RESOCONTO STENOGRAFICO SEDUTA N. 16

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MASSIMO D'ALEMA


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La seduta comincia alle 10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Audizione di rappresentanti del Forum permanente del terzo settore, dell'iniziativa Parte civile, della Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna e dell'Azione cattolica italiana.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti del Forum permanente del terzo settore, dell'iniziativa Parte civile, della Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna e dell'Azione cattolica italiana.
Ringrazio i nostri ospiti e mi scuso per il ritardo con cui ha inizio la seduta: ne sono in parte responsabile, essendo stato trattenuto da un impegno di natura istituzionale (del quale non ero nelle condizioni di stabilire la conclusione, poiché il mio interlocutore era molto più autorevole di me).
Non intendo riassumere qui i termini generali della discussione, della riflessione e dell'impegno della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, che sono peraltro noti ai nostri ospiti, i quali in modi diversi si sono già proposti come interlocutori del nostro lavoro (alcune delle associazioni qui presenti hanno anche elaborato proprie specifiche proposte di riforma costituzionale). Il colloquio di questa mattina, quindi, avviene con forze rappresentative di una società civile attenta all'esigenza di un rinnovamento delle istituzioni e preoccupata del fatto che esso si realizzi non solo nel rispetto dei principi democratici, ma anche con l'obiettivo di uno Stato più aperto, più vicino ai cittadini, capace di corrispondere meglio ai bisogni di una società in trasformazione, più esigente e ricca di elementi di partecipazione democratica. Per questo motivo penso che si risparmierà tempo dando immediatamente la parola ai rappresentanti degli organismi e delle associazioni che sono qui con noi questa mattina, riservandoci semmai di intrecciare con loro un dialogo, composto di domande e di approfondimenti, in un secondo momento.
Darò la parola innanzitutto al presidente della Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna, Silvia Costa. A questo proposito si è lamentato da più parti il fatto che nella composizione della stessa Commissione bicamerale purtroppo i gruppi parlamentari abbiano garantito in modo insufficiente una presenza femminile, anche se bisogna dire che tale presenza, ancorché limitata, si è tuttavia segnalata per una partecipazione molto attiva alla vita e al lavoro della Commissione e dei suoi Comitati. Non c'è dubbio però che anche in questo caso abbiamo dovuto riscontrare il peso e l'attenzione insufficienti delle forze politiche rispetto alla grande realtà della partecipazione politica e civile delle donne. Anche per questo abbiamo ritenuto di incontrare i rappresentanti della Commissione nazionale per la parità e per le pari opportunità tra uomo e donna.
Colgo l'occasione per annunciare che intendo accogliere la richiesta avanzata dalle parlamentari donne di un incontro con l'ufficio di presidenza della Commissione bicamerale; non si tratterà di un'audizione delle colleghe parlamentari, per-ché


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questo non è nella logica del nostro lavoro e dei nostri regolamenti, tuttavia un incontro con le parlamentari di tutti i gruppi che congiuntamente hanno chiesto di avere una discussione con i membri dell'ufficio di presidenza mi sembra possa rappresentare un momento utile per continuare ad approfondire temi e punti di vista che ritengo essenziali nel rinnovamento democratico delle nostre istituzioni.
Prenderà quindi la parola Nuccio Iovene, coordinatore del Forum permanente del terzo settore, a nome delle associazioni che in esso si riconoscono, e quindi interverranno i rappresentanti dell'Azione cattolica italiana, i quali hanno chiesto di poter ripartire i venti minuti a loro disposizione in tre brevi comunicazioni che saranno svolte dal presidente, avvocato Giuseppe Gervasio, e dai professori De Martin e De Siervo.

SILVIA COSTA, Presidente della Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna. Vorrei ringraziare molto il presidente e gli onorevoli commissari per la disponibilità e per l'apertura appena dimostrata dall'onorevole D'Alema nei confronti di un tema che effettivamente noi riteniamo debba essere e sia centrale nella riflessione di una Commissione bicamerale che si ponga l'obiettivo di una riforma della parte seconda della Costituzione volta a rendere effettivamente le istituzioni democratiche più rappresentative, più autorevoli e più vicine alla consapevolezza civica dei cittadini.
A nome della Commissione nazionale per le pari opportunità esprimo la nostra attenzione ai lavori della Commissione bicamerale e anche a eventuali ulteriori interlocuzioni con nostri scritti o con nostre proposte. Come sapete, la Commissione che presiedo rappresenta donne di diverse aree politiche e culturali, dei sindacati, delle associazioni nazionali di categoria e dei movimenti femminili più significativi a livello nazionale. Riteniamo quindi di essere, da questo punto di vista, un organismo sufficientemente rappresentativo della variegata presenza associata delle donne italiane, che in questi anni hanno concretamente lavorato per la promozione della condizione femminile. In questo senso reputiamo di essere un soggetto legittimato a porre in questa autorevole sede parlamentare - incaricata di predisporre un progetto di riforma dell'assetto istituzionale del nostro paese - la questione della presenza equilibrata di uomini e donne nei luoghi della rappresentanza politica e dei poteri decisionali del paese come uno degli elementi per verificare il grado dell'effettiva evoluzione democratica, a partire da una verifica dell'attuazione dei principi costituzionali di uguaglianza e degli strumenti ed istituti a ciò preposti.
Dobbiamo dire come premessa - e penso si tratti di una constatazione piana e non di parte - che a cinquant'anni dal riconoscimento alle donne italiane del diritto di voto, attivo e passivo, si verifica un crescente paradosso: si moltiplicano la qualità e la quantità delle donne in tutti i campi sociali, culturali e professionali, seppure con le difficoltà legate soprattutto ad una persistente delega nei loro confronti del lavoro di cura e dei compiti familiari, nonché ad una permanente resistenza nel riconoscere loro pari condizioni di accesso ai ruoli dirigenziali; ma questo impetuoso avanzamento, qualcuno l'ha definita la rivoluzione più lunga del secolo, non trova che un marginale riconoscimento - soprattutto nel nostro paese, ma anche in altri Stati europei - nell'accesso delle donne alle assemblee elettive e ai centri decisionali, luoghi deputati ad esprimere la garanzia effettiva del diritto di cittadinanza sociale e politica. Le cifre purtroppo parlano chiaro: ma, riferendoci solo al Parlamento, nelle elezioni del 1996 sono state elette alla Camera 70 deputate su 630, mentre la senatrici sono 26 su 315; in tal senso si registra addirittura una contrazione della presenza femminile rispetto alla precedente legislatura.
Eppure il principio di uguaglianza dei cittadini e della loro pari dignità sociale è già costituzionalizzato nell'articolo 3,


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comma 2, della Costituzione non soltanto come precetto formale ma come concreta previsione per la Repubblica del dovere di rimuovere gli «ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese». E infatti in questo articolo si è radicata e alimentata tutta quella produzione legislativa tesa a configurare condizioni di reali pari opportunità, identificando le situazioni di concreto svantaggio e disuguaglianza di partenza e di status tra i cittadini e in particolare tra uomini e donne.
Faccio soltanto un esempio, peraltro molto significativo rispetto alla specificità ed alla possibile discriminazione che per causa di questa specificità si verifica: basti pensare alla legislazione di tutela della lavoratrice madre, tesa a prevenire le situazioni di svantaggio nell'attività lavorativa femminile e ad attuare il principio, anch'esso costituzionale della «maternità come valore sociale». Ma si pensi anche alla filosofia che, a partire dagli anni ottanta - in Italia e in Europa -, ha ispirato la legislazione sulle «azioni positive» in campo sociale ed economico, rivolte non solo a rimuovere situazioni di ostacolo o di discriminazione diretta o indiretta, ma a promuovere misure specifiche, anche circoscritte nel tempo e nello spazio, mirate al superamento di condizioni di concreta difficoltà.
Il Consiglio d'Europa ha adottato fin dal 1991 una raccomandazione perché l'eguaglianza di trattamento fra uomini e donne in tutti i campi sia iscritto come diritto fondamentale della persona umana a livello nazionale e internazionale e ha moltiplicato le iniziative volte a rafforzare il concetto di democrazia paritaria, che è ormai entrata a pieno titolo anche nei documenti internazionali.
La Carta di Roma, sottoscritta da quindici ministri europei il 18 maggio 1996, ha ribadito gli stessi principi, proiettandoli sul futuro trattato europeo (infatti nella nuova Costituzione europea si fa riferimento appunto al recepimento di questo principio). In particolare ha affermato «la necessità di azioni concrete a tutti i livelli per promuovere la partecipazione ugualitaria di donne e uomini ai processi decisionali in tutte le sfere della società». In tal senso il Consiglio dei ministri, nel IV Programma d'azione europeo adottato nel 1996, ha proposto come obiettivo agli Stati membri la partecipazione equilibrata di uomini e donne nei luoghi decisionali in applicazione anche del Piano di azione sottoscritto da 189 Stati alla IV Conferenza mondiale dell'ONU di Pechino sulle donne, richiamato peraltro nella recente direttiva del Presidente del Consiglio Prodi, approvata dal Consiglio dei ministri, su proposta del ministro per le pari opportunità.
Si tratta di pochi ma significativi riferimenti al quadro internazionale (oltreché nazionale), dai quali si evince che il principio universale di uguaglianza e di non discriminazione è «norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta», cui l'Italia deve conformarsi ai sensi dell'articolo 10 della Costituzione (risultandone così integrato e rafforzato l'articolo 3 della Costituzione), e deve essere quindi preoccupazione costante di chi è chiamato ad una ampia riforma istituzionale e degli strumenti di garanzia costituzionale.
Su analoghi presupposti nel 1993 - molti di voi lo ricorderanno personalmente - il Parlamento italiano aveva approvato la legge n. 81, che introduceva il principio di un riequilibrio tra i sessi nelle liste elettorali (variamente considerata, ma poi approvata a maggioranza). La legge è stata poi dichiarata incostituzionale dalla sentenza della Corte costituzionale n. 422 del 1995, che ha esteso tale giudizio - per analogia - anche alle leggi n. 277 del 1993 e n. 43 del 1995 (sulle elezioni amministrative). Una sentenza sulle cui motivazioni sono state avanzate e si possono tuttora ribadire talune perplessità, a cominciare dall'affermazione di non pertinenza del riferimento al secondo comma dell'articolo 3 per legittimare il principio, contenuto nelle

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leggi citate, di rendere concreto il diritto ad essere candidati in misura più equilibrata per uomini e donne. In ogni caso, nel momento in cui si accinge a redigere un nuovo testo costituzionale, la Commissione bicamerale potrà dimostrare se è intenzionata a raccogliere e quindi a dare un fondamento a quelle perplessità oppure se ritiene di non prenderle in considerazione. È una sfida che la Commissione bicamerale si trova di fronte.
Ma non sono prevalentemente ostacoli sociali in senso ampio (culturali, di costume, di pregiudizio, di abitudine alla cooptazione interna, di discriminazione diretta e indiretta, di minore offerta di opportunità, di minore forza contrattuale delle donne) quelli che rendono tuttora più difficilmente praticabile per le donne rispetto agli uomini il diritto ad essere candidati?
E tali ostacoli non impediscono proprio quella «effettiva partecipazione» - richiamata sempre nell'articolo 3 della Costituzione - «all'organizzazione politica, economica e sociale del paese» come un diritto di tutti i cittadini?
E la misura di riequilibrio non era di fatto anche un bilanciamento del sistema maggioritario uninominale che - senza contrappesi (come ad esempio le primarie, il doppio turno, norme di incompatibilità) - rischia di accrescere ulteriormente l'istituto della cooptazione dei candidati da parte dei vertici dei partiti, rispetto alle istanze della società civile? Mi pare sia un problema emerso nel dibattito che si è svolto finora nella Commissione bicamerale.
Né si vede come una misura volta a rendere possibile ad entrambi i sessi (e non in misura rigida) l'accesso alla competizione - e non certo al risultato - elettorale in condizioni di pari opportunità possa limitare o addirittura violare il diritto universale all'elettorato passivo (infatti quello attivo non sarebbe in alcun modo alterato nel suo diritto di libera scelta). A meno che l'umanità, fatta di uomini e di donne (uniduale, per dirla con Simone Weil), sia ricondotta e ridotta alla presunta universalità del solo soggetto maschile. In tal modo si rovescia il principio di uguaglianza costituzionale, che è applicato «senza distinzione di sesso, razza », ma proprio perché riconosce la pari dignità sociale della diversità di condizione umana, e non già perché la riduce ad unum.
Il significato più profondo e le motivazioni più autentiche della nostra presenza in questa sede risiedono, dunque, proprio nella volontà di chiedervi di rendere più effettivi e pregnanti i principi di uguaglianza, di partecipazione e di efficacia nel nuovo assetto istituzionale; ma anche di dare una nuova legittimazione ai poteri democratici, a partire dalla loro effettiva capacità di rappresentanza sociale e politica e dalla ridefinizione del sistema delle garanzie in relazione alla nuova democrazia maggioritaria e alla nuove forme istituzionali che andrete a definire.
Abbiamo molto apprezzato, presidente, gli obiettivi di fondo che ha voluto dare ai lavori della Commissione bicamerale, interpretando gli indirizzi e i compiti ad essa affidati: dare un fondamento istituzionale più solido alla democrazia dell'alternanza, riguadagnare una larga fiducia dei cittadini nelle istituzioni, renderle più aperte, più forti, più autorevoli sulla base del consenso e non dell'arbitrio. E questo, in un quadro di regole e valori condivisi. Tra i valori che vorremo fossero qui condivisi - è una richiesta che rivolgiamo - vi è quello di cogliere una più intima relazione tra istituzioni che rispettino maggiormente la composizione sociale del paese, fatta di diversità, fatta di uomini e di donne, e la loro più salda autorevolezza alle istituzioni democratiche.
Molti interventi - si evince dagli atti dei vostri lavori - si sono soffermati infatti sul rischio di un sistema che non ha accompagnato la riforma elettorale maggioritaria con un insieme di contrappesi e garanzie, di personalizzazione del confronto politico, di verticalizzazione del processo decisionale, di riduzione delle opportunità di partecipazione e di minore peso della società civile nel suo complesso. Alcuni hanno opportunamente sottolineato

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che l'efficienza e l'efficacia delle istituzioni non è un problema solo organizzativo o funzionale, ma si misura sulla loro capacità di tutelare l'interesse generale, il bene comune. Come cittadine condividiamo questa impostazione e questa preoccupazione. Sappiamo che la Commissione bicamerale non ha nel proprio ambito di intervento la materia elettorale, che è oggetto di legislazione ordinaria, ma riteniamo che ciò non escluda (come mi pare sia emerso dall'indirizzo dato nel dibattito generale) la concreta possibilità di costituzionalizzare principi e criteri di carattere generale che indirizzino il legislatore ordinario nell'adeguamento delle leggi elettorali nel quadro della riforma istituzionale. È in questo ambito che vi rappresentiamo l'esigenza che la Commissione bicamerale affronti esplicitamente il nodo di una Costituzione che sappia assumere la novità e la forza di cambiamento che le donne hanno espresso in questi cinquanta anni di democrazia, come risorsa per irrobustire e rinnovare le istituzioni.
Non v'è dubbio che una riscrittura della parte seconda della Costituzione, che metta al centro una nuova legittimazione della democrazia attraverso un più ampio equilibrio tra poteri e responsabilità (che rappresenta una grande questione), l'efficacia delle istituzioni e la loro rappresentatività sociale e politica, non potrà che valorizzare e potenziare la soggettività e la partecipazione femminile: sicuramente il trend nel quale vi muovete è già di per sé un atto di promozione della condizione umana ed anche di quella femminile. Certamente le donne sono le più interessate ad un rinnovamento profondo del funzionamento e della trasparenza delle istituzioni democratiche. In tal senso condividiamo la volontà della bicamerale di ridefinire e sostanziare i principi della responsabilità, della trasparenza, della sussidiarietà, di un decentramento che non mortifichi le autonomie - locali, sociali, funzionali - ma neppure frantumi l'identità e la coesione nazionale. La salvaguardia dei diritti della persona, nella sua specificità di uomo e donna, deve concretizzarsi anche nella parte seconda della Costituzione come rafforzamento del principio di uguaglianza contenuto nella prima parte e come paradigma dei poteri e del loro bilanciamento.
È questa la condizione necessaria, la premessa indispensabile, di una nuova stagione del rapporto tra donne e rappresentanza democratica, che imprima una visibile inversione di marcia rispetto alla situazione attuale che, dopo la bocciatura da parte della Corte costituzionale della legge n. 277 del 1993, registra un'ulteriore contrazione delle donne elette in Parlamento (con la diminuzione delle presenze, nei due rami del Parlamento, da 124 a 96 dal 1994 al 1996).
Siamo consapevoli che la sfida, per uomini e per donne, è quella di inserirsi nei processi politici e decisionali soprattutto in una fase di transizione e di cambiamento come l'attuale: siamo certi che la via maestra consista nell'inserimento nel cosiddetto mainstream, cioè nei processi politici in cui coesistono volontà e responsabilità personale. Sappiamo, però, che il ricorso a strumenti e misure specifici, che in qualche modo debbano surrogare una carenza di consapevolezza politica, è pur sempre una soluzione scarsamente appagante anche per le donne. Lo dico con franchezza ma è abbastanza mortificante, in questo anno del Signore, chiedere strumenti specifici che aiutino l'inadeguatezza della cultura politica, rappresentativa ed istituzionale.
Ma di fronte all'attuale rischio di «rimozione» del problema della sottorappresentanza delle donne nelle istituzioni, pur a fronte della sua persistenza, è necessario ed urgente un correttivo. L'occasione della bicamerale non può essere persa dal Parlamento e dai cittadini. Sarebbe dunque un apprezzabile segno di sensibilità politica uscire da questa apparente «neutralità» e confrontarsi pacatamente sulle misure più largamente condivisibili, anche transitorie, che la revisione della parte seconda della Costituzione potrebbe consentire per dare rilevanza politica e costituzionale alla questione della compresenza di uomini e

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donne nei luoghi decisionali, come costitutiva delle nuove istituzioni e di una nuova legittimazione democratica. Un tema peraltro al centro del dibattito anche in altri paesi europei, come la vicina Francia, dove è in discussione una ipotesi (sulla quale si potrebbe riflettere) di modifica della Costituzione che introduce misure temporanee volte a favorire l'accesso delle donne alle liste elettorali.
Le formule di inserimento di un principio di equilibrio fra i sessi nella rappresentanza politica possono essere attualmente soltanto suggerite dalla Commissione nazionale di parità a dimostrazione della loro praticabilità. Con riferimento al testo vigente della Costituzione abbiamo individuato alcune ipotesi che citerò a titolo di esemplificazione affinché non ci si dica - consentitemi la battuta - che ciò è impraticabile: è praticabile, ferma restando la famosa volontà politica.
Ci siamo mossi su tre fronti. Innanzitutto ipotizziamo la riformulazione, a Costituzione vigente, degli articoli 55 e 65 e del combinato disposto degli articoli 56-58.
La seconda ipotesi consiste nell'inserimento di una norma transitoria all'interno della Costituzione - se vi fosse un orientamento per una Costituzione più flessibile da parte dei commissari, anche per altre questioni - volto a creare condizioni di pari opportunità nell'accesso alle liste, ovviamente sia per le elezioni nazionali, sia per quelle locali.
L'ultima ipotesi prevede di sancire un principio generale di indirizzo al legislatore ordinario, affinché nell'emanazione delle nuove leggi di riforma elettorale, si introduca il principio di riequilibrio della rappresentanza.
In particolare, nell'articolo 55 della Costituzione potrebbe essere inserito un ulteriore comma contenente l'enunciazione del principio espresso nei termini di cui all'articolo 3, secondo comma, della Costituzione: «La Repubblica rimuove gli ostacoli che si frappongono alla effettiva uguaglianza di tutti i cittadini nell'accesso alle cariche elettive». Ovvero, il primo comma dello stesso articolo potrebbe esser così riformulato: «Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, eletti nel rispetto del principio dell'equilibrio fra i sessi nelle liste elettorali». Ovvero ancora l'articolo 65 - sono tre ipotesi diverse - potrebbe prevedere un secondo comma, riferito all'attività del legislatore ordinario: «La legge determina i criteri per promuovere l'equilibrio della rappresentanza tra i sessi».
Se, invece, la Commissione bicamerale addivenisse all'ipotesi di introdurre nuove disposizioni transitorie, con tale strumento potrebbero essere previste misure legislative temporanee atte a realizzare la pienezza del principio di uguaglianza nell'ambito della sfera politica, in conformità a quanto previsto dall'articolo 4 della Convenzione dell'ONU per l'eliminazione di tutte le discriminazioni contro le donne, ratificata dal Parlamento italiano fin dal 10 giugno 1985. Tale precetto potrebbe essere espresso come segue: «La Repubblica promuove misure legislative, di carattere temporaneo, dirette a realizzare il principio di uguaglianza e di non discriminazione in ogni settore dell'organizzazione politica, economica e sociale».
Abbiamo provato ad esaminare, nell'ambito della riforma della Costituzione vigente e, de iure condendo nell'eventualità dell'inserimento di una norma transitoria, la concreta possibilità di sancire questo principio. Insieme con la dottoressa Sotgiu, vicepresidente della Commissione, la dottoressa Sepe, giurista, e la professoressa Raveraira, preside della facoltà di scienze politiche dell'università di Perugia - che mi scuso per non aver presentato in apertura di relazione - affermo che il senso della nostra presenza odierna e del messaggio che lanciamo consiste nel rivolgere un invito a voi ed all'intero Parlamento a valutare attentamente la ricaduta delle scelte che opererete sul principio dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini e sullo stretto legame esistente tra irrobustimento e autorevolezza delle istituzioni democratiche ed una più piena e

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larga partecipazione di uomini e donne per una più forte coscienza civile.

NUCCIO IOVENE, Coordinatore del Forum permanente del terzo settore. Presidente, onorevoli commissari, il Forum permanente del terzo settore, che in questa occasione è insieme ai rappresentanti dell'iniziativa Parte civile, è la principale aggregazione di forze del volontariato, dell'associazionismo, della cooperazione sociale e di solidarietà internazionale, della mutualità e della cittadinanza attiva del nostro paese. La delegazione qui presente dà uno spaccato (anche se non completo, ovviamente) delle diverse realtà che lo compongono: insieme a me ci sono Giuseppe Cotturri, coordinatore dell'iniziativa Parte civile, Giampiero Rasimelli, presidente dell'ARCI, Claudio Calvaruso, segretario della Conferenza permanente dei presidenti delle associazioni di volontariato, Francesco Ferrante, direttore di Legambiente, Mario Mauro, presidente della Federazione compagnia delle opere non profit, Simone Milioli, della presidenza della FUCI, Vincenzo Dona, presidente dell'Unione consumatori.
Nell'ultimo anno e mezzo, circa 100 tra le più importanti federazioni, coordinamenti ed associazioni nazionali di diversa storia e tradizione, in rappresentanza di migliaia di realtà locali, hanno deciso di mettersi assieme per costruire in Italia un nuovo soggetto della rappresentanza sociale; non tanto una lobby tesa a tutelare le associazioni che la compongono, ma uno strumento nuovo per dar voce a quanti - e sono sempre più numerosi - voce non hanno.
Ecco il motivo fondamentale che ci ha spinti a chiedere un'audizione alla Commissione bicamerale, che ringraziamo per avercela prontamente concessa: far presente che agli esiti di questa Commissione sono interessati non solo gli addetti ai lavori, le forze politiche, gli esperti di diritto costituzionale, ma milioni di cittadini che si attendono di vivere in una democrazia moderna e più funzionale, nella quale i propri diritti non vengano solo enunciati, ma tutelati, promossi e meglio applicati, e nella quale possano avere strumenti concreti e certi per esercitarli e farli valere.
È per questo che già in occasione della passata campagna elettorale, tra i 12 punti che presentammo ai diversi schieramenti, ve ne era uno che riguardava le riforme istituzionali e successivamente abbiamo raccolto lo stimolo avanzato dall'esperienza di Parte civile entrando nel merito della discussione avviata dalla Commissione con il documento che vi consegniamo oggi, su cui ritornerà più diffusamente Giuseppe Cotturri, con il quale in verità, così come per l'Azione cattolica, avevamo diviso i compiti dell'illustrazione.
La prima preoccupazione che vogliamo manifestarvi riguarda l'impressione prevalente che si dà dei vostri lavori: il concentrarsi dell'attenzione sul sistema elettorale, sulla forma di Governo o sui temi della giustizia (quest'ultimo tema rilevantissimo, che preoccupa certamente i cittadini, ma a nostro avviso più per la difficoltà ad avere giustizia o per la difficile situazione della popolazione penitenziaria che non per i rapporti tra sistema politico e magistratura) rischia di oscurare o lasciare ai margini temi che a noi stanno più a cuore e che riguardano più direttamente la vita quotidiana dei cittadini ed in particolare di quelli più esclusi.
Il tema del federalismo ed il principio di sussidiarietà sono questioni ricorrenti del recente dibattito politico-istituzionale. Per quanto attiene al primo (il tema del federalismo), noi chiediamo che questo non diventi fonte di ulteriori diseguaglianze per i cittadini nell'esercizio dei loro diritti e nella qualità della loro vita. Per quanto riguarda il secondo (il principio di sussidiarietà), chiediamo che questo non venga inteso unicamente come integrazione dei diversi livelli istituzionali, ma anche come integrazione tra questi e le realtà organizzate della società civile, quelle formazioni sociali intermedie riconosciute dagli articoli 2 e 18 dell'attuale Costituzione.
Alla ricerca di una maggiore stabilità politica ed al rafforzamento del bipolarismo


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nel sistema maggioritario dovrebbero corrispondere, a nostro avviso, nuovi contrappesi e possibilità di intervento per i cittadini, rafforzando e migliorando da un lato strumenti già previsti nell'attuale Costituzione (si pensi alle leggi di iniziativa popolare, per le quali si potrebbe prevedere una corsia preferenziale, visto l'esito delle circa 150 presentate nella vita della Repubblica; al referendum abrogativo, correggendone gli aspetti che ne hanno determinato un uso distorto, improprio ed inflazionato) o introducendone di nuovi (come i referendum approvativi e consultivi). Inoltre il CNEL, costruito ancora come sede della rappresentanza delle categorie produttive in chiave corporativa, potrebbe essere riformato, divenendo sede di una rappresentanza sociale che nel tempo è profondamente cambiata e si è di molto arricchita, in linea con la funzione svolta da altre sedi analoghe presenti in Europa (pensiamo ai comitati economico-sociali), dotandolo di nuovi strumenti e poteri di iniziativa.
Altro elemento che riteniamo decisivo riguarda il rapporto tra i cittadini, i diversi livelli del governo locale e la pubblica amministrazione, costituzionalizzando i diritti di accesso ed informazione, nonché le forme di partecipazione previste dalle leggi n. 142 e n. 241 del 1990 e dando rilievo agli strumenti di tutela ed autotutela dei cittadini (pensiamo all'esperienza dei difensori civici o alle autorità indipendenti di regolazione e garanzia), riconoscendo il ruolo decisivo che le organizzazioni del terzo settore e della cittadinanza attiva svolgono nella tenuta democratica e nella coesione sociale del paese.
Infine, consapevoli che questa Commissione ha il compito di porre mano alla sola parte seconda della Costituzione, vogliamo sottolineare come sia indispensabile, nel predisporre i meccanismi per eventuali successive modifiche della Carta costituzionale, che i diritti ed i principi fondamentali in essa contenuti e quelli sanciti dalle altre fonti internazionali (a tale proposito vorrei ricordare che il Forum sta organizzando per il 23 e il 24 maggio prossimi un confronto europeo sul «Documento dei saggi sui diritti fondamentali» commissionato dall'Unione europea, alla presenza di alcuni degli autori del documento stesso) vengano considerati come non suscettibili di modifiche tese a ridurli, sottrarli o indebolirli.
Ringraziandovi nuovamente per l'attenzione concessaci e ribadendo la nostra ferma volontà a seguire da vicino lo svolgimento dei vostri lavori, vogliate ricevere i nostri migliori auguri per il pieno successo nell'opera che vi siete accinti a compiere. Una responsabilità grande nei confronti di un paese che a più riprese, negli ultimi 15 anni, si è visto indicare la prospettiva di una riforma delle istituzioni spesso come principale soluzione dei suoi mali, un paese che noi riteniamo non meriti l'ennesima occasione mancata.

GIUSEPPE COTTURRI, Coordinatore dell'iniziativa Parte civile. Ringrazio la Commissione dell'opportunità che ci viene offerta. Noi avevamo ripartito i nostri interventi in questo modo anche per dare atto dell'articolazione e della ricchezza del mondo che si esprime attraverso la formula «terzo settore». Il mio intervento sarà articolato su tre punti, per specificare e precisare alla Commissione le proposte che noi avanziamo.
Il primo punto riguarda il rapporto tra parte prima e seconda della Costituzione e quindi il processo di revisione in atto. Ci sembra molto importante che si sia istituito questo meccanismo delle audizioni. È assai importante che poi si arrivi non solo alla decisione parlamentare, ma anche alla pronuncia popolare. Riteniamo infatti che quello non possa essere soltanto un passaggio burocratico e di presa d'atto: in realtà è l'appuntamento attraverso cui avviene la più ampia comunicazione politica tra le élite, le rappresentanze, le formazioni intermedie ed il corpo popolare nella sua pienezza. Proprio per tale ragione, immaginiamo che il procedimento di revisione si sia in questo modo sdrammatizzato. Si è tanto discusso se fosse preferibile una soluzione diversa, una forma di assemblea; la ragione per


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cui questo diverso cammino è stato escluso è rappresentata dall'esigenza di tenere ben fermo il rapporto tra parte prima e seconda della Costituzione. Questa è una posizione che condividiamo profondamente e proprio per questo la prima proposta che avanziamo è di operare un'esplicitazione, anche a fine di successivi passaggi. Dobbiamo immaginare che, qualunque siano le determinazioni e le decisioni relative alla parte seconda della Costituzione, qualunque sia la costruzione politica, vi saranno un impatto sul corpo popolare e prevedibili sviluppi che immaginiamo progressivi. In altri termini deve essere possibile continuare in questa azione di revisione conquistando nella prima parte della Costituzione una serie di principi; basti fare riferimento a tanti valori contemporanei che nella cultura dei costituenti del tempo non erano presenti, come quello ambientale, l'articolazione concreta dei diritti nei luoghi ove essi si esercitano (i diritti nella scuola o negli ospedali). Immaginiamo che sia necessario rendere esplicito che un cammino di revisione possa continuare con il tipo di garanzie che qui sono state definite strutturate.
La proposta riguarda specificamente l'articolo 138. Siamo convinti che non siano a disposizione di qualunque tipo di maggioranza i diritti, le libertà, le garanzie, i diritti umani fissati nella parte prima della Costituzione, così come le garanzie presenti nella parte seconda.
In questo abbiamo il sostegno di una dottrina assai autorevole e soprattutto di una giurisprudenza costituzionale. Non devo essere io in questa sede a ricordare la sentenza costituzionale n. 1146 del 1988 e tutte le successive, il modo in cui è stato definito che il potere di revisione ha anche limiti impliciti. Chiediamo che questi siano resi espliciti: si scriva nell'articolo 138 che quei diritti, quelle libertà, quei principi, quelle garanzie non possono essere ridotti né sottratti; ovviamente possono essere rafforzati e aumentati. Dirlo esplicitamente, prevedere su questo punto - non sull'intera materia della revisione - il controllo della Corte costituzionale ci pare un'innovazione importante che - ripeto - sdrammatizza il cammino futuro, rende anche molto chiaro e comunicabile in vista di quel referendum finale il senso del passo che qui si va compiendo. Riteniamo con questa e con la prossima indicazione che tra poco illustrerò di poter arricchire il messaggio, l'indicazione proveniente dal lavoro della Bicamerale con chiari segnali rivolti ai cittadini circa la garanzia assoluta che i loro diritti hanno all'interno di processi di innovazione così forti.
Il secondo punto riguarda proprio questo aspetto. Ci sembra necessario non ripetere nella parte seconda della Costituzione principi e diritti già fissati nella prima parte, ma semmai tradurre quei diritti e quei principi, nella costruzione dell'ordinamento di tipo federale che si va disegnando, in indirizzi politici costituzionali molto pregnanti. Abbiamo fatto riferimento ad una Costituzione europea, a quella tedesca ove l'autonomia piena, legislativa e politica, dei Laender è garantita per realizzare l'uniformità delle condizioni di vita dei cittadini; proponiamo che una norma dello stesso tipo sia scritta nel momento in cui si ridisegna la forma di Stato. Si può anche ritenere, in base al principio che la prima parte della Costituzione definisce (articoli 2 e 3), che la formula migliore possa fare riferimento, più che all'uniformità, alle pari opportunità di vita dei cittadini e che questa sia da intendere appunto come norma di indirizzo e di garanzia del processo di federalizzazione. Tale processo prende avvio con le riforme che qui saranno decise e deve veder crescerei soggetti, soprattutto quelli sociali, capaci di accompagnare, di irrobustire questa scelta.
Passando al terzo punto, ci troviamo di fronte ad una difficoltà che deriva anche dal modo in cui le formazioni sociali, i cosiddetti soggetti intermedi sono richiamati e valorizzati nella prima parte della Costituzione. I limiti in cui l'articolo 2 richiama tali formazioni - luogo di sviluppo della persona umana - e poi l'articolo 18 sulla libertà di associazione ci sembrano assai importanti da confermare,

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ma ancora non corrispondenti al ruolo più ampio, pregnante e profondo che lo sviluppo associativo di tutte le realtà che qui rappresentiamo e testimoniamo realizza nel governo democratico della società.
Non si tratta solo di considerare questi luoghi o formazioni sociali intermedie assai preziosi per tutelare il valore della persona umana, ma di ritenere che il governo democratico - l'azione completa, non soltanto la decisione politica, ma l'implementazione, l'accompagnamento nella realizzazione delle politiche - sia possibile in presenza di una rete diffusa nel territorio di soggetti capaci di monitorare, contrastare gli sprechi, retroagire sugli indirizzi delle politiche consentendo quelle azioni di feedback, di correzione in corso d'opera; ciò consente di costruire il consenso democratico alla decisione e all'indirizzo politico. Pensiamo dunque che queste realtà siano una delle componenti essenziali, che le società più avanzate valorizzano, del governo democratico delle società.
Attorno a questo concetto abbiamo articolato una serie di proposte; ho voluto chiarirne l'ispirazione perché in tal modo diventa più facile coglierne il senso. Avanziamo per esempio la richiesta che siano costituzionalizzati quei principi e quei diritti che le leggi n. 142 e n. 241 del 1990 e poi gli statuti comunali hanno introdotto: diritti di informazione e di accesso per soggetti come questi.
Abbiamo l'idea di una sussidiarietà non soltanto intesa come principio che consente la distribuzione del potere secondo la migliore opportunità di governo verso l'alto e verso il basso, ma tale da valorizzare proprio in senso orizzontale un pluralismo di istituzioni, di formazioni sociali a ciascun livello. In particolare, avanziamo l'idea che nella riscrittura dell'articolo 97 della Costituzione - così secco, stringato, distante dalla realtà attuale delle pubbliche amministrazioni - non solo siano inseriti i diritti che ho già richiamato, ma siano esplicitamente indicati gli obiettivi (la tutela e il rispetto della salute, della sicurezza, degli interessi economici dei consumatori). In questo senso aderisce all'iniziativa Parte civile anche un cartello di associazioni di consumatori che ha avanzato - i commissari qui presenti ne sono informati - specifiche proposte articolate in quattro punti, ma con al centro quest'idea.
Infine - quarto ed ultimo punto - riteniamo che proprio per questo dobbiamo far crescere le possibilità di partecipazione e di intervento di questo universo attraverso le organizzazioni istituzionali possibili e strumenti istituzionali anche nuovi. Da un lato riteniamo che, per esempio, l'istituzione di forme di autorità indipendente corrisponda a questa crescita ed arricchisca il pluralismo istituzionale in corrispondenza di una grande ricchezza di pluralismo sociale; dall'altro desideriamo che questo possa trovare forma specifica di manifestazione e di iniziativa nella riforma della composizione del Consiglio nazione dell'economia e del lavoro.
Conosciamo le discussioni che si sono sviluppate attorno a quest'organo; sappiamo anche che esso non ha mai utilizzato i poteri di iniziativa legislativa previsti dalla Costituzione. Oltre che rafforzare in tal senso l'eventuale iniziativa legislativa con una corsia preferenziale, riteniamo si debba superare l'idea che esso esprima soltanto le categorie produttive. Queste sono certamente determinanti, ma pensiamo che nessun paese moderno si regga senza far conto di tutto quello che è il cosiddetto lavoro improduttivo - l'apporto alla vita e allo sviluppo nazionale dato dal lavoro invisibile di cura delle donne in famiglia, dai cosiddetti lavori socialmente utili - e soprattutto di quella presenza, come ho detto prima, utile al governo di forme di cittadinanza attiva che svolgono un ruolo così essenziale per la messa a punto ed il controllo delle politiche materiali. Da questo punto di vista chiediamo che nel Consiglio nazionale sia inserita la presenza di forme di cittadinanza attiva e di attori non profit.
Sottolineo l'importanza della soluzione «Consiglio nazionale» perché, al di là

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dell'opportunità di articolare queste presenze anche a livello territoriale e regionale, nel momento in cui il paese è attraversato da spinte di desolidarizzazione o comunque da critiche alla capacità di tenuta di una visione nazionale, è assai importante che queste realtà non si esprimano solo nei livelli locali, ma sappiano trovare l'unità e la capacità di indirizzare l'unione del paese verso i suoi approdi, i suoi appuntamenti sovranazionali.

GIUSEPPE GERVASIO, Presidente dell'Azione cattolica italiana. Ringraziandovi anzitutto per averci invitato a questa audizione, devo dire che abbiamo molto apprezzato il fatto che la Commissione abbia adottato, pur nella ristrettezza dei tempi, questo metodo dell'ascolto e del confronto, attraverso il quale è possibile, effettivamente, ravvicinare in modo utile le istituzioni alle realtà vive della società civile e sostenere così un'efficace rilancio della dinamica democratica nel nostro paese.
Nel richiedere questa audizione, abbiamo ritenuto che, in un momento così impegnativo e complesso, quando si pone mano a fissare alcune regole comuni per la civile convivenza di tutti, fosse necessario partecipare, in qualche misura, a questo impegno dando un proprio contributo secondo la propria ottica, secondo la propria tradizione, nell'intento di dare nuovo respiro al sistema, alla dinamica democratica in questa nostra società anche attraverso un'attenta revisione della parte seconda della nostra Costituzione.
Come Azione cattolica italiana, insieme con i nostri istituti culturali (Paolo VI, per la storia del movimento cattolico in Italia, e Vittorio Bachelet, per lo studio dei problemi sociali e politici), ci siamo collocati nel solco dell'articolata tradizione del pensiero sociale cristiano e, in particolare, del cattolicesimo democratico. Attraverso l'osservatorio sulle riforme costituzionali, a cui abbiamo dato vita, abbiamo formulato alcune prime osservazioni sul processo di revisione costituzionale in atto. Il documento, che consegno alla Commissione, si sofferma su alcuni punti in particolare: sulla forma dello Stato, sulla forma del governo, sullo sviluppo del principio di legalità e su due nodi rilevanti, cioè la pubblica amministrazione e la magistratura.
Prima di illustrare, molto brevemente, alcuni aspetti, alcuni punti salienti - a ciò provvederanno il professor De Martin ed il professor De Siervo - vorrei brevemente concludere questa mia introduzione segnalando tre osservazioni preliminari. A nostro avviso - prima osservazione - il fatto che la legge istitutiva di questa Commissione abbia circoscritto la sua competenza alla parte seconda della Costituzione significa non solo una delimitazione in senso negativo ma anche una indicazione in senso positivo: la revisione dell'ordinamento della Repubblica dovrà infatti essere attuata sviluppando i principi, i valori, il sistema dei diritti e dei doveri che la prima parte della Costituzione del 1948 ha fissato con grande lungimiranza e che ancora oggi hanno una viva attualità ed una ricca potenzialità.
Seconda osservazione: tra i vari capitoli d'impegno di questa Commissione, a noi sembra che vi sia un punto preminente, prioritario, quello relativo alla forma di Stato. Le scelte operate in questo campo, infatti, non potranno non avere una loro ricaduta nell'orientare e calibrare le scelte che potranno riguardare la forma di governo, il bicameralismo, il sistema delle garanzie.
Terza osservazione: la revisione della parte seconda della Costituzione potrà portare ad un rinnovato ed efficace sistema democratico se saprà intravedere ed evitare i pericoli insiti in ogni forma di concentrazione di potere e se saprà proporre un disegno equilibrato nel quale, soprattutto in una democrazia maggioritaria, insieme al rafforzamento delle funzioni di indirizzo politico e di governo, vi sia un uguale rafforzamento delle funzioni di verifica e di controllo e il tutto sia collocato in un quadro di valorizzazione


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piena della partecipazione politica e delle autonomie territoriali e sociali insite nella società civile.
Conclusa questa breve introduzione, chiedo, cortesemente, che il professor De Martin possa illustrare alcuni punti attinenti, soprattutto, alla forma di Stato.

GIAN CANDIDO DE MARTIN, Rappresentante dell'Azione cattolica italiana. Sulla forma di Stato, il punto di partenza, dal nostro punto di vista, si colloca nell'orizzonte di una concezione fondata, come è stato ricordato, sul riconoscimento del pluralismo delle formazioni sociali e sulla garanzia dei diritti inviolabili delle varie comunità necessarie per la promozione delle singole persone, ancorato quindi strettamente ad un'idea policentrica e non monocentrica dei pubblici poteri. Di qui, sul piano delle istituzioni politiche, una concezione della Repubblica, più che dello Stato, come sintesi di una unità composita costituita da comuni, province, regioni, Stato, secondo un ordine non casuale che parte dalle radici del sistema (le comunità locali), in sintonia, d'altra parte, col principio autonomistico, già sancito nel fondamentale articolo 5 della Costituzione, che va ora effettivamente realizzato e sviluppato in tutte le sue potenzialità, anche con precisazioni ed integrazioni costituzionali, per rendere anzitutto esplicita la connessa logica della sussidiarietà secondo una impostazione da anni acquisita anche nella Carta europea delle autonomie locali.
In tale prospettiva, appare del tutto evidente la necessità di perseguire una forte valorizzazione di tutto il sistema delle autonomie territoriali, che non sono periferie dello Stato ma elementi costitutivi di una democrazia sostanziale in cui le istituzioni sono al servizio dei cittadini e il più possibile vicine ad essi. Occorre, quindi, un rovesciamento di prospettiva che, abbandonando il centralismo statale senza cadere in forme di centralismo regionale o di regionocentrismo o di frammentazione localistica, muova dal possibile ruolo delle autonomie di diverso livello per riordinare l'intero sistema statuale, superando anche le persistenti logiche della uniformità, della dipendenza e dell'autarchia nell'assetto della pubblica amministrazione, logiche tutte figlie dell'accentramento.
In tal senso, è possibile e utile realizzare un disegno federalistico di riordino delle istituzioni della Repubblica perseguendo - per così dire - una nuova idea dell'unità che riesca a coniugare la più ampia e possibile valorizzazione delle autonomie con le insopprimibili esigenze di garanzia di condizioni equivalenti di vita da riconoscere a tutti i cittadini della Repubblica, per usare la formula dell'articolo 72 della Grundgesetz tedesca.
Le autonomie sono da potenziare soprattutto in due prospettive. La prima è quella di riconoscere il diritto alla differenza, all'identità - per così dire - con la previsione, quindi, di ordinamenti differenziati, non per giungere a disparità di trattamenti inaccettabili ma per garantire ordinamenti adeguati alle peculiarità delle singole realtà. In questo quadro, ad esempio, ciascuna regione dovrebbe essere, entro certi limiti, speciale, superando l'attuale distinzione tra regioni ordinarie e speciali. Analogamente, sono auspicabili modelli differenziati per le aree metropolitane e per quelle montane.
La seconda prospettiva è di sviluppare le responsabilità di autogoverno, di autorganizzazione, di autoriforma anche attraverso l'effettivo riconoscimento di spazi di autonomia finanziaria.
Questo dal punto di vista dell'autonomia. Dal punto di vista dell'unità, invece, la Repubblica esige, d'altra parte, un ordinamento volto a garantire, secondo il principio di uguaglianza, i diritti inviolabili della persona, i diritti di cittadinanza e di liberà civile, i diritti politici e sociali, ivi compresa l'unitarietà e l'efficienza della funzione giurisdizionale. Ciò implica da un lato la definizione di standard per i servizi che vanno garantiti ad ogni persona e ad ogni cittadino e dall'altro la necessità di un ordinamento che persegua e sviluppi la cooperazione interistituzionale che promuove l'assolvimento dei doveri di solidarietà politica, economica e


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sociale necessari allo sviluppo dell'intero paese, che garantisca una corretta e funzionale dinamica delle interdipendenze con un federalismo più cooperativo che competitivo.
In questa prospettiva di equilibrio tra le ragioni delle autonomie e le ragioni dell'unità, appare essenziale il riordino e la riallocazione delle funzioni pubbliche, applicando la ratio della sussidiarietà insieme a quella della flessibilità e dell'adeguatezza, evitando di considerare invece come punto di partenza del processo riformatore il riordino degli ambiti territoriali secondo astratti criteri di ottimalità. Ciò non significa, ovviamente, che non vi siano esigenze di razionalizzazione di singoli ambiti territoriali, che possono anche essere sostenute con specifici incentivi, nel rispetto comunque della volontà delle comunità interessate; ma l'obiettivo della riforma dovrebbe essere anzitutto quello di assicurare a ciascuna istituzione rappresentativa di comunità territoriali la disponibilità di un vestito con funzioni e con un ordinamento modulato secondo la rispettiva identità, più che creare enti forzatamente uguali per applicare a tutti lo stesso vestito.
Sul piano del riordino delle funzioni, bisogna tenere distinte le funzioni legislative da quelle amministrative, evitando la logica del parallelismo.
Sul piano legislativo, appare utile il rovesciamento tra Stato e regioni, individuando tassativamente le competenze statali e riconoscendo alle regioni la generalità delle altre competenze, senza con ciò peraltro comprimere lo spazio di autordinamento statutario e regolamentare che va garantito a comuni e province.
Sul piano delle funzioni amministrative, il baricentro del sistema va spostato per quanto possibile sulle amministrazioni locali, sui comuni, ma anche sulla nuova provincia, che rappresenta la forma essenziale in una prospettiva di effettivo decentramento di tutto il sistema statuale (provincia o sua variante metropolitana).
Il rilancio del sistema delle autonomie, in una chiave di federalismo cooperativo, comporta una serie di conseguenze. Mi limito ora ad accennarne ad alcune, rinviando per il resto al documento che consegnerò alla Commissione.
In primo luogo è auspicabile la definizione di sedi di garanzia della posizione degli enti locali subregionali, per esempio attraverso l'istituzione delle autonomie locali, quale seconda camera, a livello regionale, come previsto in alcuni progetti di revisione presentati a questa Commissione.
In secondo luogo vanno tenuti presenti i meccanismi di incentivazione della collaborazione stabile tra le regioni esistenti, al fine di giungere, su base non autoritaria ma volontaria, a forme di svolgimento di compiti di più ampia portata rispetto alle dimensioni territoriali delle regioni.
In terzo luogo assume pieno significato la necessaria previsione di una seconda camera all'interno del Parlamento nazionale quale espressione dei livelli delle autonomie in modo da dar vita, sotto questo profilo, ad un bicameralismo differenziato.
Sul piano del principio di legalità e delle garanzie, le implicazioni legate a questa opzione fortemente autonomista-federalista comportano il riconoscimento di forme di accesso al sindacato di costituzionalità per comuni e province a garanzia della rispettiva autonomia. Tale accesso potrebbe essere utilmente ampliato anche ad associazioni qualificate in funzione di tutela di interessi diffusi.
Infine, il potenziamento delle funzioni della Corte Costituzionale dovrebbe tener conto, anche sul piano della struttura, della necessità di coinvolgere il sistema delle autonomie nella designazione dei suoi componenti.
Vorrei aggiungere che il principio di legalità suggerisce di stabilire in Costituzione vincoli nella struttura delle leggi e delle altre fonti normative sia nella direzione della massima semplificazione del sistema compatibile con la complessità delle scelte da compiere, sia nella direzione della chiarezza e della conoscibilità delle diverse fonti, al fine di ridare certezza al sistema normativo. Nel riassetto del sistema di formazione delle leggi

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appare opportuno esplicitare anche l'integrazione normativa sia a livello nazionale, sia regionale con le decisioni comunitarie, sviluppando e specificando i principi già posti nella prima parte della Costituzione a fondamento della partecipazione alle istituzioni comunitarie.

UGO DE SIERVO, Rappresentante dell'Azione cattolica italiana. Per quanto riguarda il problema della forma di governo, l'idea di una democrazia efficace ma ben equilibrata al tempo stesso, comporta che vari poteri siano tra loro adeguatamente bilanciati, sulla base delle classiche regole costituzionali, da un funzionale sistema di pesi e contrappesi. Ciò tanto più in una democrazia maggioritaria nella quale la naturale forte dialettica tra maggioranza di governo da un lato e minoranza ed opposizione dall'altra è essenziale, ma non deve esporre la democrazia stessa ad alcun pericolo. Ciò comporta innanzitutto che al processo di rafforzamento deciso dei poteri e delle tecniche di stabilità dell'esecutivo si accompagni il rafforzamento delle funzioni di verifica e di controllo politico a livello istituzionale e sociale. Questo vuole dire, per esempio, l'esplicito riconoscimento del ruolo costituzionale dell'opposizione e dei diritti delle minoranze; la definizione di un chiaro sistema di incompatibilità tra cariche istituzionali e posizioni di controllo nel mondo dell'economia e dell'informazione. Vuol dire anche dare fondamento costituzionale ad alcune importanti autorità indipendenti, a salvaguardia di taluni snodi essenziali nella vita democratica, e ad altri possibili istituti.
A nostro parere, peraltro, ben difficilmente un sistema di garanzie all'interno delle istituzioni, per quanto articolato e sofisticato, può realmente limitare in modo efficace il potere, ove questo venga eccessivamente concentrato attraverso la combinazione tra loro di diversi meccanismi tutti finalizzati a rafforzare l'esecutivo e al tempo stesso a personalizzare la conduzione dello stesso.
Su questo punto, a nostro avviso, va posta grande attenzione per evitare che la combinazione tra un rafforzamento delle componenti maggioritarie del nostro sistema elettorale e l'eventuale introduzione dell'elezione diretta del vertice dell'esecutivo possa portare a comprimere nella realtà gli spazi effettivi della dialettica politica. La nostra preoccupazione è che invece di lavorare per la costruzione di una più efficace democrazia rappresentativa si rischi di scivolare verso una democrazia meramente di delega. D'altra parte, l'esame comparato delle grandi democrazie liberaldemocratiche indica l'esistenza di una serie di soluzioni molteplici che danno risultati significativi in termini di governabilità e di stabilità, anche in alcuni dei regimi parlamentari. Si sono citati i casi inglese, tedesco e svedese, ed altri potrebbero essere indicati, ma non è questa la sede per affrontare tali temi.
I bilanciamenti al potere non sono soltanto quelli interni al sistema politico centrale, ma sono evidentemente quelli cui si riferiva poc'anzi il professor De Martin, un forte sistema di autonomie locali e regionali e istituti di democrazia diretta, in particolare il referendum. Questo istituto, a nostro parere, va rafforzato attraverso una regolamentazione che lo sottragga alle incertezze ed alle strumentalizzazioni che si sono evidenziate nella prassi.
Pur nella varietà delle tante possibili soluzioni ipotizzabili al riguardo, ineludibili appaiono un aumento del numero delle firme necessario a richiedere il referendum abrogativo; una specificazione più articolata delle cause di inammissibilità ed eventualmente la limitazione del numero dei quesiti contemporaneamente sottoponibili al voto popolare. Certo inaccettabile sarebbe ipotizzare l'introduzione di procedimenti referendari ad iniziativa dell'esecutivo sul modello francese.
Come ha già accennato De Martin, a nostro parere va ribadita una grande caratteristica nella modifica della parte seconda della Costituzione repubblicana: rafforzare gli istituti che tendono a garantire


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effettivamente il principio di legalità, da intendersi come sottoposizione di tutti i soggetti alle norme costituzionali e a quelle legislative. Ciò richiede, ad esempio, di confermare e potenziare le funzioni della Corte costituzionale, forse ampliando anche alcune sue competenze: mi riferisco alla previsione di controlli sulla regolarità delle procedure elettorali e sui titoli di ammissione nelle assemblee rappresentative, nonché all'ampliamento delle forme di accesso al sindacato di costituzionalità. Si è già fatto riferimento all'accesso di comuni e province a tutela della rispettive autonomie costituzionalmente garantite; si può pensare inoltre all'ammissione di associazioni qualificate in funzione di tutela dei cosiddetti interessi diffusi.
Ciò comporta probabilmente anche la modifica e l'arricchimento delle tecniche di nomina degli stessi giudici costituzionali, in parallelo al mutamento della forma di Stato. Ciò vuol dire anche rafforzare e semplificare il sistema delle leggi e delle fonti normative. Non si può che essere allarmati dinanzi a tutto ciò che è avvenuto in tale sistema negli ultimi anni; certo, la Commissione bicamerale deve rendersi conto che, compatibilmente con la grande complessità delle scelte che stanno per essere compiute sul piano - ad esempio - delle autonomie e del bicameralismo, un grande interesse da tutelare sarà quello concernente la possibilità di rendere al massimo chiaro e conoscibile il sistema delle fonti normative. Altrimenti tutti i discorsi concernenti il piano della tutela della legalità rischieranno di sfumare.
Un'ultima osservazione sulla pubblica amministrazione e sulla magistratura. Per quanto riguarda la prima, ci si può limitare a dire che forse occorre recepire definitivamente a livello costituzionale una serie di principi sull'amministrazione dello Stato democratico che sono venuti emergendo nella legislazione più recente. Non ci si riferisce soltanto al buon andamento dell'amministrazione, già formalizzato nell'articolo 97, ma anche alla distinzione tra politica ed amministrazione, al principio di efficienza, a quello di semplificazione delle procedure, alla trasparenza amministrativa, all'accesso dei cittadini, ai controlli di gestione.
Per quanto riguarda la magistratura, infine, non si può che dire che il principio dell'autonomia e dell'indipendenza da ogni altro potere va senz'altro riaffermato e non indebolito. Ogni possibile distinzione tra magistrati, sempre e soltanto per la diversità delle funzioni, deve rispondere esclusivamente ad esigenze di migliore funzionalità della giustizia ed evitare anche ogni possibile sospetto su forme di compressione della piena autonomia dei magistrati.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai colleghi che, se lo vorranno, potranno porre quesiti o intervenire, credo di dover esprimere un ringraziamento ai nostri ospiti per aver offerto un contributo molto ricco anche dal punto di vista qualitativo e della concretezza delle proposte, oltre che degli orientamenti che sono stati sottoposti all'esame della Commissione.
Naturalmente, non è in questa sede che tali problemi possano essere delibati, visto che essi riguardano l'insieme del nostro impegno e non soltanto taluni punti particolari. Credo di poter dire, tuttavia, che queste proposte avranno un'eco nel nostro lavoro, e in una certa misura già esse sono alla nostra attenzione per iniziativa di singoli gruppi o singoli parlamentari. Sicuramente la discussione di oggi ci aiuterà a mettere a fuoco meglio, nel momento in cui ci avviamo verso la fase più impegnativa e conclusiva di definizione delle proposte, anche determinate possibilità di riforma costituzionale.
Non entro nel merito di grandi scelte di indirizzo. Lavoriamo su un'ipotesi federalista e credo di poter dire che quella su cui siamo impegnati è nel suo complesso abbastanza simile a quella che è stata qui prospettata, che fa leva su un articolato sistema di autonomie e che punta ad un rovesciamento del principio costituzionale, indicando l'esplicita riserva


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allo Stato centrale delle materie su cui deve legiferare il Parlamento nazionale e articolando invece le funzioni legislative a livello regionale. Allo stesso tempo, tale ipotesi - per quanto riguarda i compiti amministrativi - fa leva su un articolato sistema di autonomie locali.
Contemporaneamente lavoriamo su una forma di governo più efficace, in grado di garantire maggiore stabilità ed una più diretta responsabilità dei cittadini nella scelta della maggioranza che deve governare, secondo quella che appare oggi una necessità del nostro sistema ma anche un'aspettativa largamente diffusa nella pubblica opinione. Le forme in cui questa più diretta responsabilità potrà manifestarsi sono oggetto di diverse opinioni ed in questa sede si discuterà e si voterà. Mi sembra però di poter dire che anche questo mutamento - che sicuramente va nel senso di un rafforzamento della democrazia del maggioritario - viene perseguito con una generale e forte attenzione all'esigenza di un quadro di garanzia, di uno statuto dei diritti dell'opposizione ed anche di un allargamento delle possibilità di partecipazione e presenza diretta dei cittadini e delle loro forme associate alla vita pubblica. Credo di poter dire, da tale punto di vista, che questa preoccupazione è largamente presente nel nostro lavoro, al di là delle diverse collocazioni politiche.
Ho ascoltato con particolare interesse sia le proposte concrete in materia di referendum e di forme di partecipazione dei cittadini, sia quelle (delle quali in verità poco si è discusso) relative alla possibilità di riforme costituzionali tese a garantire in modo più efficace un'effettiva eguaglianza tra i sessi nella partecipazione politica. Abbiamo alle spalle l'esperienza non positiva di un tentativo di riforma che si è scontrato con una mancanza di sostegno costituzionale. La questione è molto delicata e complessa; tuttavia credo che essa sia meritevole di attenzione in questa sede perché penso che il principio di eguaglianza sia astratto se non si accompagna a concrete scelte per contrastare le naturali tendenze alla diseguaglianza.
Quindi le proposte in questa materia sono interessanti e sicuramente dovremo prenderle in esame, nei limiti delle funzioni che ci spettano, quelle cioè relative alla parte della Costituzione di cui possiamo occuparci. Si tratterà di vedere se e come dare spazio a tali ipotesi.
Infine, ho trovato di notevole interesse - è una questione molto importante e che comporta un effettivo impegno - il tema della riforma dell'articolo 138 e della salvaguardia di principi fondamentali non sottoponibili all'arbitrio di una maggioranza, per quanto essa possa essere vasta. È un tema molto delicato: soltanto per memoria e per renderci conto di quanto ciò sia vero ricordo che la Presidenza della Camera ha considerato non accoglibile una proposta di referendum per secedere, ritenendo che l'articolo 138 già oggi di fatto non consenta di sottoporre a revisione costituzionale il principio dell'unità nazionale.
Naturalmente si tratta di una questione di grandissima portata, non c'è dubbio che occorre un chiarimento esplicito su questo punto, cioè su quali principi generali, universali, diritti delle persone e principi fondamentali su cui poggia l'ordinamento e la convivenza debbano essere esclusi dalla possibilità di revisione costituzionale. È questo un tema di grande rilievo che credo non possa essere scartato ma debba essere opportunamente proposto ad una riflessione della Commissione.
Non spetta a me esprimere dei sì o dei no, ma desidero sottolineare il valore di un'audizione che non solo ci ha proposto dei punti di vista ma è entrata fortemente - come è giusto e legittimo fare - nel merito ed ha avanzato proposte che richiedono un approfondimento serio.
Do ora la parola ai parlamentari che intendano svolgere considerazioni o porre quesiti.

ERSILIA SALVATO. Desidero associarmi al ringraziamento ai nostri interlocutori,


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perché mi sembra che attraverso le loro esposizioni essi abbiano sottolineato un punto che mi sta particolarmente a cuore, quello del nesso tra la prima e la parte seconda della Costituzione e di come, al di là del lavoro della Commissione bicamerale, in futuro si dovrà operare da una parte per innovare e dall'altra per mantenere i valori fondanti della nostra democrazia, sopratutto guardando le questioni nuove emerse attraverso una pratica sociale diffusa.
Voglio ora porre alcune domande partendo dall'incisività delle proposte avanzate.
Per quanto riguarda la questione giustizia, ho sentito accenti che mi hanno fortemente interessato sia nell'esposizione del presidente del terzo settore - che giustamente, a mio avviso, ha detto ciò che in tanti pensiamo e cioè che la vera questione è da una parte quella dell'efficacia della giustizia rispetto ai diritti dei cittadini e dall'altra quella carceraria - sia nell'esposizione del presidente dell'Azione cattolica, il quale ha affermato che la questione giustizia è un punto dirimente. Vorrei capire di più e meglio i loro punti di vista perché questo è un aspetto importante del nostro lavoro e sarebbe utile sentire da parte di chi opera nella società civile quale sentimento si abbia rispetto all'inadeguatezza del modo di funzionare della giustizia e conoscere le proposte avanzate per garantire insieme autonomia e indipendenza della magistratura e quindi diritti e libertà dei cittadini (autonomia e indipendenza della magistratura sono infatti un bene fondamentale per i diritti e la libertà dei cittadini).
La seconda questione che desidero affrontare è quella del referendum. Anch'io ritengo che nelle proposte avanzate vi sia la novità - che giudico positiva - di restituire a questo istituto il suo senso proprio e la sua sostanza e di avere il coraggio di andare avanti guardando ad altri strumenti che, con formula impropria, definisco di democrazia diretta. Mi convincono anche i ragionamenti relativi alla questione delle firme, perché a mio avviso il problema è un altro: quello della chiarezza del quesito, del non proliferare nella stessa tornata di vari quesiti, questioni che attengono ad una legge ordinaria. Ciononostante sono convinta che in Costituzione dobbiamo innovare.
La domanda che pongo attiene ad un'altra questione inerente a quella del referendum: rispetto alle materie che in Costituzione sono escluse dai referendum, si tratta di andare a delle conferme o, anche in questo caso, a delle innovazioni? Faccio un esempio molto concreto: in altri paesi la Costituzione ha consentito i referendum sul trattato di Maastricht, cosa che nel nostro paese non è stata possibile. Si tratta di una grande questione, perché con Maastricht abbiamo una cessione di sovranità decisa dai parlamenti e dai governi su cui, a mio avviso, dovrebbe pronunciarsi anche il corpo elettorale nel suo insieme. Questa è una delle questioni, ma potrebbero essercene altre ed io sarei interessata a capire se su questo tema vi sia una vostra riflessione.
Terza questione. Abbiamo ascoltato gli esponenti del CNEL, i quali hanno espresso opinioni diverse che vanno da un polo all'altro, cioè dall'eliminazione dell'istituto a una sua funzione che assume anche poteri vincolanti. Però finora non vi era stata ancora una riflessione come quella fatta oggi: una modifica della composizione del CNEL tale da inserire nell'organismo una rappresentanza e le istanze della società civile. Ciò assume altro interesse ed altra pregnanza. Vorrei capire meglio questa vostra affermazione che, anche per ragioni di tempo, è stata presentata in modo schematico, ma che richiede un ulteriore approfondimento.
Condivido quanto è stato detto dal presidente D'Alema e soprattutto da Silvia Costa sul fatto che ci troviamo di fronte all'esigenza di dare più senso e sostanza alla democrazia, sapendo costruire nei fatti una democrazia paritaria (la chiamo così). Ciò significa, per la mia cultura, procedere ad un'innovazione profonda anche della prima parte della Costituzione, dove «l'uguaglianza di fatto» in alcuni articoli, in realtà, ha significato non dico una discriminazione ma sicuramente una

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visione ancorata a un tempo e ad una realtà diversi. D'altronde la Costituzione è datata e le donne hanno elaborato cultura e pratica sociale e hanno assunto la consapevolezza che non basta affermare l'uguaglianza ma occorre far vivere fino in fondo la differenza. Vi è quindi una parte che attiene ai valori fondanti la nostra democrazia; però occorre lavorare anche sulla parte seconda della Costituzione, tentando di scrivere norme che contengano garanzie per giungere ad una scelta paritaria.
Riguardo alla sentenza della Corte costituzionale, la mia opinione è che non potesse essere che quella che è stata. La questione vera è che si era tentata, anche attraverso la legge, una forzatura utile e necessaria che aveva dato dei risultati ma che, rispetto ad una decisione della Corte, non poteva reggere ai fatti. Allora credo che dobbiamo muoverci con grande equilibrio, segnando l'innovazione e scrivendo queste garanzie all'interno della parte seconda della Costituzione, ma sapendo che l'altro terreno è quello politico e culturale. Dobbiamo avere questo equilibrio, altrimenti potremmo incorrere anche noi nei rischi di un'eccessiva rigidità rispetto ad una scelta che da una parte non convince e dall'altra difficilmente può essere sostenuta.

PRESIDENTE. Desidero informare i nostri ospiti che alla fine degli interventi dei membri della Commissione avranno facoltà di replica, della quale prego di fare un uso discreto. D'altronde sono già quattro i parlamentari iscritti a parlare, a testimonianza del vivo interesse.

MARIO GRECO. Innanzitutto raccolgo il suo invito ad essere breve ed esprimo il mio personale apprezzamento e ringraziamento ai rappresentanti del mondo civile e della società cattolica che abbiamo ascoltato e che hanno offerto, con le loro esposizioni, un contributo più che prezioso per il lavoro della Commissione bicamerale. Proprio perché questo contributo possa essere il più proficuo e fruttuoso possibile, mi permetto di porre una o due domande che possano servire da stimolo per precisare alcuni concetti.
Mi rivolgo per primi ai rappresentanti del Forum permanente del terzo settore che in collaborazione con Parte civile ci hanno messo a disposizione questa mattina una documentazione contenente proposte precise che, come abbiamo sentito, nascono da un comune impegno degli associati a contribuire alla soluzione dei problemi oggetto delle tematiche all'esame di questa Commissione bicamerale con l'individuazione di contrappesi e garanzie da costituzionalizzare .Tra queste specifiche proposte mi pare vi sia anche quella di un quasi rovesciamento del criterio di imputazione delle materie a Stato e regioni, con la puntualizzazione - nella proposta di modifica dell'articolo 117 - che la competenza legislativa e l'autonomia politica delle regioni nelle materie che non sono riservate allo Stato devono tendere a realizzare l'uniformità nelle condizioni di vita dei cittadini.
Registro con piacere questa impostazione, chiedo però che venga meglio precisato quale sia il tipo di federalismo regionale che, anziché aumentare le differenze, possa contribuire a far crescere il livello di uguaglianza tra i cittadini. Alludo alla proposta di istituzione di una camera delle autonomie o camera federale per la quale mi sembra non sia stato fatto alcun cenno, da parte di chi l'ha chiamata in causa, al sistema di nomina o elezione dei componenti. Lo dico proprio perché faccio parte del Comitato sulle fonti normative per la riforma del Parlamento.
La seconda riflessione è relativa alla proposta di rendere espliciti i principi fondamentali della Costituzione (i diritti umani, quelli dell'ambiente, quelle delle fonti internazionali, le libertà, i diritti e le garanzie dei cittadini) fissati sia nella parte prima sia nella seconda, che si collega ai temi della riforma della giustizia e della costituzionalizzazione delle fonti internazionali.
Con riferimento proprio a questi temi, mi piacerebbe saperne di più su quali dovrebbero essere, a vostro parere, le riforme della parte seconda della Costituzione,


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in particolare quelle più necessarie per meglio garantire i diritti fondamentali sanciti dall'articolo 24 e per dare rango costituzionale a convenzioni internazionali di grande portata in tema di garanzie, quali quelle di cui all'articolo 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo che al momento, a mio modesto parere, mi sembrano completamente trascurate dal nostro ordinamento. Alludo, per esempio, a tutte quelle norme processuali che, purtroppo, non garantiscono il pieno contraddittorio tra le parti e soprattutto mortificano quella che dovrebbe essere la parità tra la parte pubblica e la parte privata.
Una breve osservazione riguarda quanto ha affermato il rappresentante dell'Azione cattolica. È stato detto anche in passato che ogni Costituzione è figlia delle forze politiche, culturali e sociali dell'epoca in cui nasce; la nostra è nata negli anni quaranta, quindi è espressione di quegli anni, allorquando - spero di non sbagliare - il mondo cattolico aveva una visione riduttiva della funzione statale, visto che ebbe a preoccuparsi di indirizzare gli sviluppi di libertà soprattutto nelle funzioni sociali, trascurando il rapporto tra pubblica amministrazione e problemi di libertà. Oggi, da quanto è stato riferito in questa sede, mi sembra che il mondo cattolico sia maggiormente impegnato e abbia una visione più allargata dei problemi politici. Lo rilevo con piacere ed apprezzamento, ma vorrei un maggiore e più specifico contributo su questo aspetto.

MARCO BOATO. Il ringraziamento per quello che i nostri ospiti hanno detto non è rituale, perché quella odierna è una delle audizioni più interessanti dal punto di vista della capacità non solo di rappresentare esigenze - come è giusto che avvenga in particolare per soggetti esponenziali della società civile - ma anche di indicare ipotesi di lavoro su cui anche la Commissione si sta confrontando. Per questo metterò, sia pure rapidamente, i «piedi nel piatto» riguardo alle proposte che sono state fatte.
Per quanto riguarda il primo intervento, quello del presidente Silvia Costa, credo non fosse così necessario che la Corte costituzionale arrivasse a quella dichiarazione di incostituzionalità; condivido le perplessità - e non è una mancanza di rispetto verso la Corte - e in qualche modo sono interessato a condividerle perché sono stato uno dei presentatori di quegli emendamenti per i quali ci fu una battaglia in Parlamento in qualche caso con alcune deputate donne che ne sostenevano l'incostituzionalità e con alcuni deputati uomini che si battevano perché questi criteri venissero inseriti nella legge elettorale, come poi avvenne. Proprio per pronunciarmi esplicitamente e premesso che condivido le prime sette pagine di illustrazione, tra le varie proposte contenute a pagina 8 e 9 della relazione Costa, considero la più praticabile quella che ipotizza di aggiungere un comma all'articolo 65 della Costituzione che stabilisca che «la legge determina i criteri per promuovere l'equilibrio della rappresentanza dei sessi». Ho visto che in precedenza invece di «promuovere» era stato scritto «assicurare»: mentre le altre mi sembrerebbero più discutibili, questa mi sembra la formulazione più accettabile, ed io, insieme ad altri colleghi, credo che assumerò questa iniziativa sul terreno delle proposte emendative.
Per quanto riguarda l'intervento del rappresentante del Forum per il terzo settore, mi soffermo soltanto su un rilievo. Non credo che abbia senso contrapporre la questione della denegata giustizia, che è drammatica, reale e importantissima, che riguarda per moltissimi aspetti la legge ordinaria e che il Parlamento, sia pure con ritardo, sta già affrontando sia con il cosiddetto pacchetto Flick sia con misure legislative di iniziativa parlamentare, a quella del rapporto tra sistema politico e giustizia. Non credo si possa dire che ai cittadini questo rapporto non interessa, ma parlerei più in generale del rapporto tra i diversi poteri e ordini dello Stato: questa è una questione altrettanto grave ed importante della prima e non si può fingere che i cittadini non siano interessati


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ad essa. Certo, se uno finisce in carcere - o anche senza finirci - sarà più direttamente interessato ai problemi dei detenuti, ma immaginare che in uno Stato di diritto la questione del rapporto tra i diversi poteri non sia centrale e non lo sia soprattutto in questa Commissione bicamerale, a mio parere è una sottovalutazione del problema, che ovviamente non è stata espressa solo oggi, perché i giornali di queste settimane sono pieni di riflessioni che sostengono che non si debba affrontare tale questione. Invece, ritengo che ciò sia fondamentale: il problema è quindi non se affrontarla o meno, ma come.
Quanto al tema del CNEL, esso è stato trattato sia da Iovene sia da Cotturri sia dai rappresentanti dell'Azione cattolica. A titolo del tutto personale (come ciascuno di noi che in questa sede non esprime certo la posizione della Commissione bicamerale), ritengo che qualunque ipotesi di allargamento della composizione del CNEL non cambierebbe nulla rispetto alla sostanziale irrilevanza di quest'istituzione quale oggi è, ed a questo proposito sono meno fiducioso della collega Salvato. Del CNEL, secondo l'ipotesi formulata, farebbero parte non solo i rappresentanti del mondo produttivo, tradizionali, ma anche quelli dei soggetti non profit, e via dicendo, ma non cambierebbe assolutamente nulla; verrebbero pagati qualche indennità in più, qualche stipendio in più, qualche funzionario in più, vi sarebbe qualche convegno, qualche pubblicazione in più, ma non cambierebbe assolutamente nulla. Tale questione va affrontata con maggior coraggio e radicalità: personalmente sono per la pura e semplice soppressione del CNEL e per introdurre, invece, in Costituzione strumenti come quello delle autorità indipendenti, che voi stessi avete indicato, o l'istituto del difensore civico, cioè strumenti di altra natura e modernità. Il CNEL in qualche modo nella concezione costituzionale sembra essere il residuo di qualcosa che era rimasto nella cultura del tempo, che ha a che fare con la Camera dei fasci e delle corporazioni: nessuno si offenda per questo, ma c'è qualcosa di corporativo in quella logica, che è anche riemersa nelle audizioni di qualche esponente sindacale davanti a questa Commissione. Ho espresso il mio parere con una certa brutalità, ma credo sia l'unico modo vero di discutere tra noi con molta franchezza.
Quanto all'articolo 138, come ha già detto il presidente D'Alema, è stato quanto mai opportuno che il professor Cotturri abbia sottoposto alla nostra attenzione questo tema; credo, però, che sarà l'ultimo argomento che affronteremo: disegnato il complesso della revisione costituzionale, dovremo tirarne le conseguenze anche per quanto riguarda l'articolo 138. Inoltre, sono totalmente d'accordo sull'ipotesi di modifica della prima parte della Costituzione, ma il professor Cotturri sa che è competenza non di questa Commissione, ma del Parlamento nel suo complesso.
Vorrei ricordare - la collega Salvato certamente lo ricorda - che nella X legislatura il Senato approvò all'unanimità la revisione costituzionale degli articoli 9, 24 e 32 in materia di ambiente, di tutela degli interessi diffusi inseriti in Costituzione e di diritto alla salute in rapporto agli ambienti di vita e di lavoro, uno dei temi che voi stessi giustamente oggi avete sottoposto alla nostra attenzione. Sarà un tema fondamentale che il Parlamento, con la normale procedura di revisione costituzionale, dovrà affrontare.
Giudico, altresì, fondamentali le considerazioni svolte in relazione all'articolo 97 della Costituzione in tema di pubblica amministrazione, un tema che la Commissione bicamerale rischia di sottovalutare perché è a cavallo tra vari Comitati, con il rischio che nessuno di essi lo esamini nella sua pienezza. Quelle che sono venute da alcuni dei nostri interlocutori sono comunque indicazioni di revisione e di innovazione di grande interesse.
Ritengo, altresì, che tutte le questioni poste sia dal professor De Martin sia dal professor De Siervo sul tema della Corte costituzionale abbiano già trovato un primo potenziale recepimento nel dibattito

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generale che abbiamo svolto all'inizio dei nostri lavori, e proprio nella direzione che qui è stata indicata, cioè quella di un ampliamento delle competenze, delle forme di accesso, dei criteri di nomina dei giudici della Corte e forse, sia pure in misura moderata, anche di un allargamento della composizione della Consulta perché, se ne aumentiamo i poteri, nonché le possibilità di accesso, credo che dovremo immaginare anche un moderato allargamento della sua composizione. Il Comitato sulle garanzie, che ha questo tema all'ordine del giorno, sia pure non in via esclusiva, lo affronterà tra circa una settimana. Comunque, le indicazioni che ci avete dato saranno di grandissima utilità.
L'ultima osservazione, rivolta al professor De Siervo, riguarda la materia della magistratura. Suggerirei a tutti i presenti ed anche a chi leggerà i verbali di queste nostre audizioni - se qualcuno li leggerà - di prestare molta attenzione al dibattito effettivo che avviene in bicamerale ed ai testi che essa ha al proprio esame. Sui quotidiani di oggi possiamo leggere dichiarazioni preventive di una serie di soggetti, anche autorevolissimi, su un testo che è stato depositato ieri sera e che quindi quando quelle dichiarazioni sono state rese non poteva ancora essere conosciuto, non essendolo neppure da parte dei deputati e dei senatori. Se questo testo, che costituisce un'ipotesi di lavoro, verrà conosciuto, i membri della Commissione si accorgeranno che è esattamente l'opposto rispetto alla preoccupazione che è stata manifestata; voglio dire che, se si discute su qualche punto, è perché l'ipotesi di partenza è quella di un rafforzamento dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura rispetto a quanto oggi non sia in Costituzione, di un rafforzamento delle garanzie rispetto a quanto oggi non sia in Costituzione, per esempio con riferimento anche alle altre magistrature, non solo a quella ordinaria. Nell'ambito di un rafforzamento delle guarentigie, dell'autonomia, dell'indipendenza della magistratura, si tratta ovviamente di affrontare il tema centrale del rapporto tra i diversi poteri dello Stato ed all'interno di ciascuno di tali poteri; un tema che la Commissione bicamerale ha il diritto-dovere di affrontare perché è fondamentale per la riaffermazione e la valorizzazione dello Stato di diritto nel nostro paese.
Faccio quest'osservazione non perché non condivida l'esigenza che da ultimo il professor De Siervo ha rappresentato: la condivido a tal punto da sottolineare che le grida d'allarme preventive di cui vediamo cosparsi i giornali sono basate semplicemente su altri titoli di giornali e non sui testi sui quali la Commissione sta lavorando. Pertanto, sarà utile per il prosieguo del nostro dialogo (non credo che avremo tempo per tenere nuove audizioni, ma potremo certamente scambiarci testi e documenti) che ci si misuri con i testi che sono effettivamente in discussione.

FRANCESCO D'ONOFRIO. Vorrei svolgere qualche considerazione e porre alcune domande ai partecipanti alla seduta odierna, non senza aver prima espresso apprezzamento e ringraziamento per la serietà delle proposte avanzate e per l'importanza delle medesime. Per la verità, più d'una di esse era già nota ed in qualche misura era già stata assunta nel dibattito sviluppatosi in seno a questa Commissione, perché nessuna delle organizzazioni che oggi ascoltiamo si presenta per la prima volta sul panorama delle proposte di revisione costituzionale: sia il Forum, sia la Parte civile, sia l'Azione cattolica, sia la Commissione per le parità avevano avuto modo nei mesi scorsi di far conoscere opinioni ed orientamenti e quindi, in qualche misura, avevamo potuto tenerne conto, anche se è evidentemente diverso ascoltare in modo più concentrato e preciso queste riflessioni.
In riferimento alle proposte specificatamente avanzate dalla Commissione per le parità, vorrei porre alla collega Silvia Costa una domanda e ricordare con lei una circostanza. Il ricordo è riferito al suo intervento nel momento in cui, nel 1993, il Parlamento repubblicano adottò


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un determinato testo sia pure con enormi difficoltà (perché non c'è dubbio che in Parlamento la decisione di introdurre una legislazione di favore per la parità della rappresentanza delle donne creò dei problemi), subendo l'iniziativa politica che parlava di parità, ma certamente non sentendo questa parità come valore costituzionale da proteggere e favorire.
Ci dividemmo non solo all'interno di ciascuno partito o tra uomini e donne su due visioni molto diverse della parificazione tendenziale: Silvia Costa ricorda benissimo che fui tra coloro che sostennero quella proposta di legge, ma mi rendevo conto dei dubbi di costituzionalità che venivano avanzati da chi sosteneva la tesi opposta. Con grande rapidità (una rapidità che la Corte costituzionale ha dovuto adottare perché la materia elettorale non consentiva l'esperimento della legislazione di favore per l'elezione delle donne in quanto, dopo una sperimentazione, sarebbe stato molto difficile mandare per aria la legge ordinaria) la Corte costituzionale è intervenuta sulla base di una considerazione svolta in Parlamento dal movimento contrario alle norme diciamo di favore, norme che invece partivano dalla considerazione dell'esistenza di una diseguaglianza di fatto nell'accesso alla carriera àpolitica da parte delle donne; una diseguaglianza economica, sociale, istituzionale, organizzativa, elettorale, partitica. Vi era infatti un insieme di ragioni che spingeva verso l'attuazione del principio di eguaglianza mediante azioni positive. Eravamo nel pieno della cultura delle azioni positive: quella fu una delle azioni positive, e la Corte l'ha cancellata. Noi adottammo quell'orientamento in riferimento a liste di candidati (il principio era possibile, di fronte all'istituzione della lista); dicendo allora: la lista deve essere composta in modo tale da non rappresentare più di una certa percentuale di un solo sesso; qualora la lista sia quella del proporzionale della Camera dei deputati l'alternanza deve avvenire in un certo modo (non riuscimmo ovviamente a stabilire un principio analogo per il Senato, dove la quota proporzionale viene attribuita sulla base non delle liste ma dei quozienti più bassi).
Il nostro orientamento è attualmente in bilico, perché verifichiamo molti sistemi elettorali: di lista, per le elezioni comunali, tranne il sindaco; uninominale proporzionale, per la provincia, quindi senza lista; di lista con voto di preferenza, per le elezioni regionali, salvo il presidente, designato; uninominale maggioratario ad un turno, per Camera e Senato, ma con recupero di lista per la Camera; di lista con voto di preferenza, per il Parlamento europeo. Nel riproporre - giustamente, io ritengo - un'esigenza di parificazione tendenziale, la Commissione per le pari opportunità ha una preferenza per i sistemi elettorali che comprendano delle liste oppure accetta un'evoluzione del sistema che, procedendo verso modelli uninominali maggioritari (ad uno o due turni), non potrebbe ovviamente favorire un principio di riequilibrio (se non accettando la tesi sostenuta da me a Parigi quattro anni fa, ma che sarebbe difficile riproporre oggi, nei confronti del binominale - e non uninominale - maggioritario, cosa totalmente diversa da quella che la stessa Corte costituzionale avrebbe esaminato)?
Non so se esistano neanche lontanamente le condizioni per affrontare questo tema, ma questa domanda è centrale. La spinta al riequilibrio, che il collega Boato ha colto con molta precisione in una formulazione che attiene non a sistemi elettorali precisi ma ad una esigenza di riequilibrio (l'articolo 65, come modificato dalla vostra proposta, reciterebbe: «La legge determina i criteri per promuovere l'equilibrio della rappresentanza fra i sessi»), potrebbe essere una normativa di orientamento che renderebbe forse difficile alla Corte costituzionale ricancellare legislazioni di favore, qualunque ne sia il contenuto, potendo essere legislazione di favore non necessariamente quella relativa all'elezione alle cariche elettive ma la rimozione di tutti gli ostacoli che rendono difficile l'elezione. Questo punto mi sembra importante, anche per capire i termini

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di un'eventuale battaglia in Commissione bicamerale che non abbia per così dire le caratteristiche di una battaglia di pura bandiera (cosa che si può anche fare ma che sconta l'inesistente possibilità di un risultato positivo) e che invece porti ad un consenso anche costituzionale più largo.
Vorrei che su questo punto si esprimessero anche gli altri nostri ospiti, perché la domanda della Commissione per le pari opportunità non è rivolta alla Commissione bicamerale, è una domanda che viene dalla società civile e che divide la società stessa. Mi sembra opportuno sentire l'opinione in ordine a questo principio di parità delle rappresentanze della società civile. Abbiamo incontrato infatti enormi resistenze nella società civile rispetto a questa battaglia, che non va rivolta ai parlamentari, come se la società civile fosse compatta; occorre capire se nella società civile il principio sia stato o meno considerato seriamente. Si parla infatti di pluralismo e di sussidiarietà che ovviamente da questo punto di vista non possono non riguardare anche la questione femminile; pluralismo e sussidiarietà non sono né principi solo territoriali istituzionali, né principi sociali orizzontali tra formazioni sociali indifferenziate dal punto di vista della differenza di sesso.
Non intervengo su tutte le considerazioni svolte, perché sarebbe complicato e perché ci sarà occasione di confrontarsi ulteriormente sui testi e sulle proposte. Ripropongo però la questione del federalismo, perché tornerà a tormentare i nostri lavori più di quanto finora probabilmente non sia apparso. Dico molto schematicamente che noi ci siamo confrontati con due grandi teorie costituzionali dello Stato, da due secoli a questa parte: l'esperienza francese (il potere politico è centrale e dal centro si diparte, lo Stato è unitario e il resto è gerarchicamente subordinato) e l'esperienza americana (il potere parte dal basso e lo Stato è federale). Noi siamo di fronte a questa alternativa perché la vigente Costituzione italiana contiene entrambi i principi. L'articolo 114 della Costituzione dice che «La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni», affermando di fatto che Repubblica e Stato coincidono. È il modello francese: i poteri sono dello Stato e vengono decentrati, distribuiti ed organizzati. Si tratta della traduzione del principio dello Stato centralizzato napoleonico, che poi porta a cascata tutte le altre norme previste: lo Stato si decentra in regioni, province e comuni; i comuni e le province sono sottoposti ai controlli regionali; la regione è sottoposta a quelli statali; i controlli sono sull'attività amministrativa. È il modello napoleonico che entra nella nostra Costituzione per via degli articoli 114 e seguenti.
Nella nostra Costituzione abbiamo però anche il principio opposto, perché il riconoscimento delle comunità locali diventa, nell'articolo 5, il principio di ordinamento della Repubblica.
Si tratta di una Costituzione di compromesso «nobile» tra due culture opposte, una statocentrica e l'altra societacentrica, due culture che si sono composte e che sono convissute in questi cinquant'anni.
Noi siamo di fronte ad una scelta, che non è tra federalismo competitivo e federalismo cooperativo; non credo che nella Commissione bicamerale vi siano colleghi e forze politiche disposti a non riconoscere la necessità di una cooperazione tra istituzioni, e non credo che vi siano colleghi e forze politiche disposti a ritenere che il federalismo non comporti qualche elemento di competizione. L'alternativa è molto più radicale, e di qui la domanda che pongo agli esponenti della società civile: in tema di democrazia maggioritaria, quella che abbiamo alle spalle non era minoritaria, era una democrazia maggioritaria basata sul proporzionale; chi governava aveva il consenso della maggioranza dei parlamentari e si presupponeva che si trattasse del consenso della maggioranza dei cittadini. Se per democrazia maggioritaria intendiamo invece un modello nel quale i cittadini determinano chi governa (nel comune, nella provincia, nella regione, a livello centrale), corollario di questo principio è che chi governa non debba potersi discolpare

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dicendo di aver tentato, ma di essere stato ostacolato dalla Camera delle autonomie oppure dalla Camera delle regioni che ha impedito di realizzare una determinata politica economica.
Al principio di responsabilità che rappresenterebbe la novità costitutiva del nuovo Stato federale italiano si contrappone il principio della consociazione, principio nobilissimo che ha le sue radici nella cultura organicistica, cattolica e marxista e che ha le sue traduzioni nei modelli costituzionali proporzionali, che ancora oggi sono - non casualmente - fortemente sostenuti da componenti cattoliche e comuniste, per ragioni storiche, civili, culturali. Ebbene, il sistema proporzionale è legato al modello organicistico, conduce alla proposta consosciativa, sente la responsabilità come un fatto in fondo alternativo; il principio di responsabilità richiede altre cose.
Domando dunque ai nostri ospiti se condividano il principio di responsabilità, che presuppone che ci si presenti agli elettori con un programma, che lo si possa attuare ragionevolmente senza i condizionamenti di altre istituzioni, elettive anch'esse, e che quindi si risponda dell'attuazione del programma secondo un principio democratico-liberale. È questa la svolta del federalismo che sta a cuore a me; non pretendo che sia la verità, ma è questo l'oggetto della discussione in Commissione molto più del competitivo e cooperativo, che sembra si sia affermato per ragioni mitologiche che ogni tanto assorbono il dibattito italiano senza capire quali siano le motivazioni di fondo.
Ultimo corollario. La tutela delle opposizioni in sede di Corte costituzionale non è coerente con una tutela realizzata attraverso la consociazione. Se le opposizioni sono tutelate dalla consociazione, infatti, non hanno bisogno di ricorrere alla Corte costituzionale. Considero giustissimo il ricorso dei comuni e delle province alla Corte costituzionale, ma la tutela riguarda la loro piena autonomia, che non può essere modificata dalla compresenza in un'assemblea di un altro comune o di un'altra provincia che limitino l'esercizio delle libertà.
In sostanza, i principi di tutela costituzionale che noi consideriamo assolutamente da accogliere sono per noi parte del principio di responsabilità e quindi alternativi al principio consociativo. È una questione di fondo su cui avrei piacere di conoscere la loro opinione.

LEOPOLDO ELIA. Per quanto riguarda la questione femminile rispetto all'effettività della tendenza paritaria, credo che nella sentenza della Corte costituzionale si debba distinguere fra motivazioni e dispositivo.
Effettivamente le motivazioni contengono punti molto discutibili: l'assoluta parificazione fra candidabilità e eleggibilità può prestare il fianco a critiche; si può inoltre discutere circa l'effettività del risultato che si raggiungeva con le disposizioni sulle candidature (naturalmente non vi era alcuna garanzia che l'equilibrio ricercato - sia pure grezzamente - nelle candidature si riproducesse nei risultati elettorali).
Va meglio valutato, invece, il dispositivo. Quest'ultimo corrisponde ad un'opinione comune anche alla maggior parte dei giuristi francesi, che oggi si trovano a dover fronteggiare un po' lo stesso problema: il principio dell'eguaglianza applicato alle elezioni esige - per la storia costituzionale europea - un massimo di rigidità. Nella storia del Belgio, per esempio, vi sono esperienze di voto differenziato e reso multiplo in relazione alla cultura, al titolo di studio, allo stato di padre di famiglia. Si capisce, allora, come l'esigenza di assoluta indifferenziazione abbia un peso anche nella giurisprudenza costituzionale. In Francia oggi si dice che, se si vogliono introdurre norme a favore della rappresentanza femminile paritaria o equilibrata, bisogna addirittura sospendere l'efficacia di alcuni principi e norme costituzionali, con una sorta di deroga temporanea. Credo che nella sentenza della Corte vada appunto colto questo significato. Dobbiamo allora distinguere e


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scegliere fra le soluzioni proposte dalla Commissione per le pari opportunità.
Da una parte potremmo optare per una norma di carattere più generale, come quella suggerita per l'articolo 65, su una rappresentanza equilibrata. Si tratterebbe di una norma-principio, che però avrebbe il valore di stabilire che rispetto ad un'interpretazione rigida del principio di eguaglianza - basata sull'esclusione di ogni differenziazione riferita al sesso (principio contenuto nell'articolo 3 ed in qualche modo ribadito nell'articolo 51) - prevale la ricerca dell'effettività, cioè il secondo comma dell'articolo 3. Quindi non potrebbe essere opposta un'eccezione di incostituzionalità alla ricerca di questa parità o, per meglio dire, di questa equilibrata rappresentanza.
D'altra parte, vi è la soluzione della norma transitoria, molto interessante anche perché pone il problema del ricorso a questo tipo di strumento nella revisione costituzionale. Penso, per esempio, che in tema di federalismo sarà ben difficile privarci di qualche norma transitoria. In sostanza, la sospensione temporanea o la deroga a certe altre norme di principio potrebbe essere considerata nettamente un'azione positiva, destinata ad esaurirsi nel tempo una volta conseguito di fatto un relativo equilibrio in tema di rappresentanza femminile.
Dobbiamo però tenere presente che la Corte potrebbe reagire ancora ritenendo che anche con legge costituzionale siano stati violati quelli che a suo avviso sono principi fondamentalissimi. Ove adottassimo queste scelte, allora, dovremmo essere attenti a motivarle in modo da tener conto anche di questo possibile sviluppo.
Tralascio di soffermarmi sul problema del CNEL, perché vorrei occuparmene in sede di audizione del presidente di quell'organo.
Un passo del documento dell'Azione cattolica mi suggerisce alcune riflessioni sulle diverse interpretazioni di federalismo, sottolineate dall'onorevole D'Onofrio - relatore nel Comitato forma di Stato - nel suo intervento. La questione federalismo cooperativo-federalismo competitivo effettivamente dà luogo ad equivoci, perché vi è una cooperatività intrinseca nell'idea di federalismo che andiamo sviluppando. Quando si dice che l'attività amministrativa sarebbe affidata in larghissima misura alle regioni ed agli enti locali, naturalmente si include un elemento ed una dinamica di cooperazione, perché regioni e comuni sarebbero chiamati ad applicare anche le leggi della Repubblica, le leggi statali (non semplicemente quelle regionali). Tutto questo esige un certo apporto di concertazione, di intesa, di inserzione nel circuito legislativo, proprio perché le leggi dovranno essere applicate da quelle istituzioni. È evidente che si applicano meglio, con più aderenza allo spirito delle leggi, le norme che siano state frutto di interventi molteplici, in cui siano stati tenuti presenti interessi ed esigenze di altro tipo.
È chiaro, poi, che una competitività è inclusa nel diritto alle differenze ed alle identità di cui si è parlato: differenze ed anche una certa competizione - che potrebbe essere nobile (quindi non nel senso in cui è stata intesa finora) - tra regione e regione. Altro è il senso che oggi si dà alla competitività contro la cooperatività: maggior rigore nella definizione delle competenze. Maggior rigore in cui taluni credono e altri credono meno (sulla base dell'esperienza storica).
Per concludere su questo punto, vorrei dire che il problema posto dal collega D'Onofrio forse dovrebbe essere orientato in senso parzialmente diverso. Innanzitutto l'articolo 114 va secondo me interpretato alla luce dell'articolo 5: il principio fondamentalissimo del superamento del centralismo (napoleonico o di altra natura) è contenuto nell'articolo 5 e deve influenzare anche l'interpretazione di tutti gli altri articoli, compreso l'articolo 114. La nostra Costituzione è meno antinomica di quello che forse si potrebbe pensare in una prima lettura. D'altra parte, chi sostiene la necessità della concertazione non contraddice il principio di responsabilità nell'azione di governo, perché è chiaro che una volta entrata in vigore la legge, essa deve essere applicata e deve rendere

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responsabili i vari livelli di governo; non vi è alcuna tendenza alla consociazione: è una estrapolazione ideologica quella di voler risalire ad un certo tipo di radici politiche.
Vedo difficoltà nell'identificare i livelli di governo e nell'attuare il principio di responsabilità in relazione al rapporto obiettivi-mezzi: intanto si è responsabili, in quanto, per raggiungere gli obiettivi che le leggi e la Costituzione propongono, esistano le risorse messe a disposizione da chi governa. Questo è per noi il vero problema (dico noi nel senso di gruppo dei popolari).
Certamente, la consociazione è il contrario della democrazia dell'alternanza e noi questo rifiutiamo, vogliamo però che sia chiarita la natura processuale del federalismo e che si comprenda la necessità di compiere uno sforzo serio per proporzionare responsabilità di governo e risorse messe a disposizione. Di qui la gravità delle problematiche del federalismo fiscale, sul quale non mi soffermo non essendo questa la sede.

FRANCA D'ALESSANDRO PRISCO. Vorrei anch'io ringraziare gli intervenuti alla seduta odierna, i quali ci hanno illustrato tematiche importanti e necessarie, più che utili, per il nostro lavoro. L'analogia delle tematiche ci richiama ancor più a verificare come, nella riscrittura della parte seconda della Costituzione, sia bene tendere alla formulazione di norme per l'attuazione dei principi fondamentali contenuti nella prima parte, ciò sia per quanto riguarda le questioni trattate dal Forum, sia per quelle evidenziate dalla Commissione nazionale per le pari opportunità.
Il Forum del terzo settore ha trattato moltissime questioni, tutte di grandissimo interesse, rispetto alle quali ne sottolineerò una non secondaria, che chiama in causa la riscrittura dell'attuale articolo 97 della Costituzione relativo alla pubblica amministrazione. Premesso che abbiamo iniziato a svolgere una verifica in sede di Comitato, riteniamo che l'articolo 97 debba essere adeguato a tutte le innovazioni introdotte con legge ordinaria all'ordinamento della pubblica amministrazione nel corso del cinquantennio e, in particolare, dell'ultimissimo periodo. In proposito, è sufficiente riflettere sulla recentissima legge n. 59, sul conferimento di funzioni e compiti alle regioni, nonché sull'altro provvedimento in discussione alla Camera, che tornerà quanto prima al Senato.
Inoltre, l'articolo 97 deve anche essere adeguato all'enorme sviluppo che nei cinquant'anni di vita della Costituzione si è registrato nella realtà civile, politica e nella legislazione (in proposito sono state richiamate le leggi n. 142 e n. 241 del 1990) circa la partecipazione popolare, per cui vi è necessità di innovare negli strumenti del potere popolare.
I suggerimenti che sono stati dati sono di grande interesse e su di essi penso che occorrerà lavorare approfonditamente; tuttavia chiedo precisazioni relativamente alla ratio dell'ipotesi di costituzionalizzazione dei diritti contenuti nelle stesse leggi n. 142 e n. 241, per comprendere fino in fondo la capacità di estenderne gli effetti oltre il loro dettato: è un chiarimento necessario ai fini del nostro lavoro.
Sono convinta che la debolezza di queste due leggi, molto parzialmente attuate, sia ascrivibile quanto meno - anche se numerosi possono essere i fattori - alla scarsezza o all'assenza di sanzioni di fronte all'inadempienza delle pubbliche amministrazioni circa i diritti dei cittadini, sanciti con tali norme. Mi chiedo quale rapporto esista tra l'introduzione di sanzioni, rispetto ai principi in esse contenuti, e la costituzionalizzazione proposta.
In ordine ai temi trattati dal presidente Silvia Costa, ci troviamo nella necessità (tale la ritengo e su di essa mi esprimo) di individuare norme che conseguano ai principi contenuti nell'articolo 2 e pongano condizioni generali al fine del raggiungimento dell'obiettivo dell'uguaglianza sostanziale - questa infatti, come sottolineava opportunamente il presidente D'Alema, è cosa diversa dall'enunciazione di principi fondamentali, teorici, che pur


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nella prima parte della Costituzione sono affermati -, in questo caso dell'uguaglianza sostanziale nell'elettorato passivo e, di conseguenza (è cosa diversa, non un sinonimo) del riequilibrio della rappresentanza. Non voglio fare analisi teoriche, ma se indubbiamente nell'uguaglianza per l'elettorato passivo si può individuare anche il diritto soggettivo di ciascuna donna di candidarsi e di venire eletta, vorrei comunque sottolineare l'interesse generale della democrazia di ciascun paese di veder affermato, in concreto, il principio del riequilibrio della rappresentanza. In questo caso, dunque, si tratta di un interesse di carattere generale.
Vorrei richiamare, come ha fatto il senatore D'Onofrio - e prima di lui il presidente Silvia Costa - l'esperienza della bocciatura della legge del 1993 da parte della Corte costituzionale, che ci impegnò non poco al fine di introdurre questo elemento di innovazione proprio nell'ottica dell'azione positiva, all'interno della legislazione (vi è una legge sulle azioni positive) e del principio costituzionale. Abbiamo presenti gli effetti reali prodotti nelle ultime elezioni, in cui si è registrata una diminuzione - in numeri assoluti e relativi - per quanto riguarda l'elezione di donne.
Dico, per memoria, che dobbiamo anche riflettere sull'effetto che il sistema maggioritario (da me considerato positivo e giusto) ha prodotto a questo riguardo, in quanto si è affidato il tutto alla volontà politica dei soggetti che sono determinanti nella formazione delle candidature. Questa è la ragione che milita a favore dell'eventuale introduzione di norme che costituzionalizzino la necessità di attuare concretamente il principio generale.
Non credo che convenga in questa fase (ma la domanda del senatore D'Onofrio non era rivolta a me, quindi non devo rispondere io) sovrapporre i due piani dell'opportunità dell'introduzione di norme che vincolino - perché sono a livello costituzionale - e dell'esame dei sistemi elettorali. Dobbiamo avere una separazione, dobbiamo avere l'affermazione della norma, che poi, a seconda del diverso sistema elettorale, verrà attuata. Naturalmente lo si potrà fare in sedi del tutto diverse, che possono essere sedi politiche, sedi nelle quali prevalgono, appunto, l'interesse della rappresentanza femminile e la valutazione dei sistemi elettorali che meglio possano rispondere al principio. Sarei però dell'opinione di non operare una sovrapposizione.
Possiamo quindi senz'altro accettare l'invito che ci viene rivolto, avendo presenti questi ed anche molti altri aspetti concreti (che adesso non esamino e neanche cito): bisogna lavorare all'individuazione di formulazioni che a mio parere debbono essere costituzionalmente le più corrette, le più inattaccabili, ma al tempo stesso avendo un po' il coraggio della discontinuità, perché è difficile innovare volendo applicare necessariamente principi costituzionali acclarati e permanentemente diffusi non solo nel nostro paese ma anche nelle democrazie a noi vicine, nelle democrazie europee. In poche parole, dobbiamo lavorare su questo tema per raggiungere l'obiettivo dell'uguaglianza sostanziale.
In conclusione, non mi sembra opportuno esprimere una personale preferenza per le soluzioni che sono state ipotizzate; tra l'altro, questa è materia del Comitato Parlamento e fonti normative, del quale faccio parte, per cui in quella sede avremo modo di approfondire tali questioni. Voglio solo manifestare apprezzamento per il lavoro importante che è stato svolto e che ci è stato qui proposto e quindi ringraziare per il contributo.

GIOVANNI RUSSO. Innanzitutto desidero anch'io esprimere il mio apprezzamento e ringraziamento per i contributi veramente molto utili e significativi che ci sono venuti questa mattina. Avrei piacere di ascoltare ancora qualcosa di più, in particolare dai rappresentanti del terzo settore e dell'Azione cattolica, per quanto riguarda la loro opinione sui sentimenti, gli auspici o le preoccupazioni con cui la società civile che rappresentano guarda all'attività di riforma in materia di giustizia. L'accenno fatto dal rappresentante


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del terzo settore, quando ha detto «la nostra impressione è che si dovrebbe intervenire, certo, sulla denegata giustizia, ma che ci sia meno interesse ai rapporti tra politica e magistratura», l'ho inteso in questo senso: l'opinione è che sulla denegata giustizia si possa intervenire con strumenti ordinari ma che vi sia meno interesse verso modifiche ordinamentali che riguardino la magistratura.
Credo anch'io che i cittadini guardino al problema del rapporto politica-magistratura; la mia impressione è che vi guardino con la preoccupazione che non ci sia un tentativo della politica di condizionare o di limitare l'autonomia e l'indipendenza della magistratura. Vorrei avere una risposta in merito a questa mia sensazione.
In particolare per ciò che concerne i temi vivi oggi in discussione, cioè l'obbligatorietà dell'azione penale, un'eventuale modificazione dell'ordinamento per quanto riguarda la posizione dei pubblici ministeri, una modifica nella composizione del Consiglio superiore della magistratura, come sono visti questi problemi? Sono sentite come necessarie modifiche in questo campo, o invece - cito solo un esempio - una modifica nel rapporto tra membri laici e membri togati del Consiglio superiore della magistratura non sarebbe vista, intesa, interpretata come un tentativo di limitare l'autonomia dell'ordine giudiziario?
Su questi temi, ed anche sui nessi che si vedono tra principi fondamentali e riforme in questo campo, credo che sarebbe utile ascoltare l'opinione dei nostri ospiti quest'oggi, per la vicinanza che certamente hanno con settori importanti dell'opinione della società civile.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai nostri ospiti per le repliche.

SILVIA COSTA, Presidente della Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna. Ringrazio molto i parlamentari intervenuti, anche per le numerose ed interessanti osservazioni ed integrazioni, nonché per l'accoglimento, da molti dimostrato, delle istanze che abbiamo posto come Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità.
Vorrei rispondere brevemente alle domande ed alle richieste di integrazione che sono venute in particolare da alcuni commissari, cominciando dalla senatrice Salvato. Penso di poter dire, anche a nome della Commissione, che se è certamente vero che la Costituzione complessivamente è invecchiata, non sono così convinta che la prima parte di essa non rappresenti ancora oggi una base di grande significato e di grande importanza, che secondo me consente tuttora interpretazioni dinamiche ed evolutive dei diritti ivi contenuti, come tra l'altro dimostra molta parte della giurisprudenza della Corte costituzionale.
Non voglio aggiungere quello che sarebbe un discorso di parte che non mi compete, in quanto io rappresento una Commissione molto ampia e collegiale, ma per certi versi potrei esprimere quasi la preoccupazione che alcune parti, che si rivelano ancora oggi sapienti, della prima parte della Costituzione possano essere modificate in un momento in cui lo stesso presidente della Commissione, nella sua relazione introduttiva ai lavori della bicamerale, aveva espresso la difficoltà odierna di avere valori condivisi, quasi un umanesimo comune, che paradossalmente all'epoca della redazione della Costituzione era forse più diffuso nonostante il più forte conflitto ideologico. Tuttavia questa è una notazione assolutamente personale, per cui mi scuso per aver fatto una piccola digressione.
In particolare, credo che il tema della differenza, che non solo sta a cuore alla senatrice Salvato ma penso sia legato ad un approccio che oggi vede la cultura delle donne più attenta ad una parità nella diversità, quindi nella valorizzazione della differenza (che non è un limite ma è una risorsa), a ben guardare il comma 2 dell'articolo 3 sia assunto nella duplice accezione. Non solo la differenza non deve essere motivo di discriminazione, ma essa è anche e soprattutto un valore


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laddove si dice che la rimozione degli ostacoli di fatto è finalizzata non alla omologazione delle differenze, ma al pieno sviluppo della persona umana. Ed avendo la persona umana una sua specificità, ontologica e di condizione, di status, mi sembra che questa sia la maggiore garanzia che si voglia e si debba porre maggiore attenzione - è questo il punto che abbiamo posto, anche nei confronti della parte seconda della Costituzione; non so se si tratti proprio di una vera discontinuità, come diceva la senatrice Prisco: in parte sì, ma in parte forse è una più matura consapevolezza, a cinquant'anni di distanza - a che l'effettività dei diritti pronunciati nella prima parte debba poi essere accompagnata da strumenti maggiori. In qualche modo è un approfondimento e un arricchimento del principio di uguaglianza, pur nel rispetto della differenza, che nella prima parte della Costituzione è previsto.
Siamo anche consapevoli, senatrice Salvato, di quanto sia sofferta, anche da parte nostra, questa richiesta di specificità, di attenzione, con misure atte a garantire quello che dovrebbe essere un diritto costituzionale, anche se riteniamo tali misure assolutamente legittime e legate ad un'osservazione piana della realtà. Esiste una via maestra che rimane e che ovviamente non deve esimere le forze politiche, sociali ed economiche del paese dal rimuovere quelle discriminazioni ancora esistenti nei confronti dei cittadini e delle cittadine in particolare, quindi che è tutta affidata in primis, credo, agli attori politici, di conseguenza anche ai partiti politici. Ma è anche vero che proprio il collegamento, che la stessa senatrice auspica, tra la prima e la parte seconda della Costituzione, per avvalorare maggiormente il principio dell'uguaglianza e delle misure atte a rimuovere gli ostacoli, mi sembra che legittimi la nostra proposta, peraltro raccolta da alcuni autorevoli parlamentari, di dare più forza a questa uguaglianza sostanziale anche nella parte seconda della Costituzione.
Ringrazio il senatore Boato in particolare della sottolineatura di quella formula come la più alta; penso che probabilmente questo atterrà alla determinazione della Commissione rispetto alla prospettazione che abbiamo fatto delle varie ipotesi.
Colgo l'occasione per ribadire - forse nella mia esposizione non era stato sufficientemente chiarito - che le nostre proposte, anche se tendono ad integrare quegli articoli che riguardano soprattutto la sfera del riequilibrio della presenza nella rappresentanza elettiva - si tratta di un primo contributo, ne faremo pervenire altre - vanno nella direzione di rivedere tutti i meccanismi che possono consentire una promozione concreta.
Faccio un esempio abbastanza specifico che riguarda appunto la via maestra dell'azione politica: l'articolo 49 della Costituzione che praticamente è stato disatteso - parlo della democrazia interna ai partiti politici, che spesso, se posso dire, ha molto a che fare con una discriminazione rispetto alla pari opportunità tra uomini e donne - meriterebbe, in un pronunciamento che forse la Bicamerale renderà anche su questo tema, la richiesta di rendere più effettiva e cogente questa iniziativa legislativa che a tutt'oggi non è stata ancora prodotta.
Il senatore D'Onofrio ha posto due questioni di grande interesse. Egli ha colto perfettamente il nostro intento di costituzionalizzare il principio del riequilibrio nell'accesso alle cariche elettive, in questo senso interpretando e rafforzando il contenuto dell'articolo 3, ma anche dell'articolo 51 rispetto all'uguaglianza. Da questo punto di vista, egli pone tuttavia un secondo più stringente quesito; chiede se valutiamo un diverso impatto sulla promozione della condizione femminile di diversi sistemi elettorali.
Capirà il senatore D'Onofrio che qui rappresento insieme alla collega Sotgiu una commissione che vede al suo interno rappresentanze delle diverse forze politiche presenti anche in Parlamento, per cui ciascuna si esprimerà nel pluralismo politico interno. Credo tuttavia che una cosa si possa dire, anche se, come sosteneva la senatrice D'Alessandro Prisco, tutto questo atterrà ad un dibattito successivo; una

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volta che si sarà affermata e recepita quest'affermazione di principio negli esiti della Commissione bicamerale, la relativa discussione sarà affidata al legislatore ordinario. Una cosa si può comunque dire con certezza (credo che questa sia un'osservazione piana): tutti i sistemi elettorali che consentono una maggiore garanzia di accesso alla base - in questo vi è senza dubbio una sorta di trasversalità di attenzione anche con il terzo settore - tutto ciò che favorisce maggiore trasparenza, anche nel rapporto tra responsabilità e poteri, accesso, la possibilità di una rappresentanza nelle istituzioni delle spinte sociali dove le donne sono presenti ed hanno una autorevolezza, tutto questo le favorisce; al contrario, tutto ciò che tende a verticalizzare, ad accentrare o a ridurre lo spazio dell'interlocuzione tra società civile e istituzioni, tutto questo va contro la presenza delle donne.
Mi sono permessa di accennare anche in modo abbastanza esplicito alla necessità che il maggioritario presenti alcuni correttivi; abbiamo formulato alcune ipotesi (le primarie, il doppio turno); senza dubbio, tutto ciò che consente la più ampia raccolta della società civile nella prima istanza favorisce la possibilità di non ridurre gli spazi.
Il senatore Elia ha indicato molto opportunamente la distinzione tra le motivazioni del dispositivo della sentenza della Corte. Ci interessa molto aver constatato un suo orientamento prevalentemente favorevole all'ipotesi della norma transitiva che verrebbe a configurare queste misure come azioni positive mirate, anche se certamente anch'io ritengo che debbano essere ben motivate per evitare possibili ulteriori disavventure con la Corte costituzionale. In questo dobbiamo avere molta attenzione non soltanto alla questione francese, che forse in qualche modo sta esasperando il tema - non credo che sia proprio questa la via verso la quale si voglia andare; tra l'altro la costituzione francese ha una dignità diversa dal punto di vista della sua flessibilità rispetto ad una Costituzione rigida come la nostra - ma anche al dibattito internazionale, alle direttive e agli impegni internazionali già esistenti sulla materia, che hanno di fatto non dico «costituzionalizzato» ma certo reso abbastanza cogente, ormai un valore comune diffuso, il sistema delle azioni positive mirate.
Ringrazio la senatrice D'Alessandro Prisco per aver sottolineato l'importanza di un principio costituzionalizzato di ordine generale, che poi rimanderà opportunamente al legislatore ordinario le questioni di scelta del sistema elettorale.

GIUSEPPE COTTURRI, Coordinatore dell'iniziativa Parte civile. Le questioni poste sono tante, per cui sarò rapido e schematico.
Si rende intanto necessaria una premessa che serve a capire il criterio della risposta. Evidentemente siamo qui come soggetti politico-sociali, non come esperti, quindi accogliamo volentieri le domande che ci sono state rivolte per testare il dibattito che si svolge in Bicamerale, intendendole tuttavia come impegno ad elaborare, a consultarci, a far crescere nelle nostre file una capacità di proposta, anche come appuntamento rinnovato in questa sede. Alcune sono state tra noi già prese in considerazione, per cui non mi nasconderò dietro l'argomento metodologico: dove sarà possibile dare un'indicazione che esprima un'elaborazione matura tra di noi, la darò.
Sulla giustizia mi sembra del tutto evidente che esprimiamo una sensibilità, non attuiamo una contrapposizione tra due livelli di questioni che esistono. Questa sensibilità ci porta a mettere al primo punto la questione. Individuando attraverso la proposta dell'articolo 138 riformato un nucleo essenziale di diritti, libertà e garanzie poste nella prima e nella parte seconda della Costituzione, abbiamo inteso esattamente indicare la convinzione della necessità di difendere l'impianto esistente, di migliorarlo, non di indebolirlo o di alterarlo in forme che non corrispondono a quella ispirazione.
Rispetto alle domande che poi specificamente riguardano l'obbligatorietà dell'azione penale, le necessarie modifiche


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ordinamentali, anche qui non si tratta di qualcosa di nuovo. Vorrei solo ricordare che è uno degli impegni indicati nelle norme transitorie della Costituzione e che mai è stato concretamente preso in esame dal Parlamento. Quindi, semmai, si tratta ancora una volta di un richiamo ad un impegno e ad un'indicazione molto precisa.
Attraverso questo richiamo abbiamo voluto anche far rilevare l'importanza dell'integrazione tra piano nazionale e fonti internazionali. I commissari che sono intervenuti sollecitandoci in questo senso hanno apprezzato tale apertura e vogliono enfatizzare quest'indicazione. Siamo convinti che la strada è questa.
Semmai, un aspetto del vostro dibattito, che per la verità non è stato richiamato nei vostri interventi, a noi interessa molto: il principio dell'unità della giurisdizione. Tutti i movimenti di cittadinanza attiva svolgono attività di orientamento ai percorsi di tutela, di assistenza nella scelta tra la giustizia amministrativa, quella civile o quella penale, mentre questa è una delle questioni che si possono risolvere indicando l'unicità della giurisdizione e consentendo al cittadino di non vedere interrotto il suo iter di tutela per il fatto che ha sbagliato, per così dire, la porta di accesso.
Per quel che riguarda il tema del potere popolare, anche in questo caso è stato colto lo spirito della nostra proposta. È nostra convinzione profonda che tutte le distorsioni avvenute nella pratica e nell'utilizzazione del referendum abrogativo a fini più larghi - dall'impostazione di grandi campagne di orientamento all'imposizione nell'agenda politica di un tema, alla legislazione nuova - possono trovare migliore soluzione, anche per il fatto che alcune questioni già si stanno risolvendo.
La questione del sistema maggioritario e della rilevanza del pronunciamento popolare per la scelta dei governi e per dare ad essi stabilità e responsabilità è già avvenuta tramite pronuncia popolare; la scelta di far intervenire il pronunciamento popolare sulle materie di revisione costituzionale è fatta dalla legge istitutiva di questa Commissione. Ci sembra che questo significhi un potere più ampio. Anche per quanto riguarda le materie internazionali, siamo convinti che si possa non solo riconoscere questo punto ma dare una motivazione forte. La ragione per cui allora, in Costituente, si sottrasse questa materia dal potere popolare diretto era dovuta al contesto delle relazioni internazionali e alla preoccupazione che un corpo popolare non informato e orientato potesse indebolire la responsabilità che i governi assumevano nelle relazioni internazionali stesse. Oggi, a noi sembra che altri popoli si siano potuti pronunciare e che la stessa integrazione europea, lo stesso processo di unità politica europea avvengano attraverso un convincimento profondo della cittadinanza rispetto agli obiettivi finali dell'unificazione.
Anche le misure economiche e congiunturali non passano se non hanno dietro questo convincimento. Viceversa, i governi nazionali ricavano maggiore autorevolezza nei rapporti internazionali - pensiamo alla revisione di Maastricht - se hanno dietro di sé chiare espressioni di indirizzo popolare su questa materia.
A proposito del CNEL, siamo convinti anche noi che la storia di questa istituzione sia di marginalità. Tuttavia, vorrei far riflettere che essa non è casuale, non sta nel disegno istituzionale o nella carenza dei poteri - peraltro proponiamo anche che siano rafforzati - ma nel fatto che i soggetti ivi presenti, sia le organizzazioni espressive del mondo del lavoro sia quelle del mondo delle imprese, nel sistema politico materiale di questo paese hanno avuto altre sedi per farsi valere e altre forme per intervenire nel processo politico: la concertazione nei momenti più alti, l'attività di lobbying oppure forme di conflitto.
L'utilizzazione, invece, di sedi istituzionali anche per istituzionalizzare forme più complesse di trattativa tra parti sociali non omologhe, non riconducibili al solo conflitto lavorativo, è una delle strategie che può arricchire la nostra democrazia. Siamo convinti, per esempio, che già nel

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mondo delle imprese vi sia una linea di riflessione che per le medie e piccole imprese porta a valorizzare le camere di commercio, cioè sedi istituzionali che siano qualcosa di specifico e di utile alla rappresentatività, che non vuol dire rappresentanza ma espressività, capacità di comunicazione, intervento nel processo cognitivo pubblico. È in questo senso che intendiamo la riforma del CNEL: anzitutto, processi cognitivi diversi. Un conto è che un'istituzione appalti ricerche a degli esperti, un altro è che sia invece abitato da soggetti che, per la loro presenza e radicamento nel territorio nazionale, sono già in grado di monitorare l'andamento dei processi per restituire questioni istruite, in forma di problemi da risolvere, all'organo superiore decisionale.
Da questo punto di vista, chiediamo anche che non vi sia soltanto un potere debole di proposta ma una corsia preferenziale per le iniziative legislative che vengono da questo momento istituzionalizzato di nuovo percorso sociale.
Passo ad alcune questioni su cui ci sono state rivolte domande specifiche. Siamo profondamente convinti della discriminazione, della restrizione attuata, non solo nel principio costituzionale ma anche nella vita pubblica del nostro paese, nei confronti del sesso femminile. Se i commissari guarderanno non solo il documento unitario Forum Parte civile ma anche le elaborazioni integrative, coglieranno che la nostra ambizione è di arrivare persino a riscrivere l'articolo 1 della Costituzione, evidenziando il fatto che questa Repubblica è fondata non solo sul lavoro tradizionalmente inteso, cioè quello economico e produttivo, ma su tutti i lavori di cura e di attività socialmente utili, all'interno dei quali il valore della differenza sessuale non è da enumerare tra gli handicap da rimuovere (articolo 3) assieme alla bassa condizione sociale, bensì da considerare come uno dei valori che ispira la formazione di un pubblico qualitativamente differente. Questa ambizione lunga, dare cioè significati progressivi anche per la riforma della prima parte della Costituzione, evidentemente deve passare per una cruna d'ago (tornerò sull'argomento, anche se è stato già rilevato), cioè il processo di revisione e l'agganciamento che, tramite una riforma dell'articolo 138, è possibile attuare.
La senatrice D'Alessandro Prisco ci ha chiesto qualche ulteriore precisazione sulle proposte relative alla costituzionalizzazione dei principi nuovi in materia di accesso e informazione e sui rapporti tra cittadinanza e pubblica amministrazione. Possiamo andare più avanti nella ìproposta (al riguardo sono già state depositate delle proposte: prima ho fatto un cenno specifico a quelle dei consumatori), però credo che anche qui sia non secondario il mutamento di orientamento culturale di tutto il paese: una cosa è tentare, in forme di processo costituente di fatto, innovazioni a livello dei comuni, con leggi che hanno poi trovato concrete resistenze nella vita della pubblica amministrazione, un'altra è, attraverso un dibattito che fa appropriare di questo principio l'intera comunità nazionale, un richiamo esplicito in Costituzione della diversa concezione che si ha rispetto al rapporto tra pubblica amministrazione e cittadinanza nelle sue varie forme di organizzazione.
Per quanto riguarda il federalismo, il senatore Greco ci ha proposto un pronunciamento sulla Camera delle autonomie. È evidente che capiamo l'importanza di una diversificazione nella rappresentanza politica, nella maggiore aderenza e nell'organizzazione di un dibattito istituzionale tra rappresentanza nazionale e governi locali. Premesso che anche su questo, se si vorrà un pronunciamento da parte nostra, dovremo essere posti di fronte a proposte specifiche della Commissione su cui sviluppare tra noi un ulteriore confronto, il nostro interesse è non tanto a questa modifica che riguarda il sistema della rappresentanza politica, quanto all'idea che, attraverso una scelta federalista, si possa trovare l'articolazione, il pluralismo sociale necessari a condurre quella difficile operazione che è all'ordine del giorno del Governo e del dibattito del paese, cioè la riforma dello Stato sociale. Non si farà e non si darà riforma di Stato

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sociale né sarà possibile conseguire lunghe forme di patto tra le varie componenti del paese se, scegliendo la linea del federalismo, non si mettono a confronto le ricchezze, le varietà, le diverse locazioni storiche e culturali perché, come qualcuno ha detto prima, un po' tutte le regioni sono speciali. Ecco, noi condividiamo l'idea della processualità e dislochiamo la forza delle associazioni che rappresentiamo alla costruzione delle culture e delle azioni concrete di crescita di un federalismo di questo tipo.
Su questi punti, infine, una battuta finale sulla sollecitazione del senatore D'Onofrio. Egli sa meglio di me che il confronto tra concezioni costituzionali deve poi scendere da modelli che non sono mai puri nella storia perché sono sempre ibridati, per cui rappresentano soluzioni di equilibrio. Ricordo, per fare un solo esempio, che il principio del potere dal basso del modello americano ha visto concretamente, fin dalla sua nascita, la difficoltà di realizzarsi nella Carta costituzionale americana, tant'è che i diritti dei cittadini ci sono entrati attraverso un processo di emendamento agito attraverso iniziative di modifiche al patto iniziale che è durato secoli (saprete senz'altro che l'ultimo emendamento è passato solo quattro anni fa: sono stati necessari duecento anni per istituire che persino rispetto agli emolumenti degli uomini politici vi fosse un diritto di trasparenza e di garanzia, in base ad un emendamento proposto a suo tempo da Madison, uno dei padri della Costituzione americana). La nostra strategia è questa. Non è, quindi, un interesse, una contrapposizione tra un modello consociativo, che integra le esigenze sociali attraverso una dinamica maggioranza-opposizione, e un modello di responsabilità diretta, per cui la maggioranza eletta governa e poi risponderà. Su questo punto vi è già una indicazione popolare alla quale noi aderiamo. La scelta di maggiore responsabilità diretta è già pronunciata da referendum popolari. Quello che vogliamo indicare con la nostra presenza è che non intendiamo rafforzare un principio di delega astratta. Ci stiamo sforzando di costruire dei contrappesi proprio perché è indebolito il sistema di rappresentanza delle opposizioni, dei poteri del gioco parlamentare, di altre posizioni che non siano ricomprese nella maggioranza governativa. Ecco quindi, la costruzione di contropoteri, di livelli istituzionali nuovi, che portano a configurare il soggetto popolare nella sua articolazione come un soggetto ed un potere. Questo cambia la prospettiva, poiché non vi sono più soltanto quei due modelli, ma è in gioco una triangolazione più complessa che cerchiamo di rendere visibile.
Non possiamo non rilevare con grande soddisfazione che una delle questioni strategiche da noi poste sulla riforma dell'articolo 138 della Costituzione è stata ripresa innanzitutto dal presidente D'Alema e poi da tutti gli altri commissari intervenuti. Mi sembra aiuti il richiamo non solo ad una giurisprudenza della Corte costituzionale, ma al concreto caso di questo Parlamento in cui, attraverso la giurisdizione della sua presidenza, si è già affermato quello che noi intendiamo, ossia che vi siano limiti impliciti ai poteri di revisione, forse anche come forma di autotutela di questa Commissione, del potere parlamentare da rendere espliciti. In altri termini dobbiamo evitare che rientri dalla finestra quello che si è tenuto fuori dalla porta, cioè il potere costituente libero.
L'Italia è ormai un paese maturo, radicato profondamente nella democrazia, ed ha imparato ad utilizzare anche il potere popolare dentro percorsi costituiti, autolimitati.
Concludo con una battuta all'onorevole Boato ed anche con una richiesta alla Commissione bicamerale. Vorrei si tenesse presente che se i suoi lavori si dovessero concludere - come dire - con un magro bottino (poche norme su cui vi è accordo), tuttavia su questa norma non potrete non assumere un impegno particolare, perché sarà quella che salvaguarderà, anche in caso di esito non pienamente soddisfacente, la possibilità di proseguire in un lavoro di revisione, anche al di là delle

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opportunità che la stessa Commissione ed il Parlamento avranno trovato nei loro equilibri.
A nome delle associazioni ringrazio in modo particolare la Commissione per averci offerto la possibilità di questa audizione, per gli interventi e le domande che ci sono state rivolte.

GIUSEPPE GERVASIO, Presidente dell'Azione cattolica italiana. Molto brevemente vorrei riprendere due punti sui quali ci sono stati richiesti in qualche modo taluni chiarimenti: mi riferisco al tema della giustizia ed a quello della forma di Stato.
Per quanto attiene alla magistratura, vorrei richiamare quanto è stato già sottolineato, peraltro molto rapidamente. Il punto centrale della giustizia in Italia è il buon funzionamento che, per larghissima parte, può essere ottenuto attraverso la legislazione ordinaria. Vogliamo perciò ribadire l'importanza che questa strada venga battuta sollecitamente e nel migliore dei modi, senza remore e senza attendere le pronunce della Commissione bicamerale e del Parlamento per quanto attiene ai principi di carattere costituzionale.
Il buon funzionamento della magistratura e della funzione giudiziaria per larghissima parte - ripeto - dipende dalla legislazione ordinaria: questa deve essere la prima strada da percorrere.
Per quanto riguarda i principi costituzionali, ho ascoltato con molto interesse l'intervento dell'onorevole Boato in merito alla riconferma piena del principio dell'indipendenza dell'autonomia della magistratura. Questo è certamente il punto di partenza e la nostra preoccupazione è che tale principio venga ribadito e rafforzato, non certo svilito; peraltro quanto sostenuto dall'onorevole Boato va - credo - proprio in questa direzione.
Oltre a questo, si è parlato del rapporto tra potere giudiziario e gli altri poteri, ma vorrei venisse recuperato anche il rapporto tra la magistratura e chi entra in contatto con essa. Il rapporto che in termini molto semplici risulta legato ad un altro principio contenuto nella prima parte della Costituzione è quello del diritto alla difesa. Non per nulla nel documento che abbiamo consegnato alla Commissione, viene prestata particolare attenzione al fatto che nella ridefinizione delle norme riguardanti l'ordinamento giudiziario si tenga conto di un modo di agire della magistratura, che rispecchi a pieno gli articoli dal 13 al 16, 21, 24, 25 e 27 della Costituzione. Si tratta di articoli che toccano il diritto della persona, anche se inquisita, che viene in contatto dialettico con la magistratura. Il problema è quello di rafforzare questi principi, che già esistono in forma nelle norme sulla giurisdizione e quelle sull'ordinamento giudiziario, proprie della parte seconda della Costituzione.
L'ultima osservazione riguarda il rapporto tra la giustizia e gli altri poteri rispetto al quale vale il principio dell'indipendenza e dell'autonomia; il che non significa che non si abbia chiara la possibilità che nell'ambito dell'esercizio delle funzioni della magistratura vi possano essere errori, sviamenti e distorsioni ma riteniamo che essi debbano essere corretti con procedure che si giocano all'interno dello stesso ordine della magistratura. Quest'ultimo deve avere in sé le forme, le sedi e le procedure che consentano rapidamente di correggere errori, sviamenti ed abusi, che pure possono avvenire.
Il richiamo a queste tre preoccupazioni può servire ad indicare le pratiche soluzioni da adottare in merito all'ordinamento della magistratura ed alle norme sulla giurisdizione.
Per quanto concerne il tema della forma di Stato, non mi ritrovo molto nell'alternativa «o/o», proposta dall'onorevole D'Onofrio.

FRANCESCO D'ONOFRIO. L'avete proposta voi!

GIUSEPPE GERVASIO, Presidente dell'Azione cattolica italiana. No, noi avevamo detto un'altra cosa: un federalismo che sia solidale piuttosto che competitivo.


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FRANCESCO D'ONOFRIO. Avevate posto un'alternativa.

GIUSEPPE GERVASIO, Presidente dell'Azione cattolica italiana. Non è un'alternativa. Un federalismo che sia competitivo mette in luce alcuni aspetti che non vanno tutti cancellati o disconosciuti, ma tenuti presenti in contemporanea con altri che, a nostro avviso, sono preponderanti; mi riferisco cioè agli aspetti di un federalismo di tipo solidale.
Per trovare soluzione a questi due punti, che pure - ripeto - vanno tenuti presenti, si potrebbe fare riferimento proprio all'articolo 5 della Costituzione che, a nostro avviso, rappresenta la via maestra. Infatti, in tale articolo ritroviamo sia il fondamento di tutto il discorso delle autonomie, sia il fondamento della indivisibilità ed unità della Repubblica italiana. Al riguardo mi richiamo alle parole introduttive del professor De Martin, che ha parlato di una Repubblica nel cui termine è ricompreso Stato, regioni, province e comuni. Il problema allora è quello di come gestire ed equilibrare l'interdipendenza tra i seguenti riferimenti: Stato, regioni, province e comuni, o, se vogliamo riassumere il concetto, Stato e sistema delle autonomie locali nel quadro della Repubblica una ed indivisibile.
Accenno brevemente al fatto che se la funzione legislativa va giocata su Stato e regioni, ferma restando l'autonomia che deve spettare alle altre forme proprie degli enti subregionali, a livello del loro statuto, la questione si pone in modo diverso. Certamente diverso deve essere il discorso per quanto riguarda la suddivisione della funzione amministrativa, che riguarderà sicuramente lo Stato e le regioni, ma più direttamente le altre forme di autonomia locale, secondo il principio che deve valere soprattutto la vicinanza tra chi amministra e chi è amministrato, affinché quest'ultimo possa essere il vero protagonista dello sviluppo delle comunità territoriali.
In conclusione, vorrei sottolineare che nel lavoro che la Commissione sta compiendo mi sembra davvero centrale la ricerca di una serie di equilibri tra diverse tensioni che non possono non esserci. Mi riferisco all'equilibrio tra la funzione di indirizzo e di governo e fra queste e quelle di controllo e di verifica; all'equilibrio tra esigenza di unità e bisogni delle autonomie; a quello tra la democrazia rappresentativa e l'esigenza di possibili e gestibili forme di democrazia diretta. Penso che il nuovo disegno della parte seconda della Costituzione possa avere una prospettiva felice per rilanciare il sistema democratico nel nostro paese se saprà evitare di privilegiare uno solo di questi poli, mortificando gli altri e se sarà in grado di giocare sull'equilibrio di queste due tendenze che ai diversi livelli si esprimono necessariamente.
Ringrazio ancora per l'ascolto che ci è stato dato e auguro alla Commissione il miglior proseguimento dei suoi lavori.

PRESIDENTE. Vi ringrazio. Naturalmente il nostro rapporto non si conclude con questa audizione, che ha preso la forma di una vera e propria seduta di lavoro (cosa di cui avete anche il merito). È evidente infatti che sarà nostra cura, anzitutto sulle questioni specifiche che sono state sollevate, far pervenire proposte, raccogliere valutazioni e anche più precise indicazioni e suggerimenti.
In conclusione, vorrei fare alcune comunicazioni relative all'organizzazione dei nostri lavori. A mio giudizio si impone un mutamento nel calendario già fissato, nel senso che la seduta di martedì 8 aprile avrà come oggetto la sola audizione del presidente del CNEL, fra le ore 15 e le ore 16. Successivamente, il Senato della Repubblica discuterà e voterà sulla missione umanitaria delle forze armate italiane in Albania: credo non sia possibile che in contemporanea si svolga la prima audizione sui temi della giustizia, tanto attesa, da parte della nostra Commissione, dato che saremmo privati della possibilità di contributo dei senatori che di essa fanno parte.
Il calendario delle audizioni proseguirà quindi venerdì 11 aprile e si completerà


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martedì 15 aprile; le audizioni sui temi della giustizia si articoleranno in queste due giornate.

FRANCESCO D'ONOFRIO. Presidente, poiché la Camera si occuperà della questione albanese nella giornata di mercoledì prossimo, vorrei chiederle se sia opportuno che nel medesimo giorno si svolgano le già previste attività della nostra Commissione, in particolare le riunioni dei Comitati. Mi si dice che l'Assemblea tratterà il tema dell'Albania a partire dalle 12 di mercoledì prossimo.

PRESIDENTE. Lascio la decisione ad una valutazione dei presidenti coordinatori dei Comitati; mi sembra tuttavia che la discussione parlamentare in programma acquisti una rilevanza politica tale, per i fatti che stanno intervenendo, da rendere difficile lo svolgimento in contemporanea dei lavori della nostra Commissione.
Infine, comunico che, alle 18.30 di giovedì 10 aprile, a conclusione dei lavori dei Comitati, è convocato l'ufficio di presidenza, salvo che non pervengano nelle prossime ore «messaggi» motivati che siano di contrario avviso.

La seduta termina alle 13.