RESOCONTO STENOGRAFICO SEDUTA N. 40

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La seduta comincia alle 15.40.


(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Seguito dell'esame dei progetti di legge di revisione della parte seconda della Costituzione.


PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame dei progetti di legge di revisione della parte seconda della Costituzione. Ricordo che dobbiamo proseguire nell'illustrazione degli emendamenti al testo del senatore D'Onofrio (forma di Stato).(v. il testo base, gli emendamenti a tale testo, gli emendamenti del relatore interamente sostitutivi ed i relativi subemendamenti, gli ulteriori emendamenti riformulati agli emendamenti del relatore)
Poiché sono in corso votazioni del Parlamento in seduta comune, per consentire di votare ai colleghi che ancora non lo hanno fatto, alla conclusione dell'esame di questo punto, tra circa un'ora, sospenderemo brevemente i nostri lavori.
La seduta di questa mattina si è conclusa con l'approvazione del subemendamento Soda e Villone I.0.13.12.4.


FRANCESCO SERVELLO. Quando abbiamo affrontato l'articolo 12 - ritengo per un'involontaria distrazione - un emendamento a firma mia, Pasquali e Nania non è stato neanche evocato.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Non vi è più l'articolo 12 che è rientrato fra le materie di competenza statale.


FRANCESCO SERVELLO. Però non so se sia stato recepito il principio.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. All'epoca, no.


FRANCESCO SERVELLO. Con il nostro emendamento avevamo suggerito di aggiungere alle parole «mediante concorso», le seguenti «senza limitazioni di provenienza territoriale».


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Di questo si discuterà adesso.


PRESIDENTE. Non ho posto in votazione alcun emendamento all'articolo 12 perché è stato approvato un emendamento soppressivo. Evidentemente una volta soppresso l'articolo si intendono decaduti gli emendamenti ad esso riferiti.
Passiamo al subemendamento Boato I.0.13.12.1 con il quale si propone di sopprimere il primo periodo del secondo comma e di aggiungere, al secondo periodo, dopo la parola «disciplinari», le seguenti «per violazione dei doveri d'ufficio». In sostanza, l'onorevole Boato propone di sopprimere la frase «i loro compiti sono definiti in modo che si possano far valere le loro responsabilità nei confronti dei privati e della pubblica amministrazione conseguenti alla violazione dei loro doveri d'ufficio».


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Esprimo parere favorevole, perché l'emendamento semplifica la norma e migliora il testo.


FRANCESCO SERVELLO. Preannuncio il voto favorevole.


PRESIDENTE. Anch'io sono favorevole.


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Pongo in votazione il subemendamento Boato I.10.13.12.1.


(È approvato).


Passiamo al subemendamento Servello I.0.13.12.3 che propone di aggiungere all'articolo 13, terzo comma, laddove si stabilisce che agli impieghi alle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, le parole «senza limitazione di provenienza territoriale».


FRANCESCO SERVELLO. L'emendamento si illustra da solo.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Questo concetto è già contenuto laddove si stabilisce che le regioni non possono in qualsiasi modo limitare la circolazione di persone e di cose né limitare il diritto dei cittadini di esercitare in qualunque parte del territorio nazionale professione, impiego o lavoro, e naturalmente questo vale anche per lo Stato. La norma proposta, pertanto, mi sembra superflua perché il suo contenuto è già garantito dalle leggi vigenti e dalla Costituzione.
Il principio dell'indifferenza rispetto al territorio è garantito con un divieto generalizzato per le regioni, questo emendamento lo esplicita in particolare per la pubblica amministrazione, ma noi abbiamo già stabilito che valga anche per l'impiego privato introducendo una norma ancora più rigorosa.


FRANCESCO SERVELLO. Con queste precisazioni credo che l'articolo qui evocato, pur parlando di libera circolazione in senso più generale, comprenda anche i concorsi. Ritiro quindi il mio subemendamento.


PRESIDENTE. Ci sono adesso il subemendamento Cossutta I.0.13.12.2 che propone di sopprimere le ultime due righe, cioè fa salve le eccezioni previste dalle leggi, il subemendamento Bressa I.0.13.12.7 che propone di sopprimere dalle parole «per funzioni» fino alla fine, il subemendamento Villone I.0.13.12.5 che propone di sostituire il periodo con l'espressione «salvo i casi per i quali la legge o i regolamenti stabiliscono modalità di accesso diverse». Vorrei innanzitutto chiedere se quest'ultimo subemendamento, sul quale il relatore esprime parere favorevole, assorba o meno gli altri.


FAUSTO MARCHETTI. No, presidente, per noi il problema è di sopprimere il riferimento ai regolamenti.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Credo che il riferimento ai regolamenti debba rimanere perché nel testo abbiamo previsto pochi principi costituzionali che vincolano la pubblica amministrazione e gli enti locali non avrebbero leggi che regolano la materia, ma solo regolamenti e autorizzazioni. Nel loro caso, quindi, non vi sarebbe alcuna deroga che, invece, va prevista.


FAUSTO MARCHETTI. È la legge che deve prevedere deroghe al pubblico concorso.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Sì, ma poiché nel contesto delle cose che abbiamo approvato non vi sarebbero riserve di legge in materia di organizzazione amministrativa per gli enti locali, ma solo per la regione e per lo Stato, in questo caso la previsione di deroghe può essere fatta solo dal regolamento non dalla legge. Per ciò è necessario stabilire che la deroga al concorso sia fatta dalla legge o dal regolamento: il resto si può togliere, ma le due fonti normative di deroga devono rimanere entrambe.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Vi è un aspetto che non è stato considerato: l'origine della norma, per lo meno nel comitato forma di Stato, era che si deve ammettere che un governo centrale o regionale al momento del suo avvento o in seguito possa disporre di un certo numero di pubbliche funzioni attribuite sulla base


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della fiducia. Ora, queste cariche devono essere espressamente indicate perché, in generale, vige invece il principio del concorso. Se così deve essere, occorre che ad indicarle sia la legge; se invece sono indicate da un regolamento, stiamo parlando di un atto che è o può essere emanato dallo stesso governo che deve effettuare le nomine.
Insomma, nel momento in cui c'è l'avvento di un nuovo Governo, si devono individuare le cariche che il Governo può attribuire a determinate persone in un certo modo. Tutto ciò deve essere previsto da una legge e non da un regolamento perché - ripeto - quest'ultimo è un atto del Governo. Secondo me questo aspetto non è stato considerato.


CESARE SALVI. Mi pare che il chiarimento fornito dal relatore sia da condividere. L'obiettivo è anche evitare di dover emanare una legge nazionale ogni qual volta si debba intervenire in questo campo. Invece salvaguarderei - sia pure con una riformulazione riferita all'espressione «funzioni e qualifiche» - la necessaria predeterminazione in via generale ed astratta; questo è il modo per far fronte alle giuste esigenze che il collega Rotelli sollevava in alcune parti del suo intervento.
Mi era sembrato che il relatore fosse favorevole ad una eliminazione della parte finale della norma, che io invece non eliminerei perché nella determinazione in via generale ed astratta vedo la garanzia contro il rischio di abusi e che immagino sia stata prevista a tal fine.


MASSIMO VILLONE. Non credo, presidente, che la questione meriti tanta discussione. Se una formulazione che recitasse «salve le eccezioni previste dalle leggi e dai regolamenti in via generale ed astratta» soddisfacesse tutti, per me andrebbe bene.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Concordo con questa proposta perché abbiamo visto che la previsione delle deroghe all'obbligo di concorso relative a determinate funzioni e qualifiche aveva fatto sorgere l'obiezione che questa formula è legata alla contrattazione in atto, mentre può darsi che di qui a qualche anno non esistano funzioni e qualifiche.
Quindi l'espressione «in via generale ed astratta» è da condividere perché riguarda il complesso della norma, mentre quella concernente «funzioni e qualifiche» è troppo legata al contingente.
La formula potrebbe essere «salvi i casi per i quali la legge o i regolamenti stabiliscano in via generale ed astratta modalità di accesso diverse».


PRESIDENTE. Vorrei chiedere al senatore Marchetti se questa formulazione, che nelle intenzioni del relatore esclude la possibilità di regolamenti ad hoc, lo soddisfi.


FAUSTO MARCHETTI. Presidente, siamo al punto di partenza: il riferimento a funzioni e qualifiche determinate in via generale ed astratta era già previsto, quindi la situazione non si modifica.


FRANCESCO SERVELLO. Presidente, non ho capito il testo che si propone.


PRESIDENTE. In sostanza, senatore, verrebbe meno esclusivamente l'espressione «per funzioni e qualifiche» nell'ultimo comma dell'emendamento I.13.12 del relatore. Alle pubbliche amministrazione si accede in via generale tramite concorso, salve le eccezioni previste dalle leggi e dai regolamenti in via generale ed astratta.
Resterebbe la qualificazione dei regolamenti in via generale ed astratta, ancorché non elegantissima, perché si ritiene che in questo modo si eviterebbe il rischio di una norma regolamentare ad hoc.


FRANCESCO SERVELLO. Non ho capito che cosa significa «in via generale ed astratta».


PRESIDENTE. Vuol dire che non si riferisce ad un caso concreto.


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FRANCESCO SERVELLO. Non c'è ragione di inserire questa norma di carattere del tutto teorico: basta dire «in via generale». Sono inoltre preoccupato dalla parola «regolamento»: fin quando ci ispiriamo a leggi (le quali a loro volta possono prevedere regolamenti) è un conto, ma prevedere in Costituzione che i concorsi si svolgono in un certo modo anche in sintonia con i diritti previsti per il cittadino all'articolo 4, con eccezioni possibili previste mediante regolamento, mi sembra in contrasto con il principio generale.


PRESIDENTE. Il suo punto di vista è perfettamente legittimo, tanto è vero che il senatore Marchetti propone di eliminare anche il riferimento ai regolamenti.


MARCELLO PERA. Vorrei associarmi a questo rilievo. Come lei ha detto, presidente, la dizione «in via generale ed astratta» associata a regolamenti è veramente poco elegante; in ogni caso, niente impedisce di emanare un regolamento in via generale ed astratta che poi in realtà costituisca una misura ad hoc o ad personam.
Se lo scopo della norma è quello ricordato dal collega Rotelli e sul quale conveniva anche il senatore Salvi, cioè quello di predeterminare una serie di cariche su cui un Governo deve poter contare come di sua esclusiva pertinenza, forse sarebbe opportuno limitare il riferimento alla legge. È ovvio che in questo caso esisteranno i caratteri della generalità e dell'astrattezza.


PRESIDENTE. La questione è chiarissima: la proposta di rifondazione comunista è di abrogare le parole «e dai regolamenti» fino alla fine del comma; c'è poi invece chi propone di mantenere il riferimento ai regolamenti, limitando il rischio di una regolamentazione ad hoc, aggiungendo l'espressione «in via generale», che forse - ha ragione il senatore Servello - potrebbe essere sufficiente.
Penso che possiamo passare ai voti.
Pongo in votazione il subemendamento Cossutta I.0.13.12.2.


(È approvato).


Pongo in votazione l'emendamento D'Onofrio I.13.12, nel testo modificato dai subemendamenti approvati.


(È approvato).


Passiamo all'articolo 14 del testo base, per il quale il relatore propone di mantenere il testo originario. Ricordo che tale articolo prevede il divieto di iscriversi a partiti politici per tutta una serie di categorie di pubblici dipendenti.
L'emendamento Salvi I.14.1 propone di aggiungere ai partiti politici anche le organizzazioni collaterali (che mi sfugge quali siano).
Vorrei domandare all'onorevole D'Amico se intenda mantenere il suo emendamento I.14.2.


NATALE D'AMICO. Sì.


PRESIDENTE. Faccio presente che quest'emendamento ripristina l'attuale dizione del terzo comma dell'articolo 98 della Costituzione. Ovviamente, non voglio discutere il merito dello stesso, desidero solo sapere se il presentatore ne chieda la votazione.


NATALE D'AMICO. Sì.


PRESIDENTE. Vi è poi, sempre all'articolo 14, l'emendamento Salvi ed altri I.14.1.


FABIO MUSSI. L'abbiamo ritirato.


PRESIDENTE. Domando, allora, al relatore di esprimere il proprio parere sull'emendamento D'Amico I.14.2.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Mi rimetto alla Commissione.


FRANCESCO SERVELLO. Ritengo che o la norma viene inserita con una definizione


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chiara e precisa per la quale sono stabilite le limitazioni con legge, ed allora ha un senso, altrimenti inserire in Costituzione che si possono stabilire limitazioni per categorie così importanti mi sembra alquanto...


PRESIDENTE. Onorevole Servello, la questione è importante: si può inserire in Costituzione l'espressione «si possono» perché, se non la si inserisce, non si potrebbero stabilire quelle limitazioni, in quanto nessuno può limitare i diritti politici di un cittadino; è una cosa talmente importante che, se non si scrive in Costituzione che si possono prevedere delle limitazioni, nessuna legge ordinaria può introdurle.


FRANCESCO SERVELLO. È l'espressione «si possono» a lasciarmi perplesso.


PRESIDENTE. Sì, ma anche l'espressione «si possono» in questo caso ha un significato.


MARCO BOATO. Comunque, essa è già contenuta nel terzo comma dell'articolo 98 della Costituzione vigente.


PRESIDENTE. Ho già spiegato che il collega D'Amico propone di ripristinare l'attuale testo della Costituzione. Quindi, vuol dire che l'espressione «si possono» può essere inserita, tant'è vero che c'è nella Costituzione vigente. Dobbiamo ora decidere se vogliamo inserire una norma più rigida oppure mantenere l'attuale testo costituzionale. Quindi, è una decisione che ha un significato.


FRANCESCO SERVELLO. Dal punto di vista politico generale, sono d'accordo sul fatto che le due definizioni non confliggono tra loro, perché nella sostanza delle norme bisognerà pur prevederle.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento D'Amico I.14.2, sul quale il relatore si è rimesso alla Commissione.


(È approvato).


Passiamo ora alla votazione dell'articolo 14 con la modifica testé approvata.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Vorrei sapere quando verrà discusso e votato il mio emendamento.


PRESIDENTE. C'è un suo emendamento all'articolo 14? Dal fascicolo non risulta. A quale emendamento si riferisce?


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Nel fascicolo originario era a pagina 71 e si riferisce all'articolo 13.


PRESIDENTE. Ma abbiamo già esaurito l'esame dell'articolo 13.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Lo so, ma immaginavo che lo aveste accantonato per esaminarlo nell'ambito dell'articolo 14; in realtà, l'ho consegnato questa mattina agli uffici per testimoniare che non intendevo abbandonarlo.


PRESIDENTE. Le chiedo scusa, ma ormai...


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Mi dispiace perché l'ho consegnato espressamente questa mattina, ne ho parlato con il presidente del Comitato forma di Stato e con il relatore. Comunque, se possiamo esaminarlo nell'ambito dell'articolo 14...


PRESIDENTE. Dispiace anche a me, ma purtroppo esso è parte costitutiva dell'articolo 13 e non attiene per nulla al tema dell'iscrizione ai partiti politici.
Intendiamoci, siamo in sede referente, possiamo anche votare su di esso e poi eventualmente, in sede di coordinamento, incorporare il principio; formalmente non potremmo procedere in questo modo, però...
Per chiarezza, do lettura di alcune parti dell'emendamento Rotelli I.13.7:
«L'impiegato pubblico è responsabile della sua produttività, elemento costitutivo della retribuzione e del rapporto di lavoro.


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«Il funzionario pubblico è responsabile dell'organizzazione dell'ufficio, dell'efficienza crescente dello stesso, della qualità del servizio, del conseguimento dei risultati, della violazione dei doveri professionali». Questo concetto si potrebbe anche espungere perché è già stato introdotto.
È chiaro che quest'emendamento non sarebbe ammissibile; tuttavia, poiché la sua mancata trattazione è dovuta ad un errore della presidenza, in quanto il testo dell'emendamento era effettivamente pervenuto, ma è sfuggito nella confusione, posso sottoporlo a votazione e, qualora venisse approvato, si tratterebbe di dare mandato al relatore in sede di coordinamento di collocare nell'ambito dell'articolo 13 questi mandati imperativi contenuti nell'emendamento Rotelli; certo che, dopo l'approvazione dell'articolo 13, non vorrei essere un impiegato pubblico!


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Avevo inserito queste disposizioni nella prima stesura del testo base recependo proprio un emendamento del collega Rotelli e poi, in seguito ad alcuni emendamenti apportati al testo base, le avevo tolte. Il collega Rotelli insiste perché si voti tale emendamento: come relatore ribadisco che originariamente ero favorevole ad esso, per cui lo si metta in votazione e, se la Commissione esprimerà voto contrario, se ne terrà conto e potrà comunque essere ripresentato successivamente.
Ripeto che il collega Rotelli indica un'esigenza opportuna su una questione che era stata da lui posta con un emendamento al mio primo testo base, da me accolto e poi tolto dal secondo testo base in seguito alla presenza di altri emendamenti, per cui ritengo comunque opportuno che la Commissione deliberi in proposito.


PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento Rotelli I.13.7.


RENATO GIUSEPPE SCHIFANI. Vorrei chiedere se il collega Rotelli possa illustrare l'emendamento.


PRESIDENTE. Non vorrei che si creasse un incidente. Il testo è evidente nel suo significato: tende ad evidenziare la responsabilità dell'impiegato pubblico nei confronti del funzionamento dell'ufficio e dell'efficienza del medesimo. Ne abbiamo discusso anche prima.
Pongo in votazione l'emendamento Rotelli I.13.7.


(È respinto).


Pongo in votazione l'articolo 14, nel testo emendato dalla proposta D'Amico.


(È approvato).


Passiamo ora all'esame delle disposizioni transitorie e finali.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. In ordine alle disposizioni transitorie e finali c'è una questione molto delicata concernente il modo attraverso il quale le regioni a statuto speciale entrano nel possesso di funzioni legislative nuove; poiché le cinque regioni a statuto speciale hanno ordinamenti diversi, si è posta la questione di tale diversità.
Prima di esprimere la mia valutazione nei riguardi dei vari emendamenti presentati, trattandosi di una materia molto delicata vorrei che fosse possibile riconsiderarla alla luce dell'emendamento, che vedo per la prima volta, a firma Andreolli ed altri. Chiedo ai presentatori di illustrarlo e ai colleghi che abbiano opinioni diverse di esprimerle, perché si tratta di un punto molto delicato per le regioni a statuto speciale.


PRESIDENTE. Si tratta effettivamente di una questione molto importante, ma prima di passare a questo emendamento, che è interamente sostitutivo della II disposizione, dobbiamo votare i due subemendamenti Zeller I.0.15.6.2 e I.0.15.6.3 presentati alla I disposizione.


KARL ZELLER. Sono ritirati.


PRESIDENTE. Sta bene.


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È ritirato anche il subemendamento soppressivo del comma 2?


KARL ZELLER. Confermo che i primi due sono ritirati. Il subemendamento I.0.15.6.4 viene mantenuto. Potrebbe forse essere superfluo votarlo, perché con il subemendamento che abbiamo presentato poc'anzi la questione delle due province autonome e del rapporto con la regione Trentino-Alto Adige è superata.


PRESIDENTE. Quindi, il comma 2 si può sopprimere, perché la questione viene poi affrontata...
Se il relatore concorda, porrei in votazione la proposta di soppressione del comma 2.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Vorrei però capire cosa succede dopo. Infatti, nella mia formulazione si dice che la regione Trentino-Alto Adige si articola nelle province di Trento e Bolzano; se resta il comma 1, resta la regione Trentino-Alto Adige. Per me va bene, però l'articolazione nelle province era una garanzia ulteriore; se togliamo il comma 2, resta soltanto la regione.


PRESIDENTE. Ma il tema dell'articolazione viene affrontato nella II disposizione.


MARCO BOATO. Forse ha ragione il relatore; se fissiamo questo principio, la II disposizione si interpreta in modo sistematico.


PRESIDENTE. La richiesta quindi è di lasciare l'articolazione, come premessa poi alle disposizioni contenute nella II disposizione.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Presidente, nonostante l'abitudine a parlare di «disposizioni transitorie e finali», gradirei che la I disposizione venisse indicata come «disposizione finale», in quanto non è transitoria. A mio giudizio, le regioni a statuto speciale sono garantite nella stabilità costituzionale e non nella transitorietà.
Nell'articolo originario - è vero - avevo scritto che vi erano cinque regioni a statuto speciale. Il punto è di rilievo politico; deve essere chiaro che nel testo della Costituzione stabile, non nella parte transitoria, le regioni a statuto speciale vengono garantite e mantenute. La loro specialità non è un fatto transitorio, a mio giudizio.


MARCO BOATO. Presidente, sono d'accordo con quanto affermato dal relatore, salvo che questa disposizione, a parte il comma 2, riguarda le regioni a statuto ordinario. Sono favorevole a parlare di «disposizione finale» e non transitoria, salvo le modifiche dei confini, però il relatore non si è accorto che la sua I disposizione non riguarda le regioni a statuto speciale, per le quali abbiamo provveduto con una norma che è nel corpo della Costituzione. Questa invece riguarda le regioni a statuto ordinario, che il relatore ha tolto dal corpo della Costituzione e ha inserito in una disposizione finale. Quindi, deve essere «finale», ma non per il motivo che riguarda le speciali.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Ha ragione il collega Boato, deve trattarsi di «disposizione finale» e non transitoria per tutte le regioni, non solo per quelle a statuto speciale.


TARCISIO ANDREOLLI. Confermo la mia valutazione. È vero che sarebbe bene evidenziare la strutturazione della regione in due province autonome, ma non è necessario nella misura in cui esiste già nello statuto. Nella II disposizione transitoria è più esplicitata.
Ci rimettiamo alla maggioranza dei presenti, in quanto non riteniamo fondamentale l'articolazione in due province. Ci affidiamo comunque all'opinione del relatore.


PRESIDENTE. Il relatore propone di mantenere il comma 2 della I disposizione.


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Onorevole Zeller, ritira l'emendamento soppressivo?


KARL ZELLER. Lo ritiro, presidente. Mi riservo comunque di ripresentarlo in Assemblea, perché la formulazione non mi piace molto.

PRESIDENTE. Passiamo all'illustrazione del subemendamento I.0.15.6.1.


TARCISIO ANDREOLLI. La ragione della presentazione di tale subemendamento risiede nel fatto che si vogliono confermare, per quanto attiene a tutte le regioni a statuto speciale, le modalità per approvare e modificare gli statuti, che è legge costituzionale.
Il subemendamento si articola in due punti: il primo riguarda una norma transitoria per recepire le modifiche della futura nuova Costituzione. In questo testo si dice che, mentre la Sicilia e la Sardegna, nel termine di due anni, hanno la possibilità di recepire, in quanto più favorevoli, i principi della nuova Costituzione con legge regionale, per le altre tre regioni a statuto speciale - Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta, regioni che hanno problemi di plurilinguismo - la procedura è diversa, in quanto c'è una proposta di modifica formulata dai consigli regionali. Per la regione Trentino-Alto Adige in particolare c'è una proposta triplice, vale a dire dei due consigli provinciali e poi della successiva, conforme deliberazione del consiglio regionale. Questa proposta deve essere formulata entro due anni dall'entrata in vigore della nuova Costituzione, spirati i quali, qualora le proposte non pervengano, il Parlamento procede autonomamente nella modifica costituzionale. Si dice anche che le modifiche così approvate non sono comunque sottoposte a referendum, perché è abbastanza evidente che sono singole proposte puntuali e sarebbe abnorme sottoporre a referendum nazionale una modifica dello statuto della Valle d'Aosta piuttosto che del Trentino-Alto Adige.
Il secondo punto riguarda invece la situazione a regime: d'ora innanzi gli statuti di tutte e cinque le regioni saranno modificati con legge costituzionale, ma previo parere dei rispettivi consigli regionali e, per quanto riguarda la regione Trentino-Alto Adige, dei consigli provinciali con deliberazione successiva e conforme del consiglio regionale; le proposte saranno oggetto di modifica costituzionale con procedura ordinaria.
La seconda ipotesi riguarda la modifica dello statuto in via ordinaria su proposta di deputati, senatori o del governo. In questo caso, prima di procedere all'esame delle proposte relative vi deve essere il parere delle rispettive regioni, parere che deve essere espresso entro sei mesi dalla richiesta; spirati questi sei mesi, qualora il parere non sia espresso, il Parlamento può procedere.
In sostanza: conferma di leggi costituzionali, innovazione sulle procedure, perché in via straordinaria si arriva solo su proposta, in via ordinaria o su proposta o su parere, dopo di che si procede sempre con legge costituzionale.


ADRIANA PASQUALI. Signor presidente, rispetto ai subemendamenti originariamente presentati dall'onorevole Zeller, il subemendamento Andreolli I.0.15.6.1 potrebbe apparire il frutto di una ricerca di posizioni di equilibrio in cui tutte le esigenze, che evidentemente hanno in sé parziali conflittualità, trovino il giusto grado di soddisfacimento. Se non che a me sembra che in tale subemendamento siano presenti ancora due punti che alleanza nazionale non può condividere o sposare in toto.
Anzitutto, non vedo perché ci debba essere il passaggio obbligato dai consigli provinciali, quando questo non è assolutamente previsto dallo statuto di autonomia del 1972 che prevede il normale iter con legge costituzionale.
Si deve in ogni caso tenere presente che le province di Trento e Bolzano sono state sussunte nell'ordinamento costituzionale per effetto dello stesso statuto e non per altro. A me sembra, per lo meno a me viene il dubbio che la Commissione bicamerale, ove recepisse quanto previsto dal


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subemendamento che stiamo esaminando, potrebbe dare mano direttamente ed immediatamente ad una modifica dello statuto, ciò che esula dalla competenza - così come ci siamo accordati fin dall'inizio - della bicamerale stessa.
Un altro punto non condivisibile - questo è più importante - riguarda il riferimento agli obblighi internazionali. Una simile dizione fa pensare ad obblighi internazionali in proiezione futura, quando viceversa lo Stato italiano ha adempiuto da tempo agli obblighi nascenti dall'accordo De Gasperi-Gruber - io sostengo fin dal 1948, con il primo statuto - in quanto nella fase del pacchetto, cioè negli anni sessanta, l'Italia aveva notificato all'Austria che la concessione di nuovi poteri di autonomia aveva carattere interno e non comportava obblighi internazionali nuovi o ulteriori. Se questa era la posizione del Governo italiano all'atto dell'installazione della Commissione dei diciannove e dell'elaborazione del pacchetto, mi domando perché dovremmo costituzionalizzare nel 1997 il riconoscimento di obblighi internazionali in ordine ai quali abbiamo comunque la quietanza liberatoria dall'Austria fin dal 1992.
Queste sono domande, sono perplessità; proprio perché non sono certezze assolute - non ritengo di essere depositaria di alcuna verità - mi sembra che la posizione più aderente a quanto ho detto sia quella dell'astensione, che annuncio a nome del gruppo di alleanza nazionale.


RENATO GIUSEPPE SCHIFANI. Presidente, vorrei rilevare come nella stesura del testo del relatore mi trovassi pienamente d'accordo nella parte in cui era prevista la possibilità di adeguamento con legge interna, cioè legge regionale, alla norma più favorevole ad opera delle regioni a statuto speciale. È un modello semplice e nello stesso tempo utile a che queste regioni possano avvalersi di un nuovo sistema che viene riconosciuto alle regioni a statuto ordinario. Se lo fanno in forza di una norma di rango costituzionale, personalmente non credevo e non credo che la frammistione al loro interno tra una legge costituzionale di approvazione del loro statuto ed una legge di adeguamento, non munita di rango costituzionale ma realizzata in forza e in applicazione di una norma costituzionale che consentiva questo percorso, determinerebbe ibridismi istituzionali.
Pur tuttavia, posto che il subemendamento Andreolli esclude alcune regioni dalla procedura rigida dell'adeguamento alla norma più favorevole, preannuncio che chiederò la votazione per parti separate su questo subemendamento, il quale credo sia portatore di varie problematiche che a mio modesto parere meriterebbero una riflessione, una votazione articolata.
Fatta questa riflessione sul mio parere favorevole alla norma del relatore, nel momento in cui si estrapolano da questa possibilità più agile soltanto alcune regioni in forza di problemi di carattere istituzionale e internazionale o etnico-linguistico, non manifesterò parere contrario a questa differente corsia preferenziale.
Mi rendo tuttavia conto che la seconda parte del subemendamento Andreolli introduce un'innovazione in ordine alla partecipazione garantita delle province al sistema di adeguamento di questi statuti alla norma più favorevole, secondo una procedura che ritrovo nell'ultimo comma a proposito delle modifiche a regime degli statuti, in quanto viene prevista l'audizione, addirittura la partecipazione e la proposta delle stesse province. Condivido la perplessità della collega Pasquali; anche se non intendo assumere una posizione di merito, devo dire che il subemendamento contiene in sé parecchie innovazioni e problematiche.
La mia posizione è - ripeto - pienamente favorevole sul primo comma; sul secondo ho delle perplessità che mi indurrebbero ad un voto di astensione, mentre vorrei fare una riflessione sull'ultimo.
Avevo presentato insieme al collega Dondeynaz il subemendamento I.0.15.6.12, che affrontava il tema delle modifiche degli statuti speciali a regime, ossia nel caso dell'ordinarietà dell'esigenza della riforma. La lettura del subemendamento


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Andreolli mi preoccupa quando dice «successivamente», come se in ogni caso si dovesse arrivare ad una modifica degli statuti; preferirei una dizione un po' più chiara, per cui, prima delle parole «gli statuti» scriverei «negli altri casi». Questa perifrasi è presente nel subemendamento da me presentato, che scinde le ipotesi di modifica in relazione ad esigenze differenziate.
L'ultimo periodo del subemendamento introduce e tutela la possibilità dell'intervento parlamentare o governativo sulla procedura di modifica degli statuti speciali. Su questo particolare argomento avrei qualcosa da dire, perché questi sono statuti di natura pattizia, bilaterale; alcuni come quello siciliano non contemplano al loro interno la procedura di modifica in quanto adottati prima della Carta costituzionale. Dovremmo allora trovare una soluzione che consenta il mantenimento e la tutela del carattere pattizio dell'accordo: se dovesse rimanere l'iniziativa parlamentare o governativa di modifica degli statuti, occorrerebbe non tanto garantire la procedura di acquisizione di un parere (che mi sembra, tra l'altro, un po' astratto, perché non viene qualificato né è ritenuto vincolante) quanto introdurre un principio di intesa nella modifica di questi statuti. È infatti necessario assicurare un piano di parità istituzionale e costituzionale negli accordi tra Stato e regioni.
Sull'ultimo periodo, pertanto, preannuncio il mio voto contrario, a meno che il relatore o la Commissione non decidano di elaborare una espressione che meglio chiarisca il rispetto dei concetti a cui ho fatto cenno.


PRESIDENTE. Hanno chiesto di parlare l'onorevole Boato, l'onorevole Zeller, il senatore Servello, il senatore Villone... Sapevo che saremmo finiti a Bolzano...


MARCO BOATO. Cercherò di essere sintetico, presidente, ma - come lei ha ironicamente notato - la materia è delicata. È bene che risulti chiaro cosa stiamo decidendo con questo dibattito, anche perché se la norma entrerà in vigore i futuri interpreti dovranno disporre di una opportuna e chiara documentazione.
La proposta emendativa che sostituisce l'intera disposizione II presentata dal relatore, facendone in parte proprio il contenuto, consiste in due parti: il comma 1 è una disposizione transitoria, il comma 2 è una disposizione finale.
Il primo comma prevede che gli statuti delle regioni ad autonomia speciale si adeguino alle innovazioni normative di questa revisione costituzionale in quanto più favorevoli. La Sardegna e la Sicilia lo faranno con legge regionale, mentre per Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta (le regioni in cui l'assetto interno è più complesso per i motivi a cui ha fatto cenno il senatore Andreolli) la procedura prevede una legge costituzionale in base ad una proposta deliberata dal consiglio regionale; nel caso del Trentino-Alto Adige, poi, quest'ultima deve essere conforme ai pareri precedentemente espressi dai consigli provinciali di Trento e Bolzano. La collega Pasquali ha sollevato in proposito una serie di obiezioni molto garbate e motivate: vorrei dirle che, a fronte di un riconoscimento del ruolo delle due province autonome, la potestà deliberativa spetta al consiglio regionale. Occorre però prendere atto dell'assetto della particolare autonomia del Trentino-Alto Adige, il quale nell'unico statuto speciale prevede anche le due province autonome. Quindi capisco le riserve della collega, ma mi pare che l'equilibrio trovato sia rispettoso dello statuto di autonomia come si è configurato fino ad oggi: si prevede la deliberazione del consiglio regionale e la conformità di quest'ultima alle proposte dei consigli provinciali. Ciò implica che nel sistema tripolare dell'autonomia sia individuato un accordo: se non esistesse la capacità di trovare un accordo nell'arco di due anni, il Parlamento provvederebbe direttamente ed autonomamente alla revisione dello statuto (trattandosi di legge costituzionale).
Il secondo comma del testo in esame costituisce una disposizione finale, perché prevede come si procederà - passati i due


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anni dall'adeguamento alle disposizioni costituzionali che stiamo deliberando - per rivedere gli statuti delle regioni ad autonomia speciale. La disposizione prevede che per le cinque regioni si procederà in via ordinaria su proposta dei consigli regionali (conformemente, per quanto riguarda il Trentino-Alto Adige, alle proposte dei consigli provinciali di Trento e di Bolzano), nel caso di iniziativa governativa o parlamentare acquisendo il parere delle regioni e delle province autonome interessate (che deve essere espresso nell'arco di sei mesi, altrimenti si può provvedere comunque).
Non credo sia condivisibile l'obiezione del collega Schifani: il Governo ed il Parlamento non sono vincolati ad una decisione conforme, perché una norma che obbligasse il Parlamento ad autolimitare totalmente il suo potere legislativo in materia di leggi costituzionali francamente non reggerebbe nemmeno di fronte alla Corte costituzionale. Ecco perché chiederei al collega Schifani - che ha espresso le sue riserve con grande problematicità - di riflettere ulteriormente su questo punto.
In realtà non si possono modificare gli statuti senza il previo parere dei consigli regionali: è una forte innovazione, è una norma che oggi non esiste. Non si innova in peius rispetto al 1948, ma in meglio dal punto di vista della garanzia delle autonomie speciali. D'altra parte non si può nemmeno impedire al Parlamento di esercitare il proprio diritto-dovere di intervenire, qualora lo ritenesse, in materia di statuti speciali (leggi costituzionali).
Per dirla con parole molto più semplici, le regioni ad autonomia speciale non possono pretendere una particolare tutela se al tempo stesso non si fanno carico di un esercizio della tutela attraverso leggi costituzionali (e non attraverso leggi regionali ordinarie). Lo dico assumendomene la responsabilità, visto che sono eletto in una regione a statuto speciale.
La collega Pasquali si è riferita al problema degli obblighi internazionali. Sono totalmente d'accordo con lei sul fatto che l'Italia, per quanto riguarda la vertenza aperta all'ONU nel 1962, ha pienamente adempiuto a quanto le Nazioni Unite le hanno imposto. Nel 1992, trent'anni dopo, l'Austria ha dato la quietanza liberatoria. Inserire nella norma al nostro esame il riferimento agli obblighi internazionali è solo una garanzia che l'Italia non receda da quanto ha fatto per assicurare la convivenza, il rispetto delle minoranze e delle garanzie statutarie nella regione Trentino-Alto Adige (in particolare nella provincia autonoma di Bolzano).
Quindi, collega Pasquali, il riferimento agli obblighi internazionali non comporta nuovi obblighi per il futuro: si tratta solo di essere certi che il rispetto delle garanzie che nel 1992 ci ha portato alla quietanza liberatoria non possa essere derogato da parte del Parlamento o di qualunque altra istituzione nel nostro paese.
Mi pare che complessivamente il subemendamento, che è difficile e complesso, abbia trovato un equilibrio positivo delle diverse esigenze che erano in campo e che avrebbero anche potuto allontanarsi radicalmente. Sia le firme apposte al subemendamento sia il tenore delle riserve critiche formulate (tutto sommato in termini piuttosto positivi, senza mai giungere all'ostilità) fanno capire che forse abbiamo trovato un punto di equilibrio accettabile.


KARL ZELLER. Anch'io ritengo che questo emendamento rappresenti un passo in avanti rispetto alla situazione esistente. Sono anche convinto che sia fondamentale il mantenimento del rango costituzionale degli statuti speciali anche nel caso di adeguamento alla riforma del titolo V della Costituzione. È positivo che si riconosca l'esistenza di obblighi internazionali, in quanto le misure del pacchetto toccate da queste modifiche non sono certamente - come ha affermato la collega Pasquali - prive di rilevanza internazionale.
È stata inoltre affermata la pari dignità dei tre enti: la regione Trentino-Alto Adige e le due province. In questo modo si tiene


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conto della realtà di fatto esistente in questo territorio, dove insistono le due province, che sono le forze trainanti, e dove si concentra il quadro complessivo della regione.
Ritengo molto positivo che venga rafforzato il potere di iniziativa nella revisione delle leggi costituzionali da parte delle regioni a statuto speciale. Condivido infine l'osservazione del senatore Schifani che, per meglio rispettare il carattere pattizio degli statuti speciali, ritiene sarebbe preferibile attribuire al Parlamento solo la potestà di pronunciare un sì o un no alla proposta di modifica votata dai consigli regionali. Ciò anche perché, alla luce della riforma che stiamo per varare, le altre regioni ordinarie votano il proprio statuto, senza possibilità che sia emendato.


FRANCESCO SERVELLO. Signor presidente, vorrei innanzitutto formulare una domanda provocatoria: siamo proprio sicuri che sia indispensabile inserire queste norme nella Costituzione? Che cosa innovano? Sono il pretesto forse per confermare obblighi internazionali già assolti, come ha affermato prima l'onorevole Boato? La proposta dell'onorevole Boato è quella di inserire nelle disposizioni costituzionali tali obblighi nella preoccupazione e nel sospetto che lo Stato futuro possa disattendere o addirittura revocare gli impegni derivanti dall'assunzione dei suddetti obblighi: questo suo modo di ragionare mi sembra del tutto fuori luogo.
Signor presidente, nel sottocomitato - il relatore ed il presidente sono protagonisti e testimoni - ci siamo posti il problema se tutte le regioni italiane dovessero assumere un ruolo, funzioni e competenze analoghe quelle delle regioni a statuto speciale. Dopo il dibattito abbiamo escluso tale eventualità, ma cosa propone questo emendamento, che definisco una provocazione chiaramente costituzionale? Propone di innovare addirittura le procedure degli statuti, non quelli vigenti, che nessuno tocca, ma quelli che devono essere adottati, introducendo una procedura diversa da quella prevista dall'articolo 4-bis per ciascuna regione. Qual è il motivo di tutto questo? Rievocare gli obblighi internazionali, adeguare gli statuti a quello che meglio conterrà o potrà contenere la disposizione costituzionale di cui ci stiamo occupando? Ma è del tutto normale che le singole regioni, speciali o meno, si adeguino a tali statuti. Sono francamente un po' sorpreso dal fatto che si sia voluto dare luogo a questa formulazione, peraltro mai preannunciata in sede di sottocomitato, una formulazione del tutto inutile, che determina una situazione sperequata, squilibrata ed ingiusta rispetto alle procedure costituzionali, almeno per la prima parte, previste per le regioni a statuto ordinario. Vorrei quindi chiedere ai proponenti qual è la ragione di questo tipo di procedura, che abbiamo già previsto all'articolo 4 ed in altri che abbiamo approvato; abbiamo - ripeto - già previsto le procedure per adeguare gli statuti, per modificarli ed innovarli. A prescindere, quindi, da quell'inciso prezioso e difeso così flebilmente - non con la voce, che invece è un boato - degli impegni di carattere internazionale, se vogliamo tornare indietro e rifare tutti i discorsi che per trent'anni ci siamo sentiti fare in ordine a tali obblighi, sostenendo addirittura che devono essere previsti nelle disposizioni transitorie finali della Costituzione, per il sospetto che lo Stato possa disattenderli successivamente, rispetto a tutto ciò rimango molto sconcertato. Pertanto, anche al di là di quanto preannunciato dalla collega Pasquali, voterò contro questo principio contenuto nella proposta emendativa dei colleghi Andreolli ed altri.


MASSIMO VILLONE. Intervengo brevemente per illustrare una riflessione che mi è stata indotta dall'intervento del collega Schifani. Con l'approvazione di questa disposizione transitoria, introduciamo da un lato una disciplina effettivamente transitoria e dall'altro lato una disciplina di regime. Una riflessione più attenta, che mi è stata - ripeto - indotta dall'intervento del collega Schifani, mi induce a ritenere che tale operazione non


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sia del tutto utile, corretta ed anche poco opportuna sotto il profilo politico.
Voglio soltanto segnalare all'attenzione dei colleghi che i procedimenti di modifica degli statuti speciali sono complessi, buoni o sbagliati che siano; sono, infatti, procedimenti già definiti in modo complesso e molto articolato, soprattutto per alcune regioni, come per esempio la Sardegna. Al riguardo segnalo che non vi è nemmeno un componente della Commissione proveniente da quella regione con il quale potersi confrontare su questo punto.
Alcune parti degli statuti sono decostituzionalizzate, parti che, introducendo un procedimento uniforme di questo tipo, irrigidiremmo. Mi chiedo quindi se sia utile tale operazione o se invece non ci procuri più problemi di quanti ne risolva. Suggerirei pertanto di approvare subito la prima parte transitoria (quella che ha fatto nascere il problema e che mi sembra abbia trovato alla fine una soluzione soddisfacente), e di accantonare per il momento per una maggiore riflessione il comma 2, che riguarda il regime stabile della modifica degli statuti speciali per un approfondimento ulteriore. Preannuncio peraltro che condiziono a questo la permanenza della mia firma sotto l'emendamento, che diversamente ritirerei.


PRESIDENTE. Il senatore Villone propone di approvare il comma 1 della norma transitoria e di soprassedere sulla parte relativa alla definizione di una nuova procedura di revisione degli statuti a regime, che taluni ritengono non rientri nemmeno nelle nostre possibilità. Dal momento che alcuni statuti prevedono proprie procedure di revisione statutaria, noi interverremmo con norma costituzionale a codificare tale nuova procedura.


TARCISIO ANDREOLLI. Mi rendo conto che la complessità dell'argomento induce ad operare questa distinzione. Voglio però far rilevare che sulla prima parte vi è larga condivisione e, quindi, si riconosce l'opportunità che per le regioni a statuto speciale, che di fatto non lo saranno più, perché nulla si dice a proposito delle attribuzioni di competenza, sia recepito quello che la nuova Costituzione prevederà; tra l'altro, la specialità resterà nella procedura di approvazione.
In quest'ultima procedura si riconosce esplicitamente, almeno per la regione Trentino-Alto Adige che ha recepito l'accordo di Parigi, che è necessaria una procedura costituzionale perché è lo Stato ad aver sottoscritto l'accordo internazionale, per cui deve essere lo Stato che garantisce il suo rispetto. Decostituzionalizzare lo statuto, quindi, vorrebbe dire andare contro un'intesa raggiunta, ma soprattutto contro il compito esclusivo dello Stato di sottoscrivere trattati internazionali.
Sulla prima parte, quindi, nulla quaestio; il riferimento all'esistenza di un obbligo internazionale non è pro futuro ma per l'accordo vigente. L'Italia lo ha soddisfatto, la parte contraente lo ha dichiarato, ma questo non vuol dire che non sussista l'accordo. L'accordo permane tant'è vero che vi è la possibilità di ricorrere alla Corte dell'Aja, qualora l'Italia pro futuro venisse meno a questi adempimenti. Per quanto riguarda la seconda parte, faccio riferimento all'intervento del collega Villone, il quale osservava che si introduce un irrigidimento rispetto a procedure che sono già oggi decostituzionalizzate: mi permetto di sottolineare che ciò non corrisponde al vero, perché ci si limita a stabilire procedure. Attualmente lo statuto, anche per le parti decostituzionalizzate, è stato approvato con legge costituzionale, solo che, per esempio, quasi tutti gli statuti speciali prevedono che i titoli che attengono agli aspetti finanziari possano essere modificati con legge ordinaria. Non vogliamo sottrarci a questa possibilità, ci vorrebbe altro: diciamo solo, quindi, che le procedure di modifica, anziché essere in capo solo al Parlamento e al Governo, devono comportare un confronto fra le parti. Il Parlamento mantiene tutto il suo potere di proposta di modifica nel regime ordinario, solo che anche le regioni hanno questo diritto di proposta (è questa la parte nuova): il Parlamento, però, è sovrano


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nella decisione; non è che sia vincolato alla volontà della proposta.
Vi è l'altro subemendamento nel quale si prevede che, qualora vi fosse un'iniziativa del Parlamento o del Governo, prima di procedere si deve sentire il parere delle regioni, il che vuol dire non irrigidire anche la parte che oggi è decostituzinalizzata, perché questa possibilità resta intatta. Mi spiace che non sia presente il collega Villone, perché vorrei che capisse qual è la ragione: se è solo questa, mi sembra che sia superata; se vi sono altri motivi, ci potremo confrontare su essi, ma mi sembra che per questo solo aspetto sia improprio affermare che si determini un irrigidimento della procedura di approvazione delle modifiche degli statuti.


PRESIDENTE. Il senatore Villone ha sollevato un problema e diversi colleghi gli stanno rispondendo: soltanto che devo prenderne nota io e poi gli passerò gli appunti.


MARCO BOATO. Intervengo brevemente, perché non voglio riaprire tutta la discussione, in quanto in questa sede non ne abbiamo il tempo. Dal punto di vista procedurale, suggerisco di votare il subemendamento per parti separate, dapprima il primo comma e successivamente il secondo comma, in modo che anche il senatore Villone possa esprimere il suo consenso sulla prima parte e mantenere eventualmente le sue riserve sulla seconda.
Propongo inoltre che, trovandoci in sede referente ed avendo la possibilità durante tutto il mese di luglio di presentare ulteriori emendamenti (per cui nel periodo successivo la bicamerale potrà riesaminare tutto), si compia una ricognizione rispetto alle obiezioni sollevate sull'incidenza degli statuti. In questo momento, siamo in sede referente e stiamo definendo una proposta: mi sembra quindi che si possa mantenere esplicitamente questa riserva di verifica delle obiezioni che sono state sollevate (da parte dello stesso relatore e di tutti noi) ed eventualmente apportare nella fase successiva dei nostri lavori le eventuali ulteriori modifiche che si rendessero necessarie.


TARCISIO ANDREOLLI. Presidente, il collega Schifani non capiva, nel secondo comma, la formula «sono successivamente» e proponeva «negli altri casi»: chiaramente, si può accettare questa soluzione, perché il «successivamente» indicava le procedure ordinarie.


GIULIO MACERATINI. Signor presidente, concordo sulla richiesta di votazione per parti separate, già avanzata dal collega che mi ha preceduto, e mi soffermo per un attimo sul secondo comma, laddove si trova un richiamo agli obblighi internazionali. Mi permetto di fare osservare al collega Zeller che la norma che apparentemente tutela gli interessi della comunità di lingua tedesca dell'Alto Adige è estremamente pericolosa proprio per essa: tutti i diritti che invocano nascono infatti dalla nostra Costituzione democratica e gli obblighi internazionali sono una conseguenza di questo impegno che abbiamo assunto. Facciamo l'ipotesi (credo che sia già accaduto una volta nella storia) che le popolazioni tedesche si riuniscano ed ottengano altri obblighi internazionali: chi tutela i cittadini di lingua tedesca dell'Alto Adige è previsto nella Costituzione democratica repubblicana dell'Italia.
Non si devono fare, quindi, questi richiami esterni, che non hanno senso, avendo noi adempiuto, come i colleghi ci hanno appena ricordato, agli obblighi che derivavano da quella realtà. La situazione internazionale può modificarsi: quindi, questo richiamo è improprio e pericoloso proprio per le popolazioni che lo invocano. Va tenuto presente che le costituzioni si scrivono non per l'oggi ma per i decenni che seguiranno.


DOMENICO NANIA. Premesso che anch'io condivido la richiesta di votare per parti separate, come concordo sugli argomenti svolti dai colleghi Servello e Maceratini, penso che si possa votare complessivamente sulla richiesta del senatore Villone.


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Con riferimento alla seconda parte dell'emendamento, credo, come già ha osservato il senatore Schifani, che il termine «sentite» dovrebbe essere sostituito da «intesa». Chiedo quindi se i presentatori del subemendamento siano disponibili rispetto a tale ipotesi e quale sia l'opinione del relatore; diversamente, potremmo avere, per così dire, una corsa tra chi fa prima: l'assemblea regionale, il Governo, o l'iniziativa parlamentare. Ritengo invece che l'intesa, nel caso in cui a prendere l'iniziativa sia il Governo oppure il Parlamento, servirebbe ad eliminare questa sorta di corsa a chi arriva prima.


ARMANDO COSSUTTA. Siamo stati ad ascoltare fino a questo momento con grande attenzione le diverse opinioni e posizioni e ci siamo convinti che il testo presentato dal senatore Andreolli ed altri rappresenti la soluzione più idonea; se i presentatori lo accettano, vorremmo apporre anche la nostra firma e comunque preannunciamo il nostro voto favorevole su di esso.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Il mio è innanzitutto un intervento procedurale, ma anche di merito.
Chiedo ai colleghi Zeller e Andreolli, ma pure agli altri un attimo di attenzione perché quanto sto dicendo attiene al se possiamo deliberare. All'inizio dei nostri lavori, nella prima seduta della Commissione, se non ricordo male, nell'ufficio di presidenza considerammo le varie proposte di legge costituzionale relative a molti statuti speciali e si deliberò di restituire gli stessi alla Camera ed al Senato. Affermammo quindi che ci saremmo dovuti occupare solo della questione delle regioni a statuto speciale nel contesto della revisione dello Stato.
Ritengo, quindi, che la Commissione non possa deliberare sulle modifiche degli statuti, cosa che invece possono fare Camera e Senato, perché mentre noi ci siamo autolimitati, la Camera ed il Senato possono ritenere, diversamente, di volersi occupare dei singoli statuti. Quindi, tenderei a ritenere che deliberazioni che concernono modifiche degli statuti a regime non siano proceduralmente ammissibili dal punto di vista dei nostri lavori.
Altra è la questione dell'adeguamento delle regioni a statuto speciale alle novità introdotte nel testo. Le possibilità sono due: o tacere del tutto, rimettendo la materia alle procedure di revisione degli statuti, o adottare, come in questo caso, una normativa più celere di adeguamento, contenuta nella prima parte.
Poiché, come dicevo, ritengo non proponibile la seconda parte dell'emendamento, devo esprimere parere contrario, per ragioni di procedura prima ancora che di merito.
Per quanto riguarda la prima parte, non vorrei che l'assenza di colleghi friulani inducesse, per ragioni che non riesco a comprendere, un trattamento differenziato per il Friuli-Venezia Giulia rispetto a quello di Sicilia e di Sardegna, in particolare sapendo che in tale regione sono in atto agitazioni di gruppi, individui, giornali su ciò che noi deliberiamo proprio su questa materia. Non vorrei in alcun modo dare esca a reazioni contro il Parlamento repubblicano e non vedo perché il Friuli-Venezia Giulia dovrebbe essere trattato in maniera diversa da Sicilia e Sardegna.
Se, come sottolinea il collega Zeller, al Trentino Alto-Adige sarebbe impossibile l'adeguamento mediante legge regionale, stante l'attuale suddivisione delle competenze legislative tra provincia e regione, comprendo che per tale regione si possa stabilire un adeguamento di tipo diverso, ma non una modifica della disciplina dello statuto de futuro, non rientrando la materia nella nostra competenza.
Faccio presente che per quanto riguarda la Sardegna si prevede un referendum, nel caso di opinione divergente tra Parlamento nazionale e consiglio regionale, in ordine alle modifiche dello statuto. Il referendum è inserito nella procedura di revisione dello statuto a garanzia del popolo sardo, che può andare in contrario avviso rispetto al suo Governo o al Parlamento nazionale.


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Non vorrei mettere mano ai singoli statuti perché, come è stato detto in precedenza, essi attengono a procedimenti speciali, legati a circostanze particolari e sono stati adottati con procedure diverse, che non mi sentirei di omogenizzare da alcun punto di vista.
Mi permetto di ribadire che ritengo improponibile la seconda parte dell'emendamento, mentre potrei considerare accettabile la prima, ponendo il Friuli-Venezia Giulia sullo stesso piano della Sicilia e della Sardegna.


KARL ZELLER. Desidero replicare brevemente al relatore in merito alla sua obiezione circa la proponibilità della seconda parte. Non comprendo questa obiezione in quanto nella stessa proposta del relatore il secondo comma dell'articolo 1-quater prevede che gli statuti possano essere modificati con legge costituzionale adottata d'intesa con la regione.
Nel merito, non condivido l'orientamento del relatore in quanto non si verrebbe ad incidere nei singoli statuti speciali ma si indicherebbe solo una procedura senza entrare nel merito.


PRESIDENTE. Il problema è che alcuni statuti contengono procedure di modifica, che noi, in questo modo, modificheremmo con una norma costituzionale. Considerato che stiamo andando verso il federalismo, ciò sarebbe un po' pesante. Ad esempio, lo statuto della Sardegna prevede una procedura di modifica che noi cambieremmo con una norma costituzionale.
Il relatore, invece, aveva proposto una formula - abbiamo accantonato quel comma - che, nella sua elasticità, si apriva a diverse possibilità, perché lasciava la procedura di modifica come materia di intesa tra Stato e regione a statuto speciale.
Noi, lo ripeto, in questo modo stabiliamo una procedura modificativa di procedure in parte già previste dagli statuti. Abbiamo costruito, sulla base delle esigenze- rispettabilissime - di una regione a statuto speciale, una normativa che tuttavia finisce per intervenire anche in altre situazioni. Sono preoccupato da questo punto di vista.
Anche per quanto riguarda il punto primo, laddove stabilisca che «le modifiche non sono sottoposte a referendum», dobbiamo specificare che non sono sottoposte a referendum «nazionale», poiché alcuni statuti prevedono il referendum in materia di revisione degli stessi.


MARCO BOATO. Referendum consultivi.


PRESIDENTE. Credo che dobbiamo rispettare l'autonomia delle regioni e in particolare quella delle regioni a statuto speciale. Ho l'impressione che in questo modo irrigidiamo una procedura entrando in urto anche con norme previste in taluni statuti regionali.
Mentre penso che con la precisazione «referendum nazionale» il punto primo sia perfettamente accoglibile, il punto secondo, a mio giudizio, meriterebbe una più attenta riflessione, considerato anche che abbiamo un po' di tempo per introdurre ulteriori modifiche.


MARCO BOATO. In base alle riserve che lei ha espresso e che a nostra volta ci riserviamo di verificare, proporrei ai colleghi che con me hanno sottoscritto l'emendamento di mantenerne il primo comma e di accantonare il secondo,ripromettendoci di ripresentarlo, in questa forma o in una ulteriormente elaborata, nella fase successiva al 30 giugno.


PRESIDENTE. Mi permetto di dire che i colleghi che si sono occupati della questione (abbiamo avuto una serie di consultazioni in proposito), potrebbero consultare le regioni interessate prima di presentare una proposta definitiva. Abbiamo un po' di tempo a disposizione e possiamo dare mandato al relatore e a tutti i colleghi di consultare i rappresentanti di queste regioni per formulare una proposta che sia rispettosa delle diverse situazioni e che possa essere valutata da noi quando esamineremo tutti gli emendamenti che saranno presentati.


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FRANCESCO SERVELLO. Si tratta, d'altronde, di disposizioni finali.


PRESIDENTE. Potremo farlo nel mese di settembre (vi anticipo che sto lavorando per evitare di rimanere qui ad agosto, come prevede alla lettera la legge istitutiva).
Se c'è un accordo, potremmo votare il punto primo dell'emendamento, accantonare il punto secondo e successivamente, in sede di revisione del testo dopo l'approvazione del 30 giugno, affrontare la questione sulla base di una più attenta valutazione, che in questo momento potrebbe suscitare polemiche.


MARIO RIGO. Nel primo comma, come ha ricordato il relatore, è previsto l'adeguamento dello statuto del Friuli-Venezia Giulia, che verrebbe a trovarsi in una condizione particolare e probabilmente non accettata da quella regione.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Per questo ho proposto di inserirla insieme a Sicilia e Sardegna.


RENATO GIUSEPPE SCHIFANI. La soluzione prospettata, presidente, non mi trova pregiudizialmente contrario, purché si approvi almeno la prima parte dell'emendamento che obbedisce ad una esigenza di fluidità in favore di queste regioni. Voglio chiarire però un concetto: la Commissione all'inizio si è posta il tema della modifica degli statuti ed ha stralciato tutti i disegni di legge inviati alla Commissione bicamerale aventi come oggetto la modifica degli statuti speciali, ma credo che la questione vada ricondotta ad un altro tema. Noi siamo dell'idea di mantenere, in aderenza al deliberato della Commissione, i testi degli statuti in ordine all'identificazione dei percorsi procedurali per arrivare alla modifica delle carte costituzionali regionali, ma poiché questi statuti nel momento dinamico della loro modifica si confrontano con la legge costituzionale, quindi con il Parlamento, la nostra esigenza è quella di fotografare questo momento di confronto, quindi in una fase successiva al percorso che ogni statuto avrà individuato per le procedure interne di adozione degli atti legislativi di richiesta di riforma.
La regione Sicilia, per esempio, ha inviato alla bicamerale un testo di legge che individua il percorso di riforma perché attualmente non c'è. A mio parere l'esigenza è di individuare un momento estraneo ai contenuti degli statuti, un momento di confronto tra queste regioni ed il Parlamento allorquando si individua l'esigenza della modifica dello Statuto - che può essere avvertita dalla regione o dal Parlamento - che tenga saldate le due realtà istituzionali. Dovremmo preoccuparci solo di questo momento e non di quello precedente.
Pertanto, in linea di massima non mi oppongo allo stralcio, ma ritengo non sia argomento da spostare aprioristicamente a dopo l'estate perché a mio parere rientra nella competenza di questa Commissione.


TARCISIO ANDREOLLI. Accetto la proposta di accantonamento della seconda parte, signor presidente, ma desidero informare lei e i colleghi che, pur nella brevità del tempo, qualche consultazione, per esempio con il Friuli, è stata fatta ed abbiamo avuto segnali di consenso su questa proposta. Non l'abbiamo quindi avanzata a cuor leggero, tenendo conto che dove vi sono regioni mistilingui è più opportuno usare questa procedura; è per questo che abbiamo abbinato le tre regioni a statuto speciale.
Anch'io ho qualche dubbio sulla legittimità, ma anche in relazione all'articolo 1-quater il relatore aveva proposto un secondo comma, che abbiamo accantonato, nel quale era evidente che si intrecciava il discorso sulle nostre competenze. Ci confronteremo nel mese di luglio con tutte le regioni a statuto speciale per portare qui la loro sensibilità e proposte politiche più chiare, manifeste e sicure.


GUIDO DONDEYNAZ. Concordo con la proposta del presidente.


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FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Chiedo formalmente che il Friuli-Venezia Giulia venga trasferito nel capoverso relativo alla Sicilia e alla Sardegna, perché onestamente non vedo la ragione per la quale non debba avere la possibilità - non il dovere - di adottare una legge ordinaria. Qui è opportunamente scritto che, qualora non si proceda in questo modo, si procede secondo lo statuto; il Friuli, quindi, se non vorrà utilizzare la strada più breve utilizzerà quella più lunga, ma non vedo perché impedirgli la strada breve, considerato anche che l'anno venturo in quella regione vi saranno le elezioni. Non capisco la ragione politica per impedirlo.


MARCO BOATO. La logica era di far riferimento alle tre regioni che hanno minoranze linguistiche al loro interno e tra esse vi è anche il Friuli-Venezia Giulia. Personalmente non mi oppongo, ma ci riserviamo di fare una verifica nella fase successiva al 30 giugno.


TARCISIO ANDREOLLI. In Friuli si vota l'anno prossimo...


PRESIDENTE. Non stiamo votando il testo costituzionale, quando approveremo la Costituzione il Friuli avrà già votato.


MARCO BOATO. Anche in Trentino-Alto Adige si vota il prossimo anno.


PRESIDENTE. Non mi pare ci sia questa urgenza. Se ci sono polemiche locali, saranno infondate, il che naturalmente non vuol dire che non ci saranno.


MARCO BOATO. Allo stato ha una logica istituzionale separare Sicilia e Sardegna dalle altre regioni.


PRESIDENTE. Starei alla logica, perché questa si capisce: si separano le regioni nelle quali ci sono minoranze linguistiche da quelle in cui non ci sono.


FRANCESCO SERVELLO. Nel primo capoverso è scritto che le modifiche così approvate non sono comunque sottoposte a referendum. Mi pare che questo dovrebbe essere cancellato.


PRESIDENTE. Si intende referendum «nazionale».


FRANCESCO SERVELLO. Allora va bene.
Per quanto riguarda il voto, il collega Nania ha già chiesto di votare per parti separate.


PRESIDENTE. La seconda parte non viene più sottoposta a votazione.


FRANCESCO SERVELLO. La mia richiesta ha un'altra motivazione: desidero votare contro il riferimento agli obblighi internazionali, sono invece favorevole al resto.


PRESIDENTE. Adotto allora una procedura straordinaria: pongo in votazione la proposta del senatore Servello di sopprimere l'espressione «e degli obblighi internazionali».


(È respinta).


Pongo adesso in votazione il subemendamento Andreolli I.0.15.6.1.


(È approvato).


Considero decaduti i numerosissimi emendamenti presentati e poiché non vi sono emendamenti al punto 3 dell'articolo 15, pongo in votazione l'emendamento del relatore I.15.6.


(È approvato).


Passiamo all'articolo 16, cioè all'emendamento del relatore I.16.7. Vi è innanzitutto il subemendamento Cossutta I.0.16.7.1 che propone la soppressione dell'intera IV disposizione transitoria, cioè dell'articolo; vi è poi il subemendamento Cossutta I.0.16.7.2 che propone di sostituirlo interamente.


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FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Quest'ultima disposizione transitoria ha due obiettivi. Il primo è consentire alle regioni di decidere tra il primo ed il quinto anno di entrata in vigore della presente legge costituzionale il momento in cui scatta la sua competenza in ciascuna regione, introducendo quindi una flessibilità temporale che consente alle regioni di essere rapide. In secondo luogo, sulla base di queste leggi regionali, si chiede al Governo di indicare la sua proposta di riorganizzazione dell'amministrazione centrale e periferica da avanzare in tempo altrettanto utile. Si conclude con la previsione esplicita che fino al trasferimento alle regioni la relativa potestà legislativa è esercitata dallo Stato: una norma necessaria per far capire che non ci sono vuoti man mano che questo avviene.
Quindi, il mio parere è contrario all'emendamento Armando Cossutta I.0.16.7.1, soppressivo della quarta disposizione transitoria, perché essa mi sembra particolarmente utile. Il parere è contrario anche al subemendamento Armando Cossutta I.0.16.7.2, sostitutivo della quarta disposizione transitoria, perché non consentirebbe alle regioni quella flessibilità temporale che è una facoltà e non un obbligo. Per quanto riguarda il subemendamento Zeller I.0.16.7.3, mi sembra che esso sia sostanzialmente già accolto nel mio emendamento I.16.7. La previsione contenuta in questo subemendamento è più ampia perché nel mio testo è previsto che scatti la competenza legislativa regionale, ma fino a quella data si applica quella statale anche nella parte transitoria.
Quanto al subemendamento Bressa I.0.16.7.4...


GIANCLAUDIO BRESSA. Si tratta della salvaguardia del provvedimento Bassanini, affinché non entrino in contraddizione i due processi.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Se il subemendamento è utile per evitare tale confusione, non ho obiezioni.


GIANCLAUDIO BRESSA. Comunque, andrebbe eliminato l'ultimo comma, che è assorbito dal testo del relatore.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Esprimo quindi parere favorevole sull'emendamento Bressa, da cui è eliminato l'ultimo comma.


PRESIDENTE. Passiamo alla votazione del subemendamento Armando Cossutta I.0.16.7.1. Ricordo che la quarta disposizione transitoria prevede una certa flessibilità temporale, nel senso che le regioni che si sentono più pronte possano esercitare i poteri loro trasferiti prima di altre, mentre il subemendamento dell'onorevole Cossutta, proponendo la soppressione di tale disposizione transitoria, tende ad evitare questa eventuale asimmetria temporale. Lo stesso fine si propone il subemendamento Armando Cossutta I.0.16.7.2, che prevede un meccanismo che garantisca più omogeneità nel passaggio delle funzioni.
Pongo in votazione il subemendamento Armando Cossutta I.0.16.7.1, non accettato dal relatore.


(È respinto).


Pongo in votazione il subemendamento Armando Cossutta I.0.16.7.2, non accettato dal relatore.


(È respinto).


Passiamo al subemendamento Zeller I.0.16.7.3.


KARL ZELLER. A differenza di quanto sostiene il relatore, io non credo che questo subemendamento sia assorbito dal testo che egli propone. Dalla formulazione proposta si evince che fino al trasferimento effettivo delle competenze amministrative le regioni non possano esercitare la potestà legislativa. Tale modello si discosta da quello adottato in casi analoghi nelle regioni a statuto speciale; la formulazione che propongo ricalca, ad esempio, quella adottata dallo statuto di autonomia della mia regione.


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Comunque, ritengo pericoloso vincolare l'esercizio della potestà legislativa al trasferimento effettivo della stessa tramite i decreti legislativi ed i piani di riorganizzazione; questi ultimi infatti possono ritardare anche di 10 o 20 anni, come è successo nel nostro caso. Credo quindi che il subemendamento da me proposto salvaguardi meglio le esigenze delle regioni e anche quelle dello Stato, perché finché le regioni non iniziano a legiferare rimane in vigore la norma statale.


PRESIDENTE. Mi sembra però che ci sia una differenza sostanziale. Il testo del relatore propone una procedura in cui, sulla base della legge regionale, interviene un atto deliberativo del governo; il subemendamento Zeller prevede invece un automatismo: nel momento stesso in cui viene emanata la legge regionale essa si sostituisce a quella statale.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Cerco di spiegare l'intendimento del mio emendamento I.16.7, che è molto semplice. Per esempio, la regione Calabria, con propria legge adottata entro tre mesi successivi all'entrata in vigore di questa legge costituzionale, prevede che le funzioni legislative siano da essa esercitate dal primo gennaio 2001. Da quel momento scattano le potestà regionali e cessano quelle statali.
Non c'è quindi più quell'adeguamento dovuto ad atti amministrativi che ha reso così complicata l'attribuzione della potestà legislativa alle regioni. Preferisco comunque la formulazione che consenta il più radicale automatismo nell'inizio dell'esercizio delle competenze legislative regionali: se quella attuale non è adatta, la si correggerà, ma l'intento è questo.


KARL ZELLER. Onorevole relatore, il fine di questo emendamento non è quello che lei ha enunciato: se la regione emette una propria legge ed assume la relativa competenza, ciò nonostante rimane in vigore la legge statale finché la regione non abbia successivamente - con un'ulteriore norma regionale - esercitato tale potere.
Per questo motivo ritengo che il sistema da me proposto sarebbe molto più flessibile e più garantista di quello da lei suggerito. Se infatti la regione decidesse di assumere la competenza sulla tutela del paesaggio, per esempio, non potrebbe comunque legiferare finché tutti gli uffici non fossero trasferiti alla regione stessa: sarebbe un po' assurdo.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Forse non sono stato chiaro: non è più prevista l'attesa del passaggio degli uffici per l'esercizio della potestà legislativa, come abbiamo chiarito quando abbiamo stabilito che non vi è più parallelismo delle funzioni. Secondo me abbiamo lo stesso intendimento, cioè evitare che in seguito a ritardi nella riorganizzazione amministrativa relativa al passaggio di funzioni si paralizzino le potestà legislative regionali. Il fine è che le competenze legislative siano esercitate dalla regione quando quest'ultima decide di esercitarle nell'arco dei cinque anni: non deve attendere più nulla.


MASSIMO VILLONE. Mi pare che il subemendamento Zeller, almeno nella sua forma attuale, non sia comunque accettabile: la conseguenza sarebbe che leggi regionali disciplinerebbero l'esercizio di funzioni ancora in capo allo Stato. Viene infatti meno, nell'ipotesi di Zeller, il meccanismo di coordinamento che il relatore ha introdotto.


KARL ZELLER. Si eviterebbero i vuoti perché la legge statale rimarrebbe comunque in vigore a prescindere dalla legge regionale.


PRESIDENTE. Non c'è il minimo dubbio che il rischio di vuoti è eliminato dall'ultimo comma dell'emendamento D'Onofrio I.16.7, secondo il quale fino al trasferimento alle regioni la relativa potestà legislativa è esercitata dallo Stato.
Poiché il trasferimento alle regioni avviene alla data che queste ultime decidono


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autonomamente, mi sembra non esistano rischi di vuoti. Sono le regioni che stabiliscono con legge regionale in quale data avviene il trasferimento: la norma dice chiaramente che la potestà legislativa è esercitata fino a quel momento dallo Stato. Naturalmente, c'è un termine ultimo che è rappresentato dai cinque anni.


KARL ZELLER. Se è chiaro per tutti, ritiro il mio subemendamento.


PRESIDENTE. Passiamo alla votazione del subemendamento Bressa I.0.16.7.4.


GIANCLAUDIO BRESSA. Sottolineo l'esigenza di un coordinamento formale del mio subemendamento per quanto riguarda il riferimento all'articolo 11, comma 2 del testo proposto.


PRESIDENTE. D'accordo, onorevole Bressa.
Pongo in votazione il subemendamento Bressa I.0.16.7.4.


(È approvato).


A questo punto, dobbiamo riprendere l'esame dell'articolo 6 precedentemente accantonato. Ricordo che avevamo pregato i presentatori del subemendamento all'emendamento del relatore, cioè il senatore Grillo ed altri, di riformulare il testo del proprio subemendamento, cosa che essi hanno fatto.
Prima di dare la parola al senatore Grillo per illustrare tale nuova formulazione, vorrei anticipare che non porrò in votazione subemendamenti al subemendamento Grillo ed altri, perché non posso farlo. Quindi, il testo presentato dal senatore Grillo verrà posto in votazione e verrà ovviamente ritenuto alternativo a quello del relatore e, se approvato, farà decadere qualsiasi altro subemendamento. Preciso, altresì, che i subemendamenti al subemendamento del collega Grillo sono stati allegati per opportuna conoscenza.


LUIGI GRILLO. Signor presidente, nel corso del dibattito di questa mattina sono stati sollevati alcuni problemi che abbiamo giudicato di estremo interesse e che, per certi versi, si ponevano l'obiettivo di modificare il testo in alcune parti per la verità alquanto marginali.
Insieme con i colleghi firmatari del subemendamento ho ritenuto di accogliere solo una delle proposte avanzate nel dibattito, cioè l'osservazione, svolta se non erro dai colleghi di rifondazione comunista, relativa all'opportunità che si superasse la proposta che le regioni potevano indebitarsi per un periodo superiore alla durata della legislatura e ciò perché, come qualcuno ha osservato, è consentito già oggi alle regioni di contrarre con la Comunità europea mutui la cui durata è sicuramente superiore a cinque anni.
Quanto all'osservazione dell'onorevole D'Amico, che proponeva di ridimensionare la parte del fondo perequativo, nonché alle proposte della collega Salvato, che ravvisava l'opportunità di introdurre un riferimento a criteri di socialità unitamente a quelli di efficienza e di economicità e di stralciare dal testo dell'ultimo comma il riferimento ai diritti riconosciuti nella prima parte della Costituzione, abbiamo ritenuto di non accoglierle. Analogamente non abbiamo accolto la proposta, avanzata dal senatore Marchetti, di aggiungere, quando si parla di patrimonio delle regioni, la nozione di patrimonio disponibile, perché ci sembra più corretto che questa definizione venga rimessa alla legge ordinaria.
Viceversa, continuo a ritenere quello proposto dal collega Villone un emendamento di chiarificazione e di estremo interesse; penso che egli potrà recuperare questa sua proposta in un successivo momento, quando avremo maggior tempo per approfondire questo passaggio riferito alle fattispecie nelle quali l'esercizio dell'autonomia tributaria e finanziaria di una regione provoca ripercussioni su altre regioni.


LUCIANO GUERZONI. Dichiaro il mio voto contrario al subemendamento Grillo


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ed altri perché lo considero troppo descrittivo e particolareggiato e quindi limitativo della possibilità che il legislatore ordinario possa risolvere altrimenti, con più libertà ed autonomia, tale questione. Faccio notare che si propone una filiera di ben sei tributi diversi; si delinea, in sostanza, un budget regionale con sei rubinetti che partecipano alla sua formazione; si delinea, cioè, una finanza regionale che non ha un tributo centrale per consistenza e per responsabilità.
Dietro questa proposta, a mio avviso, vi è in realtà un'idea che non condivido e che stamani l'onorevole Tremonti ha illustrato: mi riferisco all'idea secondo la quale non sarebbe possibile per legge di natura che uno degli attuali grandi tributi erariali in futuro da parte del legislatore ordinario possa essere posto a disposizione delle finanze regionali e locali per farne una fonte di entrata consistente e ragguardevole almeno per fronteggiare più della metà del fabbisogno con gestione diretta e non attraverso trasferimenti che certo - lo riconosco - possono essere di varia natura ed intensità, ma che in buona sostanza sempre trasferimenti restano; ragione per la quale chi governa regioni e comuni non ha alcuna responsabilità sul fronte delle entrate, ne ha solo su quello della spesa, cioè sostanzialmente la situazione attuale.
Ritengo che questo dato costituisca un impedimento anche alla formazione di una nuova classe dirigente: non a caso negli ultimi cinquant'anni in Italia non vi è stata mai un'espressione di governo a livello locale o regionale che abbia dimostrato capacità di governo a livello statale consistente, mentre in altri paesi questo per fortuna non accade. Si configurano - io temo - comuni e regioni giganti, da un certo punto di vista, come competenze legislative o, solo per i comuni, amministrative, ma dal punto di vista dell'autonomia e soprattutto della responsabilità finanziaria si configurano, invece, dei nani molto modesti, e non credo che questa contraddizione sia feconda.
In sede di Comitato ho dimostrato come anche di recente in altri paesi europei significativi, come il Belgio, nonostante un consistente debito pubblico, si sia proceduto a disporre per gli istituti decentrati forti responsabilità delle entrate, anche responsabilizzando tali istituti a fronteggiare il debito; il Belgio dimostra come questa possibilità vi sia. In ogni caso, è sperabile che il debito pubblico non sia eterno in questo paese e che quindi non condizioni in eterno la sua vita; di conseguenza, anche con normative transitorie si sarebbe potuta ipotizzare la soluzione che io auspico attraverso - lo ripeto - il rimando nel tempo alla creazione delle condizioni ideali per risolvere altrimenti tale questione.
Aggiungo che vorrei che la Commissione avvertisse che è assai evidente che con questa soluzione si delinea la continuazione del rapporto attuale tra cittadino e fisco; infatti, mandiamo un messaggio di questo tipo: i cittadini in questo paese per il fisco continueranno soltanto ad avere un rapporto con lo Stato centrale. Essendo questo attualmente uno dei punti di più acuta esposizione della democrazia italiana, ho l'impressione che non faremmo una buona scelta politica.
In ogni caso, e concludo, voterò a favore del testo del relatore perché, pur non risolvendo alcune delle questioni da me poste, comunque innova significativamente rispetto alla Costituzione vigente con il principio della perequazione e della solidarietà e lascia maggiori possibilità al legislatore ordinario di risolvere altrimenti, io spero in modo migliore, questa situazione.


PRESIDENTE. Ora si riapre una discussione generale, che abbiamo già svolto.


CESARE SALVI. Signor presidente, vorrei avanzare una proposta di metodo. Essendo la materia obiettivamente molto rilevante, si potrebbe - se i colleghi concordano - decidere di procedere ad un'ulteriore riflessione sulla materia, accantonandola, passando subito al tema dell'Unione europea, già previsto all'ordine del giorno per la seduta di oggi pomeriggio.


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PRESIDENTE. Se riflettiamo sul federalismo fiscale mentre discutiamo sul tema dell'Europa, quest'ultimo verrà affrontato malissimo. Ci sono diciannove iscritti a parlare.


MARCO BOATO. Presidente, mi associo alla richiesta avanzata dal collega Salvi. Capisco l'urgenza da parte sua, in quanto garante dei lavori della Commissione, di concludere, ma questo fra tutti è forse il tema più delicato e complesso. Una decisione non dico affrettata - perché non lo è - ma che non trovasse una larga condivisione nella Commissione sarebbe forse inopportuna su un tema di questa delicatezza.
Mi associo pertanto alla richiesta di trovare uno strumento procedurale, che potrebbe essere semplicemente quello di sospendere a questo punto i lavori sulla forma di Stato passando subito a quelli sull'Unione europea, riprendendo successivamente - questa sera o, meglio, domani mattina - l'argomento in discussione.


GIULIO TREMONTI. Mi associo anch'io a questa proposta, con una preghiera relativamente all'orario, vale a dire che il rinvio sia non a questa sera ma a domani.


PRESIDENTE. In effetti, la questione è complessa: abbiamo di fronte due testi, che presentano qualità e difetti, e nessuno dei due mi sembra convincere pienamente la Commissione e neppure una maggioranza di essa. Offriamo un tempo per un'ulteriore riflessione.
Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito di accantonare l'esame del federalismo fiscale, per riprenderlo nella seduta di domani mattina.


(Così rimane stabilito).


C'è anche un'altra questione, che potremmo affrontare alla fine: è stato presentato un emendamento al titolo (Cossutta I.Tit.1).


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. La discussione svolta in riferimento alla Repubblica federale suggerirebbe che anche il titolo venisse valutato alla fine delle votazioni relative a tutta la riforma. Sarei favorevole quindi a rinviare la votazione dell'emendamento al termine dei lavori.


PRESIDENTE. L'emendamento è sostenuto sia da chi è contrario al federalismo, sia da chi è favorevole ma ritiene che il testo non sia federalista. Si tratta quindi di una proposta sostenuta da due parti contrapposte ma in questo caso convergenti.


FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Ripeto, lo accantonerei.


PRESIDENTE. Sta bene. Sospendo la seduta per concomitanti votazioni del Parlamento in seduta comune. Alla ripresa affronteremo la materia europea.


La seduta, sospesa alle 17.50, è ripresa alle 18.35.


PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli emendamenti e subemendamenti al testo sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea.
Si lavora sul testo degli emendamenti interamente sostitutivi presentati dal relatore, che propongono una riformulazione del testo, nonché sui relativi subemendamenti che sono stati presentati .
All'emendamento del relatore III.1.15, interamente sostitutivo dell'articolo 1, sono stati presentati due subemendamenti interamente sostitutivi Boato III.0.1.15.1 e Buttiglione III.0.1.15.5.


MARCO BOATO. Sarò brevissimo, perché questa materia è stata già affrontata in fase di illustrazione complessiva delle proposte emendative.
Vorrei riproporre al relatore e ai colleghi la considerazione per cui mi sembra inadeguato inserire nel testo della Costituzione una formulazione che suoni come conferimento da parte della Repubblica


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italiana di ulteriori poteri e competenze all'Unione europea. L'Italia non può conferire poteri e competenze all'Unione europea; secondo la logica dell'articolo 11 della prima parte della Costituzione, acconsente a limitazioni della propria sovranità nella direzione del processo di costruzione dell'Unione.
Ho pertanto presentato questo subemendamento e chiedo al relatore di riflettere su questo punto che mi sembra di grande rilevanza. Condivido interamente la motivazione dell'onorevole D'Amico, come ho già detto nel dibattito illustrativo, ma ritengo che tecnicamente la formulazione dovrebbe essere rivista. Ho proposto un testo che considero coerente con la prima parte della Costituzione, non pretendo che sia l'unico possibile - la mia proposta è fatta in spirito dialogico e costruttivo- ma mi permetto di insistere sulla questione perché credo che la formulazione così proposta sia inadeguata.


PRESIDENTE. Naturalmente nella sua formulazione l'articolo si limiterebbe ad introdurre l'adesione del nostro paese al processo dell'Unione europea senza trattare gli altri aspetti che vengono affrontati.


MAURIZIO PIERONI. Una sola aggiunta, presidente: rispetto agli altri ne correla soltanto uno, correla all'alienazione di sovranità il principio dell'ampliamento della partecipazione democratica.


MARCO BOATO. Presidente, ci sono anche altri subemendamenti, per così dire, «in subordine», come per esempio, il subemendamento Pieroni III.0.1.15.2 che modifica semplicemente la formula specifica, ma a me sembra che una formulazione secca la quale introduca questo concetto di partecipazione al processo di costruzione dell'Unione europea con le necessarie limitazioni di sovranità e nel rispetto dei principi supremi dell'ordinamento e dei diritti inviolabili della persona sia sufficiente. Viceversa, scrivere in Costituzione «in vista del rafforzamento dei principi di libertà, dello Stato sociale di diritto, dell'articolazione...» significa introdurre formule programmatiche che in qualche modo sono più pertinenti rispetto alla prima parte della Costituzione, non sono di carattere ordinamentale.


FRANCESCO SERVELLO. Ho letto ora l'emendamento del relatore alla formulazione iniziale. Devo dire - contrariamente a quello che ho sentito or ora - che l'aver posto all'articolo 1 alcuni principi che appaiono per la prima volta nella Costituzione italiana mi sembra non solo importante, ma addirittura indispensabile. Mi pare quindi di poter condividere questa formulazione, mentre trovo che i due subemendamenti nella sostanza non innovano gran che, eccezion fatta per il riferimento alla sovranità nazionale. Non mi pare sia accettabile in una formulazione del genere: il principio generale di conferire ulteriori poteri e competenze all'Unione europea - proposto con l'emendamento D'Amico III.1.13 - mi sembra più corretto, perché non si parte dalla rinuncia a sfere di sovranità nazionale, né totalmente né parzialmente.


MARIDA DENTAMARO. Signor presidente, condivido la formulazione dell'emendamento Boato III.0.1.15.1 e considero pertinenti e corrette le motivazioni addotte per giustificarla e spiegarla. Propongo soltanto di aggiungere dopo le parole «secondo il principio democratico» il richiamo al principio di sussidiarietà. Il principio democratico riguarda il rapporto tra cittadini e istituzioni, il principio di sussidiarietà investe l'articolazione delle istituzioni e mi sembra coerente sia con l'ordinamento europeo sia con l'impostazione che stiamo qui elaborando.


PRESIDENTE. Boato è d'accordo?


MARCO BOATO. Sono d'accordo, presidente.


PRESIDENTE. Il subemendamento Boato III.0.1.15.1 nel testo così riformulato si intende allora unificato con il


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subemendamento Buttiglione e Dentamaro III.0.1.15.5.


ORTENSIO ZECCHINO. Nella logica della stringatezza del testo costituzionale io insisterei nel chiedere l'abolizione di questo articolo. I primi due commi sono enunciativi di intenzioni, il terzo tende ad introdurre il meccanismo del giudizio preventivo della Corte costituzionale.
Personalmente, fra le proposte che stiamo esaminando, esprimo un'adesione al subemendamento presentato da Salvi, Mussi ed altri firmatari; fra tutti mi sembra il più accettabile.


CESARE SALVI. Avendo ascoltato gli interventi dei colleghi, penso si possa trovare agevolmente una soluzione. Condividiamo l'impostazione del subemendamento Boato III.0.1.15.1, nel testo riformulato secondo il suggerimento della senatrice Dentamaro. Con riferimento a quanto ha ricordato poc'anzi il collega Zecchino, proponiamo di aggiungere uno strumento che è stato previsto nel nostro subemendamento: ulteriori limitazioni alla sovranità dovrebbero essere consentite mediante legge bicamerale approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. Propongo quindi di riformulare l'emendamento Boato in questi termini, visto che così si terrebbe conto anche delle considerazioni svolte dal collega Servello. In sostanza si tratterebbe di sostituire la parola «consente» con il termine «partecipa», di sopprimere l'espressione «alle limitazioni di sovranità necessarie alla partecipazione» e di aggiungere, in fine, le seguenti parole: «Le ulteriori limitazioni di sovranità sono consentite con legge bicamerale approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera», cioè l'emendamento Buttiglione e Dentamaro.


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Mi sembra di capire che la possibilità di introdurre limitazioni di sovranità sia stata soppressa e poi ripristinata nella parte finale del testo.


PRESIDENTE. In pratica le limitazioni di sovranità sono ammesse se collegate al meccanismo che è stato ricordato: approvazione di legge bicamerale a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.


LEOPOLDO ELIA. Il mio dubbio, presidente, è che sostanzialmente con la proposta qui avanzata si modificherebbe l'articolo 11 della Costituzione: e non c'è bisogno di insistere sul fatto che la norma sia contenuta nella prima parte della Costituzione. La modifica è piuttosto profonda. Infatti, con maggiore o minore eleganza fino ad oggi abbiamo apportato modifiche al nostro ordinamento - in base all'articolo 11 - senza fare ricorso al procedimento di revisione costituzionale.
Concordo con il collega Zecchino: non si può fare ricorso alla Corte...


PRESIDENTE. Mi scusi, lei si sta riferendo al testo del relatore?


LEOPOLDO ELIA. Anche al testo del relatore, visto che è il punto di riferimento di questa discussione.


PRESIDENTE. Ora, però, stiamo esaminando un emendamento interamente sostitutivo, nel quale non è contenuta la parte a cui lei fa riferimento.


LEOPOLDO ELIA. Vi è però un rapporto con quello che sto dicendo: è stato proposto di introdurre una nuova fonte, la legge bicamerale approvata a maggioranza assoluta. Anche senza soffermarmi sul meccanismo proposto per quanto riguarda il giudizio preventivo della Corte costituzionale (la quale non si sa bene in base a cosa dovrebbe decidere: in base alla distinzione fra limiti e trasferimenti di sovranità?), si creerebbe una nuova fonte con il rischio di contraddire l'articolo 11 della Costituzione nella sua attuale applicazione. L'ipotesi di legge bicamerale potrebbe anche essere considerata in consonanza con la prassi vigente, ma l'approvazione a maggioranza assoluta introdurrebbe una specie di via intermedia tra


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la legge ordinaria e la revisione costituzionale. Confesso che mi lascia molto dubbioso: in pratica rendiamo in qualche misura contestabile il fondamento delle ratifiche autorizzate in precedenza (anche di fronte ad atti molto impegnativi).


ERSILIA SALVATO. Signor presidente, anche la nuova formulazione che stiamo esaminando contiene il richiamo a cessioni di sovranità, sia pure da consentire attraverso una legge bicamerale. Questo mi suscita molte perplessità, non solo per le ragioni esposte poc'anzi dal senatore Elia. È mia convinzione che qualunque cessione di sovranità - in quanto tale - richieda un processo di revisione costituzionale. Non a caso la prima formulazione dell'articolato proposta dall'onorevole D'Amico prevedeva: «Ogni conferimento di poteri all'Unione, se comporta modifiche o deroghe alla Costituzione, richiede il procedimento di revisione costituzionale». È una disposizione molto puntuale, visto che una cessione di sovranità rappresenta una modifica o una deroga alla Costituzione.
Non credo sia possibile ipotizzare semplicemente una procedura di approvazione bicamerale: dobbiamo piuttosto parlare di procedimento di revisione costituzionale.


PRESIDENTE. Faccio presente che l'osservazione del senatore Elia è di segno opposto. Egli ha ricordato che attualmente le cessioni di sovranità sono avvenute con legge ordinaria sulla base dell'articolo 11 della Costituzione. Ricordo che l'Italia ha recepito il trattato di Maastricht senza alcuna modifica della Costituzione.


ERSILIA SALVATO. Secondo me questo è stato un grave limite della nostra democrazia!


PRESIDENTE. Dal momento che lei ha citato il professor Elia, preciso per chiarezza che egli teme che questa formulazione possa mettere in discussione l'articolo 11 sulla base del quale il recepimento dei trattati internazionali, anche quando comportano cessioni di sovranità, può avvenire con legge ordinaria. Tuttavia vorrei chiarire, affinché resti agli atti, che il testo, che a questo punto sarebbe unificato, del subemendamento Boato, Dentamaro, Salvi, fa riferimento chiaramente a «ulteriori limitazioni», quindi, fa salvo quanto avvenuto fino a questo momento, che non verrebbe messo in discussione dall'approvazione dell'articolo in questione; mentre introduce un meccanismo più garantista, un meccanismo rafforzato, cioè una legge bicamerale adottata a maggioranza assoluta dei componenti.


ERSILIA SALVATO. A questo punto sarebbe probabilmente utile procedere ad una lettura del testo, al quale preannuncio fin d'ora la presentazione di un subemendamento.


PRESIDENTE. Do lettura della nuova formulazione del subemendamento III.0.1.15.1 Boato: «L'Italia partecipa, in condizioni di parità con altri Stati e nel rispetto dei principi supremi dell'ordinamento e dei diritti inviolabili della persona umana, al processo di integrazione europea; promuove e favorisce lo sviluppo dell'Unione europea ordinata secondo il principio democratico ed il principio di sussidiarietà. Le ulteriori limitazioni di sovranità sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera».


FRANCESCO SERVELLO. Propongo la soppressione della parola «le», mantenendo semplicemente «ulteriori limitazioni», se vi saranno, perché altrimenti sembra che esistano già.


PRESIDENTE. Nel testo riformulato non vi è il riferimento alla legge bicamerale, che è implicita nel concetto di «ciascuna Camera». Poiché al riguardo non è stata ancora assunta una deliberazione, procederemo ad uniformare il testo in sede di coordinamento.


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ERSILIA SALVATO. Come preannunciato, su quest'ultima parte presento una proposta emendativa nel senso che ulteriori cessioni di sovranità, che comportino modifiche o deroghe alla Costituzione, richiedono il rispetto del procedimento di revisione costituzionale.


PRESIDENTE. Il problema è chiarissimo: la senatrice Salvato propone di votare il principio secondo cui la procedura deve essere quella di revisione costituzionale, ritenendo insufficiente quella garantista che verrebbe introdotta; chiede inoltre che la garanzia sia quella prevista dalle norme di revisione costituzionale.
Prima di procedere, vorrei risolvere questo problema, perché impropriamente ci troviamo ad esaminare una proposta di modifica ad un subemendamento. Tra l'altro, una volta definito il testo, non è ancora deciso se lo approveremo o meno.
Pongo in votazione la proposta della senatrice Salvato.


(È respinta).


Pertanto, l'ultima parte del subemendamento risulta così riformulata: «Ulteriori limitazioni di sovranità sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera».
Do ora la parola al relatore, onorevole D'Amico.


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Vorrei innanzitutto precisare che non mi è molto chiaro a che punto ci collochiamo con questo emendamento, con riferimento alla seguente specifica questione. Come tutti loro sanno, la Costituzione tedesca è stata modificata a seguito del recepimento del trattato di Maastricht, ponendo condizioni precise allo Stato federale tedesco per cessioni ulteriori di sovranità, o meglio, come io preferisco dire, cessioni ulteriori di poteri e di competenze. La mia proposta non è quella di arrivare fino al limite della situazione tedesca, che incontra nella Costituzione alcuni limiti (e quelli previsti nella suddetta Costituzione riguardano in particolare il fatto che l'Unione, deve darsi organi democratici), ma di sostenere che l'Italia nel partecipare persegua questo obiettivo (quindi un vincolo meno stringente, ma pur sempre un vincolo), cioè che comunque sia inserito in Costituzione almeno il chiarimento sull'obiettivo che il paese persegue. A questo punto, se interpreto bene il contenuto dell'emendamento, esso prevede che sia possibile la cessione di ulteriori sovranità; a me non piace molto quest'ultima espressione, anche perché credo ponga problemi alla dinamica stessa del processo di costruzione dell'Europa unita, che speriamo, o almeno io spero, vada sempre avanti, ma non è escluso che domani o dopodomani possa purtroppo andare indietro. In questo caso, se un paese ha ceduto sovranità, vorrei che qualcuno mi spiegasse come potrebbe fare per riprendersela.
A questo punto, dicevo, l'emendamento alla nostra attenzione prevede ulteriori cessioni all'Unione europea «ordinata secondo il principio democratico», ma è a tutti noto che l'Unione non è ordinata secondo il principio di democrazia. Stiamo sostenendo - se capisco bene - che l'Italia non potrebbe sottoscrivere, per esempio, la revisione del trattato appena approvato ad Amsterdam (sul quale non sono molto informato, dovendo seguire i lavori della Commissione bicamerale), a meno che non contenga il principio di democrazia. Chiedo ai proponenti: è questo che stiamo affermando?


MARCO BOATO. Il testo è chiarissimo: «promuove e favorisce lo sviluppo dell'Unione europea ordinata secondo il principio democratico e il principio di sussidiarietà». Mi parrebbe strano che questo non fosse scritto nella Costituzione di uno Stato democratico che cede sovranità.


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Possiamo per esempio ratificare il nuovo trattato, ma non mi è chiaro se si tratta di un obiettivo che l'Italia persegue o di un vincolo che inseriamo in Costituzione; per esempio...


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FAUSTO MARCHETTI. Se si tratta di limitazioni di sovranità occorre che esse siano necessarie per assicurare la pace e la giustizia. Quindi, occorre che l'emendamento comunque non introduca modifiche all'articolo 11 della Costituzione.


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Intervengo soltanto in merito all'ultimo comma per provare a chiarire il problema. È noto che tutti i paesi europei prevedono procedimenti speciali per la ratifica dei trattati dell'Unione europea; in particolare prevedono in modo abbastanza generalizzato un meccanismo di revisione della Costituzione, uno strumento che il paese si dà, oppure meccanismi di referendum obbligatorio. Stiamo ora disegnando un'altra soluzione particolare italiana rispetto ad un problema che condividiamo con numerosi partner nell'Unione.


PRESIDENTE. Le procedure di ratifica dei trattati europei in altri paesi non sono soltanto le due indicate; sono infatti previsti procedimenti aggravati o di revisione costituzionale, oppure referendum obbligatori. In questo caso il nostro è un procedimento aggravato, se vogliamo utilizzare questa espressione, nel senso che viene introdotta una norma garantista. In altri paesi vi sono norme di garanzia più rilevanti, come per esempio il referendum obbligatorio, che potremmo decidere di introdurre. Si tratta di un tema di discussione. Noi dobbiamo decidere la procedura da introdurre e, personalmente, mi sembra che il meccanismo previsto nella proposta del relatore, cioè un giudizio preventivo da parte della Corte costituzionale, sia pericoloso, perché è come se il sistema politico si deresponsabilizzasse e tutte le volte fosse la Corte costituzionale ad indicare quale procedura debba essere seguita. Prendiamoci la responsabilità di stabilire, come gli altri paesi europei, una procedura per la ratifica dei trattati europei, i quali tutti comportano una limitazione si sovranità, compresi quelli che abbiamo già acquisito. La proposta è che questa procedura sia aggravata, che preveda cioè l'approvazione da parte delle due Camere con la maggioranza assoluta dei componenti: la senatrice Salvato ha proposto la procedura di revisione costituzionale; se qualcuno vuole il referendum, lo proponga. Dobbiamo comunque assumere un orientamento, rispetto al quale avremo comunque modo di riflettere e ragionare ulteriormente.


MARCELLO PERA. Signor presidente, dato che parliamo di procedure aggravate, cosa vi sarebbe di meglio della procedura di revisione costituzionale? Siamo il paese che è diventato il più europeista, ma anche più a buon mercato.


PRESIDENTE. Su questo abbiamo votato: il problema è che la procedura di revisione costituzionale è lunga e complessa, prevede la doppia lettura e determinati tempi; rischiamo di arrivare a ratificare i trattati quando essi hanno ormai esaurito la loro efficacia! Al riguardo, comunque, la Commissione si è pronunciata; ora ci dobbiamo pronunciare sulla procedura proposta dal subemendamento in esame, o in alternativa sulla procedura proposta nel testo del relatore.


FRANCESCO SERVELLO. Signor presidente, mi vorrei rivolgere ai colleghi Boato e Salvi in particolare, ma anche a tutti i colleghi, per verificare se sia possibile superare il dubbio intervenuto in seguito all'intervento del collega Elia cambiando la parola «sovranità», la quale indubbiamente riconduce all'articolo 11 della Costituzione.


PRESIDENTE. Possiamo scrivere che si tratta di cedere delle competenze, ma è un'ipocrisia, perché lo Stato nazionale non cede competenze, cede sovranità, tanto più perché questo concetto è già presente nell'articolo 11 della Costituzione.


SALVATORE SENESE. Ed è stato già adoperato dalla Corte costituzionale per


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legittimare i trattati, fino a quello di Maastricht.


CESARE SALVI. Il collega Elia ha spesso dubbi e questo talvolta aiuta di più, talvolta di meno nel nostro lavoro. Il punto è che finora l'articolo 11 è stato usato fino ed oltre i limiti del suo contenuto dalla Corte costituzionale per consentire limitazioni di sovranità oltre quello che era il tenore, lo spirito, la ratio, il significato della norma originaria. Questa si riferiva infatti ad una questione molto specifica: l'Organizzazione delle Nazioni Unite e gli obiettivi di pace.
Dopodiché si può far finta che sia tutto andato nella maniera giusta e che si debba continuare così, ed è la ragione per cui si è ritenuto, come hanno fatto le altre democrazie europee (l'Italia è in ritardo ma fortunatamente ora abbiamo la sede opportuna per intervenire), di affrontare la materia sulla base di un duplice versante. Innanzitutto, occorre accettare e favorire il processo di integrazione, che potrà prevedere (lo speriamo e lo auspichiamo) ulteriori cessioni o limitazioni di sovranità, ma nel contempo far sì che tale processo avvenga con una garanzia democratica. Quest'ultima deriva da due aspetti: i principi cui si deve ispirare il processo di costruzione europea (ed il testo Boato integrato con il testo Dentamaro prevede questi principi); una procedura che sia tale da non bloccare completamente, come avverrebbe con la revisione costituzionale (con la quale evidentemente si può fare tutto), ma che abbia tuttavia quegli strumenti di garanzia e di richiamo dell'attenzione che oggi non vi sono. Attualmente, infatti, può capitare che, per il combinato disposto dell'articolo 11 come interpretato dalla Corte costituzionale e di regole antidemocratiche delle istituzioni europee (che si auspica possano essere sostituite), vi siano vincoli imposti che non sono stati trasparentemente assunti.
Per tale ragione insistiamo per la votazione del testo Boato con le modifiche che sono state apportate.


ERSILIA SALVATO. Signor presidente, il ragionamento che lei ha svolto prima dava a mio avviso un utile suggerimento per il nostro lavoro: posso capire che il procedimento di revisione costituzionale abbia una lunghezza tale per cui diventa troppo pesante rispetto alle esigenze di un' approvazione rapida; tuttavia, sento in modo molto forte un deficit di democrazia del nostro paese rispetto ad altri paesi, deficit per il quale siamo stati finora nell'impossibilità di promuovere referendum, per esempio, sul trattato di Maastricht o su materie analoghe. Mi sembra che anche lei vi facesse riferimento nel suo ragionamento, se ho ben inteso.
Suggerirei allora di aggiungere al subemendamento Boato-Salvi le seguenti parole «possono essere sottoposti a referendum secondo le modalità dell'articolo...» (articolo che poi approveremo quando discuteremo sul Parlamento, nell'ambito del quale si deciderà se devono esservi 800 mila firme, e così via). Comunque, secondo quelle modalità si dovrebbe poter fare un referendum su una materia che comporta una cessione di sovranità: se non lo enunciamo esplicitamente, il nostro paese non potrà mai fare un referendum sulla materia ed io credo che questo sia davvero un nostro deficit democratico.


PRESIDENTE. Comunque, nella proposta Dentamaro, è prevista la possibilità di sottoporre a referendum le leggi di ratifica dei trattati internazionali, per cui se la approveremo, questa possibilità diventerà automatica: in sostanza, la procedura innesca la possibilità di referendum.


ERSILIA SALVATO. Presidente, questo lo so, ma so anche che vi sono diversi emendamenti e che i trattati internazionali hanno una grande ampiezza: possono esservi colleghi che su questo hanno altre propensioni, tant'è vero che, come ho detto, sono stati presentati numerosi emendamenti. Ora stiamo parlando del processo di integrazione europea e quindi della possibilità di fare referendum su esso: credo quindi che potremmo votare questa ulteriore aggiunta.


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PRESIDENTE. D'accordo, possiamo mettere in votazione il principio, salvo il successivo coordinamento, perché non possiamo prevedere il referendum in tutti gli articoli.
Mi pare che si venga delineando una procedura che prevede una legge bicamerale da approvarsi a maggioranza assoluta e la facoltà di appellarsi, tramite referendum, nei confronti della ratifica.


SERGIO MATTARELLA. Un chiarimento: se questa seconda condizione, la sottoponibilità a referendum, diventa un principio generale, si può sottoporre a referendum qualunque trattato internazionale, o soltanto in questo ambito?


PRESIDENTE. Questo lo vedremo domani, quando esamineremo il testo Dentamaro.
Ora ci si riferisce alla proposta che questa facoltà sia concessa, similmente a quanto avviene in diversi paesi europei (anzi, in diversi è prevista come obbligatoria), per la ratifica dei trattati europei.


MARCO BOATO. Si potrebbe aggiungere infine, dopo le parole «a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera» le parole « e possono essere sottoposti a referendum secondo le modalità previste dall'articolo...» (lasciamo in bianco il numero dell'articolo).


PRESIDENTE. Pongo in votazione tale proposta di integrazione.


(È approvata).


A questo punto, pongo in votazione il testo complessivo, che si è venuto formando attraverso questa opera redazionale collettiva, del subemendamento Boato III.0.1.15.1.


(È approvato).


Sono pertanto preclusi gli altri emendamenti all'articolo 1.
Passiamo all'esame dell'articolo 2, per il quale vi sono alcuni emendamenti soppressivi presentati da diversi gruppi. Qual è il parere del relatore?


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Il punto è se debba essere scritto nella Costituzione repubblicana il principio, in qualche modo, della prevalenza del diritto dell'Unione sugli atti interni ed i limiti che questa prevalenza incontra. Considerando che sempre più non solo le amministrazioni ma direttamente i cittadini si incontrano o si scontrano con questa prevalenza, a me sembra necessario che essa sia indicata nella Costituzione repubblicana.
Inoltre, rispondendo ad alcune obiezioni riguardo al fatto che ovviamente non tutti gli atti dell'Unione sono direttamente applicabili, il concetto che si utilizza in questa sede è quello non di applicabilità immediata ma di vigenza: è evidente che anche un atto non immediatamente applicabile è vigente, almeno nel senso che, per esempio, può imporre un dovere in carico agli organi competenti a provvedere (penso al caso delle direttive non immediatamente applicabili); si tratta peraltro di un dovere sanzionato.
Quindi, continuerei a difendere l'articolo 2 - non necessariamente in questa formulazione - e comunque il fatto che nella Costituzione repubblicana i cittadini si incontrino subito con il problema della prevalenza degli atti comunitari.


SALVATORE SENESE. Torniamo a proporre la soppressione dell'articolo 2, perché il principio contenuto nel primo comma è assolutamente pacifico nel diritto comunitario ed è stato ribadito dalla Corte costituzionale, quindi è doppiamente pacifico. I due ordinamenti nei quali si colloca la Repubblica - quello comunitario e quello interno - non hanno dubbi sul punto. Affermare in Costituzione un principio che già riposa sulla base del trattato e delle elaborazioni della Corte costituzionale fondate sul richiamo dell'articolo 11, a noi pare poco opportuno.
Per quanto riguarda il comma 2, desidero rilevare che vi è una commistione


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tra un problema di validità delle norme comunitarie e un problema di prevalenza. Si dice che: «Nei limiti delle competenze conferite all'Unione e nel rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento e dei diritti inviolabili, le norme comunitarie prevalgono su quelle nazionali». Se non che la prevalenza delle norme comunitarie su quelle nazionali prescinde da queste due condizioni, cioè anche una norma comunitaria emanata al di fuori delle competenze comunitarie sarebbe di per sé prevalente rispetto alle norme nazionali. Sarebbe peraltro invalida e dovrebbe essere invalidata da qualsiasi giudice, al limite chiamando in causa la Corte europea del Lussemburgo.
Quanto poi ad una norma comunitaria che violasse i diritti della persona o i principi supremi dell'ordinamento, la Corte costituzionale da tempo ha detto - ha cominciato con una sentenza del 1989 - che questa norma è direttamente denunciabile ad essa Corte non in sé e per sé, ma attraverso la denuncia - del tutto improbabile, dice - della norma del trattato da cui la si fa discendere.
Questi sono problemi di validità delle norme comunitarie che non possono essere confusi con i problemi di rapporti tra fonti comunitarie e fonti interne. Questi rapporti sono assolutamente pacifici: le norme comunitarie prevalgono sempre, però poi possono essere invalide e i meccanismi per invalidarle non sono quelli di negar loro la prevalenza ma sono quelli di denunciarle alla Corte del Lussemburgo o alla Corte costituzionale. Per cui questo tipo di norma rischia di ingenerare molti più problemi di quanti non ambisca a risolverne. Una buona ragione questa per sopprimere l'articolo 2.


FRANCESCO SERVELLO. Le argomentazioni testé pronunciate da Senese sono assolutamente convincenti. Una norma di questo tipo, nella quale si finisce per dichiarare, al secondo capoverso, che le norme dell'Unione europea prevalgono su quelle nazionali, è una norma ecumenica ed universale nella quale potrebbe entrare tutto, senza però capire le procedure, le forme e i modi in base ai quali le norme dell'Unione europea sono tali erga omnes.
Mi pare inopportuno insistere in formule di questo tipo che potrebbero determinare in dottrina e nel merito conflitti di interpretazione.


MARIO GRECO. Concordo sulle osservazioni del collega Senese, quanto meno perché anch'io sono firmatario di un emendamento soppressivo dell'articolo 2 per la stessa motivazione.
In sede di discussione sulle linee generali, l'onorevole Boato ha detto che senz'altro sono apprezzabili lo sforzo ed il lavoro dell'onorevole D'Amico che ha arato un terreno vergine (così ha definito la materia del processo di integrazione europea). Ma io ho già fatto presente al relatore che a mio avviso vi era un eccesso di costituzionalizzazione e che in questo rientra l'articolo 2. Condivido in pieno, infatti, la superfluità messa in evidenza dal collega Senese, visto e considerato che per il diritto comunitario e per il nostro ordinamento, ma soprattutto per gli interventi della Corte costituzionale e della Corte di giustizia europea, quello che si vuole costituzionalizzare è un dato già acquisito.
Anche il secondo comma è superfluo, tenuto conto che le fonti comunitarie possono sempre prevalere su quelle nazionali se rispettano i principi fondamentali dell'ordinamento e i diritti inviolabili della persona e sempre nei limiti delle competenze conferite all'Unione europea. Anche in questo caso mi sembra vi sia un eccesso di costituzionalizzazione.
Per questi motivi ribadisco il mio emendamento soppressivo dell'articolo 2.


ORTENSIO ZECCHINO. Desidero aderire all'emendamento soppressivo dell'articolo 2. In ogni caso se esso non ottenesse consenso, mi permetterei di insistere sulla necessità di modificare l'espressione «direttamente vigenti», pur avendo ascoltato le considerazioni del collega D'Amico.


PRESIDENTE. Prima votiamo i subemendamenti, poi eventualmente riprenderemo la discussione.


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Pongo in votazione congiuntamente gl'identici subemendamenti Boato III.0.2.7.1, Buttiglione III.0.2.7.3, Senese III.0.2.7.4 e Cossutta III.0.2.7.5, soppressivi dell'articolo 2.


(Sono approvati).


Passiamo all'esame dell'articolo 3, rispetto al quale il relatore ha presentato un emendamento soppressivo.
Pongo in votazione l'emendamento III.3.6 del relatore.


(È approvato).


Passiamo all'esame dell'articolo 4, rispetto al quale la senatrice Dentamaro ha presentato un emendamento soppressivo.


MARIDA DENTAMARO. Le ragioni del mio emendamento sono essenzialmente di coordinamento, perché nel testo predisposto a proposito del Parlamento è già prevista la partecipazione - e le sue forme - del Parlamento alla politica estera governativa e alla stipulazione dei trattati. Quindi, mi sembra che questa ulteriore specificazione, che riguarda in particolare l'Unione europea, sia assolutamente superflua nell'ottica di un testo costituzionale che si limiti alle affermazioni di principio e alla procedimentalizzazione delle questioni più decisive.


SALVATORE SENESE. Siamo favorevoli a mantenere il testo dell'articolo 4, sia pure con alcune modifiche che hanno formato oggetto di uno specifico emendamento - per una semplice ragione. Recuperiamo molte delle preoccupazioni che sono state espresse a proposito dell'articolo 1: da più parti si è detto che andiamo verso limitazioni della sovranità, qualcuno ha ritenuto che non bastasse il procedimento della legge bicamerale, altri hanno avanzato dubbi sulla conformità del processo alle linee di democrazia e di rispetto dei principi supremi. Ebbene, l'articolo 4, in particolare nei commi 2 e 3, delinea un procedimento di per sé molto preciso, forse minuzioso, che però è proprio quello che garantisce la partecipazione democratica a questo processo di probabile progressiva limitazione di sovranità.
Queste sono le ragioni per le quali non condividiamo l'emendamento soppressivo e proponiamo alcuni aggiustamenti.


PRESIDENTE. Pongo in votazione i subemendamenti Buttiglione III.0.4.13.2.


(È respinto).


Ci sono poi alcuni emendamenti che prevedono una riformulazione dei commi 1, 2 e 3 dell'articolo.


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Numerosi emendamenti riguardano il problema di chi nel Parlamenti si occupa di queste questioni, si discute in particolare se il coinvolgimento delle regioni debba avvenire attraverso la commissione federale di cui si parla nel testo della senatrice Dentamaro oppure direttamente attraverso il Senato. Non possiamo pronunciarci su queste cose senza aver deciso quale sia la forma del Parlamento, ritengo quindi opportuno che queste materie vengano accantonate finché non avremo deciso se nel Parlamento esista o no una seria rappresentanza delle regioni.


PRESIDENTE. Mi permetto di osservare che la questione potrebbe essere superata: nella formulazione proposta dai colleghi Boato e Pieroni, per esempio, si stabilisce in forma più generica che il Governo debba informare le Camere sulle questioni relative all'Unione europea al fine dell'adozione degli atti d indirizzo. Per quanto attiene alle materie di esclusiva competenza legislativa delle regioni, invece, rimarrebbe in vita il comma 4, che prevede che il Governo debba concordare con le regioni le sue scelte ed i suoi comportamenti secondo modalità che saranno fissate per legge. In questo modo non entreremmo nella questione della commissione federale.


CESARE SALVI. Mi sembra sia da accogliere l'osservazione del relatore nel


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senso che in questa sede si può usare l'espressione «il Parlamento», poi vedremo come coordinarla con il resto nel corso dell'esame del testo della collega Dentamaro. Rispetto alla proposta emendativa dell'onorevole Boato, però, siamo per mantenere la sostanza della formulazione del relatore proprio perché prevede qualcosa di più rilevante rispetto alla mera informazione.
Per quanto riguarda il comma 4, chiederemmo al relatore di valutare l'opportunità di sostituire le parole «concordate con esse» con le parole «esercitate d'intesa con esse» per evitare che si pretenda il consenso unanime di tutte le regioni. In questo modo credo che le modifiche proposte potrebbero essere accolte dal relatore.


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Senz'altro sì. Vorrei fosse chiaro che quando parliamo di Parlamento - almeno nella mia interpretazione, ma prima o poi bisognerà decidere - in alcuni casi se ci sarà nella seconda Camera una commissione federale, sarà quella che dovrà pronunciarsi. Naturalmente lo possiamo decidere più avanti.


PRESIDENTE. Poiché stabiliamo il principio che questi poteri sono esercitati d'intesa con le regioni, una volta che avremo affrontato il problema del Parlamento, vedremo se questa intesa comporti il passaggio attraverso questa commissione.


MARCO BOATO. Per prosciugare anche la discussione e non solo i testi, pur ritenendo che sarebbe sufficiente in Costituzione una previsione molto essenziale quale quella che ho proposto insieme al collega Pieroni, posso anche ritirare il mio emendamento e convergere su quello presentato dai colleghi Mussi, Salvi, Senese ed altri, al quale aggiungo la mia firma. Sollevo solo un'obiezione sull'ultimo punto ricordato poc'anzi dal collega Salvi: mi sorge il dubbio che con la formulazione proposta, se non ci fosse l'intesa tutto sarebbe paralizzato.


CESARE SALVI. Il testo originario recitava «concordata».


MARCO BOATO. Si potrebbe prevedere il parere o la proposta delle regioni, le altre mi sembrano formule troppo rigide.


PRESIDENTE. Resta aperto questo problema, posto anche dal subemendamento Cossutta III.0.4.13.8, che prevede la forma più blanda della previa consultazione.
Mi pare che la riformulazione dell'articolo proposta dal subemendamento III.0.4.13.5 sia accolta dal relatore e trovi l'intesa dei presentatori di emendamenti, salvo questo punto da dirimere. Vi è la preoccupazione che la formula «d'intesa con le regioni» finisca per essere paralizzante. Con quante regioni, con tutte? Con la maggioranza di esse? Con quelle più rappresentative per numero di abitanti?
È un meccanismo che rischia di essere aggirabile nella sua vaghezza o paralizzante se preso alla lettera. Pongo questo quesito ai presentatori.


CESARE SALVI. Ci riserviamo ulteriori approfondimenti, ma ricordo che si tratterebbe di materie riservate all'esclusiva competenza legislativa delle regioni. Il senso della nostra proposta è di rendere più flessibile la procedura, d'altra parte chiediamo che a stabilirla sia una legge. L'interpretazione autentica della nostra proposta è che occorra qualcosa di più di una mera consultazione proprio perché si tratta di materie riservate all'esclusiva competenza legislativa delle regioni.


FAUSTO MARCHETTI. Abbiamo proposto la formula «previa acquisizione del parere delle regioni».


PRESIDENTE. Il testo Salvi-D'Amico prevede che la questione venga regolata con legge, spetterà ad essa stabilire procedure tali che non risultino paralizzanti.


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MARCO BOATO. Se in Costituzione è scritto «d'intesa», la legge non può derogare.


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Vorrei brevemente ricordare che questa stessa materia, nelle due Costituzioni federali tedesca ed austriaca, è risolta prevedendo che su questi argomenti ai Consigli dell'Unione non partecipi il ministro della Repubblica ma il rappresentante delle regioni.


PRESIDENTE. Ma sia gli uni sia gli altri lamentano che questa soluzione li danneggia gravemente perché si rendono conto - sia gli uni sia gli altri - che questo modo di partecipare li indebolisce.


MAURIZIO PIERONI. Presidente, mi sembra inutile discutere il merito della futura legge; procederei quindi alla votazione del testo. Se è materia riservata alle regioni, non ci si può ridurre solo al parere: accetterei questa formula riservandoci di intervenire sul piano della legge stessa, perché altrimenti apriamo una discussione sul merito.


FAUSTO MARCHETTI. La discussione si chiude nel momento in cui si usa l'espressione «d'intesa» o «concordato» con le regioni: la legge dovrà rispettarla.


MARCO BOATO. Se il collega Marchetti è d'accordo, proporrei di considerare il subemendamento Armando Cossutta III.0.4.13.8 come integrazione rispetto al subemendamento Mussi III.0.4.13.5. Valutiamo l'ipotesi di utilizzare l'espressione «su proposta» delle regioni e non «d'intesa» con le stesse.


GIUSEPPE VEGAS. Mi sembrerebbe più opportuno utilizzare l'espressione «d'intesa» perché si tratterebbe di materia che riguarda specificatamente le regioni. L'espressione «su proposta» creerebbe una commistione tra i soggetti proponenti. Pertanto, il comma 4 potrebbe essere accolto nella formulazione contenuta nell'emendamento Mussi III.0.4.13.5.
Inoltre, qualora il collega Boato lo ritirasse, vorrei far mio il suo subemendamento III.0.4.13.1 perché i primi tre commi dell'articolo 4 nel testo del relatore mi sembrano alquanto ripetitivi. Si precisa un principio di carattere generale circa la concorrenza del Parlamento a delineare gli indirizzi della politica comunitaria, prerogativa questa che resta sempre in capo al Parlamento medesimo. Per quanto riguarda l'informativa sull'apertura dei negoziati, essa potrebbe essere rischiosa perché esistono negoziati di carattere riservato. Quanto infine alla concorrenza alla formazione di atti normativi europei, si rischia di frammentare la partecipazione del Parlamento ad atti di carattere diverso, magari escludendone alcuni tipici dell'Unione Europea.
Una formulazione più comprensiva, come quella proposta dall'onorevole Boato, fa correre meno rischi di escludere alcune fattispecie, anche se è inevitabilmente più lata.


FAUSTO MARCHETTI. Vorrei sottolineare che si tratta di esercizio dei poteri della Repubblica quale membro dell'Unione Europea; d'altro canto, si parla anche di materie riservate all'esclusiva competenza legislativa delle regioni. In questo caso stiamo regolando l'esercizio dei poteri della Repubblica come membro di quell'unione: ecco perché l'espressione «d'intesa» limita non i poteri delle regioni ma quelli della Repubblica.


PRESIDENTE. Nel quarto comma del suo emendamento III.4.13 il relatore si riferisce alle materie riservate all'esclusiva competenza legislativa delle regioni; sui poteri che non sono di esclusiva competenza delle regioni non c'è l'obbligo di raggiungere un'intesa con queste ultime.
Dobbiamo considerare il fatto che abbiamo riorganizzato l'esercizio dei poteri della Repubblica ripartendolo tra Stato e regioni; vi sono materie comunitarie che nel nostro ordinamento riformato apparterranno all'esclusiva competenza legislativa


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delle regioni. In questo caso dobbiamo prevedere che la presenza italiana sia concordata con le regioni. Mi pare che il problema esista: si tratta di trovare una formulazione adatta.


FAUSTO MARCHETTI. Non c'è dubbio che il problema esiste ed anche noi vogliamo trovare una formulazione adatta. Ripeto però che la norma si riferisce all'esercizio dei poteri della Repubblica.


PRESIDENTE. Nel subemendamento che avete proposto si parla di esercizio dei poteri della Repubblica, mentre il testo del relatore si riferisce all'esercizio di questi poteri nelle materie riservate all'esclusiva competenza legislativa delle regioni.


FAUSTO MARCHETTI. Parliamo della stessa cosa, presidente.


PRESIDENTE. Il problema è che l'espressione «Repubblica», nel nuovo testo, è comprensiva di comuni, province, regioni e Stato centrale.


FAUSTO MARCHETTI. Non c'è dubbio, presidente, ma in questo caso parlo della Repubblica quale Stato membro dell'Unione Europea, contrapposta alla competenza esclusiva delle regioni, della quale però bisogna tener conto.


SALVATORE SENESE. Fermo restando che nel testo del quarto comma si preveda l'espressione «d'intesa», esso potrebbe essere riformulato prevedendo che i poteri della Repubblica siano esercitati tenendo conto degli indirizzi espressi dalle regioni.


FAUSTO MARCHETTI. Sono d'accordo.


MARCELLO PERA. È un'espressione estremamente generica: mi pare un tentativo per mettere d'accordo posizioni diverse utilizzando un'estrema genericità. Stiamo parlando di un testo costituzionale.


PRESIDENTE. Intendiamoci: questa norma ha un carattere di indirizzo perché comunque dovrà essere una legge a regolare le procedure di consultazione delle regioni. La difficoltà consiste nel fatto che, essendo le regioni molte e non avendo previsto nel nostro ordinamento una Camera delle regioni al cui voto si potrebbe ricorrere, la situazione è molto complessa. È difficile ottenere un parere vincolante di tutte le regioni che sia favorevole e conforme.


GIOVANNI PELLEGRINO. Si dovrebbe trattare pur sempre di un mandato dotato di una certa flessibilità.


PRESIDENTE. Non c'è dubbio.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Vorrei ribadire al senatore Marchetti quanto lei, presidente, gli ha fatto già osservare: non si tratta dello Stato ma della Repubblica, la quale comprende le regioni. La Repubblica, membro dell'Unione Europea, è composta da un insieme di soggetti, tra cui le regioni. Mi pare che, con riferimento alle materie riservate all'esclusiva competenza delle regioni, l'utilizzo dell'espressione «d'intesa» sia il limite invalicabile; non si può solo tener conto degli indirizzi della regione in materie di sua competenza esclusiva. Ricordo che, bene o male che facciano, gli Stati federali - ai quali pretenderemmo di riferirci - inviano i rappresentanti regionali a Bruxelles, mentre noi vorremmo semplicemente tener conto degli indirizzi.


MARCO BOATO. Se c'è una trattativa in corso ogni dieci minuti si crea un'intesa fra 22 regioni e province autonome su una certa materia? Questo è il problema.


MASSIMO VILLONE. Poiché pare che il problema nasca dall'uso del termine «Repubblica», proporrei di usare l'espressione «poteri dello Stato quale componente dell'Unione Europea».


PRESIDENTE. Stiamo parlando delle materie che sono di esclusiva competenza legislativa delle regioni.


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MASSIMO VILLONE. Certo, ma poiché si eccepisce partendo dal concetto che abbiamo introdotto una Repubblica che è, per così dire, un soggetto composito, perché da ciò prende le mosse questo problema...


PRESIDENTE. Il problema prende le mosse, mi permetto di dirlo, da tutt'altro aspetto. Possiamo scrivere quello che vogliamo, ma qui si tratta di stabilire se vogliamo inserire una norma d'indirizzo (poi sarà la legge a regolarne le modalità) riguardo al modo in cui lo Stato italiano esercita la sua funzione in sede comunitaria sulle materie che sono di esclusiva competenza delle regioni: concordando con le regioni? Consultandole? Delegando ad esse? Questo è il punto, non è una questione nominalistica.


MASSIMO VILLONE. Era in aggiunta a quanto già proposto, non in alternativa.


PRESIDENTE. La questione è molto complessa; il collega Vegas ha «richiamato in vita» l'emendamento Boato perché semplificativo dei primi tre commi. Inoltre, per quanto riguarda l'ultimo comma, il collega Senese ha riformulato nel modo seguente il proprio subemendamento: «una legge bicamerale stabilisce i procedimenti volti a garantire che nelle questioni che incidano su materie riservate all'esclusiva competenza delle regioni l'esercizio dei poteri della Repubblica quale Stato membro dell'Unione europea sia esercitato tenendo conto degli indirizzi espressi dalle regioni», posizione che viene giudicata insufficiente da altri colleghi, i quali chiedono che si mantenga l'espressione «d'intesa con le regioni». A questo punto, dovremmo procedere ad una votazione quanto mai complessa.


ORTENSIO ZECCHINO. A partire dalla questione relativa al quarto comma, che mi pare quella sulla quale stentiamo a trovare un'intesa, vorrei aggiungere un'ulteriore proposta, sperando che non sia peggiorativa. Se la volontà è quella di rinviare alla legge, perché non lo facciamo utilizzando un'espressione generica come «la partecipazione»? Il testo suonerebbe quindi nel modo seguente: «la legge stabilisce i procedimenti volti a garantire la partecipazione delle regioni». Successivamente la graduazione di questa partecipazione può essere regolata con legge. Quindi, fissiamo il principio che occorre la partecipazione; i modi, le forme, il grado della stessa li fisserà la legge.
Approfittando della parola di cui in questo momento dispongo, sul secondo comma vorrei osservare che l'espressione «dal momento dell'apertura dei negoziati» pone gravi problemi di ordine diplomatico-internazionale. In questo caso cercherei di fissare il principio che sui negoziati per la revisione il Governo informa il Parlamento, ma eviterei di utilizzare espressioni in qualche modo puntuali nell'individuazione temporale. Infatti, i negoziati sono procedimenti complessi ed il momento della loro apertura è particolarmente delicato, per cui fare riferimento ad esso mi parrebbe un irrigidimento per tanti aspetti pericoloso.
Infine, vorrei comprendere cosa il relatore intenda quando al secondo comma parla di «progetto di revisione».


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Per esempio, la Conferenza intergovernativa è un progetto di revisione: essa si apre ed hanno inizio i negoziati, quindi il riferimento è fatto per comprendere quale sia il momento di apertura dei negoziati. Il momento di apertura è quello in cui si convoca la Conferenza intergovernativa, il progetto è quello che ad essa viene rassegnato.


ORTENSIO ZECCHINO. Se il relatore consente, l'apertura dei negoziati non è l'inizio della Conferenza intergovernativa; quello è un momento di formalizzazione, ma l'apertura dei negoziati può essere avvenuta anche in un momento precedente.
Infine, ribadisco la mia proposta relativa al quarto comma.


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PRESIDENTE. Mi pare che quella avanzata dal senatore Zecchino sia una buona proposta, perché in qualche modo scioglie la questione in temini accettabili in un testo costituzionale; è chiaro che la rinvia alla legge, ma questo avverrebbe comunque e tra l'altro il termine «partecipazione» non esclude neppure la possibilità di una partecipazione diretta di un rappresentante delle regioni a fianco del ministro della Repubblica.


MARCO BOATO. Sono d'accordo con il senatore Zecchino e, a questo punto, proporrei di affrontare nell'ambito dell'articolo 4 soltanto ciò che riguarda il rapporto Governo-Parlamento e di far rientrare nell'articolo 6 tutta la questione che riguarda le regioni. Ricordo che all'articolo 6 avevo presentato un emendamento che inizia esattamente con ciò che ha detto il senatore Zecchino: «Le regioni partecipano nei modi previsti dalla legge alla formazione della volontà dello Stato in riferimento agli atti dell'Unione europea che incidono nelle materie di loro competenza». All'articolo 6, in sostanza affronteremmo tutta la problematica relativa alle regioni, non solo questo punto, mentre all'articolo 4 verrebbe lasciata la materia riguardante i rapporti tra Governo e Parlamento.


PRESIDENTE. Qual è il parere del relatore?


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Non ho una particolare predilizione; per spiegare la logica, il riferimento era alla fase ascendente ed a quella discendente, ma può essere anche al rapporto Parlamento-regioni, non ho obiezioni in proposito.


PRESIDENTE. Vorrei anche ricordare che nel testo di riforma del bicameralismo che discuteremo, in materia di trattati internazionali, vi è la proposta per la quale il Governo informa le Camere dell'apertura e dello svolgimento dei procedimenti di negoziazione dei trattati internazionali, una norma di carattere generale che ovviamente si applicherebbe anche ai trattati europei. In sede di coordinamento possiamo compiere le opportune valutazioni, ma alla fine ritengo che vi sarebbe una ridondanza.


MARIDA DENTAMARO. Vorrei preannunciare che vi è anche un emendamento che propone l'espressione «al fine dei relativi atti di indirizzo», sul quale esprimerò parere favorevole.


PRESIDENTE. La questione è quindi trattata anche in altra parte. Pertanto, mi domando se dobbiamo introdurla anche nel caso di specie, dato che siamo orientati a disciplinare la materia nell'ambito del capitolo dedicato al Parlamento.


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Mi pare che il punto sia il seguente: se prendiamo atto del fatto che il procedimento attraverso il quale questo paese cede poteri - continuo a dire - all'Unione europea è cosa diversa dalla norma riguardante gli altri trattati, oppure ritorniamo all'articolo 11. Poiché la cosa che realmente sta accadendo è che questo paese - piaccia o no - è cambiato dal processo di unificazione europea, immaginare di risolvere i problemi dell'Unione solo con l'articolo 11 mi sembrerebbe sbagliato. Se noi, anche dal punto di vista della partecipazione democratica, vogliamo che si partecipi attraverso il Parlamento al processo di costruzione della volontà europea, a me pare che qualcosa in più sia necessario dire, perché riguardo alla questione specifica della formazione della volontà della Comunità europea la partecipazione democratica è una questione essenziale, e noi cerchiamo di assicurarla attraverso il Parlamento. Anche perché l'Unione europea assume (abbiamo detto che è implicito, che non vi è neanche necessità di ricordarlo) decisioni che impattano decisamente sui cittadini. Quindi, è ovvio che è sempre possibile tornare alla previsione dell'articolo 11, a quanto oggi è previsto in tema di procedure


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parlamentari. Il punto è se vogliamo aggiungere qualcosa in più, cosa che a me pare necessaria (anche se è stato detto addirittura che non varrebbe la pena di scriverlo) perché le decisioni assunte dagli organismi comunitari incidono direttamente sui cittadini.


MARIO GRECO. Vorrei raccomandare di prendere in considerazione quello che incidentalmente ha detto precedentemente l'onorevole Boato. Premesso che si potrebbe esaminare la possibilità di recuperare l'emendamento Boato all'articolo 4, per quanto riguarda questa nostra discussione molto prolungata sul comma 4, osservo che potrebbe esserco una ripetizione dell'articolo 6, così come l'ha formulato il collega Boato. Possiamo vedere di esaminare in un unico contesto l'articolo 4 e l'articolo 6? Vorrei sapere dal relatore se non sia esagerato parlare della partecipazione delle regioni quando si tratta di materia di loro competenza e riproporre la questione ancora una volta nell'articolo 6.
Capisco che il collega D'Amico si preoccupi che stiamo svuotando la sua proposta, per cui tanto varrebbe ritornare all'articolo 11, ma direi che non è così, perché noi introduciamo delle novità. Anche la questione delle regioni viene presa in considerazione nell'articolo 6.


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Non ho obiezioni di collocazione. Il problema delle regioni però si pone con riferimento ad un duplice oggetto.
In primo luogo, le regioni partecipano in qualche modo alla formazione della volontà comunitaria nelle materie di loro specifica competenza sul piano interno? In secondo luogo, le regioni attuano direttamente le normative comunitarie nelle materie che la Costituzione repubblicana che stiamo per modificare affida alla loro esclusiva competenza? Sono due problemi diversi. Possiamo ovviamente affrontarli nel medesimo articolo, non ho obiezioni su questo, ma i problemi sono due.


PRESIDENTE. Vorrei fare una proposta che forse semplifica ulteriormente la materia: all'articolo 4 potremmo raccogliere tutte le norme relative al ruolo del Parlamento nel processo di integrazione europea, compresa quella all'articolo 5. Quest'ultimo si potrebbe infatti modificare nel senso che il Parlamento esprime parere preventivo rispetto alla nomina dei membri degli organi delle istituzioni europee da parte del Governo.
Quindi si potrebbe dire: «Il Parlamento concorre alla formazione degli indirizzi di politica comunitaria», sulla base dell'emendamento Salvi, si potrebbero recuperare i primi tre commi emendati dell'articolo 4 e inserire come comma 4 il principio di cui all'articolo 5 («Il Parlamento esprime parere anche sulle nomine preventive (...)»). Il successivo articolo affronterebbe invece organicamente il tema del rapporto regioni-integrazione europea.
Credo che in questo modo la materia risulti sistemata meglio. Potremmo dare mandato su tale questione, ma se volete possiamo votare.


ORTENSIO ZECCHINO. Prima di passare alla votazione, vorrei chiedere ai presentatori che cosa significhi, al comma 1, l'espressione «Il Parlamento concorre (...)» con chi concorre? Nella versione D'Amico era chiaro, perché c'era la Commissione, e quindi a concorrere erano il Parlamento e la Commissione; ma qui il Parlamento non concorre: definisce gli indirizzi di politica comunitaria. Ripeto, con chi concorre?


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Con il Governo.


ORTENSIO ZECCHINO. No, gli indirizzi di politica comunitaria li fissa il Parlamento, non il Governo.


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Concorrono due soggetti diversi: in una


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formulazione erano la Camera dei deputati...


ORTENSIO ZECCHINO. Questo l'ho capito, e perciò trovo giusto che nella tua formulazione...


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Sono la Camera federale, la Commissione federale, qualunque...


PRESIDENTE. Vorrei che qualcuno scrivesse l'intero articolo, compreso l'ultimo comma («Il Parlamento esprime parere preventivo sulle nomine da parte del Governo dei membri degli organi (...)»).


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Il Governo non ha alcun potere di nomina, purtroppo; tale potere è sempre del Consiglio. I Governi nazionali avanzano solo proposte al Consiglio.


PRESIDENTE. Naturalmente va escluso l'attuale comma 4.


MARCO BOATO. Presidente, mi sembra che il testo risulti del seguente tenore:
«1 Il Parlamento definisce gli indirizzi di politica comunitaria.
2 Dal momento dell'apertura dei negoziati per qualsiasi revisione di trattati istitutivi delle Comunità europee nonché dei trattati che li hanno modificati o integrati il Governo informa il Parlamento. Successivamente gli sottopone il progetto di revisione e tiene conto degli indirizzi eventualmente espressi in sede parlamentare«.
Leggo ora il comma 3.


ORTENSIO ZECCHINO. Prima di procedere a leggere il comma 3...


MARCO BOATO. Sarebbe meglio leggerlo tutto.


ORTENSIO ZECCHINO. Dobbiamo leggerlo tutto o posso dire qualcosa?


PRESIDENTE. Se ha un'osservazione puntuale da fare...


ORTENSIO ZECCHINO. È puntuale. Al secondo comma si potrebbe dire: «Il Governo informa il Parlamento sui negoziati per la revisione (...)», eliminando le parole «dal momento». Poi alla fine sostituirei le parole: «tiene conto degli indirizzi» con le parole: «al fine degli indirizzi», come nel comma 3.


MARCO BOATO. Non so se qualcuno sia stato in grado di scrivere.


PRESIDENTE. Chiedo che venga riscritto. Propongo pertanto di accantonare l'articolo 4 e propongo altresì la soppressione dell'articolo 5, nel senso che il principio venga incorporato come ultimo comma dell'articolo 4.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.


(Così rimane stabilito).


Passiamo ora all'esame dell'articolo 6, emendamento del relatore III.6.17, al quale sono stati presentati numerosi subemendamenti.
Il subemendamento interamente sostitutivo Boato III.0.6.17.1 incorporerebbe il principio contenuto nell'ultimo comma dell'articolo 4 e se venisse accolto, farebbe decadere gli altri subemendamenti.


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Non ho particolari obiezioni alla formulazione Boato, salvo che mancano due concetti, secondo me necessari.
In primo luogo, quando lo Stato centrale esercita il potere sostitutivo, gli atti che ha compiuto sono provvisori, vale a dire rimangono in vigore finché la regione non provveda.
In secondo luogo, manca totalmente l'ultimo comma, che mi sembrerebbe necessario, cioè che le regioni possano stipulare con altre regioni italiane o enti territoriali di altri Stati membri specifici accordi.


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Riguardo ai primi tre commi, mi sembrerebbe necessario il punto della transitorietà dell'intervento sostitutivo dello Stato; inoltre, secondo me andrebbe previsto in Costituzione un certo coinvolgimento delle regioni o della comunità delle regioni nell'esercizio del potere sostitutivo. Così come espresso nell'emendamento Boato, questo potere sostitutivo è generalissimo e non incontra alcun limite, né temporale né procedurale.


PRESIDENTE. Mi permetto di fare un'obiezione: per quanto riguarda il comma 4, questo principio lo abbiamo già stabilito; nella parte relativa ai poteri delle regioni abbiamo già attribuito alle medesime, direi quasi con le stesse parole, il potere di stipulare accordi con altre regioni italiane o enti territoriali di altri Stati membri, previo semplicemente parere favorevole del Governo. Questo principio è stato già approvato dalla Commissione, quindi inserirlo nuovamente sarebbe veramente ripetitivo: la possibilità delle regioni di stipulare accordi anche di natura internazionale è già prevista.
Sull'altro punto sinceramente il testo Boato è molto vago, si riferisce ad un potere sostitutivo rinviando ad una legge che deve disciplinarlo; naturalmente non si esclude che la legge, nel disciplinare il potere sostitutivo, stabilisca che è temporaneo, ma questa diventa una norma di dettaglio.


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Abbiamo in qualche modo affermato che le regioni, le province e i comuni sono soggetti di questo Stato federale. Mi sembrerebbe strano prevedere che poi una legge disciplini i casi in cui, nelle materie di esclusiva competenza di questi soggetti, un altro si può sostituire nell'esercizio del loro potere. Sarebbe come dire che il potere legislativo è del Parlamento, ma il Governo quando crede può sostituirsi; ogni volta che diciamo che il Governo può farlo, fissiamo una serie di regole.


PRESIDENTE. Qui parliamo del caso in cui le regioni non provvedano all'attuazione e all'esecuzione del diritto comunitario. È chiaramente un'ipotesi di natura eccezionale; tra l'altro, abbiamo già disciplinato l'eccezionalità del potere sostitutivo, perché abbiamo affermato che questo è ammesso nei casi in cui sia minacciata l'incolumità delle persone e la sicurezza. Introduciamo adesso questa norma in relazione agli obblighi comunitari, dopo di che questo potere sostitutivo è davvero previsto in casi di assoluta straordinarietà; non è affatto delineato un uso ordinario del potere sostitutivo.


MAURIZIO PIERONI. Forse non riesco a convincere l'onorevole D'Amico, ma credo che questa formulazione riprenda lo spirito e le intenzioni del relatore, che penso sia invece tradito dalla lettera del suo articolato.
Abbiamo stabilito il principio della sovranità regionale ove non vi sia competenza legislativa dello Stato. Adottando la formulazione del quarto comma dell'emendamento III.6.17, andremmo a restringere e a facoltizzare - mi si perdoni il bruttissimo termine - un'autonomia che nell'esame del testo D'Onofrio abbiamo lasciato indiscriminata, totale ed assoluta, purché non incida sulla potestà legislativa dello Stato. È una formulazione che, proprio perché generica, accentua gli aspetti federalistici, lungi dal restringerli e dal limitarli.
Infine, se mi è consentito, la brevità della formulazione ci sembra più consona al testo costituzionale.


KARL ZELLER. Nel testo proposto dal collega Boato manca il riferimento alla potestà di attuare anche i trattati internazionali, sempre nell'ambito della propria competenza, facoltà prevista invece nella formulazione del relatore. Se passasse il testo del collega Boato dovrebbe essere inserito anche il riferimento contenuto nel mio subemendamento, volto a prevedere che, accanto alle regioni, anche le province autonome possono concorrere all'attuazione ed integrazione della normativa comunitaria (Commenti).


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Una cosa è l'articolazione, altra cosa è la potestà di concorrere perché anche le province autonome hanno potestà legislativa.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Prima della votazione proporrei al relatore due semplici correzioni. Sostituirei questa enfatica «formazione della volontà dello Stato» con «formazione degli atti dell'Unione europea che incidono nelle materie di loro competenza».


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. È una partecipazione diretta.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Sì, certamente diretta, ma non è la formazione della volontà dello Stato, bensì degli atti dell'Unione europea.


PRESIDENTE. La formulazione sarebbe la seguente: «Le regioni partecipano, nei modi previsti dalla legge, alla formazione degli atti dello Stato in riferimento...


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Partecipano alla formazione degli atti dell'Unione europea.


PRESIDENTE. L'espressione «partecipano alla formazione degli atti dell'Unione europea» sembrerebbe però prefigurare che non esiste più una mediazione statale, è un concetto diverso (Commenti dell'onorevole Boato).


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Inoltre, si potrebbe parlare di esercizio del potere sostitutivo, lasciando impregiudicato da chi e come viene esercitato, non potendosi escludere, senza essere troppo avveniristici, che venga esercitato - sarebbe il principio di sussidiarietà nella versione di Maastricht - dalla stessa Unione europea. Quindi, si potrebbe dire «del potere sostitutivo in caso di inerzia regionale», senza specificare per ora «dello Stato», cosa che peraltro la legge potrebbe includere, ma potrebbe anche non includere.


ERSILIA SALVATO. Anch'io ritengo che l'espressione «formazione della volontà» non convinca; sarebbe meglio dire «la formazione delle decisioni dello Stato in riferimento agli atti...».


MARCO BOATO. Il testo verrebbe così formulato: «Le regioni partecipano, nei modi previsti dalla legge, alla formazione delle decisioni dello Stato in riferimento agli atti dell'Unione europea ed ai trattati internazionali» - recependo così la proposta Zeller - «che incidono nelle materie di loro competenza». Il resto rimarrebbe come nel testo. Si può anche scrivere: «Nelle medesime materie le regioni e le province autonome provvedono...». Tuttavia, intendo che già la regione...


PRESIDENTE. Onorevole Rotelli, lei è contrario ad introdurre il riferimento alle province autonome?


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Per la prima volta surrettiziamente introduciamo nella Costituzione la dizione «province autonome» che abbiamo inserito soltanto in una norma transitoria.


MARCO BOATO. Anch'io ritengo, insieme al collega Rotelli, che il riferimento sia stato già inserito nella norma transitoria, per cui non occorre aggiungerlo nel testo in esame.


PRESIDENTE. Si può porre in votazione la proposta Zeller di aggiungere, dopo le parole «le regioni» anche «e le province autonome».


KARL ZELLER. Già adesso è prevista la potestà di attuare la normativa comunitaria; sarebbe folle se in sede di revisione costituzionale si escludesse il potere di attuare la normativa comunitaria con legge provinciale, secondo quello che già accade adesso. Sarebbe una cosa abnorme.


PRESIDENTE. Nessuno toglie il potere di attuare...


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KARL ZELLER. Se si parla solo di regioni, è chiaro che non si fa riferimento alle province autonome.


MARCO BOATO. Abbiamo già scritto nella disposizione transitoria che la regione Trentino-Alto Adige si articola nelle due province autonome di Trento e Bolzano.


KARL ZELLER. Avete respinto il subemendamento da me presentato che prevedeva l'istituzione di due regioni; allora è chiaro che sono due province; e la provincia non è la regione.


SALVATORE SENESE. Prima della votazione vorrei esprimere due osservazioni.
A mio avviso non è saggio né prudente affidare ad una legge la definizione del potere sostitutivo poiché le ipotesi di inadempimento debbono trovare immediatamente gli strumenti di risposta, pena il blocco dei meccanismi comunitari e la crisi. Allora, mi pare che il terzo comma dell'articolo 6 come proposto dal relatore D'Amico risponda esattamente a questa esigenza: «Nel caso in cui la regione non provveda, il Governo, informato il Parlamento, adotta le misure necessarie che mantengono efficacia fino all'adempimento regionale».

PRESIDENTE. Questa parte, quindi, potrebbe essere trasformata in ultimo comma della norma di cui ci stiamo occupando.
Vorrei allora riepilogare qual è il tenore del testo: «Le regioni partecipano nei modi previsti dalla legge alla formazione delle decisioni dello Stato in riferimento agli atti dell'Unione europea ed ai trattati internazionali che incidono nelle materie di loro competenza. Nelle medesime materie le regioni provvedono all'attuazione ed all'esecuzione del diritto comunitario. Nel caso in cui la regione non provveda, il Governo, informato il Parlamento, adotta le misure necessarie che mantengono efficacia fino all'adempimento regionale».


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Non ho capito, però, di quali decisioni stiamo parlando. Delle decisioni dello Stato? Ma in questo caso la decisione interverrà solo in sede di ratifica. Si può parlare di volontà, di espressione di volontà, di orientamento; ma non vi è una decisione.


MARCO BOATO. Ha ragione il relatore: era giusto mantenere il termine «volontà».


PRESIDENTE. Al di là della validità formale del testo, vorrei sottolineare che dal punto di vista tecnico la decisione è comunitaria: lo Stato partecipa alla formazione della decisione comunitaria sulla base di una propria volontà politica. Su questo punto, quindi, è opportuno mantenere il testo proposto da Boato.
Il testo si conclude, poi, in questo modo: «Qualora una competenza regionale sia reputata illegittimamente lesa da un atto dell'Unione europea e non siano previsti mezzi di ricorso regionale diretto, la regione può, con deliberazione a maggioranza assoluta, richiedere che il Governo ricorra presso gli organi giurisdizionali dell'Unione europea». Si tratta della norma prevista dall'articolo 7 nel testo del relatore.


SALVATORE SENESE. Aggiungerei ancora qualche parola, presidente: «Il Consiglio dei ministri provvede con decisione motivata».


PRESIDENTE. Sta bene.


GIUSEPPE VEGAS. Occorre specificare che per «maggioranza assoluta» non si intende ovviamente riferirsi agli abitanti della regione...


PRESIDENTE. Si tratta dell'organo deliberativo: il Consiglio. Mi pare implicito.
È stato dunque riformulato l'articolo relativo ai rapporti fra regioni ed integrazione


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europea, in una forma che tiene conto delle osservazioni espresse durante il dibattito.
Lo pongo in votazione.


(È approvato).


L'articolo 4, avendo anche tenuto conto dei vari emendamenti presentati, risulta così riformulato: «Il Parlamento definisce gli indirizzi di politica comunitaria. Il Governo informa tempestivamente il Parlamento dei negoziati per qualsiasi revisione dei trattati istitutivi delle Comunità europee, nonché dei trattati che li hanno modificati o integrati. Successivamente sottopone allo stesso Parlamento il progetto di revisione al fine di acquisirne gli eventuali indirizzi.
Prima di concorrere alla formazione di norme comunitarie il Governo informa in modo esauriente il Parlamento per l'adozione dei relativi atti di indirizzo. Il Parlamento esprime parere preventivo al Governo in relazione alla nomina dei membri degli organi delle istituzioni dell'Unione europea».
Pongo in votazione l'articolo 4 nel testo di cui ho appena dato lettura.


(È approvato).


Resta da esaminare ora l'articolo 8, come riformulato nell'emendamento sostitutivo III.8.15 presentato dal relatore; riguarda la politica economica e la Banca d'Italia. Sono stati presentati numerosi subemendamenti, alcuni dei quali interamente soppressivi.


ORTENSIO ZECCHINO. Signor presidente, su questo tema noi abbiamo presentato un emendamento che è stato collocato in un'altra parte del nostro progetto. Ci sembrerebbe non congruo regolamentare il tema della Banca d'Italia nella sezione europea.
Visto che il problema esiste, riteniamo dovrebbe essere affrontato nella parte relativa alle garanzie, che concerne anche le autorità indipendenti. Propongo pertanto l'accantonamento della questione.


PRESIDENTE. Secondo il senatore Zecchino, quindi, la problematica andrebbe accantonata perché l'eventuale riconoscimento dell'autonomia e dell'indipendenza della banca centrale (che la maggioranza dei testi ritiene debba essere previsto) dovrebbe essere collocato nella parte relativa alle autorità indipendenti.
Domando se vi siano obiezioni a questa proposta.


CESARE SALVI. Ovviamente questo significherebbe recepire gli emendamenti soppressivi da tempo presentati sul primo comma dell'articolo 8. Credo che il relatore possa accogliere queste proposte. Infatti, se il primo comma fosse soppresso, non si porrebbe il problema della collocazione della norma sulla Banca d'Italia in questo contesto (anche se il rilievo è stato giustamente posto dal relatore). Diversamente, si porrebbe anche il problema della regolamentazione del rapporto fra la Banca d'Italia e la Banca centrale europea.


PRESIDENTE. La questione è ampiamente regolamentata dal trattato di Maastricht.


CESARE SALVI. Essendo noi d'accordo con la proposta del senatore Zecchino, riteniamo che implicitamente essa presupponga la soppressione del primo comma dell'articolo 8, sempre che il relatore non abbia obiezioni.


PRESIDENTE. Vorrei allora ascoltare il parere del relatore su questo punto. In sostanza si propone di considerare soppresso il primo comma dell'articolo 8 e di affrontare i temi relativi alla restante parte dell'articolo in sede di esame del tema delle autorità indipendenti.


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. I problemi sono due, quindi, e non necessariamente collegati.
Per quanto concerne la proposta di sopprimere il primo comma dell'articolo 8, il mio parere è negativo. Secondo me la


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norma è necessaria, perché la politica economica del paese è cambiata per effetto dei vincoli introdotti con il trattato di Maastricht (magari si vuole far finta che non sia così o che ciò non sia avvenuto nella nostra Costituzione). Fra l'altro, faccio presente che questa parte dell'articolo riprende il testo delle proposte di legge sottoposte da numerosi gruppi a questa Commissione: la formulazione, anzi, rappresenta una mediazione rispetto a quelle più radicali, che addirittura prevedevano una più forte costituzionalizzazione dei principi dell'Unione (non solo «nel rispetto», ma «in conformità» ai principi) o addirittura dei parametri. A me pare necessario che nella Costituzione vi sia la novità legata al fatto che la politica economica e monetaria di questo paese incontri un limite nell'adesione dell'Italia al processo di costruzione dell'Unione europea.
Riguardo alla seconda questione, non ho obiezione ad accantonare il problema, che è sempre possibile, ma non è un caso che essa si ponga a questo punto, proprio perché il processo di costruzione della moneta unica, affidandosi al sistema della banche centrali, richiede espressamente che i singoli paesi tutelino l'autonomia delle banche centrali nazionali in quanto soggetti che partecipano alla formazione della volontà della Banca centrale europea che, in quanto tale, deve essere autonoma, secondo quanto previsto dal trattato di Maastricht. Quindi, se vogliamo il vincolo dell'autonomia, questo può essere collocato in un'altra parte del testo, ma il collegamento è necessario rispetto ai temi che stiamo affrontando.


PRESIDENTE. Ho qualche dubbio: abbiamo costituzionalizzato il vincolo rappresentato da tutti i trattati europei, in tutti i campi, dal momento che abbiamo regolato la limitazione accettata della sovranità nazionale in relazione alla ratifica dei trattati europei. Per esempio, questo vincolo vale non soltanto nel campo della politica monetaria, ma anche in quello della sicurezza e della sorveglianza dei confini. Se firmiamo la convenzione di Schengen, non credo abbia senso riportare in Costituzione l'elencazione di tutti i vincoli. Capisco che il tema monetario possa essere particolarmente appassionante...


NATALE D'AMICO, Relatore sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea . Il primo comma fa riferimento alla politica economica e non soltanto alla moneta europea. Fa riferimento, in generale, alla politica economica.


MAURIZIO PIERONI. Vorrei avanzare una mozione d'ordine. Ritengo abbia ragione il relatore a non accettare la proposta di accantonamento, ove non si risolva il problema relativo al primo comma. Le chiedo pertanto di porre ai voti l'emendamento soppressivo del primo comma: se approvato può essere accantonato, altrimenti esprimo parere contrario.


PRESIDENTE. Se il relatore non accetta la proposta, porremo in votazione l'emendamento soppressivo del primo comma dell'articolo 8.


GIUSEPPE VEGAS. Vorrei fare una dichiarazione a favore dell'emendamento soppressivo, perché, secondo me, il primo comma non è un ossequio vero ad una politica europeista, ma limita la gamma delle polis possibili attuabili dallo Stato, che sono quelle europee ed altre. Mantenere così il testo dell'emendamento, è una versione limitativa: per questo sono favorevole alla sua soppressione.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento soppressivo del primo comma.


(È approvato).


La restante materia pertanto è accantonata.


GIULIO MACERATINI. Intervengo per un chiarimento, perché quando sento parlare dell'authority, sono sempre...


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PRESIDENTE. Ho detto autorità indipendenti: non mi permetterei mai di riscrivere una parte della Costituzione italiana in lingua inglese.


GIULIO MACERATINI. Siccome ci siamo occupati del tema, vorrei sottolineare che l'authority ha solo, per così dire, una vicinanza di similitudine con quelle, essendo ben altra cosa e dove sono previsti meccanismi di impugnazione. Credo che sulla Banca d'Italia debba essere approvato un articolo specifico.


PRESIDENTE. Non vi è dubbio: siamo in presenza di un articolo specifico, che però deve essere collocato in un'altra parte.
Informo i colleghi che l'onorevole Zeller ha presentato il emendamento III.0.1.15.01, che difficilmente può trovare collocazione in questa parte. Ne do lettura: «Le leggi per le elezioni del Parlamento europeo prevedono modalità per promuovere la rappresentanza delle minoranze linguistiche costituzionalmente riconosciute». Affronteremo il tema della promozione e della tutela delle minoranze linguistiche, ma ora non stiamo esaminando il problema dei diritti politici e delle leggi elettorali, ma dei rapporti tra l'Italia e l'Unione europea. Mi pare sinceramente che una norma del genere difficilmente possa essere collocata in questa parte.


KARL ZELLER. Chiedo allora al presidente di suggerirmi qual è la parte della Costituzione rispetto alla quale potrei ripresentare il mio subemendamento, che ritenevo attinente alla materia dei rapporti con l'Unione europea; non saprei dove collocarlo altrimenti.


PRESIDENTE. Questo principio dovrebbe essere contenuto nella prima parte della Costituzione, perché attinente ai rapporti politici. È un principio che attiene più generalmente - ripeto - ai rapporti politici che non a quelli tra l'Italia e l'Unione europea. Tra l'altro in Costituzione non è regolamentata la legge elettorale europea, né in un senso, né in un altro, ossia in nessun senso.


KARL ZELLER. Siccome la parità dei sessi è stata anche regolata nella seconda parte della Costituzione, allora potrei ripresentare il mio subemendamento quando esamineremo la parte relativa al Parlamento.


PRESIDENTE. Ne riparleremo quando discuteremo quelle proposte, ma sinceramente non mi sembra possibile esaminarlo in questo momento.


KARL ZELLER. Vorrei soltanto sapere, se lo ripresenterò durante l'esame della parte relativa al Parlamento...


PRESIDENTE. Consideriamo questo emendamento accantonato e verificheremo in quale parte potrà essere riproposto alla nostra discussione.
Comunico che nel corso della seduta antimeridiana di domani esamineremo gli emendamenti relativi alla riforma del Parlamento. Il tema del federalismo fiscale, che abbiamo accantonato, lo affronteremo nella seduta pomeridiana. Ho preso questo accordo con l'onorevole Tremonti che, per ragioni personali, non può essere presente in Commissione domani mattina, mentre credo che egli debba esserlo nel momento in cui si deciderà su tale tema. Faccio presente che non riaprirò il dibattito (che si è già svolto), ma consentirò sul testo in esame l'intervento di un oratore a favore e di uno contro: procederemo poi alla votazione.
La Commissione è convocata domattina alle ore 9.30.


La seduta termina alle 20.30.


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