La seduta comincia alle 9.45.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Seguito dell'esame dei progetti di legge di revisione della parte seconda della Costituzione.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame dei progetti di legge di revisione della parte seconda della Costituzione. Ricordo che questa mattina ci occuperemo delle materie relative al Parlamento e alle fonti normative, lavorando sul testo base e sugli emendamenti presentati: avverto che nell'apposito fascicolo (v. Allegato Commissione bicamerale) sono raccolti tanto gli emendamenti della relatrice quanto quelli degli altri colleghi. La senatrice Dentamaro, infatti, a differenza degli altri relatori, non ha inteso procedere ad una riscrittura del testo, ma ha fatto propri alcuni emendamenti, che sono inseriti, appunto, in tale fascicolo.
Passiamo, quindi, all'esame dell'articolo 1 e dei relativi emendamenti, iniziando dall'emendamento Armando Cossutta II.1.9, interamente sostitutivo.
ERSILIA SALVATO. Signor presidente, l'emendamento in questione, di cui sono cofirmataria, riguarda la composizione del Parlamento, che a nostro avviso deve essere costituito da una sola Camera, denominata Assemblea nazionale, eletta a suffragio universale diretto e composta da 400 membri.
PRESIDENTE. La questione è chiara, l'emendamento presentato dai colleghi di rifondazione comunista propone il sistema monocamerale. Chiedo alla relatrice di esprimere il suo parere.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Signor presidente, esprimo parere contrario perché ritengo che il bicameralismo assolva ancora una funzione essenziale in una democrazia complessa qual è quella che stiamo ridisegnando senza però rinunciare a certe istanze di democraticità complessiva e di massima rappresentatività, nonché a quell'approfondimento e pluralismo nell'elaborazione politica ed a quella qualità nella confezione delle leggi che solo la possibilità di una seconda lettura può assicurare. Ricordo, peraltro, che la posizione favorevole al monocameralismo è rimasta isolata per tutto il corso dei lavori preparatori svolti in sede di Comitato.
PRESIDENTE. I termini, quindi, sono chiari.
Pongo in votazione l'emendamento Armando Cossutta II.1.9.
(È respinto).
L'emendamento Armando Cossutta II.1.8 è conseguentemente precluso, perché ripropone lo stesso principio monocamerale.
Passiamo all'emendamento D'Amico II.1.13, il quale propone che il Senato assuma la denominazione di Senato delle regioni e delle autonomie locali: naturalmente, non si tratta soltanto di una questione nominalistica, ma, come è del tutto evidente, di una scelta di carattere istituzionale che delinea un bicameralismo
NATALE D'AMICO. Lo ha già illustrato in buona parte lei, signor presidente, pertanto sarò molto breve. La mia idea è che, ammesso che debba esservi una seconda Camera, questa non possa riprodurre la stessa struttura delle preferenze politiche dei cittadini, ma debba avere un altro ruolo, ossia rappresentare gli elementi costitutivi dello Stato federale.
ORTENSIO ZECCHINO. Signor presidente, credo che il problema della denominazione del Senato debba essere affrontato dopo che avremo risolto quelli connessi agli articoli 3, 14 e 31. Ritengo, pertanto, che i relativi emendamenti dovrebbero essere accantonati, per essere poi esaminati quando avremo sciolto il nodo dell'articolo 3, collegato, a sua volta, all'articolo 14. Proporrei pertanto un accantonamento progressivo di tutte le questioni attinenti a questo tema, fino alla discussione dell'articolo 14.
PRESIDENTE. Concordo con la sua proposta, senatore Zecchino. Accantoniamo, pertanto, gli emendamenti D'Amico II.1.13 e Zeller II.1.3, se anche la relatrice è d'accordo.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Sono d'accordo, signor presidente.
PRESIDENTE. L'emendamento Armando Cossutta II.1.10, che ripropone il principio monocamerale, è precluso, per le ragioni già esposte.
Il successivo emendamento Dondeynaz II.1.4 non si limita a suggerire la denominazione di Senato delle regioni, ma propone un diverso criterio di costituzione del Senato, che dovrebbe essere composto da «rappresentanti eletti a base regionale e dai presidenti delle giunte regionali e delle province di Trento e Bolzano». Vorrei pregare il senatore Dondeynaz, che però non vedo in aula, di ritirare tale emendamento.
MARIO RIGO. Il senatore Dondeynaz ha avvertito che arriverà con un po' di ritardo, presidente.
PRESIDENTE. Riterrei opportuno, dicevo, il ritiro di tale emendamento, perché la questione sarà affrontata in termini più sostanziali in sede di dibattito sull'articolo 14. Oltre tutto, la definizione appare anche un po' frettolosa, per esempio non si parla dei rappresentanti delle autonomie, e così via.
MARCO BOATO. Poiché tutti gli emendamenti relativi all'articolo 3 riguardano analoga materia, proporrei di accantonare anche questo emendamento e di esaminarlo in sede di discussione di quell'articolo.
PRESIDENTE. Sono d'accordo. Accantoniamo, pertanto, l'emendamento Dondeynaz II.1.4 ed anche il successivo Bressa II.1.17, che è addirittura soppressivo del termine «Senato».
STEFANO PASSIGLI. Signor presidente, desidero far rilevare, prima che passiamo all'esame della successiva proposta di modifica, che non figurano nel fascicolo i miei emendamenti II.1.14 e II.1.15, relativi alla costituzionalizzazione del sistema maggioritario con doppio turno, di cui avevo preannunciato il ritiro, che vorrei però brevemente motivare. Un emendamento analogo riferito alla parte relativa alla forma di Governo, per cui ritengo che i miei emendamenti possano essere più utilmente trattati in quella sede, riservandomi comunque, in caso non venissero accolti, di trasfonderne il contenuto in un ordine del giorno. Desideravo che tale mia dichiarazione rimanesse agli atti.
PRESIDENTE. Senz'altro tale questione fa parte più propriamente della materia relativa alla forma di Governo.
Passiamo ora agli emendamenti relativi al secondo comma dell'articolo 1, alcuni dei quali sono sostitutivi ed altri soppressivi, tra cui l'emendamento Boato II.1.19, che propone di sopprimere il secondo comma per trasferirne il contenuto nell'articolo 8. Sull'intera materia relativa al secondo comma vorrei ascoltare il parere della relatrice.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Signor presidente, ritengo che l'introduzione del principio - anzi, dello strumento concreto - dell'equilibrio della rappresentanza elettorale tra i sessi all'interno di una norma sulla composizione del Parlamento sia assolutamente essenziale per assicurare che il Parlamento nazionale sia costituito in modo da essere effettivamente rappresentativo della società italiana nel suo complesso. Ricordo che le donne costituiscono oltre il 51 per cento della società, mentre nel Parlamento attuale la percentuale di presenze femminili è circa dell'8 per cento. Ciò, indubitabilmente, si traduce in un deficit di democrazia ed io ritengo anche in un difetto di qualità dell'elaborazione politica, che non può non risentire, in queste condizioni, di un punto di vista parziale, limitato, inadeguato ed insufficiente rispetto alla realtà sociale.
Certamente ho inserito tale previsione anche perché sensibilizzata dalle sollecitazioni provenienti dalle rappresentanti della commissione per le pari opportunità, che la nostra Commissione plenaria ha ascoltato, tuttavia mi sembra importante precisare che non la considero assolutamente una norma a tutela delle donne, bensì una norma a tutela, come dicevo, della compiutezza della democrazia. Se tutti i punti di vista sono presenti nell'ambito di un'Assemblea rappresentativa, certamente la qualità del prodotto legislativo e la qualità della politica che vengono elaborati in termini di adeguatezza non possono che essere migliori e non può che beneficiarne l'intera società, non soltanto il mondo femminile. Richiamo quindi soprattutto l'attenzione dei colleghi uomini su questo tema, non solo perché in questa sede sono in grande maggioranza, ma proprio perché mi aspetto dalla loro stessa esperienza sia di parlamentari sia di cittadini, di componenti di nuclei familiari e di cellule del mondo del lavoro, il riconoscimento dell'importanza di questo principio. Mi aspetto che manifestino quella sensibilità che, per la verità, devo dire di aver rilevato anche nel corso della non particolarmente articolata discussione che si è svolta in Comitato, dove ho trovato consensi notevoli su questa affermazione, nonché nel corso dell'audizione delle rappresentanti della commissione per le pari opportunità.
Mi sembra anche importante ricordare che si tratta di una specificazione del principio di eguaglianza sostanziale contenuto nell'articolo 3 della Costituzione, che impone l'attivazione di strumenti legislativi e non, per promuovere un'eguaglianza di fatto laddove questa non sussista. I dati percentuali che ho citato in apertura del mio intervento mi sembra dimostrino inequivocabilmente che tale eguaglianza sostanziale non sussiste, per cui è necessario dare copertura costituzionale a quegli interventi del legislatore ordinario che noi auspichiamo vengano posti in essere.
Per quanto riguarda la formulazione della norma (e qui mi riferisco in particolare all'emendamento Boato II.1.19), mi sembra importante che la promozione dell'intervento non si limiti soltanto alle leggi elettorali, ma venga estesa anche a tutti i possibili strumenti indiretti. Nelle leggi elettorali si ha una forma di intervento diretto per favorire la rappresentanza femminile, però tutta l'altra legislazione dovrebbe prevedere strumenti ed interventi che consentano poi effettivamente alle donne di usufruire degli strumenti diretti previsti dalle leggi elettorali. ìInsomma, per intenderci, non serve assicurare quote di riserva se poi la cittadina non viene messa in condizione di usufruire effettivamente di questa possibilità,
PRESIDENTE. Vorrei chiedere alla relatrice, per completezza, di esprimere il suo parere in merito all'emendamento D'Alessandro Prisco II.1.5 che, in luogo della formula «le leggi elettorali e le altre leggi», propone un'espressione più asciutta, ossia «la legge», nel senso in cui essa è adoperata nella Costituzione.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Temo che tale formula più asciutta non risolva quei problemi ai quali ci ha messo concretamente di fronte la Corte costituzionale con la nota sentenza che all'epoca abolì le quote di riserva, comunque mi rimetto alla Commissione: ripeto, l'indicazione delle leggi elettorali e delle altre leggi aveva un significato preciso, ma non ne faccio un problema troppo grave.
GUSTAVO SELVA. Signor presidente, sono molto attento e sensibile a ciò che la relatrice ha detto, anche, devo rilevare, con acuta argomentazione, tuttavia a me sembra che inserire nello schema di una Costituzione delle norme imperative, sia pure di grande importanza, sia forse eccessivo. Le leggi elettorali hanno un loro svolgimento autonomo e quindi credo sia in quella sede che si dovrà eventualmente affermare di fatto la parità di condizioni tra i sessi. Mi sembra, inoltre, che si tratti di una maturazione di carattere culturale e di costume che discende da altri imperativi e da altre disponibilità rispetto a quelli che possono essere inseriti, ripeto, in uno schema troppo rigido, qual è quello di una Costituzione. Quindi, non essendo naturalmente in linea di principio contrario, riterrei però che sarebbe opportuno o prevedere un'attenuazione di tale prescrizione o addirittura toglierla, affidando, ripeto, la questione alla maturazione del costume. Vediamo che in Francia e nei paesi nordici metà dei Governi sono affidati alle donne, eppure non vi sono in Costituzione disposizioni così rigide. Credo quindi che questo fine, molto obiettivo e corretto, sia perseguibile attraverso altri strumenti.
NATALE D'AMICO. Intendo sottoporre un problema alla presidenza, ricordando che nella seduta odierna la senatrice Dentamaro ha rilevato che la norma in questione renderebbe probabilmente possibile superare le obiezioni mosse dalla Corte costituzionale alla legge elettorale comunale e nazionale. Secondo quanto ricordo, la decisione della Corte si tradusse in una dichiarazione di illegittimità in relazione all'articolo 3 della Costituzione; ne deriva, a mio avviso, che una norma la quale rendesse possibile ciò che prima non lo era, ad avviso della Corte costituzionale, per violazione dell'articolo 3, interverrebbe proprio su tale articolo e quindi sulla prima parte della Costituzione.
Ritengo pertanto che si ponga un problema di ammissibilità di tale norma nell'ambito del nostro lavoro. Ove tuttavia la stessa norma venisse giudicata ammissibile, anticipo il mio parere favorevole alla formula più asciutta, in base alla quale la legge promuove l'equilibrio della rappresentanza elettorale tra i sessi.
PRESIDENTE. Come potete constatare, non sto dando rigidamente la parola ad un oratore per gruppo; tuttavia, siccome sono iscritti a parlare numerosi oratori per ciascun gruppo, raccomando a tutti la brevità.
MARCELLO PERA. Intervengo molto brevemente per esprimere il nostro parere contrario al comma 2. Evidentemente, non è molto difficile per la relatrice
GIULIO MACERATINI. Il mio intervento sarà brevissimo: poiché è sufficiente l'articolo 3 della Costituzione, sono contrario al comma 2 (Commenti).
PRESIDENTE. Quindi, il senatore Maceratini è favorevole all'emendamento soppressivo.
FRANCESCO D'ONOFRIO. Condivido in pieno, dal punto di vista costituzionale, il comma 2 dell'articolo 1, perché i colleghi presenti nella legislatura 1992-1994 ricorderanno certamente le difficoltà che si sono dovute superare per affermare nella legge elettorale nazionale ed in quella comunale un principio di tendenziale sostegno, che non è politically correct (mi rivolgo al collega Pera), in quanto si tratta piuttosto di una logica di azioni positive che, come tale, fa parte della politica costituzionale: esse si possono adottare o meno, ma la questione rientra comunque nella politica costituzionale, ritenendo che si parta da una condizione di diseguaglianza sostanziale, che mi sembra difficile poter negare, dal punto di vista delle condizioni economiche, sociali, familiari, territoriali, culturali, istituzionali, condizione che rende difficile l'accesso delle donne alla carriera politica. Questo è un dato di fatto.
Ricordo che in quella legislatura fu osservato anche da colleghe donne (a dimostrazione del fatto che su questa materia non ci si divide tra uomini e donne) che la battaglia va invece condotta dalle donne con strumenti, per così dire, di parità rispetto ai colleghi uomini e che quindi non è necessaria una norma di sostegno. L'opinione prevalente fu di segno cotrario e la Corte costituzoinale ha sancito che quella norma era incostituzionale perché violava indirettamente l'articolo 3 (in questo modo mi auguro di replicare al collega D'Amico).
A questo punto, possiamo scegliere la strada della previsione costituzionale esplicita per superare l'obiezione della Corte costituzionale oppure restare convinti che non si debbano introdurre azioni positive. Tuttavia, a cinquant'anni di distanza
GIOVANNI PELLEGRINO. Intervengo molto brevemente soltanto per sottolineare che l'emendamento II.1.5 risolve innanzitutto il problema posto dal collega D'Amico, problema che indubbiamente esiste: si tratta del fatto di non incidere, sia pure indirettamente, sulla prima parte della Costituzione, una volta che su di essa la Corte costituzionale ha fondato la nota sentenza.
Aggiungo che l'emendamento, nel modo in cui l'abbiamo formulato, evita l'eccessiva rigidità di scelta per la legge elettorale. Su questo non sono d'accordo con quanto ha affermato il collega D'Onofrio: se si mantenesse il testo della senatrice Dentamaro, vi sarebbe un vincolo nella predeterminazione dei sistemi elettorali e non sarebbe possibile adottare quello uninominale a un turno; infatti, il testo della relatrice parla non della legge elettorale o delle altre leggi, ma della legge elettorale e delle altre leggi, imponendo così un vincolo alla stessa legge elettorale.
Per questo, voterò a favore dell'emendamento II.1.5, che ho sottoscritto.
ERSILIA SALVATO. Credo che i colleghi i quali hanno fatto riferimento all'articolo 3 della Costituzione ed hanno svolto un ragionamento teso a sottolineare la valenza politica dell'argomento in discussione abbiano ampiamente ragione. Infatti, l'articolo 3, a mio avviso uno dei più belli della nostra Costituzione, contiene però al suo interno un'opzione che, pur essendo apparentemente egualitaria, finisce nei fatti per non tener conto che tra i due sessi - uomini e donne - c'è una differenza profonda, non solo culturale: nella concreta vita quotidiana, sul terreno economico e sociale, sappiamo che la differenza tra uomini e donne è diventata molto spesso una sostanziale disuguaglianza delle donne nei confronti degli uomini. Non a caso, le donne che stanno seguendo con attenzione i lavori della nostra Commissione ci hanno posto un problema che non possiamo risolvere ma che credo dovrà essere sottoposto alle Assemblee: mi riferisco ad una sorta di ordine del giorno - è stato definito preambolo, con un termine che non mi piace molto - al fine di affermare che nella Costituzione si dovrebbero nominare donne e uomini. Questo sarebbe un passo reale, nell'ambito di una nuova civiltà alla quale dovremmo attenerci. Tuttavia, l'articolo 3 esiste e ci impone dei limiti.
Per questo, pur essendo convinta che la questione abbia un carattere squisitamente politico e che si possa e si debba risolverla sul terreno politico (tanto che, per esempio, nelle ultime elezioni il mio partito, pur essendo stata contestata dalla Corte costituzionale la norma di cui si discusse nella XI legislatura, ha seguito, nella parte proporzionale, un ordine rigoroso donna-uomo, uomo-donna), credo che oggi dobbiamo introdurre una norma che dia questo segnale, sapendo anche che lo facciamo con un certo disagio, cogliendone però appieno l'importanza.
Per questi motivi, condivido anch'io, al pari del collega Pellegrino, la dizione «la legge», perché mi sembra in una certa
FRANCA D'ALESSANDRO PRISCO. Credo sia già stato rilevato efficacemente come non vi sia dubbio circa il fatto che nella Costituzione di cinquanta anni fa il principio della parità tra i sessi sia molto ben stabilito, e non soltanto per quanto riguarda il principio generale fissato dall'articolo 3: voglio richiamare, al riguardo, anche l'articolo 51. Ciò nonostante, la situazione è quella che è stata descritta dalla senatrice Dentamaro e che si desume dall'esperienza di tutti i colleghi qui presenti: la parità è sostanzialmente formale ed anche se ha avuto una sua storia, un suo sviluppo in questi anni, essa resta tuttavia - lo ripeto - soltanto formale.
L'aspetto che a mio avviso deve essere valutato proprio in questa sede è che ormai il luogo in cui la parità è più contraddetta è costituito proprio dalle Assemblee elettive, che credo siano l'unico luogo della Repubblica italiana in cui si riscontra una percentuale di questo genere.
Sono d'accordo quando i colleghi mettono in risalto come questo sia un problema che attiene ad una cultura complessiva, politica e non soltanto politica, credo però che tutti siamo in grado di renderci conto di come le norme, soprattutto quelle costituzionali, siano in grado di intervenire su una accelerazione rispetto alla cultura diffusa. Mi pare quindi che anche la lettura del senatore D'Onofrio di azione positiva sia in grado di illustrare l'intento.
Se non introduciamo questa norma, le cose restano come sono e credo valga la pena di ripetere che nelle elezioni del Parlamento con norme che tra l'altro erano imperfette perché si sarebbe potuta adottare una legge elettorale nella quale questo principio fosse meglio sviluppato e garantito, si è arrivati ad una presenza femminile in Parlamento del 12 per cento; dichiarata incostituzionale quella norma, siamo arrivati all'8,2 per cento. Vi è quindi una dimostrazione di fatto.
Come per quanto riguarda tutti gli altri problemi che assumiamo, teniamo conto della realtà, dobbiamo farlo anche adesso; naturalmente anche il mio partito quando ha predisposto le liste elettorali per le elezioni politiche del 1996 ha fatto come se la norma dichiarata incostituzionale fosse ancora in vigore, quindi nella quota proporzionale è stata rispettata pienamente l'alternanza. E questa è già la prova che le norme possono aiutare ad accelerare un processo che è anche culturale e politico.
Voglio precisare che la formulazione «la legge» contenuta nell'emendamento del mio gruppo e da me sottoscritto ricomprende l'espressione «le leggi elettorali e le altre leggi», perché riferisce alla totalità delle leggi l'obbligo di tenere presente la questione della rappresentanza. Io l'ho letta come un rafforzativo, vorrei però che restasse agli atti che si può affacciare una preoccupazione che ho intravisto nell'intervento del senatore Pellegrini, il quale ravvisa in questa formulazione
ROCCO BUTTIGLIONE. Ci troviamo di fronte ad una questione di principio di straordinaria importanza che riguarda la cosiddetta affirmative action, che è stata largamente superata negli Stati Uniti dopo aver dominato una fase della storia di questo paese, che in fondo è l'idea che solo il simile rappresenta il simile.
Sono molto preoccupato della possibilità che dall'accettazione di questo principio dipenda in generale l'accettazione del principio dell'azione affermativa e quindi del principio della rappresentanza per quote. Possono degli uomini rappresentare delle donne e conversamente delle donne rappresentare degli uomini? Possono quelli che parlano italiano rappresentare quelli che parlano tedesco e viceversa? Possono quelli che hanno i capelli neri rappresentare quelli che hanno i capelli biondi oppure soltanto il simile rappresenta il simile? Se noi accettassimo questo in linea di principio, creeremmo le condizioni per un progressivo disgregamento della rappresentanza politica, per la costituzione di mercati politici protetti, per la disgregazione non solo territoriale dell'unità del paese.
Tuttavia, mentre non possiamo accettare il principio dell'azione affermativa - su questo concordo con Marcello Pera - non possiamo chiudere gli occhi davanti ad un concreto e specifico problema, quello cioè che la politica oggi in Italia è strutturata avendo come termine di riferimento un soggetto maschile, i suoi tempi, le sue modalità organizzative. Le forme di presenza che essa richiede sono tali da ignorare l'universo femminile. Credo allora che, eventualmente limando la modalità espressiva, dovremmo mantenere il comma proposto, precisando che esso non implica l'apertura in linea di principio all'azione affermativa.
Questo si ottiene in parte di per sé, perché il fatto che ciò venga menzionato nella carta costituzionale implica che il principio non è estensibile al di là dell'ambito delimitato a cui si riferisce. Possiamo realizzarlo aggiungendo un'espressione tipo «ferma restando l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge» per chiarire che questo non può implicare una restrizione del diritto di un cittadino di rappresentare altri cittadini, normalmente anche di sesso diverso. Possiamo farlo se intendiamo correttamente il senso dell'espressione «strumenti e modalità per promuovere, laddove promuovere significa creare condizioni facilitanti; per di più non si promuove direttamente l'obiettivo, ma condizioni le quali consentono alle donne una partecipazione più equilibrata e quindi prevedibilmente, più piena alla vita politica.
Voterò pertanto a favore, chiedo però venga chiarito che non introduce il principio generale dell'azione affermativa, che poi progressivamente investe tutta la società privilegiando il sistema delle appartenenze particolari rispetto a quello dell'appartenenza generale.
MAURIZIO PIERONI. Mi limito a sottoscrivere pressoché integralmente l'intervento del senatore D'Onofrio, che mi pare abbia motivato con precisione anche il rifiuto di accettare una questione di ammissibilità così come sollevata dal senatore D'Amico.
Rispetto all'intervento dell'onorevole Buttiglione, mi permetto di sottolineare che con le proposte che stiamo esaminando nessuno mette in discussione il principio della rappresentanza, ma si cerca di affermare in positivo che la pluralità delle forme che i rappresentanti possono condurre nel consesso parlamentare è di per sé elemento di ricchezza che va valorizzato.
CLAUDIA MANCINA. La preoccupazione espressa dall'onorevole D'Amico sarebbe
ADRIANA PASQUALI. A prescindere dalla scelta che farà alleanza nazionale, che potrebbe rinunciare all'ipotesi soppressiva e appoggiare l'emendamento che vuole sostituire la parola «la legge» al testo proposto dalla relatrice, personalmente condivido in toto le motivazioni della relatrice, che non avrebbe potuto esprimerle in modo più convincente, elegante e corrispondente ai grandi principi in base ai quali le donne non sono figlie di un Dio minore.
LEOPOLDO ELIA. Vorrei dire al collega D'Amico che ci sono regole che possono essere collocate in più luoghi della Costituzione; questa certamente potrebbe essere collocata all'articolo 3 o all'articolo 51, ma anche qui, dove si parla della composizione del Parlamento. Questo spiega anche perché l'accento cada soprattutto sulla legge elettorale, credo infatti che se ci fosse stata questa norma, difficilmente la Corte costituzionale avrebbe adottato quella sentenza che in taluni tratti della motivazione a me pare alquanto sbrigativa.
Nel merito, quando propugnammo, contro le resistenze di alcuni gruppi politici della destra, l'inserimento nella legge elettorale della quota proporzionale a favore della rappresentanza femminile, certamente non pensavamo di poter alterare per la parte uninominale quella che, come ragione e buon senso dettano, in quella sede è un'impossibilità di intervenire con il sistema delle quote. Non vedo quindi una costrizione o una imposizione che vada oltre quella che può essere la promozione, dove è possibile, perché vi è il principio della possibilità anche in questo campo. Credo che possiamo tranquillamente approvare una norma di questo tipo, che possa però avere - come nell'emendamento Boato - una formulazione per alcuni tratti più plausibile.
TIZIANA PARENTI. Mi sono posta il problema se fosse il caso di intervenire perché forse era preferibile che su questo punto parlassero degli uomini. Credo comunque che l'equilibrio nella rappresentanza nel Parlamento e nella classe dirigente sia un prodotto culturale del paese ed è evidente che la cultura del nostro paese non è ancora tale da permetterci di essere sicuri che esista davvero un tale equilibrio di rappresentanza.
La legge difficilmente può promuovere o far crescere la cultura di un paese, ma può essere un monito o comunque costituire uno strumento per far sì che in qualche modo ci si indirizzi verso uno sviluppo culturale diverso.
Se questo è il nostro intendimento, se abbiamo davvero la necessità del rinnovamento della classe dirigente e quindi anche di un pluralismo e di un approccio
GIORGIO REBUFFA. Vorrei porre una domanda alla relatrice. Credo che quando di vuole mettere troppa filosofia nelle norme il risultato è sempre molto intricato.
Anche nella formulazione più lata, quella che sostituisce «leggi elettorali» con «leggi», resta sempre un problema: cosa succederebbe se il Parlamento adottasse in un giorno lontanissimo un sistema elettorale integralmente uninominale maggioritario? Abbiamo un argomento interpretativo, che in realtà è di principio e andrebbe meglio nella prima parte della Costituzione, che consentirebbe all'interprete, cioè alla Corte costituzionale, di affermare che quella legge elettorale, uno o a due turni, è incostituzionale perché non promuove quello che invece un principio ha affermato deve essere promosso. Ad esempio, l'emendamento del collega Mussi, che verrà alla nostra discussione la settimana prossima, alla luce di questo principio, forse non potrebbe essere neppure posto in votazione.
PRESIDENTE. Onorevole collega Servello, sono già intervenuti quattro oratori del suo gruppo...
FRANCESO SERVELLO. Su una materia di questa tipo non parliamo come rappresentanti dei gruppi...
PRESIDENTE. Ho capito.
FRANCESCO SERVELLO. ...e neanche in base al sesso, anche perché non vi è una rappresentanza del terzo sesso.
A prescindere da queste battute, vorrei chiedere - lo chiedo ai costituzionalisti e in particolare al collega Elia che è stato molto generoso oggi nei riconoscimenti su questo testo - se dopo aver affermato all'articolo 3 che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua», e all'articolo 51 che «tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza» possiamo sostituire questa norma
PRESIDENTE. Mi sembra che il collega Elia abbia spiegato con chiarezza come questa norma non sia in contraddizione con l'articolo 3, il quale d'altro canto afferma che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».
La Costituzione, dunque, prevede che la Repubblica agisca, attraverso le sue leggi, per promuovere l'eguaglianza, contrastando ostacoli che di fatto la limitano. Non vi è alcun dubbio che l'uguaglianze delle donne rispetto agli uomini nella rappresentanza politica debba essere promossa, perché fino ad oggi non si è pienamente sviluppata. Deve essere promossa perché vi sono ostacoli di natura culturale; so benissimo che questo dipende dalla cultura, ma so anche che le leggi servono a promuovere nuovi orientamenti e nuovi comportamenti; non sono soltanto sanzionatorie.
Da questo punto di vista, quindi, ci muoviamo perfettamente nello spirito della prima parte della Costituzione. Possiamo fare o non fare. Con tutto il rispetto per il problema delicato circa il fatto che una persona con i capelli biondi possa rappresentare quelli con i capelli mori, il tema della differenza di genere ha una sua specifica rilevanza e non è paragonabile. Non siamo di fronte all'esigenza della tutela di una minoranza. Siamo di fronte al problema di una critica ai sistemi politici, dal punto di vista della cultura delle donne, che è uno dei grandi temi delle democrazie contemporanee. È un problema più ampio e più complesso: si può essere d'accordo o meno, ma le ragioni culturali che sorreggono una spinta di questo tipo sono profonde, vaste e significative; non attengono a motivazione di carattere particolare o particolaristico.
Si tratta inoltre della una maggioranza dei cittadini italiani che si trovano ad essere ampiamente sottorappresentati, proprio perché come ha detto il collega Buttiglione, la presenza delle donne nel sistema politico tende a mutare i ritmi, il modo di pensare la politica e di fare le leggi; non è semplicemente un fatto quantitativo.
A parte queste considerazioni, mi sembra che i termini della questione siano abbastanza chiari. L'idea soppressiva ha una sua dignità e la porrei in votazione per prima. Nel caso in cui essa fosse respinta, si porrebbe un problema di formulazione della norma. Vi è in proposito una proposta di riformulazione dell'onorevole Boato che, nella sua semplicità, mi sembra quella preferibile. Vorrei però ascoltare su questo il parere della relatrice.
Accogliendo diverse sollecitazioni il collega Boato limiterebbe la norma con l'espressione «la legge promuove l'equilibrio della rappresentanza elettorale fra i sessi». In questo modo verrebbe meno la previsione di strumenti e modalità, che mi pare un poco faragginosa e prescrittiva.
Nel caso in cui il Parlamento scelga, come può fare, una legge uninominale maggioritaria, che per sua natura non può prevedere una garanzia di quote, non sarebbe però impossibile per lo stesso Parlamento incentivare, con una apposita legge, le candidature femminili; ad esempio affrontando il tema dei rimborsi elettorali. Anche questo sarebbe un modo per rimuovere gli ostacoli. Il Parlamento potrebbe cioè incoraggiare ed incenti-vare...
MARCO BOATO. Oppure si potrebbe intervenire nelle elezioni primarie, quando di scelgono i candidati.
PRESIDENTE. Certo, la legge può trovare modi per incentivare ed incoraggiare anche senza prevedere quote in modo prescrittivo. Se adottiamo il riferimento alla legge, la norma - di carattere evidentemente programmatico - non avrebbe termini strettamente vincolanti. Non siamo qui a predeterminare la legge elettorale...
ROCCO BUTTIGLIONE. La legge promuove non assicura.
PRESIDENTE. Esatto: la legge promuove l'equilibrio della rappresentanza elettorale tra i sessi. Il riferimento a questa rappresentanza è proprio perché stiamo trattando l'articolo che affronta la composizione del Parlamento. Mi sembra questa la formulazione più propria di questo principio.
MARCELLO PERA. Vorrei rivolgere una domanda a lei, signor presidente, e alla relatrice Dentamaro. Nella discussione si è fatto riferimento all'articolo 3 e si è posto il problema se esso sia o meno sufficiente. Coloro che sono a favore della norma proposta dalla relatrice ritengono che non sia sufficiente, ma l'articolo 3 tende ad evitare distinzioni e discriminazioni in base al sesso, alla razza, alla lingua e ad altro ancora. Perché allora, se vogliamo rendere effettivi ed attuali i diritti sanciti dall'articolo 3, non affermare che le leggi elettorali debbono prevedere strumenti per evitare le predette discriminazioni. Se l'articolo che viene proposto deve essere introdotto per eliminare una distinzione o una discriminazione che è vietata dall'articolo 3, dovrebbe eliminare tutte le possibili fonti di distinzione di cui, appunto, a tale articolo e dovremmo, allora, renderlo più ampio.
PRESIDENTE. Le faccio presente che tra poco discuteremo della proposta Zeller, che prevede che la legge promuova anche la partecipazione delle minoranze linguistiche. Quello che lei dice non è impeditivo nei confronti...
MARCELLO PERA. Comprendo.
PRESIDENTE. Se lei intende proporre un emendamento di questo tipo...
MARCELLO PERA. Propongo un emendamento sulle discriminazioni religiose, poi un altro sulle discriminazioni razziali e così via. O sono tutti coperti o ciascuno deve essere coperto a sua volta in modo specifico.
PRESIDENTE. Se nel nostro paese ci fosse un rilevante problema razziale, avrebbe senso prevedere in Costituzione che la legge promuove un equilibrio in questo ambito.
MARCELLO PERA. Forse non esiste, comunque può esistere.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Senatore Pera, la risposta alla sua obiezione, che in qualche modo reca anche una proposta, è, da una parte, nelle osservazioni dell'onorevole Buttiglione a proposito del rischio di disgregare il principio della rappresentanza, anzi di introdurre il principio di una rappresentanza disgregata, e, dall'altra, in quello che osservava poco fa il presidente D'Alema a proposito della specificità del problema della differenza di genere.
Credo di aver detto proprio in apertura che questo non è un problema di tutela di minoranze. Discriminazione significherebbe impedire l'accesso così come discriminazione sarebbe assicurare l'acceso: promuovere è un'azione positiva perfettamente in linea con il secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione, che impone alla Repubblica la rimozione di tutti gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione piena del principio di eguaglianza formale. Il problema della rappresentanza femminile, lo ripeto, ha una specificità tutta particolare, che deriva
PRESIDENTE. È ormai un'ora che discutiamo ed i termini sono del tutto chiari. Quindi, se non vi sono proposte, passerei alla votazione.
GUSTAVO SELVA. Il dibattito che si è svolto è servito; per lo meno, a me è servito al punto - è questa la dichiarazione che voglio fare - che ritiro la mia proposta di soppressione del secondo comma, per andare a confluire nell'emendamento Boato.
PRESIDENTE. La ringrazio. Se anche l'onorevole Bressa ritirasse il suo emendamento soppressivo, già un problema sarebbe risolto.
GIANCLAUDIO BRESSA. Esatto, lo ritiro.
PRESIDENTE. Bene. Allora non ci sono più emendamenti soppressivi.
PAOLO ARMAROLI. Presidente, io sono cofirmatario dell'emendamento Armaroli-Selva II.1.6 e non intendo ritirarlo.
PRESIDENTE. Mi scusi, pensavo che l'onorevole Selva avesse parlato anche a suo nome. Permane, dunque, un emendamento soppressivo.
FRANCA D'ALESSANDRO PRISCO. Noi possiamo accogliere la proposta dell'onorevole Boato e quindi confluire sulla sua formulazione, però bisogna mantenere quella che è l'attuale collocazione dell'articolo 1.
PRESIDENTE. Sì. Boato accetta il mantenimento del comma lì dove è collocato, ma con la seguente formulazione: «La legge promuove l'equilibrio della rappresentanza elettorale tra i sessi».
SERGIO MATTARELLA. Perché vi sia chiarezza, vorrei riepilogare la situazione. A parte gli emendamenti soppressivi, che mi auguro in corso di ritiro, ci sono un emendamento Boato II.1.19 - che dice che «la legge promuove...» spostando la sede della norma - un secondo emendamento Boato II.1.20, e poi un emendamento a firma mia e del collega Andreoli, il II.1.18, sempre all'articolo 1.
PRESIDENTE. Noi votiamo la formulazione proposta da Boato perché è su questa che convergono i consensi.
SERGIO MATTARELLA. Quindi gli emendamenti II.1.20 e II.1.19 insieme.
PRESIDENTE. Boato ha riformulato il testo unificando i due emendamenti: «La legge promuove l'equilibrio della rappresentanza elettorale tra i sessi».
SERGIO MATTARELLA. È dunque eliminata l'espressione «legge elettorale». È questo che votiamo?
PRESIDENTE. Sì, eliminando anche il riferimento a modalità e strumenti.
SERGIO MATTARELLA. Poiché sono bene tre gli emendamenti che, pur escludendo il riferimento a modalità e strumenti, mantenevano quello alla legge elettorale, rilevo che, invece, la proposta su cui ora si vota esclude anche tale riferimento, sempre riguardo all'articolo 1.
PRESIDENTE. Sì, si tratta di un emendamento sostitutivo del secondo comma dell'articolo 1.
Dunque, pongo in votazione l'emendamento soppressivo Armaroli II.1.6.
(È respinto).
Passiamo all'emendamento sostitutivo Boato II.1.21.
ERSILIA SALVATO. Se l'emendamento rimane in questi termini, alla fine lo voterò, però ho un dubbio rispetto alla formulazione. Cosa significa, infatti, che la legge prevede l'equilibrio della rappresentanza elettorale? Forse che ci sono elettori
PRESIDENTE. Non si tratta di accedere a questa formulazione. Bisogna verificare se vi sia una diversa proposta.
Il collega Boato suggerisce ora di parlare di «rappresentanza elettiva».
ERSILIA SALVATO. Così è già diverso, prima si era detto «elettorale».
PRESIDENTE. Si tratta di trovare una formulazione adeguata, comunque sulle parole mi permetterò, con il sostegno degli uffici, di lavorare.
TIZIANA PARENTI. Poiché la formulazione «elettorale/elettiva» è comunque molto equivoca e priva, a mio avviso, di qualsiasi contenuto serio, o stabiliamo che «la legge elettorale assicura» o, diversamente, resta un auspicio che ci tranquillizza ma non serve assolutamente a nulla. O siamo conseguenti, ci crediamo davvero ed allora fissiamo che «la legge elettorale promuove» e basta, con un'espressione che non irrigidisce alcunché, oppure dire che «la legge assicura la rappresentanza elettiva» non mi pare assolutamente adeguato.
PRESIDENTE. Ma nelle Costituzioni si usa l'espressione «la legge» intendendo la legislazione in generale. Questo è comprensivo della legge elettorale, ma non si riferisce esclusivamente alla legge elettorale. Questa è la mia osservazione.
TIZIANA PARENTI. Poiché questa non è la parte generale della Costituzione, cioè la parte prima, dove già è affermato un principio generale, se ora non precisiamo...
PRESIDENTE. Se lei ritiene che si debba votare un subemendamento e lo presenta, io lo porrò in votazione. Il dibattito ormai è stato svolto.
MARCO BOATO. Presidente, l'attuale articolo 65 della Costituzione stabilisce, ad esempio, che «la legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di deputato e di senatore»: si dice sempre «la legge».
PRESIDENTE. Si dice «la legge», non «la legge elettorale». Appunto.
MARCELLO PERA. Desidero presentare oralmente un subemendamento all'emendamento Boato. Esso consiste nell'aggiungere, alla fine, le seguenti parole: «le razze, le lingue e le religioni». Il risultato sarebbe dunque il seguente: «La legge promuove l'equilibrio della rappresentanza fra i sessi, le razze, le lingue e le religioni».
CIRIACO DE MITA. Aggiungerei anche «i dialetti»: vorrei garantirmi la candidatura!
PRESIDENTE. Mi permetto di osservare che sulle minoranze linguistiche discuteremo tra poco, poiché è stato presentato a tale riguardo un apposito emendamento. Gli altri punti non sono stati proposti da nessuno!
Qui noi stiamo discutendo di un principio: l'equilibrio della rappresentanza tra i cittadini italiani di sesso diverso. Lei può essere favorevole o contrario, ma non mi pare che la questione meriti di essere discussa in termini goliardici.
MARCELLO PERA. Chiedo scusa, presidente, ma non vi era alcuna goliardia nel mio subemendamento. Siccome la discussione si è riferita all'articolo 3 della Costituzione, che è quello che elimina possibili fonti di distinzione o di discriminazione, desidererei introdurre il principio che la legge promuove o assicura non solo la rappresentanza tra i sessi ma anche quella tra gli altri possibili soggetti di discriminazione: lingue, razze e religioni. Non c'è niente di goliardico. Chiedo scusa, presidente, ma lei è offensivo in questo caso.
PRESIDENTE. Tuttavia, poiché sul tema delle minoranze linguistiche dovremo discutere non vorrei che un voto su questo emendamento risultasse poi preclusivo di una discussione che dovremo, appunto, fare.
ROCCO BUTTIGLIONE. Io credo opportuno votare questo subemendamento proprio perché se respinto - come io mi auguro che sia - avrebbe un effetto preclusivo di altri emendamenti analoghi...
PRESIDENTE. Sarebbe un brillante risultato.
ROCCO BUTTIGLIONE. ...e metterebbe in evidenza il fatto che noi non stiamo legiferando all'interno di un'ottica di azione affermativa. Qui non stiamo affermando il principio che solo il simile può rappresentare il simile. Tra l'altro, in questo caso non sono in questione i diritti delle minoranze, perché le donne sono la maggioranza nella nostra società: è in questione il fatto che esiste una maggioranza del corpo sociale la quale, oggi, ha bisogno di strumenti che promozionalmente la aiutino ad esprimersi, promuovendo e non assicurando.
PRESIDENTE. Vorrei aggiungere, onorevole Buttiglione, che dal momento che noi auspichiamo che questa Costituzione resti in vigore per cento anni, può anche darsi che tra un poco la norma tuteli l'altro genere. Non è escluso, visto che nel testo non vi è alcun riferimento alle donne. Non è escluso che di qui a qualche anno tale norma non serva a promuovere la tutela dell'altro genere!
MARCELLO PERA. Se questa Costituzione deve valere per i prossimi cento anni, presidente, pensi all'evoluzione multietnica, multirazziale, multilinguistica della nostra società.
PRESIDENTE. Senza dubbio.
Procediamo nelle votazioni. È già stato respinto l'emendamento soppressivo.
Pongo ora in votazione l'emendamentoPera volto a prevedere che la legge elettorale promuove l'equilibrio con riferimento non solo ai sessi, ma anche alla razza, alla lingua, alla religione, alle opinioni politiche, alle condizioni personali e sociali.
(È respinto).
Vorrei ora sapere se si chiede di votare il principio del riferimento in materia alla legge elettorale.
CESARE SALVI. Desidero fare un chiarimento. Noi voteremo contro questo emendamento ma non nel senso che la legge elettorale non si debba occupare di questo tema bensì, in primo luogo, perché in questi casi la Costituzione usa sempre la parola «legge» e, in secondo luogo, perché oltre la legge elettorale potrebbero essere utili altri tipi di legge che si muovano in questa direzione. Questo, lo ripeto, è il motivo perché voteremo contro.
PRESIDENTE. Procediamo quindi alla votazione.
Pongo in votazione il riferimento specifico alla legge elettorale.
(È respinto).
Pongo in votazione l'emendamento Boato II.1.21 (che propone di sostituire il secondo comma con il seguente: «La legge promuove l'equilibrio della rappresentanza elettorale tra i sessi»).
(È approvato).
Passiamo ora ad esaminare emendamenti che introducono altri principi. Tra questi c'è l'emendamento Pieroni II.1.12. Chiedo al proponente se lo mantiene.
MAURIZIO PIERONI. Vorrei che mi rifacesse la domanda dopo che avremo discusso delle minoranze linguistiche.
PRESIDENTE. In ordine di pubblicazione il suo viene prima.
MAURIZIO PIERONI. Le chiedo se sia possibile capovolgere l'ordine.
PRESIDENTE. Va bene.
Passiamo allora ad esaminare i problemi posti dagli emendamenti Zeller II.1.1 e II.1.2 e Armando Cossutta II.1.11.
Il collega Zeller propone la questione in due forme. L'emendamento II.1.1 propone addirittura: «Nel Parlamento un numero congruo di seggi è riservato ad appartenenti alle minoranze linguistiche riconosciute». Poi c'è una nuova formulazione che recita: «La legge prevede strumenti e modalità per promuovere la rappresentanza delle minoranze linguistiche costituzionalmente riconosciute», ed è a quest'ultima formulazione che dobbiamo attenerci.
L'emendamento Cossutta ed altri prevede, invece, che: «Le leggi elettorali e le altre leggi prevedono altresì strumenti e modalità per garantire la rappresentanza delle minoranze linguistiche».
ERSILIA SALVATO. Alla luce del dibattito che si è svolto, il nostro emendamento II.1.11 viene modificato nel seguente modo: «La legge promuove la rappresentanza elettiva delle minoranze linguistiche costituzionalmente riconosciute, adottando la stessa formulazione.
PRESIDENTE. Potrebbe persino essere aggiuntivo. Per ora discutiamo il principio, poi vedremo il modo in cui formalmente può essere coordinato.
MARCO BOATO. Sono contrario a questo emendamento nelle varie formulazioni proposte e richiamo il fatto che l'articolo 6 della Costituzione contiene una apposita disposizione che fa riferimento alle norme (non è solo un principio generico): «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche». Questo è un principio costituzionale che fa riferimento specificatamente alle norme ed è da questo punto di vista esaustivo, mentre non lo è la legislazione positiva che finora è stata realizzata al riguardo. Sono, insieme a tanti altri colleghi, presentatore di una legge quadro in materia di tutela delle minoranze linguistiche, materia attualmente all'esame della I Commissione della Camera. Il problema reale riguarda la realizzazione di ciò che la Costituzione prevede in termini generali all'articolo 6.
Sono personalmente contrario ad inserire una norma specifica in questa sede, a maggior ragione quando si parlasse di minoranze linguistiche costituzionalmente riconosciute. Questo mi pare abnorme, perché la Costituzione tutela le minoranze linguistiche in generale. Sappiamo poi che in alcune regioni a statuto speciale vi è una particolarissima tutela, ma introdurre una norma che rafforza quella particolare tutela a scapito di tutte le altre mi sembra una discriminazione delle minoranze fra le minoranze.
Sono contrario a tutti gli emendamenti su questa materia ritenendo l'articolo 6 assolutamente puntuale al riguardo, perché fa riferimento alle norme. Come dicevo, il problema è quello della sua attuazione, rispetto alla quale siamo del tutto carenti per quanto riguarda le minoranze che non siano quelle delle regioni a statuto speciale (in alcune regioni a statuto speciale alcune minoranze, come quella slovena, sono meno tutelate di altre.
GUIDO DONDEYNAZ. Desidero soltanto aggiungere la mia firma all'emendamento Zeller II.1.2.
MARCELLO PERA. Signor presidente, lei ha appena detto che stiamo discutendo del principio e in realtà ho l'impressione che stiamo ridiscutendo di principi fondamentali che appartengono alla prima parte della Costituzione. Non so se sia effettivamente possibile rafforzare o modificare principi già contenuti in quella prima parte.
Ovviamente sono favorevole al principio della rappresentanza delle minoranze linguistiche, però mi domando se, visto che è stata appena respinto il mio subemendamento all'emendamento Boato, con il quale chiedevo l'equilibrio della rappresentanza
PRESIDENTE. Formalmente sì, ma questo emendamento è stato presentato prima e avremmo dovuto prenderlo in considerazione in precedenza. Poiché siamo impegnati a lavorare su un nuovo testo costituzionale, per ragioni politiche, credo sia giusto adottare il regolamento con una certa elasticità per poter discutere di una questione posta da parlamentari che testimoniano il fatto che, se non è incentivata, quanto meno è consentita la rappresentanza delle minoranze.
ROCCO BUTTIGLIONE. Signor presidente, sono profondamente scosso dalle affermazioni dell'amico e collega Pera. Stiamo discutendo i principi primi della Costituzione ed io che sono contrario ad una riserva di caccia elettorale per le minoranze linguistiche, sono perciò favorevole al diritto di ogni uomo e di ogni cittadino italiano alla propria cultura e alla non discriminazione.
Il problema non è il diritto alla cultura o al rispetto dell'identità culturale; il problema è se il diritto alla propria cultura e al rispetto della propria identità culturale implichi che si accetti il principio, nella legge elettorale, che il simile rappresenta il simile e che, per esempio, l'italiano non può rappresentare il tedesco e il tedesco non può rappresentare l'italiano. Credo che questo principio sia sbagliato, sia aberrante, soprattutto in una fase in cui ci avviamo a costruire l'unità europea. Ritengo che dobbiamo invece riconoscere che la persona umana di per sé può rappresentare la persona umana; esiste una universale capacità di rappresentanza.
Nel caso in cui avessimo minoranze culturalmente sottosviluppate, economicamente sfruttate, messe non in condizione di organizzarsi ed esprimere liberamente la loro preferenza per persone che parlano la stessa lingua all'interno di un sistema oppressivo, capirei che fosse rivendicato questo diritto di rappresentanza. Poiché mi sembra che, nella grande maggioranza dei casi, le nostre minoranze linguistiche siano culturalmente sviluppate, economicamente a livelli pari o superiori a quelli del resto della popolazione, perfettamente in grado, se lo scelgono, di formare partiti di rappresentanza nazionale o linguistica, non vedo perché dovremmo imporre loro di formare partiti di questo tipo o perché dovremmo privilegiare, a livello costituzionale, partiti di questo tipo.
Credo che dobbiamo lasciare a queste popolazioni la chance di formare partiti di questo tipo se lo credono e non formarne se non lo credono e forse anche rendere più fluide le frontiere fra i gruppi. Parlare più di una lingua, partecipare a più di una cultura non è un tradimento, è un arricchimento sempre più importante in un'Europa che si avvia ad essere unita e federale.
Vorrei ricordare i versi di un grande poeta, Adam Minkiewicz, che inizia il Panta Deus scrivendo: «Lituania, patria mia, tu sei come la salute. Quanto sei bella lo sa soltanto chi ti ha perduta». Il principale poema della letteratura polacca inizia con le parole «Lituania, patria mia», perché? Perché esistono delle zone di frontiera in cui si appartiene a più di una nazione. Questo non è tradimento, poteva esserlo in una visione ristretta delle identità nazionali; questo è invece essere ponte fra culture. Credo che noi non dobbiamo ostacolare questo aspetto, ma semmai favorirlo.
Se vi fossero ragioni di minoranze linguistiche economicamente svantaggiate, culturalmente incapaci di esprimersi che hanno bisogno di un'azione di promozione, potremmo affrontare la questione nella legislazione ordinaria, anche perché altrimenti, per questo cammino, rischiamo di costituzionalizzare il principio secondo cui «solo il simile rappresenta il simile», un principio disgregativo sia a livello territoriale sia più in generale nell'organizzazione culturale e sociale della nazione.
KARL ZELLER. L'emendamento mira ad attuare il principio di uguaglianza e di parità sostanziale già previsto nel comma
ERSILIA SALVATO. Non condivido il ragionamento fatto da ultimo dal collega Zellera proposito del precedente emendamento, che a mio avviso è profondamente diverso da quello in esame. Le due materie trattate hanno entrambe un valore ma non sono assimilabili.
Abbiamo posto la questione non perché gli appartenenti alle minoranze linguistiche pensino di non poter essere rappresentati da altri, anzi, basta conoscerli e avere avuto con loro confronti e colloqui (abbiamo incontrato in particolare rappresentanti della comunità slovena) per capire che la scelta culturale per cui la rappresentanza avviene non in nome e per conto soltanto di una identità etnica è da loro non solo profondamente riconosciuta ma è una scelta che hanno fatto con grande convinzione. I rappresentanti delle minoranze linguistiche si sono già mossi nella direzione indicata dall'onorevole Buttiglione.
Vi è però un problema concreto che non può sfuggirci, perché nel momento in cui si designano i collegi, con la diminuzione dei parlamentari nei collegi molto ampi si può correre il rischio concreto che le minoranze linguistiche non siano mai più rappresentate in Parlamento.
Si tratta di una grande questione alla quale il mio gruppo politico è particolarmente sensibile. Per questa ragione abbiamo ritenuto di rappresentarla con un emendamento.
ANTONIO SODA. Voteremo contro questo emendamento che si discosta profondamente dalla precedente affermazione di principio, nel senso che le donne sono una maggioranza nel paese e sono sottorappresentate perché esistono ostacoli oggettivi alla loro rappresentanza. Tutta la realtà che investe le donne è distorsiva del principio di rappresentanza politica generale e quindi incide sull'essenza e sul cuore delle democrazia. Diverso è il caso delle minoranze linguistiche, religiose, politiche, etniche che rappresentano anche interessi, caso che non attiene comunque ad un fenomeno distorsivo. Esiste il problema ora sollevato dalla senatrice Salvato, sul quale si può operare un approfondimento che in questa sede può tramutarsi in un ordine del giorno che si intrecci con le indicazioni e le direttrici della legge elettorale.
Queste sono le ragioni per le quali siamo stati favorevoli al precedente emendamento e siamo contrari a quello in esame.
CESARE SALVI. Vorrei sapere dal collega Zeller se ritenga opportuno trasformare il suo emendamento in un ordine del giorno, sul quale ci esprimeremo in senso favorevole. La rigidità della norma costituzionale, per la ragione espressa dal collega Soda, ci induce a non assumere una posizione favorevole alla costituzionalizzazione del dispositivo.
D'altra parte, pensiamo che si debba prendere in attenta considerazione la questione, posta anche a livello di organizzazioni internazionali e in altre sedi. Del
PRESIDENTE. Onorevole Zeller, lei insiste per la votazione del suo emendamento? Ricordo che non ci troviamo in Assemblea, dove prima di approvare o respingere un provvedimento si esaminano gli ordini del giorno; tuttavia possiamo trattare il tema nella relazione e allo stesso tempo non escludo che il testo che noi invieremo ai due rami del Parlamento potrà essere accompagnato da alcune posizioni comuni, come le raccomandazioni alle Camere relative alla legislazione ordinaria delle quali si è già parlato.
Quindi, se lei ritirasse l'emendamento, comunque il principio da esso contenuto potrebbe trovare accoglimento; sia ben chiaro che questa possibilità è impregiudicata, nel senso che non è che per ritorsione non sarà accolto. Deve decidere solo se vuole o no la votazione dell'emendamento; naturalmente, il voto non avverrà se anche la senatrice Salvato ritirerà l'emendamento Armando Cossutta II.1.11.
KARL ZELLER. Ritiro il mio emendamento II.1.2, presidente.
PRESIDENTE. Sta bene.
Vorrei pregare anche il senatore Pieroni di ritirare il suo emendamento II.1.12, con il quale colloca anche le forze politiche tra le minoranze da tutelare con la legge elettorale, per così dire.
MAURIZIO PIERONI. Presidente, preferisco le forze politiche alle correnti come minoranze da tutelare. Comunque, rinuncio alla votazione del mio emendamento se la questione sarà esaminata quando parleremo della forma di governo.
PRESIDENTE. Pongo pertanto in votazione l'articolo 1, come modificato dall'emendamento approvato.
(È approvato).
Vorrei chiedere all'onorevole Mattarella di accantonare il suo articolo aggiuntivo II.1.01, che solleva questioni enormi.
SERGIO MATTARELLA. Stavo per chiederglielo io, presidente.
PRESIDENTE. Sulla questione del rapporto fiduciario fra governo e Parlamento torneremo quando ci occuperemo della forma di governo.
Passiamo all'esame dell'articolo 2.
Chiedo all'onorevole D'Amico di considerare accantonato il suo emendamento II.2.4, che tende a costituzionalizzare il sistema uninominale maggioritario. Propongo infatti che la questione della legge elettorale sia eventualmente considerata in relazione alla forma di governo. Quindi, tutte le proposte relative alla costituzionalizzazione dei principi elettorali - ho fatto analoga richiesta anche al senatore Pieroni, il quale voleva invece che si costituzionalizzasse il proporzionale - sarebbe opportuno fossero accantonate.
NATALE D'AMICO. Ho solo un'obiezione, presidente, cioè l'uso dell'avverbio «eventualmente»: comunque considereremo la questione perché l'emendamento rimane.
PRESIDENTE. Ce ne sono anche altri: c'è chi propone di costituzionalizzare il doppio turno, come per esempio ha annunciato il senatore Passigli. Quindi tali emendamenti saranno esaminati in seguito.
Passiamo all'emendamento Greco II.2.2, che propone di elevare il numero dei parlamentari da 400 a 500.
MARIO GRECO. In via preliminare vorrei sottoporre alla sua attenzione e a quella degli altri colleghi l'opportunità di accantonare anche il mio emendamento II.2.2. Mentre infatti la formulazione dell'emendamento II.2.4 del collega D'Amico tiene fermo il numero di 400 deputati, io propongo di variarlo. Credo che potremo formulare un giudizio più ampio nel momento in cui ci confronteremo sulle attribuzioni e i compiti dei due rami del Parlamento, trattati dai successivi articoli.
Altrimenti, prevederemmo che il numero di 400 deputati (o 500, come propongo io) sia sufficiente, mentre potremmo cambiare opinione dopo l'eventuale modifica dell'attribuzione delle singole materie ai due rami del Parlamento. Se non si decidesse di accantonare il mio emendamento, mi permetterei di illustrarlo meglio.
FRANCESCO D'ONOFRIO. Mi sembra opportuno accantonare questo emendamento. Sarebbe consigliabile non prevedere in Costituzione un numero fisso di deputati e/o di senatori ma individuare un limite minimo e uno massimo. Le leggi elettorali, infatti, possono essere tali da comportare una ripartizione secca oppure (per intenderci il modello tedesco) una elastica. Sarebbe comunque opportuno che la fissazione del numero non fosse rigida.
PRESIDENTE. Si tratterebbe di una novità perché attualmente il numero esiste. Vorrei sentire la relatrice sul punto.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Trovo anch'io ragionevole la proposta di accantonare questo emendamento perché la scelta in ordine al numero dei componenti la Camera dovrebbe essere condizionata da quella sulla struttura e la composizione del Senato. Essa dipenderà dal numero dei senatori elettivi poiché si tratterà di garantire complessivamente un certo livello di rappresentanza. Forse potrebbe essere più opportuno, se non al termine dell'esame della normativa sul Parlamento, perché non credo che in tema di funzioni potremo apportare innovazioni di particolare peso rispetto a questo problema, esaminare quest'ultimo dopo aver assunto certe scelte relative al Senato, ancora tutte da definire.
MARIO GRECO. Presidente, mi permetto di suggerire l'accantonamento anche dei miei emendamenti II.3.16 e II.3.17. Come ha appena detto la relatrice, esistono scelte da assumere sul numero dei senatori e sulla quota fissa da stabilire per ciascuna regione. I miei emendamenti prevedono l'aumento del numero dei senatori e quello della quota minima da fissare per ciascuna regione.
PRESIDENTE. In questo modo rischiamo di accantonare progressivamente tutti gli articoli del testo, il che mi sembrerebbe francamente un po' rischioso dal punto di vista dell'organizzazione dei nostri lavori.
SERGIO MATTARELLA. Presidente, forse potremmo rinviare la trattazione della questione sul numero dei parlamentari al mese di luglio, quando avremo più chiaro il quadro della situazione.
PRESIDENTE. Concordo con lei, ma credo che bisognerebbe votare il testo attuale dell'articolo 2, acquisendo la volontà di ridurre il numero dei parlamentari.
SERGIO MATTARELLA. È quello che proponevo: si ritirino gli emendamenti e si approvi il testo attuale. Se poi a luglio vi sarà la possibilità di riflettere, lo faremo.
GUSTAVO SELVA. Siamo favorevoli a mantenere il numero fisso, almeno per il momento, di 400 deputati.
MARIO GRECO. Mi permetto di far rilevare ai colleghi che sancire il principio del numero fisso costituisce già un indirizzo. Mi permetterei allora di illustrare i motivi per cui propongo di aumentare il numero dei parlamentari. Non vorrei che
PRESIDENTE. L'Assemblea potrà cambiare quello che noi decidiamo in tanti campi, perché è sovrana. Si tratta di decidere quale sia la volontà politica che emerge da questa Commissione, la quale deve prendere forma in una proposta normativa.
Credo che lei abbia ragione quando afferma che a conclusione dell'esame comprensivo della definizione del ruolo del Senato, del tema della forma di governo ed eventualmente della legge elettorale, la questione del numero dei parlamentari potrà essere risolta con determinazioni più sicure. Però è anche vero che il procedimento previsto dalla legge ci consente di tornare sul tema anche nel mese di luglio; il problema è decidere se vogliamo formulare ora una proposta che sia anche l'espressione di una volontà politica. Ripeto che comunque si potrà tornare su questa ipotesi.
MARIO GRECO. Credo però che anche la mia proposta contenga una volontà politica: tutti siamo d'accordo sulla riduzione.
PRESIDENTE. Non c'è dubbio. Lei quindi insiste perché si votino i suoi emendamenti?
MARIO GRECO. Chiederei più che altro alla relatrice il motivo per cui il Comitato ha stabilito questo numero, se cioè sia stata compiuta una valutazione su dati di fatto concreti oppure se si è cercato solo di dare all'opinione pubblica un indirizzo politico relativo alla riduzione dei parlamentari.
Potremmo comunque accantonare questa parte dell'articolo 2 e stabilire un indirizzo politico di riduzione del numero dei parlamentari.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Vorrei ricordare al senatore Greco - che per la verità ha partecipato molto assiduamente ai lavori del Comitato - che ho più volte sollecitato il dibattito su questo argomento, presentando anche una relazione scritta sul punto.
Queste sollecitazioni non sono mai state raccolte, anche per ragioni di tempo: come tutti gli altri Comitati, il nostro ha avuto a disposizione limiti temporali molto ristretti. Un lungo periodo è stato assorbito dal tema della struttura del Parlamento e dal bicameralismo. Sta di fatto che non si è svolto alcun dibattito su questo aspetto.
A conclusione dei lavori del Comitato, sono stata comunque esplicitamente invitata - è stato un invito assolutamente ragionevole e corretto - a formulare una mia proposta, della quale assumo tutta la responsabilità. Mi sembra che la riduzione da me proposta (ricordo che l'articolo 2 si riferisce alla Camera dei deputati - 400 componenti - mentre nella proposta complessiva è previsto un numero di 200 senatori elettivi) sia coerente con un insieme di funzioni del Parlamento complessivamente ridotte nel senso quantitativo. Certamente una larga parte della legislazione è devoluta alle regioni ed un'altra all'Unione europea.
Quindi, vi è un minor carico di legislazione e comunque una divisione del lavoro tra le due Camere, essendo completamente superato, nello schema della proposta, il bicameralismo perfetto. Inoltre, la riduzione del numero dei parlamentari risponde ad un'esigenza di maggior efficienza, snellezza e rapidità dei lavori e - argomento che non mi sembra di poco conto - di rafforzamento ulteriore dell'autorevolezza della rappresentanza parlamentare.
Dico questo soprattutto con l'intento di aprire un dibattito che fino a questo
MARIO GRECO. Prendo nuovamente la parola per avanzare una proposta diversa rispetto a quella che ho precedentemente formulato. Ribadisco ancora una volta che mi sono permesso di proporre un limitato aumento del numero sia dei senatori sia dei deputati perché esso nella sua dimensione attuale è in linea con quello di altri paesi europei. Comunque, prescindendo da questa considerazione e dando atto alla relatrice del fatto che ella ha effettivamente sollecitato più volte i componenti del Comitato a confrontarsi sulla questione del numero, così com'è avvenuto nel Comitato vedo che analogamente sta accadendo in questa sede, poiché neanche qui le mie sollecitazioni sono state raccolte. Tuttavia, poiché vi è sempre lo strumento del confronto più ampio in sede di aula, sono disponibilissimo, a questo punto, a votare la proposta della relatrice e per il momento ritiro il mio emendamento II.2.2 riservandomi, anche a nome del gruppo di forza Italia, di riproporne la trattazione in aula.
PRESIDENTE. Passiamo ora all'emendamento Cossutta ed altri II.2.1, che propone di portare l'età minima per l'elettorato passivo dei deputati da 25 a 21 anni. Come si sarebbe detto una volta, l'emendamento si commenta da solo.
ARMANDO COSSUTTA. Presidente...
PRESIDENTE. Mi sbagliavo, in questo caso lo commenta l'onorevole Cossutta!
ARMANDO COSSUTTA. In effetti, vorrei dire solo pochissime parole. Visto che abbiamo già da tempo ridotto l'età dell'elettorato attivo portandola a 18 anni, mi pare più che ragionevole, tenendo conto anche delle modificazioni intervenute nella società e della situazione esistente in quasi tutti i paesi del mondo a questo riguardo, portare a 21 anni l'età a partire dalla quale si può essere eletti deputati, una misura che mi appare veramente molto giusta ed anche - i colleghi mi perdoneranno - molto ragionevole.
PRESIDENTE. Vorrei conoscere il pensiero della relatrice su questo tema.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Signor presidente, penso che quella di 25 anni sia un'età assolutamente giovane e che quindi non si possa sostenere che si tratta di un limite particolarmente elevato, anche considerando il fatto che nella società attuale è ritardato l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e di conseguenza anche l'uscita dalla famiglia. Mi pare, quindi, che l'età di 21 anni sia tale da non assicurare sempre una maturità adeguata alla responsabilità della rappresentanza parlamentare.
PRESIDENTE. Comunque, l'onorevole Cossutta non voleva dire che a 25 anni si è anziani, una cosa che naturalmente lui non direbbe.
GUSTAVO SELVA. Non desidero dare prova eccessiva di giovanilismo, che alla mia età sarebbe sicuramente fuori posto ma, poiché successivamente verrà al nostro esame un emendamento, da me presentato, con il quale propongo l'abbassamento da 40 a 35 anni per l'elettorato passivo dei senatori, mi pare che in parallelo l'abbassamento dell'elettorato passivo da 25 a 21 anni per i deputati possa trovare il nostro consenso.
ROCCO BUTTIGLIONE. Vorrei far osservare, signor presidente ed onorevoli colleghi, che quando è stato approvato il limite di età previsto dalla Costituzione vigente la gran parte dei giovani italiani non aveva un'istruzione formale che andasse
PRESIDENTE. Comunque, non è previsto il possesso di alcun titolo di studio per l'esercizio dei diritti politici attivi e passivi.
ROCCO BUTTIGLIONE. Non è previsto alcun titolo di studio e qualche cittadino italiano potrebbe dire che forse sarebbe stato meglio il contrario!
PRESIDENTE. Ci vorrebbe un controllo di produttività in relazione ai titoli di studio: i risultati sarebbero stupefa-centi!
ROCCO BUTTIGLIONE. Tuttavia, è indubbio che, per poter esercitare le funzioni di deputato, occorre aver accumulato anche in via non accademica o non formale un certo livello di conoscenze e di esperienza; immaginare che tale livello possa essere stato accumulato all'età di 21 anni in una società complessa come l'attuale mi sembra fuorviante.
ARMANDO COSSUTTA. Vorrei pregare l'onorevole Buttiglione di presentare una proposta di legge per proporre che non si può essere eletti sindaco di Roma, di Milano o di qualsiasi altra città se non si sono compiuti 25 anni; la legge, infatti, prevede che si può diventare sindaco della capitale a 21 anni. Pertanto, il ragionamento svolto dall'onorevole Buttiglione non ha un'effettiva corrispondenza con la realtà della società in cui viviamo.
ROCCO BUTTIGLIONE. No, non ha corrispondenza con la legge che consente di eleggere a sindaco di Roma una persona di 21 anni!
PRESIDENTE. A mio giudizio, possiamo abbassare questo limite di età; in compenso, non ne stabiliremo uno massimo.
Pongo in votazione l'emendamento Cossutta ed altri II.2.1, non accettato dalla relatrice.
(È approvato).
Passiamo all'emendamento Rigo II.2.3 che prevede - non capisco per quale ragione - che i Presidenti della Repubblica cessati dalla carica hanno diritto di far parte a vita della Camera dei deputati.
MARIO RIGO. Quest'emendamento è legato alla soluzione che, come Commissione, daremo alla struttura del Senato, cioè se esso diventerà o meno il Senato delle regioni, per cui evidentemente la sua trattazione andrebbe posposta.
PRESIDENTE. In effetti, è così poiché tale emendamento in realtà è connesso alle proposte, che adesso esamineremo, di cambiamento della natura del Senato. Il collega Rigo si è preoccupato, a differenza degli altri proponenti del Bundesrat, di preservare le prerogative degli ex Presidenti della Repubblica, poche persone che senz'altro saranno grate al collega Rigo. Comunque, la questione va logicamente posposta perché connessa alla soluzione che daremo alle questioni trattate nell'articolo 3.
Possiamo quindi procedere alla votazione dell'articolo 2.
NATALE D'AMICO. Non capisco come si possa porre in votazione l'articolo 2, visto che vi sono degli emendamenti accantonati.
PRESIDENTE. Non ve ne sono.
NATALE D'AMICO. L'emendamento D'Amico II.2.4 è sicuramente accantonato.
PRESIDENTE. È accantonato nel senso che le eventuali norme costituzionali relative alla legge elettorale verrebbero collocate nel capitolo sulla forma di governo, e quindi l'emendamento è solo spostato ad altro capitolo, non è stato accantonato. Escludiamo quindi che qui vi sia un'eventuale costituzionalizzazione della legge elettorale; qualora vi debba essere, si deciderà nella sede della discussione sulla forma di governo e poi vedremo in sede di coordinamento dove si collochi.
NATALE D'AMICO. Per essere chiaro a questo riguardo, trattandosi di un tema al quale politicamente tengo, vorrei essere certo che vi sia un momento in cui ne discutiamo.
PRESIDENTE. Non c'è il minimo dubbio a questo riguardo; le ho già detto che vi sono altri emendamenti che costituzionalizzano principi di legge elettorale, quindi su questo tema vi sarà una discussione vasta, a più voci.
ETTORE ANTONIO ROTELLI. Questo dopo che si sia deciso se sia legittimo, possibile ed opportuno che dei principi in materia di legge elettorale siano costituzionalizzati.
PRESIDENTE. Non c'è dubbio, discuteremo se sia legittimo, opportuno, è chiaro.
Pongo in votazione l'articolo 2 con la modifica poc'anzi apportata.
(È approvato).
Passiamo ora all'articolo 3. Considererei precluso l'emendamento Cossutta II.3.13 perché il principio del monocameralismo è stato già respinto e non possiamo, ad ogni articolo, rimetterlo in votazione.
All'articolo 3 sono stati presentati da numerosi colleghi vari emendamenti che tendono in forme diverse a delineare la proposta di un'Assemblea rappresentativa delle regioni e delle autonomie locali; questione di grande portata, sulla quale vorrei innanzitutto che la relatrice chiarisse il motivo per il quale ha ritenuto che quest'ipotesi, che è stata in campo fin dal primo momento, debba essere esclusa e successivamente aprirei il dibattito raccomandando a tutti la massima sintesi.
ARMANDO COSSUTTA. L'emendamento II.3.14 da me presentato, in realtà, non riguarda la materia del monocameralismo; è un emendamento opinabile, discutibile, a mio avviso accettabile, ma non si riferisce al monocameralismo.
PRESIDENTE. Sì, quest'emendamento resta, ma ve ne sono diversi altri. Prioritariamente vengono tutti gli emendamenti sostitutivi che delineano un'altra funzione ed un'altra composizione per il Senato. Comunque, non so se il suo emendamento II.3.14 non debba essere esaminato nell'ambito del capitolo sulla forma di governo, visto che si parla di un Senato delle garanzie.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Anche in quest'occasione sarò brevissima perché il dibattito sulla struttura rappresentativa della seconda Camera si è svolto in Comitato ma anche in Commissione plenaria, sia in sede di discussione generale sia in sede di discussione sulla relazione da me svolta all'atto della presentazione del testo base e prima della votazione di quest'ultimo. Quindi, non potrei in questa sede che richiamare una serie di considerazioni che ho già svolto e rinviare per il resto soprattutto alla relazione esposta in Commissione. Non vi è dubbio che la scelta sulla struttura del Parlamento, in particolare della seconda Camera, sia collegata strettamente alle scelte ormai operate in tema di federalismo: su questo punto ci siamo confrontati anche con la relatrice su questa parte, senatore D'Onofrio, il quale mi sembra concordi con la piena compatibilità del federalismo disegnato nei testi votati ieri da questa Commissione con il modello di Parlamento che
PRESIDENTE. Ascoltiamo dapprima i presentatori degli emendamenti.
GIANCLAUDIO BRESSA. Abbiamo a lungo discusso, in più occasioni, delle questioni in esame, per cui faccio rinvio agli interventi precedenti in argomento; ritengo però opportuno ribadire una scelta convinta che era contenuta nella proposta Mattarella ed altri, da noi presentata all'inizio dei lavori della Commissione bicamerale, per alcune ragioni di fondo. La prima è di architettura istituzionale, in quanto ritengo che la realtà italiana abbia bisogno di un modello federale che deve essere sì articolato su due Camere ma nel quale una delle Camere deve rappresentare gli interessi federali delle autonomie locali e delle regioni. In qualche modo, utilizzando una definizione che è divenuta di uso corrente nei nostri lavori, deve essere sì una Camera di garanzia ma deve essere una Camera di garanzia federale.
Sono molte le ragioni che mi spingono a sostenerlo, ma non le richiamo rimandando ad altri interventi: una in particolare, però, la voglio ricordare. In Italia, partiamo da una condizione di disuguaglianza di fondo molto significativa: non abbiamo condizioni di partenza uguali; vi sono profonde disuguaglianze economiche e sociali, per cui abbiamo la necessità di garantire una sorta di diritto di cittadinanza comune. Credo che la seconda Camera possa e debba essere il luogo per questo tipo di garanzia, per quanto riguarda sia il riequilibrio economico, sia il riequilibrio dei diritti fondamentali delle persone che si trovano a vivere in uno Stato federale.
Vi è una seconda motivazione, che è una ragione più squisitamente politica: con il federalismo, il confronto politico acquista una dimensione nuova e diversa, perché non vi è più solo un livello nazionale di confronto ma vi sono anche i livelli di confronto regionale e federale. Ebbene, la seconda Camera deve diventare in qualche modo una sede di rappresentanza di questa nuova, importante dimensione politica: credo che questo sia un
ACHILLE OCCHETTO. Voglio dire innanzitutto che apprezzo la coerenza dell'impostazione della relatrice nell'ambito delle scelte che lei ha voluto indicare; per ciò che riguarda invece la mia posizione, voglio subito dire che mi dispiace che una parte della sinistra, il PDS in particolare, abbia di fatto abbandonato un'antica battaglia di rinnovamento istituzionale che era legata al monocameralismo. Vorrei ricordare che ancora prima del 1987, quando producemmo una forte rottura nella conservazione istituzionale della tradizione del PCI, l'idea del monocameralismo era quella più coraggiosa ed avanzata, un cavallo di battaglia significativo: oggi purtroppo mi sembra che si arrivi addirittura a tre Camere.
Ritengo che gli emendamenti presentati in materia siano ancora importanti e significativi anche per tornare un attimo sulla questione. Permettetemi quindi un breve ragionamento che si collega alle proposte riguardanti le istituzioni regionali o federali. Vorrei fare un tentativo - mi auguro non disperato - per condurre la questione nell'ambito di una consapevole scelta di chiarezza di sistema.
Le istituzioni regionali o federali possono indubbiamente - in questo la relatrice ha completamente ragione - operare all'interno di un sistema monocamerale o bicamerale. Vorrei però osservare che, più si va verso l'ipotesi federale, più sarebbe preferibile non moltiplicare ed accavallare diversi meccanismi di formazione della sovranità a livello centrale. In tal senso sarei per una sola Assemblea nazionale, tanto più se ci muoviamo nella direzione di un Presidente della Repubblica eletto. In sostanza un Presidente della Repubblica eletto ed una sola Assemblea nazionale dal punto di vista della chiarezza (l'obiettivo che mi prefiggo: la semplificazione del sistema politico in una precisa direzione) mi sembrano elementi sufficienti ed, anzi, abbondanti. Ecco perché avrei sicuramente votato a favore del monocameralismo.
Credo tuttavia si possa ancora salvare la sostanza di questo ragionamento, perché esiste un problema: la scelta federalista comporta l'esigenza di trovare una sintesi a livello nazionale di rappresentanza della componente federale. Anche a questa seconda esigenza si può rispondere con grande coerenza all'interno di uno schema monocamerale. A tal fine sarei favorevole ad una Camera federale e comunque mi esprimerò a favore di tutte le proposte che vanno nella direzione di una elezione di secondo grado; emendamenti in tal senso sono stati presentati dai colleghi Salvati, Bressa, D'Amico ed altri, e si iscrivono a mio avviso dentro una concezione monocamerale (denominando l'organo Camera delle regioni oppure Camera federale).
Sono invece contrario ad un Senato della Repubblica eletto a suffragio universale. Ogni forma di reintroduzione di questo meccanismo ci fa compiere un passo indietro di trent'anni rispetto ad una battaglia classica monocameralista. A mio avviso dobbiamo stare molto attenti a ridisegnare la Costituzione, che si basò su un accesissimo dibattito fra grandi correnti di pensiero, avendo presente - invece - preoccupazioni corporative che non voglio nemmeno enunciare, perché si trovano ad un livello troppo basso per questo altissimo consenso di costituenti e di riformatori; sono le preoccupazioni che, secondo me, hanno dettato la necessità di salvaguardare il Senato.
ANTONIO ENRICO MORANDO. Signor presidente, mi sembra si possa dire - e del resto ne ha dato atto anche la relatrice - che fin dall'inizio sulla questione si sono confrontate due esigenze: secondo la prima occorreva andare verso una Camera dotata di una forte capacità
NATALE D'AMICO. Presidente, eviterò anch'io di ripercorrere le motivazioni che mi inducono a preferire una Camera federale; ne abbiamo parlato più volte sia in Commissione plenaria sia in sede di Comitato; rinvio pertanto alle considerazioni già svolte. Oggi, però, registro alcune novità.
Innanzitutto nel testo sulla forma di Stato del senatore D'Onofrio abbiamo approvato una norma che sostanzialmente prevede che i rapporti fra Stato, regioni, province e comuni si ispirino al principio di leale collaborazione. Abbiamo evidentemente superato - e ritengo ciò sia molto positivo - le ipotesi di modelli duali o competitivi che non esistono nel mondo o che, laddove permangono, sono in fase di superamento; prevale invece un tipo di rapporto collaborativo fra i soggetti dello Stato federale. Questa leale collaborazione, però, deve avere luoghi e procedure nei quali concretizzarsi, altrimenti non si capirebbe bene il suo significato, cosa ciò comporti (sembrerebbe un invito ad essere tutti più buoni...). In sostanza il luogo e le procedure devono essere fissati nella Costituzione: e mi pare che il luogo principale nel quale questa forma di collaborazione può realizzarsi è rappresentato proprio dalla Camera federale.
In secondo luogo, se scorressimo insieme le materie che abbiamo attribuito allo Stato centrale, ci renderemmo conto
LUIGI GRILLO. Signor presidente, concordo con la senatrice Dentamaro e con l'onorevole Bressa: occorre essere sobri sulla questione, perché molto è già stato detto sia nel Comitato sia nella Commissione plenaria. Credo, invece, che qualcosa di più dovrebbero dire coloro che in Comitato - così ci era parso di capire - avevano espresso un orientamento tendenzialmente favorevole alla proposta della relatrice, poi formalizzata nel testo base, mentre oggi manifestano qualche perplessità proponendo con i loro emendamenti un problema che a noi pareva essere stato superato. Mi riferisco al fatto che si andavano a costruire una nuova Costituzione e un sistema bicamerale con funzioni differenziate di Camera dei deputati e Senato, adottando per entrambe un sistema elettivo.
Ricordo solo un paio di osservazioni circa i motivi che fin dall'inizio ci hanno visto perplessi in ordine all'ipotesi di importazione del modello tedesco del Bundesrat. Schematicamente tutti sappiamo che in Germania le funzioni delle
MARIO RIGO. Nella prima parte, quella relativa alla forma di Stato, abbiamo elevato alla dignità di soggetti costituenti comuni, province e regioni; a questo punto, se vogliamo dare contenuto ad uno Stato federale, occorre assegnare una rappresentatività adeguata a questi soggetti, trovare il posto dove essi possano svolgere la loro funzione di rappresentanza delle comunità locali ma anche di confronto tra loro e con lo Stato. È nel Senato delle autonomie, che possiamo superare gran parte delle difficoltà che nasceranno dalla attuazione della nuova Costituzione. Si devono ridurre le conflittualità lasciando che sia una sede ben definita a raccogliere il confronto ed a favorire il dibattito democratico secondo le regole che andremo a dettare nella Costituzione al Parlamento. Non dimentichiamo il voto finale sul referendum, rispetto al quale regioni, province e comuni avranno un peso determinante.
Mi sembra allora che una Camera forte di rappresentanza delle regioni e delle autonomie locali sia da porre in primo piano rispetto a tutte le altre esigenze, anche rispetto alla funzione di garanzia che essa dovesse assumere. Mi rendo conto che va cercato un punto di equilibrio, sul quale si è avviato anche il collega Morando. Ma il punto irrinunciabile è di porre su un piano di pariteticità i rappresentanti eletti direttamente e quelli eletti dalle regioni e dagli enti locali, prevedendo, come abbiamo cercato di fare, nella nostra proposta meccanismi
FABIO MUSSI. Vorrei invitare caldamente i colleghi ad una riflessione, sperando che possa modificarsi l'atteggiamento preannunciato dal senatore Grillo, perché stiamo affrontando una questione molto delicata. Il quadro di riforma che si affaccia dal testo della collega Dentamaro è di profilo alto perché vi è un intervento piuttosto radicale di modifica degli assetti attuali; si indica la strada di una forte riduzione del numero dei parlamentari, si sta spezzando il cerchio degli identici poteri delle due Camere superando di slancio la situazione di bicameralismo perfetto che ha segnato questi cinquant'anni di vita repubblicana.
Credo sinceramente che sarebbe un errore se ci ritraessimo dall'opportunità di compiere un ulteriore passo e ci mettessimo nelle condizioni di deludere aspettative che riteniamo giuste e legittime. È vero che non bisogna farsi prendere dalla mania dell'originalità, può infatti diventare maniaca la ricerca di una soluzione originalissima per ogni punto, di una casistica tutta italiana; tuttavia, parlandosi delle due Camere e in particolare della seconda, è anche vero che è difficile individuare modelli da acquistare sul mercato internazionale «chiavi in mano». Quasi ovunque infatti vi è una seconda Camera, ma quasi ovunque vi è anche qualche insoddisfazione per il suo funzionamento, si stanno traendo dei bilanci e la discussione è aperta. Ciò avviene non solo in Spagna, è aperta una discussione in Germania sul bilancio storico del funzionamento del Bundesrat, un modello che viene molto citato. La mia parte non è sensibile a questa mania dell'originalità, tuttavia ritiene che sul tema delle funzioni della seconda Camera si possa cercare qualcosa che potrebbe non avere l'esatto corrispettivo in altri paesi.
Dal punto di vista delle funzioni, anche nel testo presentato nell'apposito comitato dalla collega Dentamaro, si concentrano nella seconda Camera funzioni di garanzia e, attraverso specifiche istituzioni e modelli di funzionamento, questa diventa il luogo dove il federalismo trova un suo punto di sintesi nella Repubblica e non solo nelle regioni. Pensiamo però che il modo con cui si tenta di risolvere il problema nella composizione del Senato non sia pienamente soddisfacente, per questo abbiamo presentato un emendamento offerto alla libera riflessione dei colleghi, rispetto al quale chiediamo un approfondimento delle valutazioni del senatore Grillo. Esso prevede un numero di rappresentanti assai ridotto rispetto a quelli attuali, cioè 160 senatori eletti su base regionale a suffragio universale diretto, una presenza che non oserei neppure dire di diritto, perché la legittimazione popolare di un presidente di giunta regionale è di grado molto elevato: non è un arbitrio pensare che possano sedere come senatori i presidenti delle regioni. Si prevede poi un congruo numero di sindaci. Il grado di legittimazione può anche scendere. Il numero degli elettori che partecipano alla elezione diretta di un sindaco non corrisponde certo ai milioni o alle centinaia di migliaia delle elezioni regionali. L'ipotesi quindi non è quella di una partecipazione di diritto, ad esempio dei sindaci delle città metropolitane, come pure è stato suggerito, ma quella di un'elezione diretta su liste; sindaci in carica eletti in apposite liste nel momento in cui si svolgono le elezioni comunali. Quindi, senatori eletti direttamente, presidenti di regioni, sindaci eletti direttamente: altissima legittimazione, forte mandato ed una composizione mista del Senato che può consentire a questa seconda Camera di svolgere meglio e più adeguatamente le funzioni che nel testo della collega Dentamaro vengono più dettagliatamente indicate.
Pensiamo di aver lavorato intorno ad una proposta positiva. Ci illudiamo di aver
LEOPOLDO ELIA. Ci troviamo di fronte ad uno dei problemi più difficili perché la soluzione trovata dalla Costituente su questo punto non è stata, parlando per così dire a regime, molto felice. Forse nel periodo della guerra fredda la soluzione del bicameralismo perfetto può avere giovato ad ampliare la fase della discussione e della rappresentanza e a ridurre il momento decisionistico che poteva in quel periodo prevalere. Ma superata questa lunga fase, che io continuo a considerare, malgrado tutto, transitoria, rispetto alla normalità dei rapporti internazionali ed interni, per l'omogeneità del paese, il problema non poteva non ripresentarsi con tutte le sue incertezze e difficoltà di soluzione. Ormai il bicameralismo perfetto rimane nei paesi che hanno una struttura di Governo non parlamentare: Stati Uniti e Svizzera. È finita anche la paritarietà belga, che poteva certamente rappresentare un modello parallelo.
Allora, trovandoci di fronte a queste difficoltà, non voglio approfondire, per brevità, i punti di partenza. Già il collega Bressa ed altri, tra cui il collega Salvati, vi hanno insistito. Mi interessano invece i punti di arrivo che derivano dalla necessità di prendere atto della volontà (con un consenso abbastanza largo), di sommare le necessità di una Camera di garanzia a quelle di una Camera che dia anche però una serie di raccordo alle autonomie, le regioni e alle altre comunità locali.
Questo certamente non mi fa dimenticare le critiche. Le più penetranti sono venute finora dal collega Salvati. Non dimentico che l'affermazione delle finalità (garanzie, rappresentanza e raccordo con le autonomie) non è espressa in una proposizione normativa. Si vorrebbe ricavare dalle funzioni il carattere di questa Camera, definita come Senato della Repubblica ma che nel bicameralismo differenziato necessiterebbe di una definizione più caratterizzante di quella attualmente prevista nel testo. Questo, però, è un problema di chiusura; la questione riguarda soprattutto la legittimazione alla garanzia. Io credo che oltre ai difetti ed alle critiche rivolte da quanti sono già intervenuti in altre occasioni circa l'architettura costituzionale di una seconda Camera, ciò che fa difetto e su cui dobbiamo riflettere maggiormente anche nelle prossime settimane è se esista nella caratterizzazione di questa seconda Camera una legittimazione sufficiente alla garanzia; se cioè esiste una differenza di composizione e di struttura sufficiente, rispetto alla prima Camera, per legittimare agli occhi del paese questa vocazione alla garanzia. Credo che il difetto maggiore sia ancora in un eccesso di somiglianza, di quasi identità, come composizione e come struttura: non basta dire che non vi è un rapporto fiduciario. Sulla sfiducia e non sfiducia credo che il collega Mattarella abbia già detto cose importanti. Non vorrei che la legittimazione della garanzia derivasse puramente e semplicemente dal diniego del rapporto di fiducia. Questo è il punto su cui dobbiamo riflettere.
Forse bisognerà insistere su alcune caratteristiche di elettorato passivo; forse bisognerà approfondire questo aspetto. Parto però dalla constatazione che vi è un consenso su questa vocazione alla garanzia che caratterizzerebbe la maggior parte della composizione del Senato. Insieme a tale vocazione, vi è anche quella al raccordo con le autonomie. Sono molto contento che si sia arrivati a questo punto, visto che ero partito da una situazione di completo isolamento. Venivo considerato al Senato forse un reprobo o un eretico per aver affermato, insieme a qualche altro amico e collega, anche della sinistra democratica, questa necessità e la convinzione che alla fine si sarebbe giunti alla considerazione del problema; era impossibile non giungerci, non solo perché era un elemento forte di caratterizzazione della seconda Camera, ma perché vi è una necessità obiettiva nel federalismo di dare una sede una rappresentanza alle regioni,
PRESIDENTE. Ci sono ancora numerosi iscritti a parlare ed io vorrei almeno esaurire questo argomento prima di concludere la seduta antimeridiana, anche perché siamo alle soglie dell'articolo 3 e, come voi sapete, ne dobbiamo esaminare numerosi altri. Annuncio che è quindi probabile che si debba procedere anche ad una seduta notturna per poter completare l'esame degli emendamenti ed articoli aggiuntivi all'articolato relativo a Parlamento e fonti normative.
FABIO MUSSI. Si arriverà al voto o è previsto soltanto l'esaurimento della discussione?
GIULIO MACERATINI. Presidente, l'ordine del giorno va programmato con un minimo di anticipo.
PRESIDENTE. Avevamo programmato di terminare in giornata questo tema con la possibilità, quindi, di liberare la seduta di lunedì pomeriggio, per la quale erano previste votazioni. Naturalmente, se rinunciamo a questa possibilità possiamo prevede che anche lunedì 23, nel pomeriggio, abbiano luogo votazioni. Per il momento non annuncio nulla; ci rifletteremo e alla ripresa pomeridiana dei lavori annuncerò una decisione.
Proseguiamo ora negli interventi.
STEFANO PASSIGLI. Abbiamo dinnanzi a noi, presidente, uno dei problemi che hanno maggiormente occupato il dibattito nelle ultime settimane. Abbiamo, però, un punto fermo, quello della necessità di superare il bicameralismo perfetto adottato dal Costituente nel 1947. Superamento del bicameralismo perfetto che porta, nella bozza della relatrice, all'adozione di un bicameralismo funzionalmente differenziato, quindi alla opportunità e necessità di esprimere innanzitutto un giudizio sul modo in cui è stata realizzata questa differenziazione funzionale nella bozza che abbiamo dinnanzi.
Credo che, sostanzialmente, nelle sue grandi linee tale differenziazione funzionale sia corretta e risponda ad un disegno che vuole, da un lato, una Camera politica che esprime la fiducia e, dall'altro, una Camera che conserva il potere legislativo in una serie di materie molto importanti - diritti fondamentali, organi costituzionali, leggi elettorali, politica internazionale e così via - ma sulle quali è opportuno che si possa registrare il massimo di consenso bipartisan, cioè non strettamente legato, per la loro natura, alla politica di governo. Quindi: una Camera politica, che esprime la fiducia al governo; una Camera che, per semplicità, abbiamo voluto definire delle garanzie ma che, sostanzialmente, è Camera che conserva funzioni legislative particolari e diverse, o per lo meno non strettamente connesse alla politica di Governo. Questo dovrebbe portare ad un immediato corollario: cioè che questa seconda Camera non esprime la fiducia al Governo.
Credo che si debba derivare da queste considerazioni, che mi sembrano largamente condivise nel dibattito di queste settimane, anche la conclusione che vanno respinti quegli emendamenti che tendono ad attribuire al Senato la possibilità di sfiducia.
PRESIDENTE. Le faccio presente che stiamo ora esaminando emendamenti che propongono il Bundesrat. Non è un dibattito generale, glielo ricordo per me-moria.
STEFANO PASSIGLI. È vero, è giustissimo, ma questo evita interventi futuri e,
GUIDO DONDEYNAZ. Signor presidente, per la qualità del dibattito che si sta sviluppando mi sembra che sia questo il momento in cui riprendere in esame ed argomentare l'emendamento II.1.4 che era stato precedentemente accantonato.
PRESIDENTE. Senza dubbio è da riferirsi a questa materia.
GUIDO DONDEYNAZ. Credo che, con molta semplicità, il modello si trovi esattamente
MAURIZIO PIERONI. Dal nostro punto di vista, ed anche in considerazione del lavoro svolto in seno al Comitato, la funzione di garanzia del Senato dovrebbe esplicarsi fondamentalmente nell'esercizio di tutte le attività di inchiesta, di vigilanza, di controllo, sgravando in questo modo il ruolo della Camera legata da un rapporto fiduciario con il Governo, la quale dovrebbe esercitare gran parte della sua attività negli atti di indirizzo fondamentali per le politiche decisive per le sorti del paese. Questa, presidente, è una posizione personale, perché al nostro interno c'è un ampio dibattito in materia.
Io ho visto sempre con sospetto la diffidenza federalista che si manifesta quando si tratta di trasferire concretamente poteri sul territorio alle regioni; mi richiamo all'intervento dell'onorevole Guerzoni che ieri ci ha indotto ad accantonare tutta la questione del federalismo fiscale, ma anche al dibattito che si è svolto nella Commissione al momento di assumere la decisione in materia di autonomia statutaria. E con lo stesso sospetto guardo, invece, al calore federalista che si produce quando si tratta di individuare un luogo centrale in cui afferisce il potere delle regioni, con una strana inversione della manica federalista, quasi che la via del federalismo italiano si sostanziasse nell'individuazione del luogo della concertazione tra rappresentati regionali e Stato nazionale nella capitale, anziché nella responsabilizzazione della classe politica rispetto alle politiche del territorio.
Per questo, pur essendo assolutamente convinto che siano necessari ulteriori approfondimenti e perfezionamenti, ho un orientamento preferenziale nei confronti del testo che la relatrice ci sottopone. Ma voglio cogliere l'invito alla riflessione collettiva che l'onorevole Mussi ci ha rivolto: sono sempre stato convinto che riforme di questa portata si fanno con un largo consenso. Se sulla proposta della sinistra democratica dovesse costruirsi una dimensione di consenso più ampia, non vedrei questo fatto.
L'unica cosa che mi preme sottolineare è che l'elemento pur importante e decisivo della garanzia del rispetto dei nuovi soggetti costitutivi, così come li abbiamo individuati nell'articolo 1 della proposta D'Onofrio, non oscuri tutti gli altri aspetti più generali che per noi hanno una preminenza.
FAUSTO BERTINOTTI. Per cultura ho una certa diffidenza rispetto al punto di vista scientifico, però francamente mi sto facendo l'opinione che se questa discussione venisse osservata con la lente dello studioso rimarrebbero in piedi poche cose dell'edificio che stiamo costruendo. Mi pare che si stia procedendo per aggiustamenti successivi che danno luogo però a superfetazioni crescenti, delle quali non si intende la ratio. È come se per correggere un errore si fosse indotti ad altri errori.
La premessa da cui muovono quasi tutti gli interventi è che siamo di fronte ad una acquisizione comune: la crisi e l'esigenza di un superamento radicale del bicameralismo perfetto. Verrebbe come conseguenza, a meno di controindicazioni consistenti, che la soluzione da adottare sulla base della crisi dell'istituto precedente,
PRESIDENTE. Si suppone che anche dei senatori che possono essere operai.
FAUSTO BERTINOTTI. Presidente, so bene che lei non ha un'alta stima della mia intelligenza, ma la prego di credere che fin lì ci arrivo anch'io. Non intendevo assolutamente menare infamia al singolo senatore che può essere coraggiosamente a favore della cancellazione di un istituto quando è considerato obsoleto, come il parlamentare può essere favorevole alla riduzione del numero dei parlamentari.
CESARE SALVI. Non mi sembra un argomento di grande livello.
FAUSTO BERTINOTTI. Non è di grande livello quello che viene proposto e non lo è la replica perché tutti hanno inteso che non mi riferivo a un'istanza di persone, ma non si può negare che c'è un'istanza conservatrice: poiché le Camere sono due, due devono rimanere. Togliamo qualunque riferimento alle persone, perché non era nelle mie intenzioni. Se così è stato interpretato quanto ho detto, chiedo scusa singolarmente a ogni senatrice e a ogni senatore. Rimane il problema: non vedo nascere questa istanza altro che da una opzione conservatrice. Siccome due erano, due restano, anche inventando delle funzioni che non si riescono a spiegare e a motivare. Nel caso si dovesse accedere a questa ipotesi, l'unica soluzione decente è quella di ricondurre la seconda Camera unicamente ad un compito strettamente di garanzia e limitarsi ad una riduzione del danno che almeno mantenga una certa rigorosità di ragionamento.
ETTORE ANTONIO ROTELLI. È di qualche utilità sottolineare che la genesi del problema non è quella che anche qui è stata descritta. All'epoca dell'Assemblea costituente la posizione del partito comunista, seguito dal partito socialista, era che se la sinistra avesse conquistato la maggioranza dei voti avrebbe dovuto avere la maggioranza dei seggi e conseguentemente il Governo e la volontà del Parlamento non avrebbe dovuto conoscere ostacoli. Quindi, no a una Corte costituzionale che giudicasse della costituzionalità delle leggi; no ad un referendum che abrogasse le leggi votate da quella maggioranza; no a un Consiglio superiore della magistratura che operasse indipendentemente dal potere esecutivo e dunque dalla maggioranza parlamentare; no ad una potestà legislativa delle regioni che fosse limitativa della possibilità di quella maggioranza parlamentare di fare le grandi riforme economiche e sociali; no anche ad una seconda Camera la quale fosse composta in maniera diversa dalla prima. Tutti questi istituti erano delle «trappole» tese ad impedire che la maggioranza parlamentare, cioè il Parlamento, fosse senza limiti (ringrazio il professor Elia che acconsente).
Successivamente nella storia della Repubblica il ruolo del Senato è stato quello di essere strumento della partitocrazia. Il partito comunista non ne aveva bisogno perché disponeva dello strumento della preferenza che poteva comandare, ma per gli altri partiti il modo per assicurare ad una personalità politica il seggio sicuro in Parlamento era candidarlo in determinati collegi del Senato. Questa è per me la giustificazione principale del permanere del Senato della Repubblica, anche se la cosa veniva contrabbandata con l'esigenza di garantirsi sul riesame delle leggi approvate in prima istanza.
Ho scritto il primo articolo sul Senato delle regioni nel 1976; credo che la rivista Le Regioni lo affidasse a me essenzialmente perché io avrei dovuto sostenerlo, mentre la direzione della rivista non lo avrebbe fatto volentieri all'epoca.
Quando, qualche giorno fa, il presidente D'Alema ha suggerito l'ipotesi di un Senato per metà delle regioni, gli ho consegnato un'elaborazione di alcuni anni fa - dalla quale è tratta gran parte delle mie proposte - in cui veniva presa in considerazione questa ipotesi.
Ma quella proposta presupponeva quanto non è avvenuto, cioè che i comuni e le province fossero rifatti da capo, a
FRANCESCO SERVELLO. Mi permetto anzitutto di contestare l'affermazione molto drastica del collega Bertinotti, cioè l'essere questa seconda Camera, per come si va delineando, solo una conservazione dell'esistente.
Mi permetto di dire che l'unico elemento rivoluzionario, se così andranno le cose, è proprio questo. Intanto bisognerà verificare la possibilità di ridurre i senatori da 315 a 200: dopo più di 45 anni realizzare questo risultato sarebbe già rivoluzionario. Non parlo della Camera perché è già abbastanza locupletata, e quindi non ha molto da soffrire da un'eventuale riduzione del numero dei suoi componenti: comunque, ci saranno problemi anche in questo senso.
Caro Bertinotti, durante il dibattito sulla forma di Stato ci siamo trovati di fronte a tante ipotesi. La nostra, per esempio, prevedeva a un certo punto la costituzionalizzazione della conferenza Stato-regioni e - avremmo aggiunto - autonomie locali. Si è detto: è poco, salvo poi una modifica che sarebbe stata proposta da altri colleghi.
La soluzione Villone francamente non mi pare in sintonia con l'ordinamento che abbiamo voluto finora disegnare. Se avessimo deciso di istituire il Parlamento federale avremmo dovuto costituire le regioni come piccoli Stati, federati tra loro, che avrebbero dato luogo ad una Camera e ad un Senato federali. Ma così non è stato. La soluzione Villone inserita in quella logica poteva avere un senso; invece, in questa fase di evoluzione della Repubblica in senso federale bisognava collocare in una delle due Camere l'istanza che per ora è stata variamente presente nella cosiddetta conferenza delle regioni.
La proposta Elia-Zecchino ci è sembrata già di per sé un fatto nuovo di grande rilievo. Mi permetto di dissentire in modo deciso, anche come senatore di questa Repubblica, da quello che ha affermato poc'anzi il collega Rotelli. Quando faccio il senatore - e quando ho fatto per 35 anni il deputato - lo faccio in rappresentanza non soltanto di Milano o della Lombardia ma degli interessi generali dell'Italia. Chi dovesse far parte come senatore di quella commissione composta da un terzo di senatori eletti nelle rispettive regioni, da un terzo di presidenti di giunte regionali, oltre a un terzo di rappresentanti delle autonomie, rappresenterà gli interessi generali, sensibile non solo alle spinte del territorio dove si è
PRESIDENTE. A questo punto, aggiornerei i nostri lavori alle ore 15,30; su questo tema sono esaurite le iscrizioni a parlare ed alla ripresa pomeridiana interverremo sia la relatrice sia io.
Informo che alle 15.30, come del resto avevamo stabilito, si procederà innanzitutto a votare sul tema del federalismo fiscale, che avevamo accantonato; successivamente, riprenderemo l'esame del fascicolo a partire da quest'ultima questione. Avverto, infine, che la seduta pomeridiana proseguirà fino alle 20.30, ora alla quale è prevista una pausa, dopo di che la seduta riprenderà.
La seduta termina alle 13.35.
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