RESOCONTO STENOGRAFICO SEDUTA N. 33

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MASSIMO D'ALEMA





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La seduta comincia alle 10.45.


(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Seguito dell'esame dei progetti di legge di revisione della parte seconda della Costituzione.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame dei progetti di legge di revisione della parte seconda della Costituzione.
Vorrei avanzare una proposta che ha lo scopo di farci compiere un passo in avanti nella ricerca di una procedura tale da consentirci di adottare un testo base sul tema della forma di governo, senza determinare ferite, e venendo incontro alle esigenze politiche manifestate nel corso della seduta di ieri.
Avanzo la proposta avendo sentito i colleghi di rifondazione comunista, i quali avevano sollevato il problema che il voto alternativo, a cui si era pensato per consentire a ciascuno di esprimere un voto positivo per la propria proposta, era considerato lesivo di un diritto parlamentare. Credo di poter avanzare d'intesa con loro - e li ringrazio per questa apertura politica mostrata - una proposta che forse può consentire il superamento dell'impasse. In sostanza si potrebbe votare innanzitutto, alternativamente, la proposta di rifondazione comunista e il testo del relatore. In questo modo consentiremmo ai colleghi di rifondazione comunista, di fronte ad un problema politico, di esprimersi positivamente sulla loro proposta.
Nel caso che prevalga l'ipotesi del relatore, all'interno della stessa, si opterebbe con il metodo del voto alternativo. Avremmo una procedura che prevede due voti alternativi in sostanza; ciascuno dei gruppi - aggiungo che vi è un codicillo, un'autorizzazione da chiedere - potrebbe votare a favore della propria ipotesi e, al termine della procedura, si arriverebbe ad individuare un testo che, attraverso scarti successivi, è quello sul quale si raccoglie il maggior consenso possibile, allo stato delle cose.
La procedura ha natura del tutto eccezionale e spiegherò perché, a mio giudizio, può essere adottata in questa fase. Se adottassimo tale procedura, non voteremmo sul testo presentato dal senatore Rotelli (e dovremmo chiedergli se accetta) che voteremmo soltanto nel caso in cui, al termine dell'intera procedura, non avessimo ottenuto alcun risultato. Oltre ai testi dei gruppi e del relatore, infatti, è stato presentato, a titolo individuale, un testo che è parzialmente correttivo dello schema B del relatore. Se il senatore Rotelli accedesse a considerare il suo testo, un testo emendativo non globalmente alternativo (che comunque come tale è stato riportato agli atti della nostra Commissione), si potrebbe procedere nel modo da me prospettato.
Vorrei fare qualche considerazione, perché mi rendo conto che questo modo di procedere può apparire abbastanza acrobatico, io stesso ne sono consapevole. Tuttavia siamo in una fase ancora altamente informale del nostro lavoro e vorrei rassicurare tutti i colleghi che al termine di questa procedura non si sarà approvato alcunché - naturalmente si obietterebbe che non si può approvare un testo di riforma costituzionale attraverso il ballottaggio -, si è semplicemente predisposta


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una base per il nostro lavoro. L'approvazione della riforma avverrà, se avverrà, alla fine, attraverso metodi di votazione che non potranno che essere l'applicazione rigorosa delle procedure previste per la procedura referente alla Camera, ossia tramite votazioni articolo per articolo, con i favorevoli, gli astenuti e i contrari. Vorrei essere chiaro, non si intende stabilire un precedente per cui si può pensare di approvare riforme con voti di ballottaggio: non esiste nel modo più assoluto.
Questa procedura può essere adottata, a mio giudizio, perché la legge ci consente di adottare procedure speciali, ma anche con la serenità di chi sa che in questo momento, attraverso tale sistema, non approviamo alcuna riforma bensì predisponiamo una base di lavoro. L'approvazione formale della riforma, se vi sarà, avverrà con le procedure ordinarie; ciò è ovvio naturalmente, ma lo ricordo perché è bene che queste cose siano dette con chiarezza affinché nessuno pensi che vogliamo fare le riforme costituzionali con metodi inconsueti.
Questa è la mia proposta, ossia che si proceda innanzitutto ad una votazione in cui vengano posti di fronte alla scelta della Commissione il testo alternativo e la proposta del relatore. Nel caso in cui prevalga la proposta del relatore, si proceda a scegliere, con un voto alternativo, tra l'ipotesi A e l'ipotesi B. Ho concluso.
Propongo che si discuta di questo e che si deliberi formalmente la procedura con un voto, perché questo ci impone la legge: se fosse accolta, passeremmo alla discussione generale di merito.

ARMANDO COSSUTTA. Condivido il metodo indicato dal presidente per le ragioni che egli ha chiaramente illustrato. Chiedo se, di fronte alla decisione che stiamo per assumere, si possa iniziare ad illustrare il proprio testo, quello di cui sono sottoscrittore con i miei compagni.

PRESIDENTE. Senza dubbio. Nel caso venga adottata questa procedura, immediatamente le darò la parola per l'illustrazione del vostro testo, posto che quello del relatore è stato ampiamente illustrato. Prima, però, dobbiamo deliberare sulla procedura.

PAOLO ARMAROLI. Signor presidente, sia molti giornali, sia alcune voci già ieri sera annunciavano che la notte avrebbe portato consiglio. Ebbene, la notte ha portato un buon consiglio e la sua proposta ci trova pienamente consenzienti, perché è il massimo punto di contemperamento di diverse esigenze.
D'altra parte quando il presidente Fini ieri aveva avanzato una proposta del genere, ella non aveva risposto con un «no» fermo. Dunque, ripeto, siamo pienamente soddisfatti.
Vorrei motivare, sia pur brevemente, il nostro consenso alla procedura prospettata. Da una parte i colleghi di rifondazione comunista, come è giusto, potranno esprimere il loro favore al proprio testo; dall'altra, tutti gli altri colleghi potranno scegliere tra il testo di rifondazione comunista e la relazione Salvi (con il dilemma biforcuto, delle due bozze). Se prevarrà la relazione Salvi - se ho ben capito - procederemo alla scelta con voto alternativo; in tal modo ognuno potrà votare a favore, contro o astenersi ed un limpido voto sancirà il deliberato della Commissione. Pertanto esprimo il mio favore, a nome anche del mio gruppo. Grazie, signor presidente.

PRESIDENTE. Ritengo che si svilupperà una approfondita discussione sul merito delle proposte.
Se non vi sono obiezioni, porrei in votazione la procedura proposta, essendo chiaro che si tratta di una procedura straordinaria, che non costituisce precedente ai fini delle normali, ordinarie procedure di discussione e approvazioni delle leggi in sede referente.

GIUSEPPE CALDERISI. Doppio svizzero!

PRESIDENTE. È una procedura straordinaria che propongo di adottare ai


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sensi della legge n. 1 del 1997, articolo 2, comma 1.


(È approvata).


L'approvazione è stata unanime. Do quindi la parola all'onorevole Cossutta.

ARMANDO COSSUTTA. Il testo sulla forma di governo che ho presentato, unitamente all'onorevole Bertinotti ed ai senatori Salvato e Marchetti, è stato giustamente definito dal presidente un testo alternativo rispetto al progetto illustrato alla Commissione, sia pure nelle sue due espressioni (testo A e testo B), dal senatore Salvi. È certamente un testo alternativo rispetto ad una delle soluzioni indicate, che è quella di introdurre la forma di tipo semipresidenziale, che poi è un gentile eufemismo per dire che nella sostanza si tratta di una forma di governo di tipo presidenziale.
Siamo alternativi e contrari a questa ipotesi ed in diverse circostanze abbiamo motivato tale nostra opposizione; quindi, non insisterò oltre, tanto sono evidenti, per lo meno per quanto ci riguarda, le nostre posizioni. È un testo alternativo o se si vuole molto diverso anche rispetto al testo A indicato dal senatore Salvi, che reca la dizione di premierato forte. Intendiamoci, la nostra proposta condivide gran parte delle indicazioni del senatore Salvi, perché siamo favorevoli a che ogni partito, ogni raggruppamento politico, al momento delle elezioni indichi con chiarezza il presidente del Consiglio che si impegna a sostenere, nel caso di vittoria del proprio partito o dello schieramento di cui faccia parte. In questo, a parte qualche piccola distinzione, vi è coincidenza con la proposta del senatore Salvi.
In secondo luogo siamo anche favorevoli, e questo è un aspetto di non poco conto, a che il nome del Presidente del Consiglio sia indicato sulla scheda a fianco del partito, del simbolo, dello schieramento o del nome del candidato, nel caso di elezioni con collegi uninominali. Anche su questo punto vi è una sostanziale coincidenza di vedute.
Siamo d'accordo che il Presidente della Repubblica, terminate le elezioni, nomini, senza indugi ed ulteriori consultazioni, come Presidente del Consiglio il candidato che ha ricevuto il maggior numero di consensi, essendo stato indicato quale Presidente del Consiglio dallo schieramento che risulterà vincente. Anche in proposito vi sono differenze, ma vi è una sostanziale coincidenza con il progetto del relatore Salvi. Vi è tuttavia una differenza, che per noi è di sostanza e che consideriamo molto rilevante, tale da averci indotto a presentare questo testo alternativo. Occorre sì assegnare al Presidente del Consiglio, che è sorretto dal consenso largo dei cittadini, senza essere stato peraltro eletto direttamente da essi, poteri ragguardevoli, che sono poi quelli indicati nel nostro progetto, tra i quali vi è anche quello di sciogliere le Camere, ma rispetto a tale potere riteniamo necessario indicare condizioni ben precise. Non riteniamo cioè sia giusto ed accettabile che il Presidente del Consiglio, in questo caso con un potere che sarebbe addirittura superiore a quello di un Presidente della Repubblica eletto direttamente dai cittadini, come avviene per esempio in Francia, abbia il potere indiscriminato, incondizionato ed incontrollato di scioglimento delle Camere.
È vero che anche la relazione del senatore Salvi pone una condizione, e cioè che il Presidente del Consiglio non può sciogliere il Parlamento qualora venga presentata una mozione di sfiducia cosiddetta costruttiva, poiché supportata e sorretta dal consenso della maggioranza dei deputati con la indicazione di un nuovo Presidente del Consiglio. Il relatore Salvi, dunque, riconosce questa necessità e noi riteniamo che essa sia una prima condizione per la quale il Parlamento non può essere sciolto quando, appunto, ci si trovi dinanzi alla possibilità che sia presentata una sfiducia costruttiva, nel senso che è portatrice di una diversa maggioranza alternativa, con l'indicazione di un nuovo premier.
Indichiamo anche un'altra condizione: quella per la quale il Presidente del


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Consiglio può sciogliere le Camere. Poiché è chiaro che non può farlo quando si creano le condizioni che ho prima ricordato, indichiamo la necessità che si precisi quando il Presidente del Consiglio può sciogliere il Parlamento. Non vorremmo cioè trovarci nella situazione assurda, quella nella quale si è trovata la Francia nelle ultime settimane, di un Presidente della Repubblica (nel nostro caso addirittura sarebbe il Presidente del Consiglio) che decida di sciogliere il Parlamento senza darne motivazione, senza avere una motivazione oggettiva, ma sulla base di proprie considerazioni che non trovano riscontro nella realtà politica o nelle difficoltà politiche. In Francia non risulta vi sia stata una sola legge respinta dal Parlamento e proposta dal Presidente della Repubblica. Non risulta che quest'ultimo abbia mai avuto un contrasto con il Presidente del Consiglio francese, peraltro di sua nomina diretta ed appartenente alla sua stessa parte politica di centro-destra, e potrei continuare con altri esempi. Non si può assegnare al Presidente del Consiglio (e ancora meno al Presidente del Consiglio che non al Presidente della Repubblica, che in qualche modo dovrebbe e potrebbe essere, perché eletto direttamente dal popolo, super partes, e non l'espressione di una particolare maggioranza), la facoltà di sciogliere, quando crede, quando vuole, senza motivazione, il Parlamento. Per questo riteniamo che debba essere posta la seguente condizione: il Presidente del Consiglio può sciogliere il Parlamento quando, di fronte ad una sua proposta, un suo progetto, un suo programma, sul quale egli ponga la richiesta di fiducia, questa dovesse venire negata. Nel caso di negazione, di rifiuto della fiducia richiesta dal Presidente del Consiglio, egli può chiedere al Presidente della Repubblica di sciogliere il Parlamento. In questo caso il Presidente della Repubblica, constatato entro pochi giorni che non vi è una maggioranza assoluta dei componenti la Camera in grado di dare vita ad un nuovo Governo, scioglie il Parlamento.
La proposta che indichiamo va in direzione della stabilità e, nello stesso tempo, del rispetto della sovranità del Parlamento, che resta nel nostro disegno e nei nostri intenti l'organo supremo di direzione politica dello Stato, del paese e della politica. Non si può pensare che altri, al di sopra del Parlamento, possano sovrapporsi con la coloro autorità: né il Presidente della Repubblica, che in questo caso proponiamo venga eletto dal Parlamento (sia pure un Parlamento al quale partecipano in quell'occasione anche i rappresentati delle regioni, delle autonomie locali o di altri settori della vita pubblica e politica del paese), né lo stesso Presidente del Consiglio al quale pure si affidano poteri così rilevanti. La nostra è una soluzione di tipo neoparlamentare, che qualche giornalista con gentilezza ha definito di premierato dolce; è comunque una soluzione che si distingue ed è alternativa a quella proposta dal senatore Salvi.
Voglio concludere sottolineando che nella nostra proposta, così come nelle altre (nel caso la nostra ipotesi, che considero certamente la migliore, la più valida e la più efficace, non dovesse essere condivisa dalla Commissione e si dovesse passare all'esame delle altre proposte), quindi, in questo caso o nell'altro, è indispensabile indicare con quali sistemi elettorali si intende giungere alla composizione del Parlamento della Repubblica: non si può indugiare oltre. Il Presidente D'Alema, nella seduta inaugurale, svoltasi diversi mesi fa, dichiarò in questo consesso, molto argutamente, che non si può considerare la legge elettorale, che pure non è di competenza primaria di questa Commissione, perché non è una legge costituzionale, il convitato di pietra, onde evitare che alla fine il convitato di pietra, secondo la tragedia mozartiana, si metta in moto portando al crollo l'intero palcoscenico, cioè la stessa Commissione.
I mesi sono trascorsi ed il convitato di pietra non può più restare fermo, impietrito: occorre che il tema sia affrontato e risolto. Desidero sottolineare, proprio dopo i risultati delle elezioni francesi, che,

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mai come in questo momento, si sente la necessità di un sistema elettorale che sia di garanzia rispetto alla proposta stessa che avanziamo di premierato sia pure non forte, e ancor più nel caso addirittura di un premierato forte o di una elezione presidenzialista. Occorre che vi sia una legge elettorale che garantisca la pluralità, il pluralismo e la rappresentatività del Parlamento. Ho già avuto modo di dire, in altre occasioni, ma voglio ripeterlo qui, che non considero rappresentativa della realtà politica francese e perciò stesso non democratica (certo non autoritaria, certo non reazionaria, ma priva di reale democraticità), una legge elettorale che ha consentito ad un partito, che io sostengo con tutte le mie simpatie in questo momento, e al quale auguro grandi successi, il partito socialista, di ottenere con il 23 per cento dei voti il 48 per cento dei seggi. Così come non è ammissibile che un altro partito, che io contrasto politicamente in Italia ed in Europa, quello guidato da Le Pen, di avere il 15 per cento dei voti, tanti quanto quelli ottenuti - pressappoco - in Italia da un partito molto importante come alleanza nazionale: ebbene, il partito di le Pen ha avuto un solo seggio in Parlamento. Una legge elettorale che dà questi esiti, chiamiamola come ci apre, non è certamente una legge democratica o comunque accettabile. In secondo luogo, il sistema stesso francese, od altri sistemi che si vogliono adottare in Italia, non consentono, non garantiscono la stabilità. In Francia, il Presidente della Repubblica appartiene ad un colore politico opposto a quello del capo del governo: non so quanto tempo potrà durare quella coabitazione, ma essa sarà comunque conflittuale; essa potrà anche generare una coabitazione equilibrata, e questo è nell'auspicio di tutti, ma potrebbe portare ad una coabitazione insopportabile. Tutti sanno che il Presidente della Repubblica in Francia fissa l'ordine del giorno del Consiglio dei ministri e tutti sanno che quest'ultimo può rifiutarsi di esaminare i punti indicati all'ordine del giorno o votare contro; in questo caso si determinerebbe una conflittualità crescente per cui se il Presidente della Repubblica francese lo volesse potrebbe di nuovo esercitare la facoltà di sciogliere il Parlamento, anche senza darne motivazione alcuna, né al Parlamento, né all'opinione pubblica. Occorre garantire la stabilità, che può essere ottenuta attraverso quel premio di maggioranza che noi riteniamo necessario introdurre, così come riteniamo necessaria una forte quota proporzionale per garantire la pluralità, una quota dell'80 per cento, come già previsto per l'elezione delle regioni. Proponiamo sia dato un premio di maggioranza, per garantire stabilità per tutta l'intera legislatura, del 20 per cento e che si introduca uno sbarramento del 5 per cento nei confronti di tutte le forze politiche che competono nella campagna elettorale per impedire quella frantumazione, la cui causa è stata determinata non dal sistema proporzionale, ma da quello uninominale maggioritario, che ha portato alla proliferazione dei gruppi e dei sottogruppi politici. Riforma del governo e dello Stato possono andare avanti solo se contemporaneamente adrà avanti un progetto valido di legge elettorale.
Credo, con questo, di aver abusato della vostra pazienza - superando di qualche minuto il tempo prescritto - nel sostenere caldamente la validità del progetto che mi sono onorato di sottoscrivere con i compagni di rifondazione comunista.

PRESIDENTE. Vorrei precisare che - se non vi sono obiezioni - quella che si sta svolgendo è un'unica discussione generale su tutte le ipotesi in campo, alla quale seguiranno le due votazioni in successione. Non sarebbe opportuno sviluppare due discussioni, perché la tematica è sostanzialmente unica (governo del primo ministro, presidenzialismo).

ETTORE ANTONIO ROTELLI. Signor presidente, io ho aderito alla richiesta implicita nella sua proposta, anche se non ritengo che nella giornata di ieri lei abbia usato nei miei confronti tutti i riguardi che mi erano dovuti in quanto parlamentare e membro di questa Commissione.


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PRESIDENTE. Non dica questo...

ETTORE ANTONIO ROTELLI. Sono di questa opinione...

PRESIDENTE. Le ho sempre dato la parola...

ETTORE ANTONIO ROTELLI. Ma me l'ha anche sempre tolta quando non coincideva...
Ho aderito alla sua proposta anche per una ragione tecnica che lei ha indicato. In effetti ho potuto trasformare la mia proposta sulla forma di governo - contenuta nel progetto di legge n. 2030 - in modificazione, cioè in emendamento, del testo del relatore Salvi. In sede di Comitato, anzi, avevo invitato il relatore Salvi (si è tenuta fra noi una corrispondenza della quale il presidente stesso è a conoscenza) a presentare addirittura la mia proposta; ma ciò non è potuto avvenire.
Poiché l'onorevole Cossutta ha illustrato le linee della soluzione prospettata dal suo gruppo parlamentare, vorrei anch'io indicare succintamente le modifiche che ho proposto e che mi riservo di avanzare nel caso in cui il testo B del relatore Salvi diventi l'oggetto della discussione.
Innanzitutto, nella mia proposta, il Presidente della Repubblica è eletto per 4 e non per 5 anni, coerentemente al regime che sarebbe introdotto. In secondo luogo, il Presidente della Repubblica sarebbe Capo dello Stato e del governo. Il Presidente della Repubblica sarebbe, poi, responsabile dei propri atti e firmerebbe gli atti conseguenti alle deliberazioni collegiali del governo; sarebbero atti monocratici del Presidente della Repubblica, solo quelli non definiti dalla Costituzione come atti del governo. Il governo, inoltre, sarebbe composto dal Presidente della Repubblica, dal primo ministro e dai ministri. Dovrebbe esservi incompatibilità fra l'ufficio di ministro e quello di parlamentare, addirittura di candidato alle elezioni parlamentari. Il primo ministro e ciascun ministro potrebbero essere revocati dal Capo dello Stato. Infine, sarebbe soppresso il principio della sfiducia del Parlamento nei confronti del governo e, contemporaneamente, della possibilità di sciogliere il Parlamento.
Devo dire che sulla relazione Salvi il mio voto non sarà favorevole. Ho aderito alla richiesta procedurale del presidente, ma non esprimerò un voto a favore, perché la relazione Salvi non è accettabile per quanto riguarda la definizione di entrambi i modelli. Nella mia valutazione il premierato introduce un regime autoritario; ho avuto modo di spiegarlo durante il primo intervento che ho svolto in sede di discussione generale. In sostanza quel meccanismo annulla il rapporto fra governo e Parlamento, nel senso che assorbe il Parlamento nel governo; annullando questo rapporto, introduce un regime autoritario (come autoritario può essere un regime alla fine di questo secolo, naturalmente).
Soprattutto, però, né il testo A né il testo B risolvono i problemi per i quali si è posta la questione della forma di governo. Occorreva garantire la stabilità del governo come condizione di efficacia delle politiche pubbliche; questa stabilità non è garantita. Inoltre, nel sistema che è stato delineato si è sacrificato il Parlamento. Le elezioni francesi dimostrano - se me lo consente, presidente - la validità della semplicissima proposta che avevo avanzato (e che è contenuta in un mio emendamento): far coincidere l'elezione del Parlamento con il secondo turno di ballottaggio del Presidente della Repubblica. Secondo studi universalmente condotti sull'argomento questo evita la contrapposizione: cioè il governo diviso americano o la coabitazione francese. È inutile che io ripeta che in ciò non vi è nulla che non sia democratico.
Non condivido la relazione Salvi neanche nella sua definizione teorica. Il relatore Salvi ha detto (non con intenzione di sfida, ma con un tono piuttosto sostenuto): chi in questa Commissione ha il coraggio di affermare che quando l'elettore inglese ha votato per il suo candidato laburista o conservatore, non abbia inteso anche votare per il candidato primo ministro?


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Secondo questa interpretazione, il regime di premierato corrisponderebbe al regime parlamentare inglese. Ma non è affatto così. Se, per esempio, il giorno dopo essere diventato primo ministro il leader dei laburisti Blair si fosse dimesso dal suo gruppo parlamentare e quest'ultimo avesse nominato un altro capogruppo, automaticamente il nuovo leader sarebbe diventato capo del governo ed avrebbe governato per 4 anni senza alcun turbamento della Costituzione inglese e dell'opinione pubblica britannica. Quindi non corrisponde assolutamente al vero che il regime del premierato che si vuole introdurre abbia qualcosa a che fare con il regime parlamentare inglese, che è e rimane un regime parlamentare.
Devo dire che la responsabilità di questa confusione va attribuita anche ad un collega al quale sono molto affezionato sul piano personale: Augusto Barbera. Egli ha sempre ritenuto che la divisione dei poteri - in particolare fra governo e Parlamento - potesse essere sostituita dalla coppia governo/opposizione. In realtà questa sostituzione è possibile dove il sistema è bipartitico: se così non è, non vi è la possibilità di «punire» il governo e quindi la contrapposizione tra governo e Parlamento non è sostituibile.
Per questi motivi non posso approvare la relazione Salvi.
Aderisco alla proposta di ritirare il mio testo, che semmai sarà riproposto successivamente in forma di emendamenti.
La ringrazio, presidente, perché questa volta ho potuto parlare fino in fondo.

VALDO SPINI. Signor presidente, è possibile che i successivi oratori prendano la parola dal banco della presidenza?

PRESIDENTE. Senz'altro, se riterranno di aderire a questa proposta.

FABIO MUSSI. Come sappiamo tutti, cari colleghi, è assai probabile che il testo base che sarà adottato prevarrà di un soffio; è assai probabile, non credo di svelare un segreto politico. Dunque il primo passo del nostro cammino potrebbe essere effettuato con una maggioranza del 51 per cento dei membri della Commissione o di coloro che voteranno. Naturalmente è impensabile che i successivi passi avvengano tutti al 51 per cento, fino all'approdo del nostro cammino. Noi siamo perfettamente consapevoli che una volta scelto il testo base - un passaggio anche tecnicamente indispensabile per procedere - dovremo sentirci tutti impegnati in una marcia di avvicinamento tra le ragioni delle due ipotesi che sono fondamentalmente restate in campo. Dobbiamo assumerci da subito la responsabilità di un voto, ma non sono tra coloro che drammatizzano il passaggio di oggi. Sono d'accordo con il presidente, il quale ha ricordato che oggi scegliamo una base per il nostro lavoro, mentre gli approdi restano ancora aperti al dibattito, al confronto, agli emendamenti che possono essere correttivi, più radicalmente integrativi o sostitutivi di parti del testo base.
Il nostro gruppo voterà la relazione Salvi, non acconsentendo alla richiesta del collega Cossutta, il quale ha sollecitato un voto su un testo che non è radicalmente contrapposto ad una delle ipotesi della relazione Salvi; resta tuttavia un testo distinto e, a questo punto del nostro lavoro, alternativo rispetto alle ipotesi formulate da Salvi.
Il nostro gruppo voterà - non so se unanimemente - a favore della ipotesi A della relazione Salvi: il sistema del premierato forte. Spero che queste dichiarazioni - frutto di una discussione all'interno del gruppo della sinistra democratica - servano a dare una risposta, a superare alcune comprensibili riserve in particolare dell'onorevole Occhetto ed anche di altri colleghi che fanno riferimento all'Ulivo ed al centro-sinistra.
Sono tra i membri di questa Commissione che non hanno mai pensato - non mi è mai passato neppure per l'anticamera del cervello - che il semipresidenzialismo sia un sistema antidemocratico. Lo dimostrano anche i fatti francesi. Naturalmente il semipresidenzialismo è croce e delizia. Delizia: il Presidente della Repubblica scioglie il Parlamento, poi si


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vota e - come è avvenuto in Francia - il popolo può votare contro, scegliendo una maggioranza diversa da quella che lo stesso Presidente della Repubblica andava a cercare. Croce: la coabitazione, che certamente è un meccanismo regolativo nelle situazioni di sostanziale equilibrio e bilanciamento tra schieramenti, coalizioni, blocchi politici contrapposti, tuttavia rende ardua, complessa e contraddittoria la strada del governare e del decidere. Non c'è, quindi, chi non veda anche nel modello semipresidenziale alcune evidenti controindicazioni.
Noi pensiamo che nella situazione italiana l'ipotesi A formulata dal senatore Salvi - cioè il modello del premierato - abbia in sé, prima di tutto, la forza della semplicità: premier e maggioranza escono insieme dalle urne. Questo, rispetto alla situazione attuale, è indubbiamente un cambiamento assai radicale e il modello indica i tratti di un sistema che forse nella situazione italiana presenta meno inconvenienti. Nel senso che in primo luogo offre sufficienti garanzie di stabilità; in secondo luogo indica chiaramente l'affidamento della scelta del governo al voto popolare; in terzo luogo ipotizza un Parlamento tutt'altro che residuale, Parlamento che mantiene, come è giusto, un ruolo importante e assai rilevante. Se viene meno la maggioranza parlamentare il governo cade.
Il punto di difficoltà è: ma allora in questa ipotesi, quando viene meno la maggioranza parlamentare, che cosa accade, dato che premier e maggioranza sono usciti insieme dalle urne? Che cosa accade, cioè, quando si apre un conflitto che, prima ancora che tra la maggioranza e il premier, è tra la volontà del Parlamento e la volontà popolare sulla cui base quel premier è stato eletto e quel Parlamento è stato formato?
Non c'è dubbio che il quesito è molto complicato. Ho ascoltato anche gli interrogativi del collega Cossutta su questo punto. Non c'è dubbio che nell'ipotesi formulata da Salvi al riguardo siano indicate soluzioni non pienamente soddisfacenti, c'è una zona d'ombra. E noi abbiamo più di un dubbio sul fatto che in questo sistema sia comprensibile l'introduzione del meccanismo della sfiducia costruttiva, che d'altronde ho sentito pubblicamente Salvi dire non essere un punto qualificante della sua proposta. Cioè il combinato disposto della sfiducia costruttiva e del potere di scioglimento, così come indicato nell'articolato presentato da Salvi, non è convincente. Crediamo che debbano essere alzate più robuste barriere antitrasformistiche, essendo il trasformismo un male della nostra storia nazionale che è giunto il momento di curare con interventi risolutivi. Quindi noi ci apprestiamo a presentare su questa parte dell'articolo qualche emendamento. Condividiamo certe preoccupazioni che abbiamo sentito esprimere tanto dall'interno dell'Ulivo e del centro sinistra quanto dall'interno del Polo, e presenteremo questi emendamenti con spirito apertissimo al confronto con tutte le posizioni.
Comprendiamo benissimo che ha un fondamento ciò che ho sentito qui dire dal collega Cossutta, e che ieri ho visto dichiarare dal collega Berlusconi, e che ormai si va dicendo ripetutamente da molte settimane e da molti mesi: la legge elettorale è un punto strettamente connesso al funzionamento del modello.
Non scioglieremo qui, perché non abbiamo questo mandato, il nodo della legge elettorale; però è indubbio che è difficile pensare ad un esito positivo dei nostri lavori se questo nodo non si comincia a dipanare.
Mi pare che ieri il collega Berlusconi abbia affacciato pubblicamente l'ipotesi di una costituzionalizzazione di principi della legge elettorale, ed è un tema che credo debba essere approfondito essendo assai interessante. Non siamo contrari: bisogna cominciare a discutere di quali principi, costituzionalizzati o no, pensiamo debbano essere ispiratori di una legge elettorale nuova. Non c'è dubbio che dobbiamo garantire una adeguata rappresentanza politica e parlamentare di tutte le forze significative che si sono radicate nella storia del paese, che non sono improvvisazioni.

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Credo che in secondo luogo dobbiamo attenerci ad un principio di coesione delle maggioranze che escono vincenti dalle elezioni e che la legge elettorale dovrebbe il più possibile favorire. Abbiamo avvertito il peso della maggioranza non coese.
Ritengo che in terzo luogo dobbiamo dare un'ulteriore spinta verso la bipolarizzazione del sistema politico, perché una democrazia compiuta è una democrazia delle alternanze tra governi e schieramenti diversi. E questo assicura un ricambio che è vitale per la salute di un paese.
Non dobbiamo abbandonarci all'illusione che ci sia la legge elettorale perfetta chiusa in qualche scrigno, che contenga in sé una tale forza di coazione da inventare una nuova storia politica del paese, perché la storia politica di un paese non si imbraca dentro nessuna norma. Non c'è dubbio, tuttavia, che una legge elettorale dal punto di vista del sistema politico può spingere lungo un crinale o lungo un altro crinale.
Noi siamo pronti, una volta scelto il modello base su cui lavorare per la forma di governo, ad affrontare anche, nei modi che sceglieremo, una discussione sul tema della legge elettorale. Confermo quindi che voteremo il testo A presentato dal collega Salvi.

VALDO SPINI. Signor presidente, onorevoli colleghi, quando il dibattito si fa intenso e quando anche la conta dei voti è molto serrata è segno che sono in gioco alti e grandi principi. Da questo punto di vista credo che tutti noi dobbiamo contribuire a far sì che questo sia un dibattito alto, elevato, che segni, chiunque prevalga, un momento importante della storia democratica del nostro paese, e possa parlare alla gente del nostro paese che cerca un punto di riferimento in una crisi, in un disorientamento che indubbiamente ha preso il nostro paese.
Sotto questo profilo il mio personale auspicio è sempre stato che il sistema da adottare fosse coerente, chiaro, comprensibile e, diciamo così, spendibile dal punto di vista della creazione di una società democratica molto avanzata. Questo mi ha portato ad assumere un atteggiamento aperto verso varie ipotesi di riforme istituzionali ed elettorali, non un atteggiamento univoco. Ho detto più volte che, se per esempio il premierato si fosse presentato nella forma inglese, che di fatto significa avere un bipartitismo, avrebbe potuto costituire una soluzione accettabile. Ho detto peraltro che un sistema come quello francese opportunamente adeguato alla situazione italiana rappresenterebbe anch'esso un punto di riferimento importante, un elemento che potrebbe dare al nostro paese quella ristrutturazione istituzionale e politica di cui ha bisogno.
In altre parole, cerco di attenermi a tre principi. Il primo principio è il seguente: non vi può essere una contrarietà ideologica e di fondo all'elezione di qualsiasi figura istituzionale. Per quelli che ce l'hanno devo invocare un precedente illustre, Piero Calamandrei, che tra l'altro era in una pattuglia di deputati più o meno uguale a quella attualmente formata dai laburisti. Piero Calamandrei alla Costituente si battè per l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, e sfido chiunque a dire che egli non fosse un democratico, una persona rispettosa dei valori costituzionali. È il giudizio storico, istituzionale e politico che può portare a dire che l'elezione diretta è opportuna in un certo contesto e non lo è in un altro. Ho tuttavia sentito qualche volta risuonare, sia in colleghi popolari sia in colleghi della sinistra democratica (in singole personalità, intendo dire, non nei gruppi), una sorta di pregiudiziale ideologica nei confronti dell'elezione diretta del Presidente della Repubblica che non mi sento di condividere, anche perché - ripeto - portata all'estremo sostanzialmente vorrebbe dire che gli elettori italiani alla fine sarebbero degli incompetenti perché non sarebbero in grado di orientarsi a scegliere un buon Presidente della Repubblica mentre potrebbero scegliersi dei buoni deputati, dei buoni partiti e così via.
Il secondo principio al quale mi sono sempre attenuto è che se si decide di


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eleggere qualcuno direttamente, si elegge il numero uno del sistema istituzionale. Eleggere il numero due, eleggere il premier, secondo il sistema israeliano, oppure arrivarci vicini, significa creare un grave squilibrio istituzionale, perché si riduce il Presidente della Repubblica a funzioni poco più che di cerimonia o di parata e si pone il Parlamento nelle condizioni di non poter esercitare un efficace controllo nei confronti del premier.
Il terzo principio al quale cerco di attenermi è quello che, per evitare che la persona eletta direttamente possa avere poteri sovrabbondanti, è determinante che il Parlamento abbia una sua capacità di funzionamento e di incisività, ovverosia che i poteri del Parlamento siano efficacemente sostenuti.
Per questo, fatta un'analisi attenta della situazione italiana, che probabilmente non permette un'ipotesi inglese di bipartitismo secco, ho fissato da tempo la mia attenzione sul sistema sempresidenzialista sottoscrivendo - scusate la pignoleria, ma forse è bene richiamarlo in questo ambito - la mia prima proposta di legge sempresidenzialista il 3 ottobre 1995 (Atto Camera n. 3199), nonché le due successive, la n. 3400 e la n. 3401 concatenate, il 15 novembre dello stesso anno e poi ripresentandole in questa legislatura. Le due proposte di legge concatenate riguardano il sistema presidenzialista e l'elezione di un Parlamento attraverso il sistema uninominale a doppio turno, anch'esso ovviamente adattato all'esperienza italiana ma, per capirsi, «alla francese». L'ho fatto certamente sulla spinta di un'analisi della concreta situazione partitica italiana, ma l'ho fatto anche sulla base della lettura di quello che avviene intorno a noi. Nella crisi italiana dare a chi, cioè proprio al Presidente della Repubblica, rappresenta l'unità nazionale la sanzione di un'investitura diretta popolare mi è sembrata una misura giusta ed opportuna per rafforzare l'unità nazionale in questo difficile momento.
Nel frattempo, nelle proposte di legge che con altri parlamentari ho presentato, ho prefigurato un Presidente della Repubblica eletto, sì, direttamente, ma con poteri ben delimitati rispetto a quelli del primo ministro e del governo da un lato e del Parlamento dall'altro, poteri che sono chiaramente affermati e sanciti.
Potrei aggiungere che ho presentato questa proposta quando altri erano su altre sponde: chi era per il presidenzialismo all'americana, chi era per l'elezione diretta del premier. Da questo punto di vista mi fa dunque piacere che la soluzione da me individuata abbia guadagnato consensi; però mi corre anche l'obbligo di leggere la situazione politica che si determinata in questa Commissione. A me sarebbe piaciuto - ho cercato anche di dirlo in interventi, ma naturalmente devono maturare circostanze che non sono maturate - che si riprendesse un po' lo spirito della bozza Maccanico, che cioè ci fosse una larga convergenza, una larga discussione su questo punto. Così non è stato. Oggi siamo di fronte a due schieramenti in cui la grande maggioranza o forse l'unanimità del Polo sostiene il semipresidenzialismo ed una forte maggioranza nell'Ulivo, nel centro sinistra e nel gruppo di rifondazione, sostiene invece il premierato.
In proposito a me corre l'obbligo di cercare di essere coerente con quello che dicevo prima quando affermavo la necessità di un sistema elettorale chiaro, che sia in grado di governare veramente le istituzioni. E quando dico che occorre garantire il funzionamento del Parlamento, non intendo dire che al Parlamento devono essere riconosciuti nella Carta costituzionale poteri ben precisi e forti; e da questo punto di vista rilevo che si arrampica sugli specchi chi cerca di sostenere che la situazione francese non consente - e Mussi lo ha richiamato bene del resto - al popolo francese di potersi esprimere addirittura in senso contrario, contrapposto, al Presidente della Repubblica quando questi non abbia interpretato il senso e lo spirito del paese. Quindi, bisogna dare certamente al Parlamento questi poteri, ma credo sia sintomatico, fondamentale, importante che il Parlamento

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sia poi in grado di funzionare sì di diritto, ma anche di fatto, attraverso la sua elezione con un sistema elettorale coerente con l'insieme del sistema istituzionale.
Da questo punto di vista, vorrei dire che il gioco delle leggi o delle competenze non ha consentito che le mie proposte di legge, sul semipresidenzialismo da un lato e sul sistema a doppio turno per l'elezione del Parlamento dall'altro, potessero arrivare insieme alla bicamerale; infatti, mi fu suggerito di proporle come concatenate per il procedimento ordinario, ma la legge istitutiva della Commissione ha preso in considerazione solo gli aspetti costituzionali, quindi non quelli relativi alla legge elettorale.
Tuttavia, come dicevo prima, a questo punto, visto lo schieramento politico che si è determinato, visto il modo in cui siamo articolati, devo porre al Polo una domanda, una domanda che riguarda un problema politico, non un problema di decisione immediata. Verso quale direzione si va se si afferma il sistema semipresidenzialista? Si va anche verso la capacità di dare uno sbocco coerente in termini di riforma elettorale; naturalmente anche in questo caso non si tratta di copiare ed è evidente, come giustamente è stato detto, che, rispetto al sistema francese, noi dobbiamo prevedere diritto di voce assai più ampio ed incisivo a forze politiche consistenti che potrebbero trovarsi emarginate. Lo voglio dire perché non sembri che io proponga un sistema elettorale partiticida, tale cioè da riuscire a mettere fuori campo anche partiti consistenti. È evidente che in questo senso il doppio turno alla francese contiene delle esagerazioni.
Tuttavia, come ho già detto, a questo punto devo rivolgere una domanda al Polo: si va verso l'elezione di un Presidente della Repubblica cui poi corrisponde un Parlamento frazionato, che non sarebbe in grado di essere l'elemento di controbilanciamento necessario o si salva non dico la lettera - perché la discuteremo al momento opportuno -, ma lo spirito di un sistema di raggruppamento, di omogeneizzazione e di doppio turno che poi consenta al Parlamento di essere realmente momento di controllo e di interscambio nei confronti del Presidente che andiamo ad eleggere?
Credo che forse il fatto di essere un «peso leggero» quanto alla forza partitica che rappresento mi consenta di animare un po' questo dibattito. Ciascuno di noi certamente sa di dare un voto molto impegnativo; sì, è vero quanto hanno detto in molti che dopo si potrà cambiare, per esempio in sede di esame degli emendamenti, ma alla fine un orientamento qui deve emergere, anche se poi presenteremo tutti gli emendamenti che vorremo. Dico questo perché - lo vorrei precisare nuovamente - non mi convince il testo A presentato dal senatore Salvi e non mi convince neppure - lo dico amichevolmente - l'integrazione di Fabio Mussi perché, come ho detto prima, parto dal principio che, se si deve rafforzare qualcuno, si deve rafforzare il numero 1 del sistema istituzionale, non certo creare un numero 2 che squilibrerebbe la situazione; naturalmente è un principio discutibile, altri la pensano diversamente, io la penso così.
Penso anche - e vorrei dirlo a tanti esponenti della sinistra democratica - ad un esempio concreto che porterei in relazione al sistema francese, un esempio che ho già portato ma che vorrei rimanesse a verbale di questa seduta. Nella nostra giovinezza vi erano delle figure mitiche, una era Pierre Mendes France che, durante la quarta Repubblica, ricoprì l'incarico di Presidente del Consiglio per un anno e poi rimase il mito che, se questo grand'uomo avesse continuato a governare, chissà come sarebbero andate meglio le cose in Francia. Sempre durante la quarta Repubblica, Mitterrand fece il ministro dell'interno per un piccolo periodo, ed era un uomo politico estremamente contestato e travagliato. È stato poi il sistema istituzionale ed elettorale a consentirgli di passare alla storia, comunque lo si giudichi, come qualcuno che ha potuto fare delle cose incisive; in caso contrario, probabilmente egli sarebbe passato

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alla storia come uno degli ennesimi uomini politici della quarta Repubblica francese che una volta sarebbe stato nominato ministro dell'interno, un'altra ministro del bilancio e che magari avrebbe fatto qualcosa di buono passando dal ministero dell'industria.
Chi nutre queste preoccupazioni democratiche opportunamente dovrebbe compiere quest'analisi comparata, perché credo si tratti di un esempio molto concreto di come le istituzioni, se funzionano, debbono assicurare stabilità e garanzia che un programma riformatore possa procedere.
Certo, sarebbe stato meglio, come dicevo prima, se avessimo seguito lo spirito della bozza Maccanico e se su di essa si fosse coagulata una forte convergenza. Visto che così non è (ma non ci sono discipline né di schieramenti né di gruppi, nessuno le ha invocate ed anzi vorrei manifestare la massima gratitudine a questo proposito perché da parte di tutti i gruppi dell'Ulivo, in particolare da parte della sinistra democratica, cui appartengo, vi è stato un assoluto rispetto delle scelte) e proprio perché chi dovesse trovarsi a fare una scelta non condivisa dalla grande maggioranza dello schieramento cui appartiene deve anche sapere verso quale direzione va, vorrei che la domanda che ho posto trovasse una risposta convincente, perché certamente, se così fosse, potremmo dire ai cittadini italiani che siamo partiti verso una meta di riforme e di indicazioni che è chiara, precisa, che può veramente incidere sul futuro democratico del nostro paese.

MAURIZIO PIERONI. Il collega Boato ed io - cioè il gruppo dei verdi - voteremo a favore della relazione proposta dal senatore Salvi. Non è che gli argomenti messi in campo a sostegno del testo alternativo presentato dal senatore Cossutta ci trovino sordi o disattenti; molte delle preoccupazioni che hanno indotto il gruppo di rifondazione comunista a formulare un testo alternativo trovano nella cultura e nella storia politca dei verdi ampio consenso.
Tuttavia, i colleghi di rifondazione mi consentiranno di osservare che in realtà, se il loro articolato si presenta come sostanzialmente alternativo rispetto al testo B predisposto dal senatore Salvi, vale a dire rispetto all'ipotesi semipresidenzialista, rispetto al testo A in realtà la distinzione fondamentale riguarda l'articolo 3, il famoso articolo che ha indotto molti altri colleghi a manifestare perplessità su quel testo. Mi permetterei di far osservare che nella giornata di ieri questa Commissione ha adottato diversi testi base nei quali, per concorde giudizio di coloro che li hanno votati e fatti propri, non mancavano zone d'ombra, problemi irrisolti, zone grigie; li abbiamo adottati rinviando al momento dell'approfondimento e dell'esame degli emendamenti la soluzione di quei problemi che nel testo risultavano irrisolti. Quindi, crediamo che l'assunzione del testo A del collega Salvi consenta di affrontare pienamente anche le questioni comprese nell'articolo 3.
Condivido alcune delle perplessità sollevate nel suo intervento dall'onorevole Mussi: è indubbio che il potere di scioglimento delle Camere ed il potere del Parlamento di applicare l'istituto della sfiducia costruttiva, per il modo in cui sono formulati oggi in quel testo, confliggono in un combinato disposto che probabilmente non dà risultati positivi. Riteniamo che la cosa si possa correggere e che il potere di scioglimento non possa essere arbitrario, ma vada ancorato a dei percorsi istituzionali chiari, leggibili dai cittadini, motivabili nei confronti del paese. Se il premier scioglie la sua maggioranza, deve aver posto la questione di fiducia su alcuni provvedimenti decisivi del governo e la maggioranza deve averla respinta o comunque devono individuarsi dei percorsi che rendano chiaro e comprensibile l'esercizio di quel potere, affinché non venga inteso come arbitrario e del tutto gratuito.
Riteniamo, altresì, che il meccanismo della sfiducia costruttivia non possa essere «sequestrato» al Parlamento, non possa cioè essere sottratta al Parlamento la facoltà di esprimere sfiducia costruttiva,


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ma che debba prevedersi un automatismo per cui, laddove la maggioranza assuma la responsabilità agli occhi del paese di cambiare il suo premier ed il massimo rappresentante dell'esecutivo, debba tornare a confrontarsi con il corpo elettorale in un tempo limitato, in maniera chiara e precisa.
Da tutto ciò mi pare si possa evincere chiaramente che, oltre ad essere favorevoli al testo proposto dal relatore Salvi, siamo orientati verso il modello A. Il rifiuto del modello B non ci deriva da nessuna allergia o preclusione ideologica verso il meccanismo di elezione diretta. Siamo ampiamente disponibili a contemplare anche nel modello A la possibilità di risolvere eventuali situazioni di difficoltà nell'individuazione della maggioranza attraverso il meccanismo dell'elezione diretta e dell'indicazione diretta da parte degli elettori, separando le due cose; non è questa la sede per approfondire tale tema, lo faremo successivamente.
La nostra ostilità nei confronti del modello semipresidenziale, soprattutto dopo l'esito delle elezioni francesi, deriva dal fatto che leggiamo nei sostenitori di questo modello una sorta - questa volta sì - di furore ideologico immotivato. Sicuramente, come il presidente D'Alema ha fatto più volte osservare, nel meccanismo per cui il Presidente della Repubblica eletto direttamente dai cittadini scioglie il Parlamento e ricorre di fronte al popolo e nel fatto che quest'ultimo si esprime liberamente si sancisce anche un momento di alta espressione dei democrazia. È pur vero, però, che in questa Commissione il modello semipresidenziale non è stato portato in campo dai suoi sostenitori in astratto, ma sulla base di precise motivazioni legate all'attuale situazione politica ed istituzionale del nostro paese.
Si è detto: il nostro paese ha un forte deficit d'investitura della leadership politica, non è capace d'instaurare una relazione diretta tra chi esercita il potere esecutivo ed il corpo elettorale; si è detto che il governo di questo paese è affidato ad un ruolo insopportabile di mediazione partitica. Ebbene, rispetto a tutto quest'ordine di problemi, chiaramente l'applicazione attuale del sistema francese dimostra come esso non risolva alcuno dei problemi che ho elencato. Infatti, in base a quel sistema, in Francia vi è oggi un governo il cui primo ministro, colui che esercita effettivamente il potere esecutivo, è frutto di una coalizione nel contesto di una mediazione partitica e non ha ricevuto un'investitura diretta. Abbiamo, cioè, una situazione pari a quella italiana, con l'ulteriore complicazione costituita dal fatto che chi ha ricevuto l'investitura diretta in questa fase non è più in grado di esercitare quel mandato nella direzione del governo del paese che gli elettori gli hanno conferito.
Tutto questo chiama in causa oggi in Italia - e non in astratto o in assoluto - due pericoli reali per la democrazia che il sistema francese importa con sé; lo ripeto, qui ed oggi in Italia, non in astratto o in assoluto. Il primo pericolo è stato ripetutamente citato da molti colleghi: mi riferisco al pericolo naturale insito in una forte investitura cui non sia collegato un effettivo esercizio dei poteri. Ebbene, è proprio ciò che si determina in quel sistema al momento della coabitazione: vi è una forte investitura del Presidente della Repubblica senza una correlativa possibilità d'esercizio del potere esecutivo che genera uno squilibrio oggettivamente pericoloso.
Il secondo riguarda una peculiarità del tutto italiana, implicita nei lavori della nostra Commissione: abbiamo adottato un testo base sul federalismo che darà ampio potere alle regioni, che probabilmente produrrà investitura diretta delle leadership politiche regionali; ipotizzare un'investitura diretta della Presidenza della Repubblica - non del leader dell'esecutivo -, cioè della massima figura istituzionale di garanzia contestualmente all'investitura diretta delle leadership politiche regionali pone le premesse per la trasformazione dei conflitti politici in conflitti istituzionali. È un pericolo grave sul quale invito tutti i colleghi a riflettere. Né si può obiettare che a questi pericoli si risponde

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con l'investitura diretta del Presidente della Repubblica contemporanea all'elezione dell'assemblea legislativa. La contestualità che alcuni propongono per emendare i difetti che ho voluto sottolineare non è praticabile perché, allora sì, correremmo il rischio di una deriva autoritaria, quando maggioranza e Presidente fossero eletti senza una figura istituzionale di garanzia al di sopra delle parti; la contestualità è invece ampiamente praticabile nel momento in cui si elegge il capo dell'esecutivo e vi è nella Presidenza della Repubblica quella forma di garanzia istituzionale che non permette una deriva di tipo autoritario.
Per tutte queste ragioni credo di poter ribadire, con assoluta tranquillità, il nostro sereno voto favorevole alla relazione ed al testo A presentato dal relatore Salvi.

GIORGIO REBUFFA. A nome del mio gruppo, dichiaro che voteremo a favore della relazione del relatore Salvi e che, come è noto, ci esprimeremo a favore dell'ipotesi B, cioè del modello semipresidenziale.
Voglio fare una breve considerazione sul significato del voto di questa mattina, come ha detto il collega Mussi, sarà un voto sul filo di lana, vorrei però far osservare due cose. La prima è che in democrazia un voto è sempre decisivo, la seconda riguarda le diverse caratteristiche dei due modelli che ci accingiamo a votare e quindi del tipo di voto che ciascuno di essi avrà. Credo di non fare una operazione pregiudiziale ma una semplice constatazione che ormai è quasi di senso comune: il modello del premierato contiene ancora una serie di equivoci fortissimi che, nonostante l'intervento del collega Mussi abbia cercato di sgombrarli, credo siano rimasti lì per una ragione specifica.
Il primo equivoco nasce dalla stessa aggettivazione che è stata usata: forte o dolce. La forza di un'istituzione politica deriva da due fondamenti, il primo è quello dei poteri, il secondo è quello della legittimazione: un premierato è forte se ha una legittimazione forte. Pertanto, aumentare i poteri senza una chiara ed esplicita legittimazione elettorale è, secondo me, fonte di equivoco. Un'altra fonte di equivoco, nonostante la testimonianza dell'onorevole Mussi di voler intraprendere un cammino in questa direzione, è nel fatto che il meccanismo che abbiamo di fronte non è quello della sfiducia costruttiva, che non abbiamo mai avuto nel nostro paese, ma quello delle dimissioni che sono state lo strumento con cui nella storia repubblicana il Presidente del consiglio è diventato un prigioniero.
Senza eliminare questi due problemi, credo che difficilmente avremo qualcosa di più che una scatola vuota. Restano quindi sul tappeto tre importanti questioni: la legittimazione elettorale, il superamento di un primo ministro prigioniero della sua coalizione, la legge elettorale. Non c'è dubbio infatti che, come è stato detto autorevolmente anche questa mattina, un primo ministro senza una legge elettorale è un pallone non ancorato.
Il meccanismo semipresidenziale ha invece una caratteristica che l'onorevole Spini stamattina ha descritto in modo esemplare e che ho apprezzato moltissimo perché, a mio giudizio, è il segreto di un'istituzione funzionante: il diverso destino di Mendes France e di Mitterrand (si potrebbero fare altri esempi che riguarderebbero sia i primi ministri inglesi sia i Presidenti degli Stai Uniti). Questo sgombera anche una delle più antiche paure che ormai finalmente non echeggia più in quest'aula, quella della personalizzazione: nel meccanismo semipresidenziale è l'istituzione che viene rafforzata, non la persona.
Il significato del voto, dunque, è che se si affermerà il modello presidenziale, anche con un margine ristretto, avremo una scelta chiara che libererà le forze che - anche in quest'aula e in questo Parlamento - hanno vincoli che non possono, o non vogliono, non rispettare, quelle cioè che intendono marciare verso un meccanismo di trasformazione del nostro sistema costituzionale e, soprattutto, del nostro sistema politico. Se invece passerà


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il premierato, passerà un meccanismo che contiene in sé una tale quantità di equivoci, di subordinate, di tragitti ancora da percorrere, che vedo il cammino molto più accidentato. Aggiungo a questo proposito che non si troverà una soluzione mediatoria, perché quel meccanismo di premierato non è altro che il sistema del cancellierato con un nome diverso, rispetto al quale però manca una cosa, cioè la Germania con la sua cultura politica, le sue tradizioni parlamentari e tutto quello che conosciamo.
Auspico quindi che il voto sia favorevole al modello presidenziale, all'ipotesi B, che non è più - diciamolo - l'ipotesi del Polo, ma una delle due presentate dal relatore Salvi. Quel modello garantirà il mantenimento e il rafforzamento - come ha auspicato anche l'onorevole Mussi - del meccanismo bipolare il cuore del quale è rappresentato dall'identificazione tra governo e maggioranza. Naturalmente sono consapevole che, una volta scelto il meccanismo che bipolarizza il vertice del sistema costituzionale, dobbiamo accompagnarlo ad un meccanismo che bipolarizza il sistema elettorale. A questo proposito, però, voglio essere molto chiaro se ci riesco. La prima esigenza è di mantenere la tradizione politica italiana, perché non possiamo usare la mannaia; la seconda è che l'accordo sul sistema elettorale avvenga alla luce del sole. Perché questo avvenga vi è una strada che dovrebbe anche portarci alla soluzione, cioè che i principi del meccanismo elettorale vengano in qualche modo scritti nella Costituzione in modo che siano una garanzia per tutti; naturalmente la determinazione concreta del sistema non può essere scritta nella Costituzione, ma i principi sì.
Vedo ancora molti pericoli, vedo il pericolo che, alla ricerca di soluzioni di rebus spesso insolubili, nei mesi futuri - se ci arriveremo - costruiremo soluzioni che evocano lo spettro, tante volte evocato, di Weimar, lo spettro di poteri in conflitto tra di loro, di una Repubblica lacerata, di un finto presidenzialismo.
In conclusione, spero che questa lunga marcia dei diecimila, quest'anabasi, non ci riporti là da dove eravamo partiti, invece di condurci alla scoperta di nuove terre: se tornassimo al sistema parlamentare della prima Repubblica credo che tutti, anche inconsapevolmente, ci distruggeremo.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor presidente, onorevoli colleghi, il voto di oggi si è caricato di significati molto forti, in parte in modo indebito, ma in parte anche a giusta ragione. Stiamo facendo una sperimentazione, qui in bicamerale, delle regole di correttezza che sono proprie di un sistema bipolare, regole di cui molto abbiamo parlato ma che poco sono entrate nel costume e nella mentalità della classe politica e in generale del popolo italiano. Credo che, nonostante alcuni momenti di confusione e di esasperato tatticismo, tutto sommato usciamo bene da questo esame.
Un sistema bipolare è un sistema in cui si vota. Può sembrare strano ricordare questo dato, ma oggi in Italia vi è una grande paura di votare, di confrontarsi, di arrivare a definire chiaramente maggioranze e minoranze. È un sistema in cui si vota - e questo lo differenzia da sistemi consociativi in cui non si vota - ma in un sistema bipolare succede anche che chi alla prova del voto perde non rompe, ma partecipa alla discussione ulteriore facendo valere il peso dei voti che ha ottenuto, piccolo o grande che sia, per affermare in qualche modo le sue esigenze all'interno del modello che insieme si è scelto.
L'idea di una democrazia in cui si vota e, se si perde, non si rompe, è relativamente nuova nel nostro paese; la nostra è stata per lungo tempo una democrazia contrattata, la cui teoria è stata scritta, anticipando la vostra vicenda istituzionale, dai grandi teorici del partito socialdemocratico tedesco, in particolare da Otto Bauer, quando ha teorizzato un sistema politico all'interno del quale c'è l'equilibrio di forza delle classi, per cui la lealtà prima non è dovuta al sistema istituzionale,


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allo Stato, alla nazione, ma alla propria parte. Pertanto quando la sconfitta della propria parte tocca alcune cose che si considerano irrinunciabili, conduce alla rottura del patto su cui si regge la convivenza civile.
Noi dobbiamo imparare a contarci, ad avere vittorie e sconfitte, senza che questo rompa le condizioni di convivenza civile e politica: questa è la differenza fra una democrazia bipolare e un sistema permanente di guerra civile. E questa è anche la differenza fra il dialogo che deve dominare in una democrazia bipolare e l'inciucio, brutta parola che però è diventata di uso corrente. Dobbiamo uscire da una democrazia continuamente contrattata e dobbiamo farlo anche nella bicamerale, nella quale tuttavia l'elemento del dialogo è di particolare rilievo, perché non si possono dare regole procedurali senza che su di esse esista un consenso ampio, che vada al di là delle distinzioni di maggioranza e minoranza.
Inviterei tutti ad una seconda riflessione. Come è noto, noi siamo a favore di un modello semipresidenziale, simile a quello della Costituzione francese del 1958. Sappiamo bene che, se vinceremo, dovremo tener conto delle opinioni, dei punti di vista, delle preoccupazioni di chi in questo modello non si riconosce, come credo che la nostra controparte, nel caso in cui ottenga la maggioranza in questa seduta, non potrà ignorare che quasi metà - mi auguro più di metà - di questa Commissione vuole un esecutivo più direttamente responsabile verso il popolo di quanto l'articolato Salvi nel suo testo A preveda. Anche in quel caso, l'articolato Salvi verrà accettato come base di discussione; bisogna ricordare a tutti che di questo si tratta: accettare una base di discussione e non scegliere definitivamente un modello. Credo che nessuno potrà negare la possibilità e la necessità di intervenire fortemente (anche tenendo conto del risultato concreto della votazione) su quell'articolato per modificarlo nel senso che le permetterà di essere espressione più compiuta delle attese del paese, nel quale comunque esiste una forte maggioranza presidenzialista.
Qui vi è davvero una differenza forte di posizioni: vi è chi pensa che in questo paese ci sia troppa politica; c'è chi pensa che ve ne sia troppo poca. Io tendo a comprendere le ragioni di chi pensa che ci sia troppa politica, anche se preferirei formularle in un modo diverso: c'è troppa tattica politica e quindi troppo poco spazio per la politica vera; troppi poteri di interdizione, troppo poca possibilità di decidere e di svolgere un dibattito reale sui contenuti; troppa procedura, troppo poco diritto sostanziale.
Crediamo che l'adozione di un sistema semipresidenziale aiuti a portare la politica sui contenuti e quindi ad avvicinarla al popolo italiano. Se non potremo ottenere questo, lavoreremo per creare un sistema molto simile al cosiddetto «sistema del sindaco d'Italia» che è stato uno dei momenti forti della discussione sull'innovazione e sulle riforme istituzionali. Mi pare che ciò sia possibile anche sulla base del testo A dell'articolato Salvi, ove adeguatamente integrato e rafforzato. In quel caso la battaglia politica si sposterebbe su questo punto, mentre siamo consapevoli che nel caso di vittoria di un modello semipresidenziale, bisognerà dare conto a tutti quelli che vogliono che la funzione del Parlamento non sia umiliata. Noi crediamo che non lo sia, ma cercheremo tutti i modi per darle più coerenza e più forza.
L'onorevole Spini ha avanzato una domanda: che rapporto c'è tra sistema elettorale e scelta semipresidenziale? Siamo consapevoli del fatto che un modello semipresidenziale si sposa bene con modelli a doppio turno simili a quelli francesi, non copiati in modo servile ma adattati alla situazione italiana. Sappiamo che esiste una congenialità, però dobbiamo mettere sull'avviso: i modelli a doppio turno importano un trasferimento di potere dai partiti alle istituzioni, quando accompagnano un sistema semipresidenziale; quando non lo accompagnano, comportano un trasferimento di potere dai partiti più piccoli a quelli più

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grandi che organizzano le coalizioni. Non vediamo alcuna ragione per accettare un simile trasferimento di poteri, che può avere senso in un sistema tendenzialmente bipartitico, quando le due maggiori forze politiche superano l'80 per cento del corpo elettorale, ma non ha senso in un sistema in cui le due maggiori forze politiche superano di poco il 40 per cento del potere elettorale. Diventa drammatica la questione del sistema elettorale proprio nel caso in cui vinca il modello del premierato. Nell'altro caso vi è un itinerario che bisognerà esplorare ma che ha alcuni punti chiari, in questo ci avviamo in un cammino pieno di nebbia, in cui ogni passo sul sistema istituzionale condizionerà inevitabilmente le scelte che faremo sul sistema elettorale.
Un'ultima osservazione sul sistema semipresidenziale. Cosa è successo propriamente in Francia? Credo sia successo qualcosa che mostra la flessibilità di quel sistema. Nella vita di una democrazia ci sono anche momenti nei quali sono necessarie grandi coalizioni e una maggiore unità per far fronte ad emergenze nazionali. Il voto francese dice che il popolo francese ritiene che l'appuntamento dell'Euro va affrontato in questo modo e chiede la collaborazione di un capo dello Stato con forti poteri di indirizzo politico e di un'Assemblea con un orientamento politico differente. A me sembra che questo vada letto non contro quel sistema, ma come una prova ulteriore della sua flessibilità e della sua capacità di rispondere alle esigenze cangianti del paese. Dobbiamo costruire un sistema che possa navigare col bel tempo ma anche con il mare grosso, che possa andar bene in determinate circostanze ma anche in circostanze opposte. La flessibilità del sistema, quando adeguatamente regolamentata, non è un ostacolo, non è un difetto, è piuttosto un pregio. Questo è un motivo ulteriore per il quale confermo la nostra scelta di votare per il modello B proposto dal senatore Salvi.

DOMENICO NANIA. Signor presidente, onorevoli colleghi, alleanza nazionale esprimerà un voto favorevole sulla relazione Salvi. Le ragioni di ciò sono fin troppo evidenti: in tale relazione è contenuto il modello semipresidenziale, al quale alleanza nazionale ha sempre creduto. La nostra scelta quindi sarà per il modello sempresidenziale, innanzitutto perché riteniamo che con esso - lo vogliamo dire a chiare lettere - la democrazia non corra alcun pericolo. Non siamo - come alcuni, anche oggi, hanno lasciato intendere - al preinfarto della democrazia con un sistema di tipo presidenziale, tutt'altro.
Confermiamo che abbiamo apprezzato molto quanti, anche all'intero dell'Ulivo e fra i sostenitori del premierato, hanno ritenuto che comunque in entrambi i modelli il tasso di democrazia è pari. Questo rappresenta un elemento molto importante e positivo e come tale lo registriamo. Non vi è alcuna preclusione ideologica; abbiamo apprezzato le dichiarazioni rese in più occasioni anche dal presidente della Commissione: ciò rappresenta l'inizio della realizzazione concreta di quella tavola di valori che deve stare alla base di questo processo costituente.
Sappiamo benissimo che le riforme non risolvono i problemi, sappiamo però altrettanto bene che esse, se sono davvero tali, rendono i problemi risolvibili. Ci sentiamo impegnati su questo versante, infatti la nostra critica riguarda soltanto il funzionamento presunto dei due modelli quali sono stati proposti nella relazione Salvi. Ci è sembrato, almeno in base a quanto ha detto l'onorevole Mussi, che non si discute tanto su ciò che è stato proposto con i modelli, quanto su ciò che si proporrà strada facendo. È apparso chiaramente dall'intervento dell'onorevole Mussi che noi dovremmo ragionare non sul premierato previsto nella relazione Salvi - faccio riferimento in particolare a rifondazione comunista - ma su quello che ci sarà e che sarà debole per accontentare rifondazione comunista e forte per accontentare il Polo. Noi vogliamo discutere sul premierato che c'è - anzi potremmo dire sul premierato che non c'è -


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ma, per quanto ci riguarda, in modo particolare sul presidenzialismo che c'è.
La relazione Salvi ha il merito di consentire di discutere sulla base del semipresidenzialismo che c'è. Non abbiamo bisogno di rassicurare nessuno, perché sappiamo che è stato disegnato un modello semipresidenziale che si potrebbe accettare così com'è quasi in tutte le sue parti.
Quali sono le ragioni che ci fanno dire sì al semipresidenzialismo, anzi - dico di più - al semipresidenzialismo che c'è nella relazione Salvi? Innanzitutto la circostanza fondamentale che il corpo elettorale sceglie il vertice dell'esecutivo. Altro fatto importante è la consapevolezza che tale vertice rende conto al corpo elettorale. Un'elezione è diretta se i cittadini scelgono chi governa e se chi governa rende conto ai cittadini. È questo il nodo fondamentale non risolto nel premierato proposto, tant'è che si rimanda a dopo. Come si scioglieranno i nodi su questo punto? Attraverso marchingegni che debbono comunque oscillare tra trasformismo e ribaltoni, perché il premierato comporterà - almeno così sembra - la ricerca di meccanismi che evitino l'uno e gli altri. Sappiamo, invece, che con l'elezione diretta di chi governa il problema del rapporto democratico di andata e ritorno tra cittadini e chi governa e tra chi governa e cittadini è risolto in maniera chiara, semplice, trasparente, senza intoppi e strozzature.
La seconda ragione che ci fa sostenere il semipresidenzialismo consiste nel fatto che si rende flessibile il rapporto tra Governo e Parlamento con maggioranze sia dello stesso colore sia di colore diverso. Il caso francese ha dimostrato che, pur in presenza di una maggioranza dello stesso colore, si sono determinate le condizioni affinché il corpo elettorale chiamato a decidere esprimesse un orientamento diverso. Quindi, la flessibilità è dentro il sistema, mentre nel premierato di cui alla proposta Salvi l'evidente realtà con la quale tutti ci scontriamo è che ogni tensione all'interno della maggioranza comporta o uno scioglimento delle Camere o un ribaltone. Il punto centrale del ragionamento che vogliamo mettere in evidenza è proprio questo: le tensioni nel premierato comportano o un ribaltone con un nuovo assestamento di maggioranze o uno scioglimento. Sappiamo invece che la flessibilità del sistema sempipresidenziale consente un libero gioco delle forze politiche all'interno del Parlamento. Ci rendiamo conto che vi è in Francia uno svuotamento dei poteri del Parlamento, ma dobbiamo mettere in evidenza con forza che tale svuotamento nella realtà francese è stato sempre denunciato dai Presidenti della Repubblica proprio perché non è avvenuto a favore dei poteri del Presidente della Repubblica ma di quelli del governo. Già nella proposta Salvi - nel semipresidenzialismo che c'è, non in quello virtuale, che ci dovrebbe essere - c'è una risposta a questo tipo di problematiche.
Preferiamo inoltre il semipresidenzialismo perché, realizzando il bipolarismo sul versante del Capo dello Stato con elezione a doppio turno, consente su quello della legge elettorale di non legarsi obbligatoriamente a questo o quel sistema. Anche da questo punto di vista dobbiamo essere chiari. Se è certo che ci sono molte ragioni in quel che dice l'onorevole Spini, non c'è dubbio che esiste sul tappeto il problema di forze politiche che in Francia, nonostante raccolgano un'alta percentuale di voti, sono fatte fuori dalla rappresentanza parlamentare. Né possiamo pensare alla rappresentanza parlamentare soltanto come ad un diritto di tribuna; nella realtà politica italiana, occorre pensare ad una rappresentanza parlamentare che consenta alle forze politiche di contare anche dentro la logica delle coalizioni.
Pertanto, realizzata la spinta bipolare sul versante di chi governa, è bene evidente che tutto il campo dei sistemi elettorali è esplorabile e che non c'è nessun collegamento automatico. Sarà compito delle forze politiche trovare la via per risolvere questo problema; toccherà ad esse trovare il sistema elettorale che si dimostrerà il più adatto a coniugarsi con

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la bipolarizzazione che si raggiunge eleggendo direttamente il Capo dello Stato: ma non si può ritenere in partenza preclusa o obbligatoria alcuna scelta.
Un'ultima riflessione riguarda il semipresidenzialismo che ci daremo. L'unico difetto del senatore Salvi è che nella bozza non ha affrontato questo problema; se egli, nel semipresidenzialismo che c'è, avesse spianato la strada da questo punto di vista lasciando capire quali erano le ipotesi in campo, avremmo potuto essere più precisi ed assumere responsabilità più dirette. Chiaramente il senatore Salvi non poteva farlo poiché non è previsto nella legge istitutiva della Commissione bicamerale.

CESARE SALVI, Relatore per la forma di governo. Non si è deciso di farlo; altrimenti condividevo l'opinione dell'onorevole Spini.

DOMENICO NANIA. Ricordo - prima di discutere su quale riforma elettorale - che è stato chiesto esplicitamente di affrontare questo problema da parte di rifondazione comunista e dall'onorevole Tatarella in più occasioni. Non è comunque questo il punto che volevo trattare, preferendo soffermarmi sull'ultimo aspetto che spesso è aleggiato nel confronto all'interno della bicamerale e che ha riguardato il cosiddetto pericolo dell'outsider.
Riprendendo quanto detto dall'onorevole Rebuffa, il semipresidenzialismo è da noi preferito perché si basa sull'istituzione forte e non sulla persona forte. Il semipresidenzialismo elimina il pericolo dell'outsider perché la scesa in campo non dipende da un fatto volontario ma dall'accreditamento istituzionale. Mentre il premierato consente all'uomo forte di attrezzare un proprio partito o una propria coalizione per scendere in campo, con il semipresidenzialismo questo pericolo è di gran lunga ridotto perché occorre un accredito istituzionale.
Ebbene, immaginiamo per un solo momento cosa si verificherebbe in questo paese nel caso in cui dovessimo trovarci di fronte ad un outsider che scende in campo e che vince con la propria maggioranza. Non avremmo il bilanciamento e la flessibilità tipici di un modello francese, dove si può vincere sul versante dell'elezione diretta del Capo dello Stato ma restare fuori della maggioranza parlamentare; in questo caso o si prende tutto o si perde tutto. Ecco perché, concludendo, ribadiamo che in un momento del genere, tenuto conto che alla fine si svolgerà un referendum, è importante valutare il tasso delle scelte più che il tasso del compromesso e stare attenti a che poi gli scontenti non siano più dei contenti e che la nostra riforma sia invece sentita come tale dai cittadini.

PRESIDENTE. Avverto che sono ancora previsti gli interventi dei commissari Passigli, D'Amico, Occhetto, De Mita e Casini; quindi si voterà, dopo un mio breve intervento. Pertanto, ci vuole un po' di pazienza: il tempo davanti a noi non è comunque infinito.

STEFANO PASSIGLI. Signor presidente, da più parti è stato osservato in questi giorni che esiste una profonda connessione tra le leggi elettorali ed il reale funzionamento delle forme di governo che stiamo esaminando; altri hanno posto in discussione questa opinione, mentre io sono tra quanti la considerano valida.
Sia il semipresidenzialismo sia il premierato hanno infatti esiti molto diversi a seconda che ad essi si accompagni una legge elettorale fortemente maggioritaria o una legge elettorale che, malgrado premi di maggioranza o soglie di sbarramento, si mantenga nella logica della proporzionale o comunque sortisca esiti proporzionalistici.
Il semipresidenzialismo, ad esempio, se non unito ad una legge elettorale a doppio turno nei collegi - la sola che a me pare in grado di superare l'attuale frammentazione e dar vita a reali processi di aggregazione - può dar luogo, specie nell'era mediatica in cui viviamo, ad un potere manipolativo del presidente non


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controbilanciato da un forte e strutturato sistema di partiti.
Di converso, il premierato, se unito ad una legge elettorale che consenta il permanere di maggioranze disomogenee, presenta non lievi pericoli e può sortire effetti del tutto contraddittori rispetto ai fini che il modello si propone. Se per esempio attribuiamo al premier il potere di scioglimento in caso di sfiducia, anziché ottenere l'auspicato risultato di un Governo di legislatura, è assai probabile che - in presenza di un sistema di partiti non sufficientemente forte, strutturato ed aggregato - si dia a qualsiasi gruppo che in seno alla maggioranza possa guardare con favore all'ipotesi di elezioni anticipate (e questo può avvenire durante una legislatura) un forte potere di interdizione sulle politiche di governo ed al limite addirittura la facoltà di interrompere la legislatura. Avremmo così costituzionalizzato il potere di veto che è caratteristico delle maggioranze disomogenee e che è l'opposto dell'idea stessa di governo di legislatura, a meno che tale si voglia considerare un governo che sopravvivesse alla perdita della sua maggioranza senza incorrere in una formale sfiducia per la nota riluttanza dei parlamenti a determinare il proprio anticipato scioglimento.
Non si deve infine sottacere che, in mancanza di un sistema partitico strutturato (e tale può diventare solo con una legge elettorale che lo consenta o lo faciliti), il premier avrebbe quello stesso potere manipolativo e trasformistico nei confronti della propria maggioranza che alcuni considerano essere uno dei principali difetti del semipresidenzialismo.
Vi sono altre considerazioni che rafforzano le perplessità che ho espresso. Molti leader del Polo hanno più volte dichiarato in questi giorni (ed or ora lo ha fatto l'onorevole Nania) che il semipresidenzialismo non deve necessariamente accompagnarsi ad una legge elettorale di un certo tipo ben preciso, quella cioè che conosciamo nel sistema francese, ponendo così in discussione il modello che essi stessi avevano avanzato e portato a lungo come bandiera, e che è semmai necessario ritoccare nei poteri del presidente per applicarlo al caso italiano, ma non certo al sistema elettorale, se vogliamo conservare a quel sistema la sua logica e non snaturarlo interamente.
La posizione assunta dal Polo in materia di legge elettorale, che veniva adesso confermata dall'onorevole Nania in sede di dichiarazione di voto, rende quindi oggi pericoloso ed equivoco un voto per il semipresidenzialismo anche per chi, come me, ha presentato una proposta di legge in senso semipresidenziale e non ha mai fatto mistero di preferire questo modello.
Se quindi oggi il semipresidenzialismo non otterrà in quest'aula la maggioranza dei voti, credo che il Polo debba imputare a se stesso questo risultato e non certo a mancanza di chiarezza nelle posizioni di altri. Di converso, molti fautori del premierato - non ultimo l'onorevole Mussi - hanno lasciato intendere o detto con molta chiarezza - come appunto ha fatto l'onorevole Mussi - che la bozza messa a punto dal relatore Salvi potrebbe essere profondamente modificata e che il ruolo del premier potrebbe essere ulteriormente rafforzato, vanificando del tutto - se questo avvenisse - il ruolo della Presidenza della Repubblica e introducendo ulteriori rigidità nel funzionamento del sistema.
Ciò renderebbe il premierato un regime di governo ben più rigido e monocratico del semipresidenzialismo, che è sistema ove operano flessibilità e pesi e contrappesi che risulterebbero invece assenti in un premierato ulteriormente rafforzato ed in cui si stabilisse una rigida equazione sfiducia-scioglimento.
Per parte mia ho più volte affermato che in materia di forma di governo, una volta abbandonati gli archetipi del presidenzialismo puro e del classico governo parlamentare, una volta deciso cioè di muoversi verso forme intermedie, entrambe le bozze del relatore potevano risultare in linea di principio un'accettabile base di lavoro e che esse andavano quindi giudicate alla luce delle ulteriori indicazioni che potevano accompagnarle

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in materia di legge elettorale e sul punto cruciale del potere di scioglimento.
L'equazione stretta stabilita anche ora per esempio dall'onorevole Nania (mi rifaccio al suo intervento per comodità ma comunque quell'equazione è stata più volte espressa da molti), o ribaltone o scioglimento, è un'inutile rigidità che può consegnarci all'esito opposto, come dicevo. Potremmo cioè avere una crisi nella maggioranza ma non della maggioranza, una componente della quale potrebbe, in caso di rigida equazione sfiducia-scioglimento, sortire l'effetto di determinare l'esito dell'intera legislatura.
Credo che faremmo un grave errore se ci avventurassimo lungo questa strada e la costituzionalizzassimo. Dicevo che entrambe le forme potevano risultare in linea di principio accettabili come base di lavoro se ulteriori indicazioni fossero venute su questi due punti cruciali della legge elettorale e del potere di scioglimento.
Queste indicazioni finora non sono state date, o almeno non sono state date con sufficiente chiarezza. In queste condizioni, signor presidente, credo non sia possibile scegliere tra le due bozze in maniera motivata e che occorre sciogliere in maniera chiara, se non il nodo della legge elettorale - assai complesso e che comunque esula dai compiti stretti di questa Commissione, e di cui però sarebbe opportuno considerare la costituzionalizzazione di alcuni principi - almeno quello dei poteri di scioglimento.
Credo, ad esempio, che potremmo utilmente conservare nel modello del premierato - ove premier e Parlamento sono eletti insieme e quindi hanno un'uguale legittimità - l'istituto della sfiducia costruttiva e che, in caso di semplice sfiducia, potremmo conservare al Presidente della Repubblica il suo tradizionale ruolo arbitrale, la scelta cioè tra scioglimento e nuovo incarico; un ruolo di garanzia che potremmo ulteriormente legittimare attraverso l'elezione diretta di un Presidente che sarebbe di garanzia, appunto; e senza poteri di governo, che verrebbero lasciati al premier designato con la sua maggioranza.
È solo un'ipotesi; su altre potremo lavorare. Ma voler evitare ribaltoni e trasformismi non ci deve spingere - è questo il punto che, concludendo, vorrei ribadire - verso una rigidità assoluta o verso forme di governo ove il trasformismo, evitato in sede parlamentare, sia però permesso al premier.
Alla luce di queste considerazioni, che avrei voluto sviluppare ulteriormente, ma che per ragioni di tempo evito di fare, preannuncio - unitamente alla volontà di operare in sede di emendamenti affinchè si raggiunga quella ampia convergenza che ritengo possibile sulla base del dibattito - un voto di astensione.

NATALE D'AMICO. Innanzitutto preannuncio che io ed il senatore Ossicini voteremo a favore della relazione del senatore Salvi. Ho ascoltato attentamente le argomentazioni dell'onorevole Cossutta e mi pare che la proposta di rifondazione comunista sia seriamente e nobilmente conservatrice. A mio giudizio è necessario proseguire con decisione nel processo di riforma delle istituzioni del nostro paese e la relazione Salvi compie dei passi avanti in questa direzione.
Quanto alla delicata scelta tra il testo A e il B, è noto che rinnovamento italiano ha manifestato la sua preferenza per il semipresidenzialismo, tant'è che ha presentato un apposito disegno di legge; non ripeterò le argomentazioni favorevoli alla realizzazione in Italia di un modello semipresidenziale sull'esperienza francese, vorrei osservare però che in questo dibattito è stata sollevata l'obiezione secondo la quale il modello francese è destinato ad una lunga coabitazione tra un Presidente della Repubblica e un Presidente del Consiglio di orientamento politico diverso. Capisco che la coabitazione può rappresentare un problema, ma così non è stato nel passato in Francia con le ultime due esperienze; d'altra parte è irragionevole - osservo - che l'obiezione sia stata sollevata, in taluni casi, dalle


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stesse persone che, relativamente a quel modello, sottolineavano l'eccesso di poteri del Presidente della Repubblica che non trovavano dei limiti, più specificatamente l'eccessivo potere di scioglimento del Parlamento in qualunque momento. L'esperienza francese ha confermato invece che quel potere di scioglimento incontra un limite ben preciso nella volontà degli elettori che possono sanzionare il Presidente della Repubblica, il quale scioglie il Parlamento in modo immotivato per l'elettorato.
Comunque, pur manifestando sin dall'inizio la preferenza per un modello di tipo semipresidenziale, abbiamo sostenuto che in materia di istituzioni è importante che il gatto prenda i topi, non il colore del gatto ed il semipresidenzialismo ci sembra un modello nel quale il gatto prende i topi, in quanto risolve il problema della forza e della legittimazione del governo democratico. Abbiamo altresì sostenuto che tale modello attribuisce un maggiore potere di scelta ai cittadini - un obiettivo del processo di riforma secondo noi necessario - e che mantiene quegli elementi di flessibilità necessari in una situazione come l'italiana, in cui non sappiamo quale sarà il concreto assestarsi del sistema politico qualunque sia il sistema adottato. Tuttavia, non diciamo un «no» pregiudiziale al modello del premierato: pensiamo che anche lungo quella strada sarebbe possibile procedere per risolvere il nodo di fondo del governo del paese. Abbiamo però posto alcune condizioni in Commissione e all'esterno e la prima consiste nel chiarire la legittimazione democratica del premier. In altri termini, se deve essere un premier forte, deve esistere un meccanismo forte della sua legittimazione democratica.
L'altro elemento concerne il governo di legislatura, sia per cercare di realizzare quello da cui è scaturito, da venti anni a questa parte, il dibattito sulle riforme, sia perché sarebbe grave un riforma costituzionale italiana che prefigurasse l'eventualità di un conflitto tra Parlamento ed elettori. Se gli elettori ritenessero, con questo meccanismo ibrido, di aver eletto un Presidente del Consiglio ma assistessero alla sua sostituzione in Parlamento, ciò determinerebbe gravi difficoltà nella vita istituzionale e democratica del paese.
Abbiamo anche sottolineato la problematica di un governo forte, sostenuto da una minoranza parlamentare, così come abbiamo delineato il rischio che il tentativo di razionalizzazione dell'esistente, quale potrebbe configurarsi in un modello del premier non abbastanza forte, nasconda tendenze proporzionalistiche riguardo alla legge elettorale.
Rispetto alle nostre obiezioni, nella proposta Salvi non sono contenuti dei passi avanti, non per responsabilità del senatore Salvi ma perché allo stato della discussione oggettivamente, tra i sostenitori del premierato, non prevalevano queste posizioni. Per la verità, nell'ultima proposta Salvi, sul governo di legislatura, si registrano dei passi indietro rispetto alle nostre richieste. Non ci nascondiamo peraltro che un passo in avanti rilevante è rappresentato dalla posizione dell'onorevole Mussi, il quale si è dimostrato disponibile a modificare il meccanismo della sfiducia costruttiva (che però non è ancora incorporato nella proposta sulla quale siamo chiamati ad esprimere il nostro voto).
La questione, dunque, mi pare sia: seguendo quale strada è più probabile raggiungere un'ampia maggioranza che è non solo auspicabile, ma necessaria per fare le riforme? Lungo quale strada è possibile raggiungere un'ampia maggioranza per una riforma della forma di governo italiano che faccia nascere un gatto che acchiappi i topi, cioè che risponda ai motivi della riforma: efficienza, stabilità, forza, legittimazione del governo democratico del paese? Seguendo quale strada è più probabile evitare il rischio, implicito in tendenze restauratrici rispetto alle novità introdotte con il referendum del 1993? Anche in argomento si registrano alcune novità: siamo favorevoli a che nella Costituzione vengano sanciti alcuni principi della legge elettorale. La Costituzione non segna solo gli sviluppi futuri del paese; le Costituzioni, nella

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storia delle democrazie, rappresentano il momento in cui viene sancito ciò che il paese ha conquistato ed a me pare che il paese abbia conquistato un sistema elettorale maggiormente rispondente ad una logica liberale, a concezioni liberali della democrazia. Per essere più espliciti un sistema elettorale di impianto prevalentemente maggioritario uninominale, un concetto che potrebbe essere sancito nella nostra Costituzione.
La scelta tra il testo A ed il B non è una questione teorica bensì pratica; non può essere oggetto di scelta di maggioranza come non lo è stato fin qui. Ad un'ottica di maggioranza si contrapporrebbe un'ottica di opposizione e ciò significherebbe rinunciare a portare avanti il processo di riforma istituzionale. Allo stato dei fatti non mi pare possibile immaginare di portare avanti un progetto di riforma secondo una logica di maggioranza. Da questo punto di vista osservo che nella giornata di ieri, complessivamente favorevole, qualche segnale negativo è venuto non dalla maggioranza, ma dall'opposizione. Il voto sulla giustizia è stato un voto unanime dell'opposizione nonostante esistessero posizioni diverse, probabilmente, al suo interno. Non vorrei che il nostro confronto degenerasse in un confronto rigido tra maggioranza e opposizione, perché ciò ci porterebbe allo stallo.
Considerati questi aspetti e le argomentazioni che ho tentato di illustrare, aderendo allo spirito laico necessario in questa fase costituente, rinnovamento italiano manterrà libertà di voto ai suoi due rappresentanti in Commissione. Ciò significa che il senatore Ossicini ed io esprimeremo voti difformi riguardo alla scelta tra due testi contenuti nella proposta Salvi.

ACHILLE OCCHETTO. Signor presidente, onorevoli colleghi, premetto che considero sbagliato scegliere il modello istituzionale senza indicare la legge elettorale.
Voi tutti ricorderete che ho posto sin dall'inizio come condizione per votare a favore del testo A, la presentazione contestuale di un'ipotesi di riforma elettorale. Solo allora, infatti, potremo sapere se il sistema si muove verso la restaurazione delle coalizioni dei partiti o verso la costituzione di veri poli alternativi. Ma non essendo, quella della mancata indicazione della legge elettorale, l'unica stravaganza, per il momento passo oltre.
La mia preoccupazione fondamentale, dal momento che ci troviamo dinnanzi a soluzioni che sono contenute in un'unica relazione, per la quale voterò, che ce le presenta come fondate su un'identica legittimità democratica, è quella della limpidezza e coerenza istituzionale rispetto all'obiettivo. Per me, a torto o a ragione, l'obiettivo principale della riforma della forma di governo è sempre stato quello di riuscire a indurre un effettivo mutamento del sistema politico, nella direzione di una inequivocabile democrazia dei cittadini.
La forza della proposta sta tutta qui, non già nella rigidità autoritaria del sistema. Oggi siamo chiamati a dire se il potere di decidere del governo è affidato ai cittadini che lo esercitano direttamente con il voto oppure no. Questa decisione, come sappiamo, può realizzarsi attraverso diversi sistemi istituzionali; può avvenire attraverso l'elezione diretta del premier, che io continuo a preferire, o attraverso l'elezione diretta del Presidente della Repubblica. Purtroppo però non ci troviamo dinnanzi a due diverse vie di scelta diretta del governo e della sua leadership; in sostanza, ci troviamo di fronte ad una sola proposta coerente di elezione diretta, quella che nel mio intervento iniziale io stesso ho considerato una subordinata accettabile, qualora fosse stata sostanzialmente corretta (mi riferisco alla proposta contenuta nel cosiddetto testo B).
Mi rammarico che non sia stato fatto quasi nulla per acquisire al sostegno del premierato quanti la pensano come me, accettando almeno la proposta di compromesso di Barbera. L'attuale proposta di premierato pertanto è l'opposto di quello che avrebbe dovuto essere. Non ci troviamo di fronte ad un sistema che ha una logica e una sua coerenza interna: a


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mio avviso è meglio non pasticciare con diversi sistemi costituzionali. Basti per tutti un esempio: se con un voto solo si elegge contemporaneamente il deputato, quindi il Parlamento e il premier, la logica vorrebbe che la sorte dell'uno fosse legata alla sorte dell'altro. Il testo A prevede al contrario due sorti tra loro separate, togliendo in questo modo ai cittadini quella sovranità sul Governo che inizialmente era stata loro concessa.
Le condizioni che ho posto e che continuo a porre per poter votare a favore del premierato sono dunque tre: innanzitutto, una più limpida definizione del metodo di elezione del premier, anche attraverso una soluzione intermedia che vada nella direzione della proposta di Barbera; seconda condizione, la sostituzione del voto di sfiducia costruttiva con la proposta di scioglimento da parte del premier e terza la definizione, almeno delle linee generali, della legge elettorale. Se non c'è chiarezza su questi punti, la soluzione presidenziale rimane per me una subordinata che ha il limite della coabitazione, ma che permette - come stiamo accadendo nella vicenda francese - di registrare i mutamenti reali dell'opinione e della volontà dei cittadini invece di quelli dei diversi equilibri raggiunti dalle segreterie dei partiti.
La coabitazione rimane comunque un difetto e un rischio per uno Stato, un potere diffuso e decentrato.
Qualora passasse il semipresidenzialismo, credo che un primo provvedimento opportuno sarebbe quello di adottare una forma per limitare la frequenza di questo evento, tanto che noti costituzionalisti hanno messo in campo delle proposte.
Naturalmente anche in questo caso non sarebbe una soluzione completa e me ne rendo conto. Purtroppo, ancora una volta, le logiche di partito non hanno permesso che si dispiegassero, con la limpidezza e la libertà necessarie, le diverse culture istituzionali.
L'alto profilo, la limpidezza e la coerenza necessari per ridisegnare le regole del gioco costituiscono la mia preoccupazione e il mio obiettivo fondamentale. Ecco dentro di me qual è il criterio fondamentale che vale: a questo porta la mia esperienza ed anche il principio di realismo politico. Tra una soluzione organica, definita, che pur presenta rischi e difetti, ed un pasticcio giuridico, soluzione compromissoria, autoreferenziale, preferisco la prima. Per questo ho mostrato la mia disponibilità fin dall'inizio verso il semipresidenzialimso. Detto questo mi auguro che la mia posizione possa in qualche modo contribuire a modificare le questioni in campo e che la critica, che molti di noi stanno esercitando sulla soluzione sbagliata di premierato, induca ad abbracciare una genuina cultura riformatrice.
Non posso non prendere atto che nella sua dichiarazione l'onorevole Mussi ha fatto, in parte, un passo in questa direzione, il che sottolinea il valore di un impegno libero da schieramenti precostituiti ed il valore di quanti hanno voluto mantenere aperta una distinzione non tra schieramenti politici, di maggioranza, di governo e di opposizione, ma tra culture istituzionali.
Mi dicono che la soluzione potrebbe essere individuata in una direzione o nell'altra, anche per un solo voto. Sento tutta la responsabilità di di questo momento, anche se vorrei sdrammatizzarlo, perché un solo voto non decide delle questioni che ho sollevato; sotto questo profilo è già fallito l'accordo alto, culturalmente alto. Un voto in più o il pareggio, che io auspicherei (ma naturalmente, non sono nelle urne), potrebbe farci riprendere il cammino.
Con il mio voto intendo costruire un ponte tra i riformatori del campo semipresidenzialista e quelli favorevoli al premierato, che è stato magistralmente indicato ieri, in un articolo di fondo de Il Messaggero, dall'onorevole Fisichella, come l'unica soluzione alternativa rispetto a quella del semipresidenzialismo.
Chiedo anche un patto referendario tra tutte le componenti innovatrici dei due blocchi perché, quale che sia il vincitotre, vi delinei una netta posizione a favore del sistema maggioritario e del doppio turno,

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anche - in caso di vittoria del semipresidenzialismo - costituzionalizzando il principio del sistema maggioritario a doppio turno.
Con il mio voto, quindi, e spero di non sbagliare i calcoli, voglio soltanto porre un'ipoteca su un profondo rinnovamento dei testi che auspico vada nella direzione della purezza e della limpidezza istituzionale, non nella vittoria di questo o di quello schieramento.
Per ciò che riguarda il premierato, avrei ritenuto opportuno avviarci con chiarezza, nelle tre direzioni che ho indicato prima del voto, ciò che peraltro può ancora essere fatto dallo stesso presidente della Commissione. In tal caso potrei astenermi in attesa di un'opera di rinnovamento; in caso contrario, per la coerenza della mia posizione - lo dico agli amici ed ai compagni che mi hanno amorevolmente fatto una pressione nel nome della coerenza della sinistra - voglio sottolineare che questa pressione non ha nessun valore, né morale, né politico. La coerenza della mia posizione consiste in questo: fin dall'inizio ho detto che non tutte le forme di premierato erano, dal mio punto di vista, superiori al semipresidenzialismo. Quindi, questa posizione, nell'espressione del voto, anche se è solo quella di un individuo, per una certa concezione della libertà, che è diversa dalla vecchia concezione della democrazia, deve essere rispettata; devo perciò essere messo nelle condizioni di vederla rispettata. Pertanto, non voterò a scatola chiusa e mi asterrò soltanto sul premierato se quei tre punti, alla fine della discussione, saranno per me chiari: in caso contrario voterò per il presidenzialismo.

CIRIACO DE MITA. Signor presidente, onorevoli colleghi, preannuncio a nome del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo, il nostro unanime voto favorevole alla relazione del senatore Salvi ed al testo A, contenuto nella stessa relazione.
Vorrei brevemente - se mi riesce - recuperare qualche motivazione, perché vi confesso che la discussione, che ha accompagnato l'indicazione su forme di governo alternative, conserva un impasto tra analisi dei fatti, governo dei processi ed indicazioni immaginate di soluzioni.
Trovo singolare - non me ne voglia l'onorevole Mussi - l'affermazione che questa o quella forma di governo sono soluzioni democratiche. Le istituzioni in sé, onorevole Mussi, non sopportano qualifiche, perché le istituzioni sono le norme che reggono la convivenza. Dove il rilievo va fatto è l'analisi approfondita nel rapporto, nell'interazione, direbbero i sociologi, tra le norme che si immaginano ed i processi politici che si vogliono governare.

FABIO MUSSI. Il partito unico, per legge, è un'istituzione, ma non è democratico!

CIRIACO DE MITA. Onorevole Mussi, io non l'ho interrotta; ma perché, poi, è così irascibile?

CESARE SALVI. Fa così pure con noi!...

CIRIACO DE MITA. Non essendo iscritto al gruppo, non lo sapevo (Commenti)...
Ritengo che ogni opinione sia legittima ed ogni opinione sia discutibile, a partire dalla mia.
Perché dico questo? Perché l'osservazione dell'onorevole Rebuffa sul rischio Weimar, conferma questo giudizio. La crisi del sistema politico in Germania è avvenuta tra un insieme di norme astratte, definite come regola della convivenza democratica e, quindi, del governo dei processi reali, e quelle che dovevano essere amministrate nella realtà tedesca dell'epoca. Se tentassimo, se facessimo uno sforzo per accordare un po' di più le istituzioni che vogliamo definire ed i processi che intendiamo regolare, non credo che perverremmo tutti alla stessa opinione, ma probabilmente avremmo un grado maggiore di comprensione tra le indicazioni alternative proposte.


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A chi ha seguito le nostre discussioni, il nostro dibattito, a parte singole osservazioni divergenti, apparirà chiaro che in realtà ogni riflessione è motivata da una preoccupazione: individuare un raccordo possibile, definito, comprensibile e reale tra il voto dell'elettore e la maggioranza da esprimere come fonte di legittimazione del governo chiamato ad esercitare le sue funzioni. Nelle discussioni di tutti, questo è il nodo che dovremmo sciogliere. Non a caso sulle ipotesi avanzate, le riserve formulate da ultimo dall'onorevole Occhetto, reclamerebbero una puntualizzazione ed un'individuazione di questo meccanismo più comprensibile, più legata alla possibilità di risolvere tale problema di quanto non avvenga nella relazione del senatore Salvi.
Accetto la proposta e la procedura che, purtroppo, abbiamo adottato (ce la siamo data) e, quindi, tutti i problemi non sono risolvibili in anticipo. Abbiamo riconosciuto tutti (ed io lo ripeto), che al fondo delle decisioni, anche se la legge costituzionale non ce lo impone, un raccordo, sia pure a livello di indicazione di principi, del sistema elettorale e della forma di governo, deve essere definito dalla Commissione. Diversamente l'ipotesi avanzata mancherebbe di quel tanto, di quella condizione la quale, più che rendere credibile la proposta, la rende praticabile. Perché - e concludo - la forma di governo parlamentare, alla quale si oppone quella presidenziale, sono le due forme conosciute e definite di governo. Non esiste - lo dico ad alcuni amici della sinistra - che sull'analisi di questo problema e sulle indicazioni delle soluzioni da dare si utilizzi un'aggettivazione impropria, che è un po' più dell'esigenza di risolvere i problemi, senza farsene carico.
Cosa s'intende per governo forte, se si conserva il governo parlamentare? Rivolgo questa domanda all'onorevole Spini che ha richiamato un discorso cui io avevo già fatto riferimento in una precedente discussione. Il governo non è né forte, né debole: il problema del governo parlamentare è la sua stabilità.
Vorrei dire all'onorevole Occhetto che il meccanismo ipotizzato - poi vedremo se e come possa essere definito - sulla stabilità del governo e, quindi, conseguentemente, del governo di legislatura, diventa la soluzione naturale. Se ipotizziamo l'individuazione di una maggioranza che garantisce la stabilità di governo, non la sua forza, abbiamo creato i presupposti per un governo di legislatura: questa è la norma; perciò non vi è bisogno che il processo o il meccanismo venga accompagnato da una ulteriore norma di salvaguardia.
Il professor Calamandrei, onorevole Spini, pur ipotizzando - dico questo perché ho riletto pochi giorni fa le sue dichiarazioni, e non certo perché ricordi quanto egli ha detto, non avendolo tra l'altro ascoltato in quella occasione - la soluzione della repubblica presidenziale, ha concentrato tutto il suo discorso su una questione: la stabilità dei governi parlamentari che, con riferimento a quello francese, già mostrava i suoi limiti (problema peraltro che i costituenti si posero, senza risolverlo).
Se si vuole riprendere la questione vera, che ha indebolito e reso difficile il percorso dei governi parlamentari nella realtà politica del nostro paese, non basta dire che in Inghilterra il governo parlamentare funziona. Certo, in Inghilterra vi sono condizioni che rendono possibile la sua stabilità, c'è un sistema che funziona anche in Germania, perché vi sono, anche in questo caso, condizioni che rendono possibile tale stabilità. La nostra riflessione, allora, deve essere volta a capire come in Italia, non in Inghilterra ed in Germania, sia possibile recuperare la condizione di stabilità del governo parlamentare.
Trovo singolare che l'onorevole Nania, sostenitore del sistema semipresidenziale francese - lo voglio dire all'onorevole Rebuffa - non si renda conto che esso rappresenta il massimo dell'equivoco istituzionale. Il semipresidenzialismo francese, infatti, è una soluzione di parcheggio, non avendo avuto il coraggio o la capacità di scegliere tra la modifica del

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sistema parlamentare e quello presidenziale, che ipotizza un po' dell'uno e un po' dell'altro. L'indebolimento, lo snaturamento del ruolo del Parlamento non è avvenuto in Francia. In realtà quel sistema ha funzionato e continua a funzionare solo in determinate circostanze di emergenza straordinaria. L'onorevole Occhetto ci ha ricordato un aspetto che riguarda la normalità di quel funzionamento. L'obiezione di fondo che Occhetto rivolge al semipresidenzialismo riguarda la condizione della coabitazione. Vedremo. D'altra parte, non votiamo oggi la riforma del sistema di governo; per la votazione definitiva impiegheremo qualche anno... (Interruzione del deputato Fini). Parlo dell'approvazione definitiva della legge, non è una previsione pessimistica: al contrario è ottimistica. La doppia lettura, con due deliberazioni a tre mesi di distanza - come previsto dalla Costituzione - renderà necessario utilizzare almeno qualche ora in più dell'anno (se anche fossimo parlamentari disciplinatissimi).
Quello che si configura come un meccanismo di garanzia viene in realtà indicato dall'onorevole Occhetto - ed io lo condivido - come l'elemento di difficoltà. I semipresidenzialisti ci dicono che la coabitazione introduce un elemento di flessibilità nella gestione delle istituzioni. Cosa ipotizzano? Che quel sistema consenta di operare a governi che abbiano maggioranze diverse. Ma se il problema è individuare la maggioranza a sostegno del governo, non riesco a capire perché dovremmo tormentarci nel configurare un meccanismo così complicato, che se va bene crea un problema. Non so se il governo francese sarà presentato nella giornata odierna. Ma la stampa di questa mattina parlava di qualche difficoltà nell'accordo fra Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio per la nomina del ministro degli esteri. L'ipotesi di governo condiviso tra Presidente della Repubblica e primo ministro funziona se vi è una maggioranza a favore del Presidente della Repubblica: ma se la maggioranza (che viene indicata come salvaguardia della volontà popolare: e ci mancherebbe altro!) configura un momento di conflitto, questo crea tensioni difficilmente superabili.
Non riesco ancora a capire perché, in virtù di questa moda, dovremmo illuderci di trasferire nel nostro paese modelli istituzionali che possono anche essere adeguati alla realtà italiana - può verificarsi -, ma a patto che si faccia riferimento a processi analoghi e non diversi da governare.
L'opinione del gruppo dei popolari e mia personale è che, se - come tutti diciamo - si vogliono creare le condizioni (non possiamo credere di garantirci il risultato semplicemente scrivendo una norma) per dar vita alla ripresa del processo democratico ed all'organizzazione della competizione democratica tra coalizioni alternative, la realtà del nostro paese prevede come soluzione praticabile ed agevole (almeno per la fase immediata) il sistema del governo parlamentare, caratterizzato da maggiore flessibilità ed in grado di assicurare una più autentica possibilità di adeguamento tra i processi politici e le norme che regolano i processi politici.
Sulla legge elettorale (in proposito ho già espresso la nostra opinione e mi limito a ripeterla) non mi impiccherei. Evidentemente è una mia opinione, ma su questo punto si può individuare un percorso di convergenza.
Noi dobbiamo salvaguardare due principi. Da una parte, occorre registrare l'identità dei processi politici. Inventare meccanismi che occultino pezzi di processi politici nel paese è un rischio mortale per la democrazia. Può funzionare in prima battuta, ma a lunga distanza, anziché risolvere, crea problemi. D'altra parte, la registrazione dell'identità politica (delle forze che nascono, vivono e sviluppano le attività politiche) dovrebbe risolvere il problema della stabilità di chi è chiamato a governare le istituzioni del potere. Se i principi da garantire sono questi, non mi pare che i meccanismi a cui possiamo ricorrere siano sistemi-verità. L'importante è configurare un mo

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dello che salvaguardando il pluralismo politico consenta ai governi di essere stabili; non di essere autorevoli, perché l'autorevolezza dei governi è data dall'intelligenza delle persone che sono chiamate a governare.

PAOLO ARMAROLI. Mi scusi, signor presidente, ma vorrei aggiungere telegraficamente una considerazione a commento di quanto sostenuto dall'onorevole De Mita.
L'onorevole De Mita ha parlato di parcheggi, ma ha anche fatto il parcheggiatore abusivo quando ha quasi collocato Piero Calamandrei (nel famoso discorso del 5 settembre 1946) tra i parlamentaristi. In quel celebre discorso Calamandrei fece una critica radicale del parlamentarismo e si schierò a favore del presidenzialismo.

PRESIDENTE. Lo sappiamo.

PAOLO ARMAROLI. Questo è tutto.

CIRIACO DE MITA. Mi scusi, presidente, ma devo rispondere: ho il dovere, più che il diritto, di replicare.
L'onorevole Armaroli non ha buona memoria e qualche volta confonde le sue battute con la memoria storica. Come ho già avuto modo di ricordare, ho riletto soltanto qualche sera fa il discorso di Calamandrei; il collega Armaroli lo conosce, ma probabilmente non l'ha memorizzato bene. Calamandrei ipotizzò la forma di governo presidenziale, ma indicò come problema - e non come subordinata - la questione della stabilità del governo.
Garantisco che, appena a casa, invierò all'onorevole Armaroli una fotocopia del discorso di Calamandrei, in modo che abbandoni le battute e faccia riferimento alle analisi.

PRESIDENTE. Va bene. Anch'io mi sono trovato a rileggere il testo ed il tema era questo. Calamandrei proponeva il modello americano come garanzia di stabilità di governo. Il sistema francese ha una logica di funzionamento completamente diversa.

MARCELLO PERA. Non esisteva!

PRESIDENTE. Sì, ma stavo parlando del sistema francese di cui discutiamo oggi. Ha una logica di funzionamento completamente diversa, cioè non risponde all'esigenza di garantire la stabilità dei governi, tanto che in Francia - mi darà atto - i governi sono cambiati spesso e volentieri.
Proseguiamo con la discussione.

PIER FERDINANDO CASINI. Speriamo che troppe letture non confondano le idee!
Presidente, cercherò di esprimere alcune opinioni anche partendo da una breve sintesi del dibattito che si è svolto questa mattina.
Credo sia positivo che si registrino vincoli di schieramento solo limitati: che all'interno degli schieramenti esprimano posizioni diverse è un fatto di libertà.
Preliminarmente mi associo alle sue parole, presidente, nel rivolgere un apprezzamento a rifondazione comunista che ci ha consentito di sciogliere il nodo procedurale che avevamo di fronte.
Nella prima votazione il gruppo del centro cristiano democratico voterà a favore della bozza Salvi. Vorrei dire a Salvi che riconosciamo nel suo tentativo un serio sforzo di onestà intellettuale. D'altra parte non possiamo scaricare sul relatore le contraddizioni che sono emerse anche in questo dibattito negli schieramenti e fra gli schieramenti. Credo, invece, sia significativo il riconoscimento - operato dallo stesso Salvi - della pari dignità e della pari democraticità dei due modelli, dopo tanti anni di ingiusta demonizzazione del presidenzialismo (basti pensare alle evocazioni, in gran parte a sproposito, della esperienza francese).
Mi sembra anche che Salvi nella sua bozza indirizzi una certa preferenza alla formula del premierato più per la capa-cità


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di flessibiltà e di permeabilità alle ragioni dell'altra formula esaminata piuttosto che per una autonoma superiorità.
Dunque, noi riteniamo sia senz'altro da apprezzare questo tentativo del relatore di rappresentare adeguatamente e compiutamente il dibattito che si è svolto in Commissione.
Nella seconda votazione noi ci esprimeremo a favore del testo B. È chiaro che la richiesta del Polo (in ordine alla specificazione dei due modelli che si confrontano), avanzata nella riunione di ieri, non era pretestuosa. Infatti anche nel dibattito odierno è stato rilevato che il modello di semipresidenzialismo si sta confrontando con un'ipotesi di premierato che può essere graduata con diverse intensità in relazione ad una serie di elementi: legittimazione e poteri del premier, scioglimento, sfiducia costruttiva. Su questi punti non esiste oggi una determinazione che ci consenta una decisione più chiara; la scelta sarà senz'altro effettuata nel prosieguo dei lavori (visto che, naturalmente, la votazione odierna non è quella conclusiva).
Ci esprimeremo, dunque, a favore del semipresidenzialismo, coerentemente con le nostre scelte e con gli impegni elettorali descritti nel programma politico del Polo. È chiaro che non abbiamo alcun furore ideologico; qualcuno ha evocato i furori ideologici dei cultori del semipresidenzialismo: se esistono, noi non siamo fra questi.
Vorrei poi collegarmi ad una considerazione dell'onorevole Spini in ordine al doppio turno, che a suo avviso sarebbe intimamente connesso alla formula del semipresidenzialismo. Circa l'elezione del Presidente della Repubblica evidentemente non si può che essere d'accordo con l'onorevole Spini, perché è molto difficile ipotizzare un Presidente della Repubblica eletto (senza doppio turno) magari con il 30 per cento dei voti. Non esiste alcun automatismo, invece, tra il semipresidenzialismo ed il doppio turno nei collegi elettorali. In proposito rinvio alle parole impeccabili dell'onorevole Nania, che ha provveduto a smascherare questa sorta di identificazione da più parti ventilata.
Per quanto ci riguarda esprimiamo - come sempre abbiamo fatto - il nostro dissenso rispetto al doppio turno esteso alla elezione dei parlamentari. In realtà dobbiamo individuare una formula che rafforzi il bipolarismo senza farlo coincidere con il bipartitismo, che è una condizione estremamente distante dalla tradizione italiana. Bisogna arrivare ad una semplificazione, che può essere raggiunta attraverso meccanismi di sbarramento, ma non all'annullamento delle identità dei singoli partiti politici (come l'onorevole Buttiglione ha ricordato questa mattina).
Credo sia necessario agevolare la creazione di maggioranze e la formazione di un governo autorevole, anche in relazione alle ipotesi federali avanzate. Ma ritengo che tutto ciò possa avvenire ipotizzando un percorso, una via italiana al semipresidenzialismo, che nulla ha a che fare con l'adozione sic et simpliciter di modelli come quello francese per quanto concerne, per esempio, l'elezione del Parlamento.
A conclusione del suo intervento l'onorevole Occhetto ha evocato una sorta di superiorità morale del maggioritario. Io, che sono un cultore del bipolarismo ma che ritengo che quest'ultimo possa essere realizzato in diverse forme e con diversi assetti elettorali ed istituzionali, voglio dire che credo alla superiorità morale di una formula antica e nuova allo stesso tempo: governa chi prende più voti. Questo dovrebbe essere il punto di riferimento anche per l'adozione di sistemi elettorali su cui bisogna confrontarsi senza alcun pregiudizio. In proposito le riflessioni svolte questa mattina dall'onorevole Cossutta sono, a parere del centro cristiano democratico, meritevoli di ogni approfondimento. Su quegli aspetti lavoreremo nel prosieguo dell'esame in sede di Commissione.

PRESIDENTE. Vorrei ringraziare tutti voi per questa discussione così importante che prelude - spero - ad una scelta che


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ci farà passare ad una fase più avanzata del nostro lavoro.
Vorrei svolgere qualche considerazione anche perché in questa discussione mi sento parte, sia pure in una posizione che non si riconosce, non si rispecchia pienamente in nessuno dei due testi che il relatore - il cui documento ritengo si debba approvare - ci ha prospettato.
D'altro canto lo stesso relatore ha chiarito nel modo più limpido che nello svolgimento dei due schemi (A e B) egli ha voluto e dovuto tener conto soprattutto del modo in cui i sostenitori dell'uno e dell'altro ritenevano che le due proposte avrebbero dovuto essere sviluppate.
È del tutto evidente invece che nel momento in cui la Commissione - come io auspico - dovesse adottare uno dei due testi base, nello svolgimento di quel modello entreranno, per ragioni politiche e per ovvie ragioni procedurali, in modo rilevante anche le opinioni dei sostenitori dell'altra tesi. Spero che questo combinarsi di queste opinioni, in modo libero e al di fuori di uno schema precostituito di contrapposizione politica, sia utile a far emergere la possibilità di una limpida scelta riformatrice (alla quale si sono riferiti diversi colleghi, da ultimo l'onorevole Occhetto) in grado di essere sostenuta in modo particolare dalle forze più innovatrici che si collocano nei diversi lati dello schieramento politico, ma nello stesso modo intorno ad una soluzione che non provochi - questo io auspico - una lacerazione pesante, drammatica del tessuto politico. Non mi riferisco qui tanto al tessuto politico di governo, di maggioranza o di opposizione, ma al complesso dei rapporti politici. Non c'è dubbio che determinate scelte dal punto di vista delle leggi elettorali o delle forme di governo possono determinare nel tessuto dei rapporti politici lacerazioni destinate poi a ripercuotersi nell'opinione pubblica e nel paese. Naturalmente questo potrebbe risultare inevitabile, ma penso che l'impegno della Commissione dovrebbe essere quello di lavorare per coinvolgere al massimo intorno ad una limpida riforma programmatrice lo schieramento più ampio delle forze politiche.
Sotto questo profilo mi permetto di dire con molta bonomia, diciamo, ai sostenitori più sicuri dell'uno o dell'altro modello, ma in modo particolare a chi ha voluto sostenere la tesi secondo cui siamo di fronte ad una scelta tra una soluzione che appare chiara e definita, il sempresidenzialismo, ed un'ipotesi di lavoro che appare confusa e incerta, il premierato, che non condivido questo giudizio.
Non c'è dubbio che lo schema di governo del primo ministro è meritevole e necessita di chiarimenti molteplici, ma lo schema di governo di tipo semipresidenziale ne richiede uno ma talmente importante da fare mutare radicalmente il segno a questa proposta. È infatti evidente che il sempresidenzialismo di tipo francese, o che si ispira al modello francese, presenta i suoi problemi (poi al riguardo dirò qualcosa), le sue peculiarità, gli incerti effetti di trapianto. Ho sentito dire con molta icasticità che non possiamo avere il cancellierato non essendo la Germania; non siamo tuttavia la Francia, non ne abbiamo la storia unitaria, il senso diffuso dello Stato, la tradizione dei rapporti politici. Le coabitazioni che richiedono un delicatissimo senso del limite istituzionale tra un Presidente della Repubblica che ha poteri nella politica estera ed un governo che decide del bilancio dello Stato richiedono una tradizione politica che non appartiene al nostro paese. È una bella sfida! Può darsi che riusciamo a vincerla, ma è tutto da vedere!

GIORGIO REBUFFA. Non apparteneva nemmeno alla Francia!

PRESIDENTE. Ma la Francia è uno Stato unitario, con senso dello Stato da parecchio tempo, onorevole Rebuffa. Ma comunque queste sono considerazioni di natura storica e culturale che ognuno fa per conto suo.
Il punto molto importante, che non a caso è stato messo in evidenza in modo limpido dal più antico semipresidenzialista


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che siede in questa sala, cioè dall'onorevole Spini, è che il modello francese chiede il doppio turno maggioritario nel collegio. Ciò per la evidente ragione che il principio di legittimazione della maggioranza parlamentare deve essere lo stesso che legittima il Presidente della Repubblica, il quale è eletto, e non può che essere eletto, attraverso il ballottaggio e il doppio turno. Stabilire i due diversi e contrastanti principi significa introdurre in Costituzione, come norma non come eccezione al funzionamento di quel sistema, l'esistenza di due diverse e contrapposte maggioranze. Allora non è più il sempresidenzialismo francese, è un'altra cosa, una cosa che non c'è, ben più che non il premierato di cui discutiamo; è una cosa che non c'è e che non sappiamo com'è.
Invece la logica del sistema francese è che il Presidente, eletto attraverso il doppio turno, possa cercare di avere una maggioranza presidenziale eletta attraverso il doppio turno. E il doppio turno fa sì che se non vince la maggioranza presidenziale, se ne forma - naturalmente la favorisce - un'altra in grado di dare al Parlamento la forza di controbilanciare il potere presidenziale, perché è un Parlamento che esprime una maggioranza e quindi un premier che su di essa si legittima.
Un sistema politico sbrindellato o, come ho sentito dire in questo dibattito, un Presidente eletto dai cittadini che ha parziali poteri di governo e poi il libero gioco delle forze politiche in Parlamento, questo è presidenzialismo più trasformismo, un pericolo per la democrazia. Mi sento di dirlo in modo molto chiaro.

DOMENICO NANIA. La legge elettorale non è materia della Commissione! (Proteste).

PRESIDENTE. Mi permetto di esprimere le mie opinioni! (Proteste).

GIUSEPPE TATARELLA. Deve dare unanimità e obiettività alla presidenza!

PIER FERDINANDO CASINI. In questo caso sta commettendo una scorrettezza perché stabilisce un parallelismo che nessuno ha scritto da nessuna parte, e che oltre tutto non è neanche nei poteri della nostra Commissione stabilire! Glielo dico con molta franchezza!

PRESIDENTE. Siamo in un momento delicato di una scelta di tipo costituente.

DOMENICO NANIA. Il tema non è di competenza della Commissione!

PRESIDENTE. Sto parlando di un tema - e sto per completare il mio ragionamento, se lei me lo consente - che è di competenza della Commissione, perché ritengo...

PIER FERDINANDO CASINI. Poi questa è una minaccia, veramente!

PRESIDENTE. Ma non è affatto una minaccia! Ma cosa vuol dire minaccia?

PIER FERDINANDO CASINI. Sì, presidente, non siamo mica tutti nell'ambito...

GIUSEPPE TATARELLA. C'è un conflitto di interesse che ho denunciato! Una duplicità delle funzioni!

PIER FERDINANDO CASINI. Questa è la sua idea! Che tra l'altro come presidente di Commissione nel momento in cui stiamo per procedere alla votazione, ed essendo la materia fuori dalle competenze della Commissione, prefigura una scorrettezza da parte sua!

PRESIDENTE. Onorevole Casini, anzitutto nel corso di questo dibattito...

ARMANDO COSSUTTA. Presidente, anche noi riteniamo non corretto questo modo di interpretare le cose da parte del presidente della Commissione!

PRESIDENTE. Anzitutto nel corso di questo dibattito diversi parlamentari hanno posto il problema del collegamento


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tra legge elettorale e forma di governo. Quindi evidentemente non è un tema in più che introduco io dall'esterno: lo riprendo dalla discussione che si è svolta. Ed in particolare un parlamentare che ho citato ha posto esattamente il problema della connessione non scindibile tra semipresidenzialismo e sistema maggioritario a doppio turno. Ribadisco quindi che riprendo un tema del dibattito, non introduco argomenti in più, per sottolineare che a mio giudizio questa connessione esiste e per dire che a mio giudizio anche il modello semipresidenziale, che non contiene la costituzionalizzazione del principio del sistema maggioritario a doppio turno, è un modello incompleto. Lo dico perché - e qui sta la sostanza politica del ragionamento, perché se vogliamo prendere decisioni che hanno un'efficacia, dobbiamo avere una consapevolezza politica - il prevalere, che non considero un pericolo o un minaccia, dell'ipotesi semipresidenziale, se non si vuole che sia un fatto effimero, comporta poi il coraggio di assumere scelte conseguenti sotto il profilo della coerenza di quel sistema, altrimenti quella soluzione avrà un cammino breve. Non è una minaccia, è una considerazione politica, che è anche una considerazione molto seria, sulla quale vorrei che si riflettesse.
Nello stesso senso sono convinto che il prevalere dell'ipotesi di governo del primo ministro - e qui debbo una risposta all'onorevole Occhetto - comporta egualmente un coraggio nello svolgimento di questo modello rispetto alle premesse da cui si parte.
Il problema è che i cittadini vogliono decidere chi governa. Nel modello francese questo avviene in una forma abbastanza indiretta per la verità, e quello che accade in questi giorni mi pare renda difficile sostenere che l'elezione del presidente decide dell'esecutivo. Nella forma del governo del primo ministro è chiaro che questo deve avvenire in modo limpido. È del tutto evidente, a mio giudizio, che non è pensabile una forma di legittimazione che non consenta ai cittadini in modo limpido di scegliere il premier con la sua maggioranza. Personalmente ritengo che un sistema di questo tipo comporterebbe inevitabilmente, proprio come il sempresidenzialismo da questo punto di vista, un ballottaggio fra due capi di governo e due coalizioni.

ARMANDO COSSUTTA. Lei, presidente, doveva dirle all'inizio queste cose! Non può sostenerle a conclusione del dibattito! (Applausi dei deputati Tatarella e Casini).

PRESIDENTE. A parte il fatto, onorevole Cossutta, che io le ho dette nella mia relazione, e ad essa la rinvio, ma...

FRANCESCO SERVELLO. Siamo alla conclusione, non all'inizio del dibattito!

PRESIDENTE. Ho capito! Un momento! Dico queste cose - ed in questo caso, se mi consentite, le dico alla mia parte politica...

PIER FERDINANDO CASINI. Le dica da segretario del PDS, come è più che legittimo, non da presidente della Commissione bicamerale!

GIANFRANCO FINI. L'abbiamo capito che lei parla per la sua parte politica! Ma finché è seduto lì ha il dovere di essere imparziale!

PRESIDENTE. Ma non è così, onorevole Fini!

GIANFRANCO FINI. Lei non è il relatore in questo momento: lei è il presidente di tutti!

PIER FERDINANDO CASINI. Lei non è né il relatore né, a questo punto, il presidente della Commissione!

MARCO BOATO. Datevi anche una calmata, perché hanno parlato tutti finora!

PRESIDENTE. Scusatemi, anche qui bisogna fare chiarezza. Il presidente di


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una Commissione è parte, il Presidente della Camera è super partes! I presidenti delle commissioni parlano e votano in tutte le Commissioni parlamentari! E poiché questa è una Commissione che ha un compito di proposta, io sento il dovere di fronte al paese di rendere chiaro che, qualsiasi delle due soluzioni prevalga come modello, occorre che la parte prevalente abbia il coraggio di svolgere la proposta in modo coerente ed innovativo. Per cui, a mio giudizio, il governo del primo ministro non è una cosa nuova se non contiene un meccanismo libero di scelta popolare del premier e se non troviamo una soluzione chiara che consenta di evitare il rischio del trasformismo.
Credo che difendere il patto che si forma di fronte agli elettori, i quali scelgono insieme un premier e una maggioranza, non è un fatto autoritario ma è una garanzia democratica, che le istituzioni devono assicurare attraverso un meccanismo sanzionatorio del ribaltone. Mi pare che questa sia un'esigenza che voi avete posto e che io ritengo assolutamente legittima.

DOMENICO NANIA. Doveva parlare Salvi e non lei, presidente!

PRESIDENTE. Ma ho detto all'inizio che il relatore Salvi ha svolto i temi in modo lacunoso, e noi stiamo scegliendo una base, non un modello compiuto (Commenti). Questa è la verità, lo stesso Salvi lo ha detto (Commenti).
Mi rivolgo a chi vuole intendere il senso di un discorso che è assolutamente chiaro nel suo intento, che è quello di prospettare, oltre questo voto, la necessità, qualunque dei due schemi prevalga, di un impegno congiunto per sviluppare questa ipotesi in un senso coerentemente innovativo, vuoi che essa sia il semipresidenzialismo (ed ho detto in che senso, a mio giudizio, questa proposta diventa sostenibile, forte), vuoi che si tratti del governo del primo ministro (ed ho detto a quali condizioni tale proposta può essere innovativa) e credo, così facendo, di svolgere un servizio di verità nei confronti di tutti noi.
Detto questo, ritengo di dover ancora aggiungere una considerazione. Naturalmente abbiamo da questo punto di vista - e giustamente - dimostrato in questa discussione un'estrema libertà nelle scelte, nelle motivazioni da parte di ciascuno, non vi sono vincoli (debbo dire che soprattutto da una parte non vi sono vincoli), vi è estrema libertà di discussione, il che sottolinea la volontà politica di non drammatizzare il passaggio, il significato.
E tuttavia vorrei essere chiaro su un punto, proprio per la serietà delle decisioni che assumiamo: se qui decidiamo per un modello, poi lavoriamo su quel modello, salvo che alla fine una maggioranza può respingerlo - questo è sicuramente possibile - ma mi sembra molto difficile pensare che il prevalere di un modello possa servire a correggere l'altro, lo dico a tutela del significato delle decisioni che assumiamo.
Se in questa sede prevale il modello di tipo semipresidenziale, la Commissione lavorerà con emendamenti e correzioni sul modello di tipo semipresidenziale; se in questa sede prevale il modello del governo del primo ministro, la Commissione lavorerà su quel modello, salva naturalmente la possibilità alla fine di rigettarlo, di respingerlo, di non trovare una soluzione che sia convincente per una maggioranza. Lo dico con assoluta serenità nel senso che, che si prenda una direzione o l'altra, personalmente non ho né timori per la democrazia né preoccupazioni politiche, però vorrei che fosse chiaro che quella che noi compiamo è una scelta che ha una conseguenza. Se si sceglie il semipresidenzialismo, si cerca di adattare all'Italia il semipresidenzialismo; non è che, scegliendo il semipresidenzialismo, poi si faccia meglio il governo del primo ministro; questo credo sia abbastanza coerente con il senso delle scelte che siamo chiamati a compiere.
Tutto ciò ritenevo di dover dire perché onestamente penso che siamo arrivati a


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questa votazione dopo una contrapposizione che ha reso difficile anche sciogliere i nodi perché, fino a quando siamo bloccati in una contrapposizione tra modelli, contrapposizione che acquista anche un riferimento a bandiere politico-elettorali, è molto difficile sciogliere le incongruenze, i nodi che sono all'interno di ciascuno dei due modelli, cosa che si può fare soltanto in un confronto limpido tra noi, un confronto limpido in cui si mescolino le opinioni dei sostenitori dell'una e dell'altra tesi. Solo da questa mescolanza di opinioni può emergere quella volontà innovatrice che consente poi di sciogliere i nodi.

GUSTAVO SELVA. Può concludere il suo comizio elettorale, presidente?

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Selva, io faccio un ragionamento politico ad una platea matura di persone che si sono tutte espresse e cerco di fare un ragionamento politico su quello che avverrà domani. Non credo che lei possa nutrire la preoccupazione che, siccome svolgo tali considerazioni, condiziono il voto: ma di chi? Siamo in un paese libero, maturo, dove le persone si sono espresse, hanno espresso le proprie preferenze.
Cerco di guardare al di là di questo voto, alle prospettive di lavoro di questa Commissione perché penso, carissimi amici e colleghi, che questa Commissione non finisca con il voto di oggi; si tratta di vedere se, alla fine, riusciamo a condurre in porto una riforma che, come ha detto giustamente l'onorevole Mussi, non potrà contare semplicemente sulla maggioranza che forse si formerà nel voto di oggi, ma, per essere tale, deve contare su una maggioranza più ampia. Quindi, scusatemi, ma veramente non capisco le ragioni di una protesta che non mi pare fondata o motivata.
D'altro canto, avevo già espresso queste opinioni quando avevo cercato di formulare una certa idea del premierato che potesse rappresentare un passo in avanti; quella soluzione non fu accolta, siamo tornati indietro, siamo arrivati ad un voto, si è chiesto un voto, siamo al momento di esprimere questo voto; oltre questo voto c'è - io spero - sullo schema che prevarrà un confronto più libero che ci porti a sciogliere concordemente i nodi che restano aperti in una direzione o nell'altra.

FAUSTO BERTINOTTI. Poiché penso, presidente, che queste sue dichiarazioni abbiano un peso politico di rilievo e che, se non trovassero risposta, dovrebbero condizionare lo stesso esercizio di voto dei singoli componenti questa Commissione, il mio ed il nostro in ogni caso, devo dirle che, se dovessimo incorporare queste sue dichiarazioni nel voto, dovremmo comportarci diversamente da come abbiamo deciso di fare.

PRESIDENTE. Mi scusi, ma non capisco su cosa si fondi quest'ipotesi: qui non si vota su dichiarazioni, si vota su testi.

FAUSTO BERTINOTTI. Siccome le dichiarazioni vengono registrate ed hanno un'influenza, quelle da lei rese sono dichiarazioni indicate, motivate e costruite in modo tale da poter, che lei lo voglia o no, influenzare i comportamenti dei singoli componenti la Commissione, visto che lei ha attribuito una lettura del tutto soggettiva ad entrambe le tesi in votazione; tuttavia, essendo lei il presidente della Commissione, ruolo che continuerà a svolgere anche dopo questa votazione, ha messo in luce una sua propensione a considerare come organico ad una tesi un meccanismo elettorale ed altrettanto ha fatto per l'altra tesi.
Lei può considerare il senso innovativo come ritiene opportuno, ma non può pensare che il senso innovativo abbia una stessa lettura per tutti in questa Commissione. Lei può pensare di fare verità dicendo alcune cose, ma dovrebbe riconoscere che esiste la possibilità di considerare verità diverse dalla sua. In ogni caso, noi consideriamo che l'operazione arbitraria con la quale lei ha stabilito una connessione tra le forme di governo ed il sistema elettorale avrebbe richiesto per


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un'operazione di trasparenza che allora queste forme di governo, nel momento in cui venivano chiamate al voto, fossero corredate da ipotesi elettorali considerate funzionali all'una o all'altra o a più ipotesi tra queste. Così non è stato, e noi siamo chiamati a discutere semplicemente delle proposte relative alla forma di governo; non è connesso a nessuna di queste un sistema elettorale piuttosto che un altro.
Caro presidente, se lei pensa di essere anche minoranza nella sua ipotesi di tesi rispetto alla proposta di riforma elettorale in questa Commissione, non c'è ragione perché faccia delle forzature in un momento in cui siamo chiamati a discutere di altro.

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Bertinotti, non faccio nessuna forzatura, io ho espresso delle opinioni; tra l'altro, queste opinioni le hanno espresse anche altri colleghi: l'onorevole Spini ha esposto qui la stessa tesi che ho sostenuto io.

FAUSTO BERTINOTTI. Caro presidente, lei già si giova del ruolo di presidente, la prego anche di non giovarsene per interrompere i commissari quando parlano.

PRESIDENTE. Nella mia qualità di presidente sono stato interrotto da tutti!

FAUSTO BERTINOTTI. Non da me. Comunque, francamente mi sembra un potere esorbitante.
In ogni caso, dal punto di vista politico, visto che abbiamo adottato, come lei stesso ha riconosciuto, per scelta di responsabilità politica una modalità anche di voto che è stata considerata nella sua eccezionalità per consentire la possibilità di valicare un momento difficile di questa Commissione e metterci nelle condizioni di proseguire i nostri lavori, trovo del tutto inopportuna l'operazione politica da lei compiuta ora e soltanto derubricando dalla nostra soggettività questa stessa dichiarazione ci comporteremo come avevamo deciso.

ACHILLE OCCHETTO. Evidentemente sono d'accordo con il presidente relativamente al fatto che si debba votare sui testi presentati e, proprio per questo motivo, non posso votare a favore del testo A. Tuttavia, dal punto di vista politico non posso non tenere conto, evidentemente con intenzionalità politiche diverse da quelle dell'onorevole Bertinotti (ma questo non credo che stupirà qualcuno), che le dichiarazioni rese aprono in me se non altro la speranza che si possa profondamente rinnovare il testo A nella direzione da me auspicata, per cui passerò dal voto contrario all'astensione.

PRESIDENTE. Invito i segretari di presidenza ad avvicinarsi al banco presidenziale per le operazioni di voto. Porrò innanzitutto in votazione la proposta di riforma della forma di governo avanzata dall'onorevole Cossutta ed altri; in alternativa a questa, si voterà per la relazione del senatore Salvi, dato che la proposta Cossutta ed altri è appunto alternativa rispetto a quella del relatore.
Pongo in votazione la proposta Cossutta ed altri in materia di forma di governo.


(È respinta).


Pongo in votazione la relazione del senatore Salvi nel suo complesso.


(È approvata).


Procediamo ora alla votazione alternativa tra i due testi contenuti nella relazione del senatore Salvi: inviterò all'alzata di mano in primo luogo i commissari favorevoli al testo A (attinente al premierato), in secondo luogo quelli favorevoli al testo B (riferito al presidenzialismo) ed infine coloro che intendono astenersi.


(Segue la votazione).


Dichiaro chiusa la votazione e ne comunico il risultato: 31 voti favorevoli al testo A e 36 favorevoli al testo B; 3 sono gli astenuti.


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Risulta approvato il testo riferito al semipresidenzialismo, che viene quindi assunto come testo base in materia di forma di governo.
Con questa votazione abbiamo esaurito la fase di assunzione dei testi base (vedi allegato Commissione bicamerale).
Quanto alla presentazione degli emendamenti, ne fisserei il termine per martedì prossimo...

FRANCESCO D'ONOFRIO. Ho parlato con molti colleghi e pensavamo di chiederle di spostare il termine a mercoledì.

PRESIDENTE. Gli uffici hanno bisogno di mezza giornata per rendere gli emendamenti fruibili: se fissiamo il termine a mercoledì, non possiamo convocare la Commissione prima di giovedì.

FRANCESCO D'ONOFRIO. Abbiamo bisogno di tempo per il lavoro istruttorio sugli emendamenti, prima dell'esame in aula.

PRESIDENTE. Propongo di fissare comunque il termine per le ore 12 di martedì, in modo da poter svolgere la seduta mercoledì; i colleghi naturalmente sono pregati di lavorare innanzitutto sul testo relativo alla forma di Stato: per gli altri, vi potrà anche essere una proroga, visto che saranno affrontati in un momento successivo. Possiamo quindi fissare il termine per la presentazione degli emendamenti martedì alle 12 e mercoledì alle 9,30 convocare la Commissione per l'esame e la votazione di articoli ed emendamenti, a partire - ripeto - dal testo relativo alla forma di Stato.

FRANCESCO D'ONOFRIO. A seguito di ripetuti contatti con i colleghi, insisto nel chiederle di spostare il termine per la presentazione degli emendamenti almeno a martedì sera.

PRESIDENTE. Va bene: il termine è fissato per martedì alle 19 (naturalmente vale per tutti gli emendamenti ma, come ho già detto, per quelli riferiti ad altri testi, potrà esservi una proroga) e la Commissione è convocata per il prossimo mercoledì 11 giugno, alle 16.

La seduta termina alle 14.