizio, ma possono investire la stessa riservatezza delle persone.
Certe conversazioni possono essere rilevanti o meno per il giudizio e possono comunque essere acquisite subdolamente, senza sospendere l'intercettazione e chiedere l'autorizzazione alla Camera di appartenenza per la sua prosecuzione, anche se fosse evidentissimo che uno degli interlocutori sia un parlamentare. In sostanza con l'articolo 68 non abbiamo alcun tipo di copertura, nemmeno in caso di elementi che interessano la riservatezza delle persone. Di questa garanzia, invece, si sente l'esigenza da quando è venuta meno l'autorizzazione a procedere: da quando, cioè, può essere depositato ed anche reso pubblico tutto ciò che attiene ad un parlamentare, dalle conversazioni private a quelle politiche o a qualsiasi fatto che riguardi la vita politica e sociale. Si può anche indagare il parlamentare passando per strade traverse, senza chiedere alcuna autorizzazione, nonostante che in effetti si tratti di intercettazioni proprio sul parlamentare.
In definitiva l'emendamento Soda II.11.1 prevede garanzie molto limitate, ma almeno queste devono essere introdotte.


CESARE SALVI. Presidente, vorrei invitare i presentatori al ritiro dell'emendamento, non perché contenga una previsione ingiusta: anzi, è talmente giusta da far ritenere preferibile la più rapida via della legge ordinaria.


SALVATORE SENESE. In Senato sono pendenti due disegni di legge di disciplina della materia, in connessione con la riformulazione di tutta la normativa riguardante le intercettazioni telefoniche.
L'emendamento in esame ha una propria razionalità, ma per proteggere davvero il parlamentare presuppone una modifica dell'attuale disciplina processualpenalistica, a norma della quale oggi i verbali vengono depositati entro cinque giorni, a disposizione delle parti, e non sono più coperti da segreto; solo dopo il deposito si decide circa l'utilizzazione. Se l'emendamento in esame cadesse in questa situazione di legislazione ordinaria, tutto sarebbe immediatamente divulgato e divulgabile, anche quello che il giudice dovrebbe espungere perché totalmente irrilevante rispetto all'oggetto della causa. È vero che la Camera sarebbe chiamata a pronunciarsi sull'autorizzazione, ma nel frattempo la situazione sarebbe quella che ho descritto.


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Ritengo invece che sulla base di questa sollecitazione potremmo inserire negli ordini del giorno a cui si è fatto riferimento un indirizzo rivolto al Parlamento affinché esso prenda tempestivamente in esame la materia con legge ordinaria. In questo caso si potrebbe pervenire - ha ragione il senatore Salvi - ad una disciplina nel giro di pochissimi mesi, per sottrarre la materia ai gravissimi inconvenienti che oggi presenta.


PRESIDENTE. Sono d'accordo, ma tutto ciò che lei ha detto non è precluso dall'eventuale approvazione dell'emendamento. La norma costituzionale - per quanto tempo il Senato possa impiegare ad esaminare una legge ordinaria - entrerà in vigore certamente dopo l'approvazione di quel testo. Quindi condivido integralmente il suo ragionamento, ma esso non incide sulla decisione che stiamo per assumere. Stiamo votando una proposta che sarà alla base di una lunghissima procedura di revisione costituzionale, la quale non va in alcun modo ad ostacolare le norme ordinarie che il Senato sta discutendo.


SALVATORE SENESE. Non va ad ostacolare le norme ordinarie, presidente, in quanto si assuma contemporaneamente un indirizzo generale che vincoli le Camere - sia pure solo politicamente - ad approntare i rimedi necessari. La norma infatti cadrebbe nell'attuale situazione, se questa non venisse rimossa, e la sua approvazione potrebbe funzionare (sia pure a torto, per una cattiva interpretazione) come una sorta di incentivo a rinviare qualunque decisione all'entrata in vigore della disposizione costituzionale.


PRESIDENTE. No, questa interpretazione la mettiamo al bando da subito. Anzi: l'eventuale approvazione dell'emendamento deve essere intesa come incoraggiamento a procedere.


ANTONIO SODA. Signor presidente, considero la disposizione contenuta nel mio emendamento come una guarentigia costituzionale. Ben venga una norma ordinaria che eventualmente la anticipi, ma resta il fatto che la norma di cui all'ultimo comma dell'articolo 68 della Costituzione vigente è strettamente legata al vecchio testo dello stesso articolo, il quale prevedeva l'autorizzazione a procedere. Ora questo istituto è stato improvvidamente eliminato dal nostro ordinamento...


PRESIDENTE. Diciamo solo «eliminato» dal nostro ordinamento...


ANTONIO SODA. ...mentre esiste in tutti gli altri ordinamenti dei paesi civili. L'autorizzazione era legata alle condizioni storiche in cui è nata la Costituzione del 1948: si concepiva che un parlamentare utilizzasse una sola utenza telefonica, la sua. Oggi il parlamentare può usare migliaia di utenze: questo fa in modo che egli sia oggetto di continue e sistematiche intercettazioni. La libertà di comunicazione, che la Costituzione voleva garantire, oggi di fatto nel nostro paese non è garantita. Ecco perché considero la mia proposta una guarentigia costituzionale.


MAURIZIO PIERONI. Presidente, votiamo. Meglio che niente, si dice dalle mie parti...


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Signor presidente, domanderei molto sommessamente ai firmatari di questo emendamento se non ritengano che la guarentigia indicata, la cui necessità condivido pienamente, non sia ugualmente assicurata da una formulazione molto più breve. Si tratterebbe di riformulare il terzo comma del testo base in questo senso: «Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i componenti del Parlamento ad intercettazioni ed all'utilizzazione, in qualsiasi forma, anche indiretta, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza».


ANTONIO SODA. «Indiretta» può voler dire tante cose...


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PRESIDENTE. Sono dell'opinione che si debba passare alla votazione dell'emendamento. In caso di approvazione sarà recepito il principio, per poi eventualmente individuare una formulazione più efficace.
Pongo in votazione l'emendamento Soda II.11.1.


(È approvato).


Pongo in votazione l'articolo 11, nel testo modificato dagli emendamenti approvati.


(È approvato).


Il successivo articolo 12, al quale non sono stati presentati emendamenti, riguarda la previsione di un'indennità per i componenti del Parlamento stabilita con legge approvata da entrambe le Camere.
Lo pongo in votazione.


(È approvato).


Prendo atto che non è possibile concludere stasera l'esame di questa materia. Non sarà conseguentemente possibile evitare di riunire la Commissione il prossimo lunedì pomeriggio per le votazioni. D'altra parte il calendario, che è stato adottato con un voto, già prevedeva tale impegno; abbiamo poi anticipato l'esame del capitolo relativo all'Unione europea, ma resta da concludere una cospicua parte di articolato. Si tratta semplicemente di rispettare il calendario approvato.
Nella seduta antimeridiana di domani alle 9.30 saranno esaminati gli emendamenti in materia di forma di governo; in quella pomeridiana delle 15.30, le proposte relative al sistema delle garanzie. Lunedì la Commissione tornerà a riunirsi alle 15.30.
Il seguito dell'esame è rinviato a domani.


La seduta termina alle 20.40.


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