RESOCONTO STENOGRAFICO SEDUTA N. 15

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MASSIMO D'ALEMA


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La seduta comincia alle 17,30.

Audizione di rappresentanti della Coldiretti, della Confederazione italiana agricoltori, della Copagri, della Confagricoltura, della Fagri, della Lega nazionale delle cooperative e mutue e della Confcooperative.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti della Coldiretti, della Confederazione italiana agricoltori, della Copagri, della Confagricoltura, della Fagri, della Lega nazionale delle cooperative e mutue e della Confcooperative.
Nel salutare gli amici del mondo agricolo e produttivo, chiedo loro scusa per il ritardo con il quale ha inizio l'audizione, la quale, purtroppo, ha finito per «intrecciarsi» con una giornata parlamentare resa particolarmente intensa soprattutto dall'imprevista discussione relativa alle vicende dell'Albania. Al momento, permane ancora l'eco politica del dibattito, ma sono sicuro che, a poco a poco, una certa rappresentanza dei commissari interverrà all'audizione.
Credo che ciascuno di voi conosca, sia pure grosso modo, lo schema in base al quale si svolgono le nostre audizioni. Mi limiterò ad una breve introduzione e, subito dopo, sarete voi a prendere la parola e a manifestare le vostre opinioni. Salvo diverso avviso (nel qual caso, ovviamente, ne terrei conto e sarei a vostra disposizione), darei la parola ai presidenti delle associazioni qui rappresentate. Successivamente, se lo riterranno, i membri della Commissione potranno porre quesiti e domande, alle quali avrete modo di rispondere.
La discussione, naturalmente, non verte su una questione di natura particolare, ma, così come è già accaduto in occasione degli incontri con le altre associazioni del mondo economico e sindacale, rappresenta un confronto più generale sui temi della riforma delle istituzioni e sul complesso delle questioni e delle ipotesi di riforma all'esame della Commissione bicamerale. È comunque immaginabile che, al di là di singole soluzioni di carattere tecnico, possa esservi interesse da parte delle forze rappresentative dell'economia italiana ad avere uno Stato più efficiente, più vicino ai cittadini, in particolare dal punto di vista di un forte decentramento in senso federale, e, nello stesso tempo, una maggiore stabilità di governo, anche garantita dalla possibilità, che, sia pure in forme diverse, si ritiene di dover riconoscere ai cittadini, di incidere più direttamente nella scelta di una maggioranza di governo e, secondo talune proposte, anche nella scelta della persona che debba guidarlo.
Lo scopo che questa Commissione si propone di realizzare è non di riscrivere la Costituzione ma di pervenire ad un profondo aggiornamento del nostro impianto istituzionale, con l'obiettivo di garantire l'affermarsi di una democrazia più aperta ai cittadini, ma anche più efficiente e moderna, in grado di assumere decisioni in modo più rapido e democratico. Credo che queste esigenze corrispondano ad un'attesa del mondo economico. Ovviamente, dal vostro punto di vista, avvertirete anche questioni di natura particolare. Mi riferisco, ad esempio - penso, segnatamente, al mondo agricolo - al tema del rapporto tra lo Stato italiano e l'Europa, uno dei temi dei quali la Commissione si


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occupa sulla base di proposte presentate, tendenti a costituzionalizzare la scelta della cessione di sovranità all'Unione europea ed anche a sottoporla a determinate procedure di verifica democratica. Vi è inoltre un evidente interesse - mi riferisco anche in questo caso al mondo dell'agricoltura - a ragionare sui riparti di poteri e di competenze, in uno Stato federale, tra regioni e Stato centrale; si tratta di un tema molto delicato, in particolare sotto il profilo dell'esperienza - che credo non sia stata sempre positiva - di gestione da parte delle regioni delle politiche relative al settore agricolo e dei rapporti tra competenze regionali e poteri dello Stato centrale, sempre con riferimento a tale comparto.
Non c'è dubbio che, sotto questo profilo, avvertiamo curiosità a capire ed a conoscere. Il federalismo appare come una parola d'ordine largamente condivisa anche se - come è stato osservato - non sempre a questa espressione corrisponde un contenuto proprio. Si tratta, più concretamente, di capire quali possano essere, in un processo di riorganizzazione dei poteri, i vantaggi ed i rischi. Va infatti considerato che alcuni rischi si sono manifestati; penso, ad esempio, all'esperienza del regionalismo, non tutta considerabile in termini positivi, sotto il profilo della crescita di efficienza e del rapporto diretto con i cittadini.
Da questo punto di vista, credo che il vostro contributo, in particolare con riferimento alla riforma della forma di Stato ed al rapporto fra regioni, potere centrale ed Europa muova da un'esperienza reale, della quale è importante acquisire conoscenza.
Vanno inoltre considerate questioni più specifiche - che mi limito a richiamare - delle quali si è discusso in modo particolare con i rappresentanti delle forze economiche, che riguardano il tema della concertazione e l'eventualità - in verità, prospettata da pochissimi - di una costituzionalizzazione della concertazione tra Governo e parti sociali, nonché (in relazione ed anche indipendentemente da questo punto) il destino del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Ci interesserebbe conoscere la vostra valutazione sulla validità di questo organo al fine di garantire un rapporto tra lo Stato ed il mondo economico, nonché sull'opportunità di una sua rivitalizzazione, indicando anche quali potrebbero essere le ipotesi di riforma, di rilancio o di riattribuzione di poteri. Segnalo che questo è un tema in discussione nel rapporto con le forze rappresentative del mondo economico e sociale.
La Commissione, naturalmente, si occupa anche di altre questioni, sulle quali ognuno di voi è libero di esprimere la propria opinione, tra cui il problema delle garanzie, ossia di come conciliare autonomia e indipendenza della magistratura con una più attenta tutela dei diritti e delle garanzie individuali; non vi è dubbio che tutta la seconda parte della Costituzione è all'esame della nostra Commissione, perché è oggetto di proposte di riforma, che siamo tenuti ad esaminare e a discutere.
Naturalmente non intendo fissare dei limiti: questa è un'audizione che ha un carattere aperto, nella quale intendiamo raccogliere opinioni che possono certamente spaziare su tutto il complesso delle questioni all'esame della Commissione, ma è evidente che ci interessa in modo particolare conoscere l'esperienza diretta, i problemi che più direttamente nascono dall'attività di grandi associazioni del mondo economico, agricolo, cooperativo, dai rapporti con lo Stato, con il Governo, con l'Europa, perché questa esperienza può essere di guida in un'opera di riforma che ha tra i suoi obiettivi quello di creare uno Stato più vicino, meno ostile ai cittadini di quanto appaia oggi, nonché capace di rispondere in modo più efficace e tempestivo ai problemi dello sviluppo di una società moderna.
Vi ringrazio e do la parola, per iniziare la serie degli interventi, al presidente della Coldiretti.

PAOLO MICOLINI, Presidente della Coldiretti. Siamo onorati di partecipare a questa seduta della Commissione, a questa


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audizione che ci consente di esprimere compiutamente il pensiero delle nostre tre organizzazioni sindacali. Più che entrare nel merito degli argomenti molto importanti che lei, presidente, ha voluto approfondire con noi (pensiamo agli effetti che ha in questi giorni sull'opinione pubblica l'eventuale referendum sul Ministero dell'agricoltura, anche con riferimento ai rapporti con la Comunità economica europea), sottolineo che le tre organizzazioni sindacali - Confagricoltura, CIA e Coldiretti - si sono fatte carico di predisporre un documento completo e organico per la parte che le riguarda. In esso vengono trattati tutti i problemi che lei ha indicato, tra cui i rapporti con la Comunità economica europea (quindi a livello internazionale), anche se noi stessi al nostro interno abbiamo espresso forti preoccupazioni, per un certo verso, sull'opportunità di una «bicamerale» per la Comunità economica europea: indico questo percorso solo per sottolineare che i rapporti con la Comunità europea non sono idilliaci, tanto meno i rapporti democratici; ne deriva l'opportunità di una verifica democratica del rapporto che abbiamo con la stessa Comunità (parliamo per esperienza).
Ci siamo quindi posti l'obiettivo di predisporre un documento articolato; non intendiamo illustrarlo ma lo consegniamo al presidente, perché siamo convinti che si tratta di un documento completo, articolato, che parte dall'esigenza di avere un ministero diverso dall'attuale dicastero dell'agricoltura. Questa è un'indicazione che diamo alla Commissione circa la necessità di affrontare, per esempio, con la legge Bassanini una revisione direi quasi complessiva dell'attuale Ministero dell'agricoltura che, così com'è, non soddisfa le organizzazioni agricole che noi rappresentiamo.
Nello stesso tempo, è necessaria una forte presenza di concertazione complessiva a livello nazionale, oltre ad un raccordo con la Comunità economica europea; ne deriva, a nostro avviso, la necessità di avere un ministro cui sia affidata a pieno titolo non la gestione ma la progettualità politica ai diversi livelli di responsabilità.
Da questo siamo passati ad una valutazione complessiva su tutti gli argomenti che il presidente ha voluto toccare. Non entro ora nel merito delle indicazioni specifiche ma mi permetto di consegnare il documento al presidente; i responsabili delle altre due organizzazioni svolgeranno, se necessario, alcune valutazioni più complete sullo stesso argomento.

PRESIDENTE. In questo suo intervento lei ha parlato anche a nome della Confagricoltura e della CIA?

PAOLO MICOLINI, Presidente della Coldiretti. Sì, signor presidente.

PRESIDENTE. Naturalmente, nel corso della discussione potrete prendere la parola. Vi ringrazio, comunque, sia per questo contributo sia per l'elemento di semplificazione.

SANTE RICCI, Presidente della Copagri. Ringrazio il presidente e gli onorevoli senatori e deputati della Commissione per aver dato alla Copagri (la Confederazione dei produttori agricoli) l'occasione di partecipare a questa audizione. Apprezziamo, infatti, che questa Commissione abbia voluto consultare le forze economiche e sociali del paese e tra queste i rappresentanti dei produttori agricoli e del mondo rurale.
Lo scopo delle riforme deve essere, secondo noi, quello di creare uno Stato più moderno, più vicino alle aspettative dei cittadini, in grado di rispondere alle grandi sfide del paese: la sfida dello sviluppo, del Mezzogiorno, del lavoro, dell'ambiente.
Per quanto riguarda la forma di governo, a noi appare necessario rafforzare la democrazia dell'alternanza, tenendo conto della specificità della rappresentanza politica italiana, e al tempo stesso garantire la governabilità, che è indispensabile per la stabilità del sistema economico e sociale.


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La continuità dell'azione di governo e di quella legislativa è un'esigenza molto sentita nei settori produttivi e in particolare nell'agricoltura, che negli ultimi anni ha dovuto scontare la totale assenza di una politica organica di ampio respiro e la proliferazione di provvedimenti dettati più dalle emergenze episodiche che da un preciso progetto di politica agricola.
Nel dibattito sulla riforma dello Stato emerge in generale una forte spinta verso un processo molto vasto di decentramento. È auspicabile, secondo noi, l'evoluzione verso un federalismo solidale, basato su una forte ristrutturazione del sistema delle autonomie locali, prendendo come riferimento il principio della sussidiarietà ribadito nel trattato di Maastricht.
In tutto questo processo di decentramento è di fondamentale importanza tenere sempre presente la specificità della realtà italiana, soprattutto per quanto riguarda la questione meridionale. Se infatti il processo federalista si limitasse in definitiva a creare delle regioni-Stato, rischierebbe di accentuare il solco che separa in due il paese. In quel caso, la riforma dello Stato avrebbe certamente tradito una delle attese principali, che è quella di poter creare pari opportunità per tutti i cittadini in qualsiasi area del paese.
Il federalismo deve a nostro avviso essere un processo profondo, che deve interessare non soltanto le attuali regioni ma l'intero sistema delle autonomie locali. Se esiste un'esigenza condivisa di rafforzare il ruolo della Conferenza Stato-regioni e si arriva ad ipotizzare nel nuovo Parlamento una Camera delle regioni, deve essere ipotizzata anche l'opportunità di realizzare altre forme permanenti di rappresentanza tra Stato generale e sistemi locali, come del resto già avviene nella Conferenza Stato-città.
Anche sul federalismo fiscale esistono ipotesi spesso contrastanti, alcune delle quali nascondono delle incognite. Da un lato ci sono ipotesi sul modello tedesco, di ripartizione di alcune grandi entrate fiscali proporzionali predefinite tra Stato, regioni ed eventualmente comuni; esistono poi ipotesi di autonomia impositiva delle regioni, che però racchiudono in sé - se spinte troppo in avanti - anche alcuni fattori di rischio. Se l'autonomia impositiva si trasformasse in una competizione tra regioni, ciò porterebbe, attraverso lo strumento fiscale, a favorire o disincentivare gli investimenti privati; ci troveremmo in questo caso in una situazione molto pericolosa, sia sul piano di un corretto rapporto di concorrenza tra imprese collocate in regioni diverse (soprattutto per quelle agricole che sono collegate al territorio), sia rispetto ai problemi di un equilibrato sviluppo regionale, che sono prioritari.
La riforma dell'organizzazione dello Stato dovrà favorire lo spostamento dei processi decisionali e degli strumenti amministrativi il più possibile a contatto con i cittadini e le imprese. È necessario anche esaminare l'adeguatezza delle istituzioni locali ai diversi contesti. Da molte parti si pone il problema della gestione delle grandi zone urbane, guardando anche alle esperienze degli altri paesi (distretti, aree metropolitane, città-Stato). In analogia, riteniamo si debba porre il problema delle aree rurali, spesso ignorate nelle loro specificità peculiari, ma nelle quali vive ancora oggi il 40 per cento degli italiani.
In questa fase di riforma dei livelli istituzionali, crediamo si debba tener conto anche delle caratteristiche di queste aree. Del resto, anche l'Unione europea sta dedicando negli ultimi anni grande attenzione alle problematiche specifiche delle zone rurali. Le riforme istituzionali non potranno avere piena incisività sul futuro del paese se non saranno accompagnate da un profondo processo di rinnovamento e di riforma amministrativa, in parte previsto dalla legge Bassanini.
La necessità di governare una società complessa attraverso un sistema policentrico non può giustificare sul piano amministrativo la giungla di competenze che spesso contraddistingue il medesimo settore. La necessità di una semplificazione profonda della macchina burocratica è

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particolarmente sentita dai produttori agricoli e su di essa la Copagri ha sviluppato una forma di azione sindacale e politica.
In questo contesto si inserisce uno sforzo per una radicale semplificazione e razionalizzazione legislativa, ricorrendo a testi unici o leggi-quadro e favorendo la delegificazione e la regolamentazione per via amministrativa. Mi sembra anche necessario ricordare, in questo quadro, che all'interno del generale processo di riforma amministrativa c'è lo specifico agricolo legato in primo luogo al prossimo referendum.
Mi limiterò a ricordare in questa sede che la Copagri è contraria all'abolizione del Ministero dell'agricoltura ma allo stesso tempo ne chiede una profonda revisione, anche per quanto riguarda tutti gli enti collegati al ministero stesso, alcuni dei quali risalgono nei loro tratti fondamentali addirittura a prima della Costituzione repubblicana.
La nostra è sempre più una società complessa, che per poter progredire in modo armonico ha bisogno di moltiplicare gli spazi, le opportunità di partecipazione, di autogoverno e di autorganizzazione. In questa dimensione si inserisce in pieno un ruolo delle grandi forze sociali di rappresentanza. Tanto più complessa ed articolata diventa la realtà sociale ed economica, tanto più crescono i rischi di frantumazione e di riemersione di particolarismi e di vecchi e nuovi corporativismi. A questi rischi può opporsi un tessuto sociale vivo e vitale come quello costituito dalle organizzazioni delle imprese e del lavoro autonomo, dai sindacati dei lavoratori dipendenti, ma anche da tante altre realtà come quelle dell'associazionismo.
La politica della concertazione tra le parti sociali - che ha avuto uno dei punti salienti nell'accordo del luglio del 1993 sul costo del lavoro e sulla politica dei redditi - è sicuramente una delle caratteristiche positive della storia italiana di questi ultimi anni e della quale si è parlato anche in altre audizioni. Un modo per rafforzare la concertazione e la partecipazione delle forze politiche e sociali alle grandi scelte per il futuro del paese è a nostro avviso costituito dal rafforzamento del ruolo del CNEL. Le funzioni di questo organo vanno chiarite ed allargate, anche eventualmente mediante una revisione dell'articolo 99 della Costituzione. Proprio tenendo conto dell'esigenza di inserire sempre meglio il nostro paese in Europa, si potrebbe ipotizzare per il CNEL una funzione di elemento essenziale del sistema di decisioni politiche, analoga a quella che svolge il comitato economico e sociale.
A conclusione di questo intervento e sperando di non essermi dilungato troppo, voglio augurare a voi, onorevoli senatori e deputati (ma anche a tutti noi ed al nostro paese), che il lavoro di questa Commissione possa essere positivo e dare quei risultati che tutti attendiamo: uno Stato moderno, più democratico, più attento alle sollecitazioni della realtà complessa della nostra società, più funzionale ad uno sviluppo economico compatibile con le ragioni della solidarietà, del lavoro e dell'ambiente.
In un documento che abbiamo elaborato e che lasceremo a vostra disposizione siamo entrati in maggiori particolari.

MASSIMO BUONERBA, Esperto della FAGRI. Il mio intervento si baserà su una lettura dei principi della Carta costituzionale che non possono essere modificati da una proposta riguardante la seconda parte della stessa Costituzione.
In via preliminare va ricordato che il settore economico dell'agricoltura è stato quello da più tempo oggetto di normazione da parte della Comunità economica europea e che il nostro ordinamento, coerentemente con i principi contenuti negli articoli 10 o 11 della Costituzione - che costituiscono il cosiddetto adeguamento interno alla normativa extranazionale -, ha recepito la normazione comunitaria stessa, riconoscendole un valore paritario, anzi superiore, alle fonti di diritto interno primario. In questo senso bisogna ricordare l'evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha affermato sin dal 1984 che «l'efficacia


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dei regolamenti comunitari è tale che il loro intervento, nelle materie di competenza comunitaria, impedisce l'applicazione da parte dei giudici delle norme nazionali incompatibili, tanto che le stesse siano anteriori o successive alla normazione stessa». È quindi stato introdotto quale principio generale il potere di disapplicazione di atti normativi primari da parte dei giudici, potere in precedenza limitato solamente alla disapplicazione degli atti amministrativi.
Una delle esigenze che indubbiamente sussistono nell'ambito dell'ordinamento comunitario è quella tendente alla razionalizzazione e quindi alla conseguente limitazione dei soggetti portatori di interessi che possano essere gli interlocutori della Comunità economica stessa, soggetti che possono essere assimilati alle associazioni di tipo sindacale. Tale esigenza deve essere però coniugata con il principio della libertà sindacale di cui all'articolo 39, primo comma, della Costituzione. L'articolo - che, come è noto, non è mai stato applicato integralmente, ad eccezione di tale principio - costituisce il più classico esempio di Costituzione formale: quella parte di norme costituzionali che non hanno avuto concreta corrispondenza nell'ambito dell'ordinamento vigente. È indubbio, però, che il principio della libertà sindacale non è in alcun modo eliminabile o comunque riducibile e che - pertanto - l'ipotesi di norme costituzionali da inserire nella seconda parte deve essere coerente con tale principio.
D'altro canto troviamo nella nostra Costituzione, sempre nella prima parte, ulteriori principi che hanno come riferimento il settore agricolo. Tali principi sono contenuti anche nell'articolo 44 della Costituzione stessa, che stabilisce il fine di «conseguire il razionale sfruttamento del suolo», nonché la «ricostituzione delle unità produttive» ed inoltre tende a privilegiare la piccola e la media proprietà.
I predetti principi costituzionali potranno essere maggiormente tutelati se gli stessi avranno un conforto costituzionale nella organizzazione ordinamentale, tesa a garantire un corrispondente risultato di efficienza e di compatibilità economica nell'ambito della società stessa, tenendo presente anche e soprattutto la competitività del mercato in cui la nostra economia è inserita. Infatti, se non si addivenisse ad una razionalizzazione in campo economico della piccola e media proprietà, stimolando per quanto possibile la sinergia dei comportamenti dei singoli imprenditori, tali realtà produttive saranno e sono sicuramente perdenti sul piano economico, visto il contesto macroeconomico in cui le stesse sono inserite; talché si potrà correre il rischio di avere necessità di attivare politiche finanziarie meramente assistenziali, che - come è noto - non sono più compatibili con il modello economico cui si sta conformando l'Unione economica europea.
È quindi necessario ipotizzare una norma costituzionale da inserire nella seconda parte, che deve essere coerente con i principi innanzi enunciati, tenga conto della tutela dei reali interessi dei produttori agricoli e sia coerente anche con la normativa europea.
In quest'ottica pare utile considerare anche alcuni dei principi contenuti nella seconda parte della Costituzione, ed in particolare il principio del cosiddetto « buon andamento della pubblica amministrazione», contenuto nell'articolo 97 della Costituzione stessa, che è un principio imprescindibile per qualsiasi ordinamento.
Secondo il principio di buon andamento ovvero di buona amministrazione tutta l'azione amministrativa dovrebbe essere tesa alla realizzazione di una amministrazione efficiente ed appropriata. Ciò vuol dire che essa deve essere finalizzata alla soddisfazione dell'interesse collettivo in generale ed unitariamente alla soddisfazione dell'interesse collettivo specifico, che sta alla base del particolare compito di amministrazione che si deve attuare nel settore.
Nella fattispecie è auspicabile specificare il principio costituzionale che coniugando la duplice esigenza dell'interesse pubblico generico, quale ad esempio la

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creazione di una nuova imprenditoria, e l'interesse pubblico collettivo, quale ad esempio una migliore redditività economica nel settore agrario, abbia come riferimento la razionalizzazione delle strutture organizzatorie in agricoltura, tutelando in tal modo gli interessi innanzi indicati.
L'attuale realtà dell'evoluzione dei mercati d'altra parte rende necessaria una diversa visione dell'attività agricola, non più intesa come mera produzione dei beni, bensì anche finalizzata alla trasformazione e alla commercializzazione degli stessi: il cosiddetto comparto agro-alimentare. La necessità di tale ristrutturazione nel settore è imprescindibile e necessaria se si vuole rendere produttivo ed economicamente autosufficiente il comparto stesso. La mera produzione dei prodotti non integrata alle fasi successive non è certamente sufficiente a reggere la sfida dei mercati in questa fase in cui vi è la globalizzazione del mercato.
Tale necessità di rendere economicamente forte il comparto agricolo tende a soddisfare alcune esigenze anch'esse primarie: in primo luogo a tentare di bloccare la cosiddetta urbanizzazione della popolazione, con il conseguente abbandono da parte delle popolazioni delle campagne, fenomeno che comporta gravissimi squilibri non solo sociali ma anche territoriali, dato che sono già in atto le prime avvisaglie dei fenomeni di «desertificazione», nonché tutti gli ulteriori problemi connessi, quali il degrado ambientale del territorio.
Nel tentativo di cercare una possibile enucleazione di tale natura appare utile e necessario fare riferimento anche ad altre legislazioni a noi più vicine, ed in particolare a quella francese. E qui va rilevato che il sistema agricolo francese è il più competitivo dell'Europa, essendo secondo nel mondo solo agli Stati Uniti per capacità di esportazione.
Una causa, anche se non certamente l'unica, di tale positivo trend economico è riconducibile al modello organizzatorio che sussiste da parecchi anni in Francia e che è stato da ultimo riformato.
Sin dal 1962 sono stati introdotti infatti i «raggruppamenti di produttori», che possono assumere varie forme giuridiche. Questo modulo organizzatorio è caratterizzato dalle interconnessioni funzionali collegate non alla qualità soggettiva dei produttori, bensì alla tipologia del prodotto, che viene preso in considerazione sia nella fase della sua produzione sia in quella della sua eventuale conservazione e/o trasformazione, sia infine nella fase della commercializzazione.
Per esempio le associazioni di produttori ortofrutticoli francesi sono strutturate in una organizzazione economica di tipo piramidale alla cui testa si trova l'organizzazione nazionale AFCOFEL. I vari elementi di questa «piramide» sono collegati fra loro da una sofisticata rete telematica ed informatica, la quale, consentendo un rapido scambio di notizie e di informazioni, facilita l'adattamento delle strategie commerciali dei «groupements» alle esigenze di mercato. I gruppi forniscono i dati relativi alla produzione (volume e qualità) ai comitati economici e, tramite questi ultimi, all'AFCOFEL, a loro volta dopo avere analizzato l'andamento della domanda e dell'offerta, così come i gusti e le preferenze dei consumatori. Infine, per ciascuno prodotto vengono elaborati piani a breve, medio e lungo periodo.
Da questo sistema estremamente trasparente e razionale di flussi incrociati di notizie, consigli e regole comuni, emerge una organizzazione economica dinamica ed efficace, dalla quale i singoli produttori possono realmente trarre vantaggi e benefici.
Per addivenire alla formulazione di un dettato costituzionale che coniughi contemporaneamente la valorizzazione e la tutela dei principi costituzionali innanzi indicati e le esigenze da ultimo esposte, la FAGRI propone l'inserimento della seguente disposizione: «La Pubblica Amministrazione favorisce nella sua attività le associazioni unitarie di imprenditori agricoli organizzate per prodotti».
È chiaro che all'interno di ogni singola filiera, e quindi di ogni singola associazione

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organizzata per tipologia di prodotto potranno partecipare tutti i produttori sia a titolo soggettivo sia organizzati.
In tal modo il principio della libertà sindacale, di cui all'articolo 39 della Costituzione, resta indubbiamente salvaguardato perché all'interno di ogni singola filiera potranno partecipare, come già detto, pluralità di soggetti che sono comunque collegati dall'interesse all'ottimizzazione dei risultati economici collegati al ciclo economico completo del prodotto.
Parimenti i principi contenuti nell'articolo 44 e nell'articolo 97 avrebbero una maggiore corrispondenza in una norma inserita nella seconda parte della Costituzione.
Altra proposta che vogliamo sottoporre alla vostra attenzione riguarda la possibilità di enunciare nel dettato costituzionale il principio della tutela dell'ambiente, intesa nella sua accezione più ampia come espressione delle caratteristiche precipue di ogni territorio.
Come è noto, la vigente Costituzione non contiene alcun riferimento diretto al concetto di ambiente. Le elaborazioni dottrinarie e giurisprudenziali hanno sempre fatto leva in modo evolutivo sui principi contenuti nell'articolo 9, secondo comma («La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione») e nell'articolo 32, primo comma («La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività»). Inoltre un dato definitorio del concetto di ambiente non è stato dato neanche dalla legislazione ordinaria in materia ambientale.
Appare quindi opportuno che nella seconda parte della Costituzione, ed in particolare nella riformulazione dell'articolo 117 che attualmente individua le competenze per materia delle regioni, venga inserita - quale principio generale cui dovranno comunque attenersi le regioni anche nell'ambito di una loro probabile maggiore autonomia legislativa, assimilabile per molti versi al vigente sistema ordinamentale delle regioni cosiddette a statuto speciale - una disposizione relativa all'ambiente come innanzi detto.
Tale definizione dovrà quindi collegarsi non solo ad una visione paesaggistica del territorio, bensì anche ad una più complessa ed articolata prospettazione dell'habitat, inteso nella sua accezione più ampia, che non deve essere pertanto limitata agli istituti del governo del territorio e quindi di mera gestione urbanistica. Dovranno essere tutelate con tale disposizione le variegate realtà territoriali, ivi comprese le tipicità rurali.
D'altro canto la stessa Unione europea ha introdotto vari strumenti di intervento tendenti al recupero ed al restauro di molte delle espressioni della civiltà (monumenti rurali, frantoi eccetera) non solo urbana ma anche rurale del continente.
Un tale principio stimolerebbe così ulteriormente il legislatore ad intervenire recuperando il sistema ecoambientale.
In tale ottica forse potrebbe essere utile, per definire a livello costituzionale il concetto di ambiente, il concetto di ambiente contenuto nelle sentenze della Corte che al contempo considera l'ambiente sia «il complesso delle condizioni sociali, culturali e morali nel quale una persona si trova e sviluppa la propria personalità», sia «l'insieme delle condizioni fisico-chimiche e biologiche che permette e favorisce la vita degli esseri viventi».Pertanto si propone, nell'ambito dell'articolo 117, un dettato costituzionale che individui e tuteli l'ambiente nelle due accezioni sopra indicate: «La Repubblica tutela la salvaguardia dell'ambiente e la salubrità di tutto il territorio nazionale, favorendo il recupero della ruralità». Il principio di tale dettato dovrà essere attuato e specificato da una normazione a livello regionale, che esalti, proprio nell'ottica di un maggiore decentramento autonomistico o federalistico, le specificità peculiari di ogni parte del territorio nazionale.
L'intervento caratterizzerebbe in modo precipuo le singole realtà autonome in cui è articolato lo Stato, valorizzando le peculiarità culturali del paese.
Queste sono le proposte che sottoponiamo alla vostra attenzione.


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IVANO BARBERINI, Presidente della Legacoop nazionale. Desidero innanzitutto dire che Legacoop e Confcooperative hanno predisposto un documento unitario che consegneremo alla Commissione. Mi limiterò, quindi, a sintetizzarne i punti principali; il collega Luigi Marino, presidente della Confcooperative, farà poi alcune considerazioni.
Ringrazio la Commissione per questa opportunità ed esprimo apprezzamento per il lavoro che sta svolgendo.
Conveniamo sull'opportunità del decentramento dello Stato in senso federale, avendo l'accortezza di bilanciare i poteri dello Stato con quelli delle regioni, attribuendo a queste ultime, alle province ed ai comuni vaste competenze e basando i rapporti su principi di solidarietà, sussidiarietà ed interdipendenza nel rispetto dell'uguaglianza dei diritti e delle opportunità di tutti i cittadini, come la prima parte della Costituzione stabilisce.
A questa vasta attribuzione di competenze, alle quali occorre aggiungere una chiara responsabilità per quanto riguarda entrate e spese delle regioni (sistema tributario), deve corrispondere un nucleo di poteri centrali, un governo delle autonomie basato su un'autorevole e forte organizzazione centrale dello Stato che esalti il principio della responsabilità come fattore di coesione e di concorso all'unità nazionale e che serva anche ad evitare il rischio che la competizione esasperata tra le regioni produca effetti negativi. Il decentramento è positivo ma può anche creare fratture o elementi non desiderati, per cui il governo delle autonomie deve essere in grado di intervenire adeguatamente.
Siamo favorevoli ad un bicameralismo specializzato che preveda una Camera espressione della volontà popolare, investita del potere legislativo, ridotta nel numero dei parlamentari, detentrice dei rapporti con il Governo ed una seconda Camera rappresentativa delle regioni, con poteri di controllo e di coordinamento, una sede di concertazione tra la politica nazionale e quella locale, senza la rappresentanza di comuni e province. Siamo anche per una riforma del sistema elettorale nel senso di rafforzare il principio dell'alternanza e riteniamo si debba affrontare il problema della magistratura, prevedendo la separazione delle funzioni tra magistratura inquirente e giudicante.
Siamo inoltre favorevoli allo sviluppo della concertazione con le parti sociali, senza che questo assuma rilevanza costituzionale, ma abbia flessibilità e tenda a valorizzare il loro apporto in funzione del progresso economico e sociale. In questo ambito riteniamo che l'impresa cooperativa debba essere valorizzata o rivalorizzata nel senso di un suo più chiaro recupero alle finalità del paese in termini di sviluppo dell'occupazione, lotta all'inflazione, concorso alla rivitalizzazione della cultura nazionale. Essa deve quindi svolgere un ruolo di riorganizzazione dello Stato sociale e di sviluppo della base produttiva, aspetti questi di prioritaria importanza per il nostro paese ai quali tutte le forze imprenditoriali e sociali sono chiamate responsabilmente a concorrere.
Infine, per quanto riguarda la cooperazione, e in modo specifico il movimento cooperativo, crediamo debba svilupparsi un triplice ordine di atteggiamenti: mantenere a livello nazionale la legislazione che definisce la natura e i principi mutualistici dell'impresa cooperativa; decentrare nelle regioni l'attività di promozione dell'iniziativa cooperativa; escludere dalle competenze attribuite alle regioni quelle indicate nell'articolo 1 della legge n. 59.
Una pronta attuazione della legge Bassanini può consentire una più rapida attuazione della riforma in senso federale.
Questo è in larga massima il senso del documento che consegneremo alla Commissione, che motiva più ampiamente le proposte che ho qui sintetizzato.

LUIGI MARINO, Presidente della Conf-cooperative. Mi associo al collega Barberini nel ringraziare la presidenza e i componenti della Commissione bicamerale per l'opportunità che ci viene offerta di esprimere i bisogni, le esigenze e le


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preoccupazioni del movimento cooperativo.
Come è stato detto, la Confcooperative e la Legacoop hanno elaborato un documento comune, per cui cercherò di non ripetere cose già dette ed acclarate in questa sede. Mi limiterò a sottolineare quattro punti.
Il primo, come ha detto il collega Barberini illustrando il documento comune, è il seguente. Anche noi, nell'interesse delle cooperative che rappresentiamo, chiediamo stabilità e rafforzamento dell'esecutivo. Mi pare, però, che parallelamente proceda in questa sede anche il dibattito sulle garanzie democratiche da dare all'opposizione. Noi riteniamo che il rafforzamento del Governo debba essere adeguatamente controbilanciato dalla possibilità, per le minoranze, di essere il veicolo per l'accesso e la tutela delle esigenze diffuse nella società che non trovano adeguato spazio nella maggioranza. In Italia le cooperative si sono venute a trovare nella condizione propria di quei teatri di guerra dove, per colpire l'avversario politico, si spara sulla popolazione civile; ma anche se vogliamo uscire dalla situazione delle cooperative, a nostro avviso non è proprio di un paese civile, democratico, il fatto che vi siano parti sociali che, per la loro forza - vuoi per definizione vuoi per investitura governativa -, sono in grado di portare la loro voce al Governo e sono autorevoli per farlo ed altre che, per far crescere le proprie esigenze, per trovare accesso, debbono utilizzare strade non proprie di un paese civile, democratico, cioè quelle della piazza o dei trattori. Quindi, stabilità e governabilità, ma anche forti garanzie per le minoranze parlamentari e - perché no? - anche strumenti di garanzia degli interessi diffusi. Ad esempio, in questi anni, in più occasioni si è presentato a noi, ad alcune forze sociali, il quesito se adire o meno direttamente la magistratura costituzionale per ottenere pronunce di legittimità di fronte a norme di diritto costituzionale. La nostra proposta è anche quella di allargare la possibilità di accesso alla Corte. Crediamo che non sia certamente ipotizzabile un ampliamento a vantaggio di tutti i cittadini, ma potrebbe essere almeno prevista la possibilità di accedere direttamente alla Corte da parte di forze sociali e di rappresentanze di forti interessi: ad esempio, le associazioni, le forze economiche e sociali presenti nel CNEL.
In secondo luogo, noi siamo d'accordo sul principio di sussidiarietà, con il quale si può riformare fino in fondo la struttura statuale attuale, accompagnando ad esso ovviamente una responsabilità maggiore: ad esempio, unendo nello stesso organo la mano che spende e quella che preleva, individuando esattamente le competenze soprattutto per taluni atti amministrativi, ad evitare confusioni ed interferenze paralizzanti per le istituzioni ma anche per il sistema delle imprese, così come avviene oggi. Però, allo stesso modo, chiediamo che la mano pubblica non debba invadere compiti che possono essere meglio svolti da imprese, cooperative, mutue, associazioni. È stato detto giustamente, in una precedente audizione, che esistono una sussidiarietà istituzionale verticale - quindi dalla scala territoriale più ridotta a quella più vasta - ed una orizzontale di tipo sociale, quella appunto atta a valorizzare l'autonoma capacità di azione delle forze imprenditoriali, associative. Penso in questo momento - ma non è il solo esempio - alle camere di commercio e quindi al fatto che si possano prevedere, oltre agli enti locali territoriali, anche enti locali non solo territoriali. Credo però che occorra anche il coraggio del realismo; nella scelta federale, a mio avviso, è necessario individuare il modello più funzionale nelle condizioni date: insomma, si tenga conto degli aspetti funzionali. Il presidente D'Alema ricordava in apertura alcuni esempi certamente non virtuosi di gestione di politiche settoriali da parte delle regioni. Noi non nascondiamo la nostra preoccupazione; già con il provvedimento Bassanini abbiamo portato un carico crescente su regioni che hanno una grande fragilità amministrativa, che hanno professionalità non eccelse, non eccellenti, sicuramente di livello pari, se non inferiore,

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a quello di professionalità presenti nello Stato. Quindi, se mi si consente una battuta, avanti, anche più in là del provvedimento Bassanini, ma con giudizio.
Il terzo punto è il seguente. Sempre di più, nell'agire economico delle nostre imprese, noi incontriamo un'Europa dei vincoli. Attualmente sono inoperanti alcune norme di sviluppo per il movimento cooperativo, bloccate per procedure di infrazione comunitaria. Credo non possiamo pensare o far pensare che sul territorio nazionale si creino condizioni diversificate di incentivi allo sviluppo. Già non è possibile pensare a rapporti diversificati per quanto riguarda la legislazione civilistica e commerciale; a maggior ragione ritengo che, quanto agli incentivi, noi non potremo uscire dalle griglie comunitarie. Tale aspetto deve essere ben individuato nel lavoro che la Commissione si accinge a svolgere, anzi a completare. Le regole di concorrenza vanno avvicinate all'Europa; prima, semmai, duramente discusse e trattate con Bruxelles, però vanno poi accettate e applicate. Quindi, a mio avviso, non si devono affatto diversificare le politiche di incentivo sul territorio.
Il discorso porta anche all'altro tema delle authority. Nel nuovo sistema di regole che la Commissione bicamerale individuerà, deve essere dedicato uno spazio a tali strumenti per garantirne e tutelarne l'indipendenza. Sono del parere che la società civile, il mondo delle imprese, chi in particolari momenti non si trova sulla stessa lunghezza d'onda delle maggioranze, debba vedere anche nelle authority un motivo per essere più certo che non verranno preclusi i suoi diritti.
Infine, il quarto punto: mi pare che non abbia avuto molto successo l'idea di costituzionalizzare la concertazione. Noi comunque non siamo favorevoli; la riteniamo sicuramente utile, anche se negli ultimi tempi è a senso unico tra i più forti nel paese, però non possiamo non dire che alcuni effetti della concertazione sono stati alla base della coesione sociale, che i risultati che essa ha prodotto hanno contribuito alla stabilità economica, alla crescita, al benessere, alla ricchezza del nostro paese. Tuttavia, a nostro avviso tale ruolo non può essere costituzionalizzato. Ritengo che la concertazione abbia due canali per esprimersi: quello di oggi, quello naturale del confronto tra le parti sociali e tra queste ed il Governo e, a nostro avviso, un secondo canale rappresentato dal CNEL, quale sede per rendere obbligatori alcuni pareri oggetto della concertazione sulla politica dei redditi, ferme restando le attuali attribuzioni del CNEL stesso. Per rendere più funzionale il rapporto CNEL-Governo, si potrebbe anche prevedere la presenza all'attività consiliare di un sottosegretario con delega specifica ai rapporti con il Consiglio stesso, a maggior ragione se questo avvenisse con un esecutivo fortemente stabilizzato ed irrobustito.

FRANCESCO SERVELLO. Mi soffermo sull'argomento principale concernente le categorie qui rappresentate, che ovviamente hanno anche indicato soluzioni di carattere più vasto, più generale rispetto alla loro esperienza e attività. Mi è parso di capire che vi è una convergenza abbastanza ampia sull'idea di mantenere il Ministero per le risorse agricole. Da quanto ho potuto avvertire e sentire al riguardo, non sono stati dati chiarimenti, in relazione al referendum abrogativo; alla competenza - ormai esiste un orientamento generale in materia - che si vorrebbe attribuire alle regioni; né al rapporto tra il mondo agricolo, le attività agricole e l'Unione europea: tutti problemi che comportano risposte.
Mantenere il ministero significa non mutare nulla. L'attuale realtà è piuttosto ibrida, sicché si determinano anche situazioni anomale tra la centralità di un ministero che ha scarsi poteri - e magari si appropria di quelli che non ha -, le regioni che hanno poteri e non sempre li esercitano ed il rapporto con l'Unione europea, che le regioni intenderebbero assumere in maniera diretta, salvo poi l'impraticabilità rispetto alle consuetudini, ai rapporti nell'ambito dei meccanismi europei.


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Non mi è chiaro, quindi, come si possano conciliare questa spinta federalista, alla quale anche voi, come tendenza, vi siete manifestati favorevoli, ed il mantenimento di un ministero che ha fatto molto discutere, che ha assolto anche bene determinati compiti, ma che tuttavia ho l'impressione che non goda di grande popolarità. Questa è la prima domanda, il primo dubbio che intendevo manifestare.
Avete sottolineato il problema dell'autonomia impositiva; secondo una vostra relazione, essa potrebbe determinare effetti di pericolosità, specie nel rapporto tra una regione e l'altra, tra le aziende agricole operanti in una regione piuttosto che in un'altra. Questo è un problema grosso, che tuttavia va risolto se si vuol dare una spinta in senso federalista, o regionalista che dir si voglia, o di autonomia (parola che mi piace di più).
Inoltre, avete fatto un'apologia della concertazione. È un tema scottante. Non tutte le organizzazioni sindacali rappresentative sono d'accordo sul modo in cui la concertazione si è realizzata, privilegiando talune organizzazioni rispetto ad altre. Delle regole in proposito bisogna darsele; non credo che siano regole di carattere costituzionale, anche se forse il discorso, cui avete accennato, relativo a nuovi poteri da affidare al CNEL potrebbe dare una collocazione diversa al principio della concertazione.
Questi sono gli interrogativi che volevo rivolgervi, per precisare meglio il vostro atteggiamento e le vostre soluzioni su problemi più direttamente afferenti la vostra attività e la vostra rappresentanza.

PRESIDENTE. Naturalmente su tali quesiti può prendere la parola chi lo ritiene, purché lo faccia succintamente.

MASSIMO BELLOTTI, Presidente aggiunto della Confederazione italiana agricoltori. Noi non difendiamo questo ministero; difendiamo l'esigenza di una politica nazionale di indirizzo e coordinamento delle politiche regionali, giusta essendo la cosiddetta legge Bassanini, che riconosce alle regioni piena competenza amministrativa e programmatica. Non c'è dubbio, però, che la politica agraria è una grande politica di un grande settore economico europeo in competizione internazionale.
Alle stesse regioni occorre una forte sponda nazionale per essere europee. Il problema non è soltanto quello di portare la politica agraria dall'alto verso il basso, ma anche quello di portarla dal basso verso l'alto. Ci pare quindi indispensabile un'autorità nazionale, un Ministero dell'agricoltura che abbia funzioni non sostitutive delle regioni, ma di grande supporto delle regioni, di indirizzo e coordinamento.
Inoltre, il federalismo va visto anche come dimensione europea. Il Consiglio dei ministri agricoli dell'Unione europea è costituito da 15 ministri, non da 14 più 20 sottoministri. Riteniamo quindi che la rappresentanza dell'Italia nella politica agricola europea nell'ambito del Consiglio dei ministri debba essere espressa con pari dignità da un ministro in piena forza in questa funzione, perché in quella sede si decidono norme e vincoli che sono immediatamente operativi per tutti gli agricoltori. Non possiamo pensare di non avere pari dignità con gli altri Stati.
Vorrei sottolineare che tutti gli Stati europei - anche la Repubblica federale tedesca, che pure è una repubblica federale - hanno un ministro dell'agricoltura fortissimo. Anche gli Stati Uniti d'America hanno un ministro dell'agricoltura fortissimo e non risulta nessun paese industriale moderno privo di un ministero (che si chiami dell'agricoltura, dell'alimentazione, delle foreste) che si occupi della strategia del primario, che è una grande strategia economica, ambientale, sociale, territoriale.
Da qui la nostra richiesta, per essere europei e per essere anche federalisti, di un ministero che ovviamente non ha molto a che vedere con le pecche di quello attuale (Commenti del senatore Servello). Si tratta di istituire un nuovo ministero, perché - ahimè - quello che doveva essere riformato non lo è stato. Questo è


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il punto. Solleviamo quindi un'esigenza, non operiamo una difesa: è un'esigenza delle regioni.
Credo di poter aggiungere (non spetta a me, ma lo faccio solo per memoria) che per quanti assessori regionali dell'agricoltura io conosca, tutti sostengono l'esigenza di un punto nazionale forte di concertazione e di rappresentanza europea; quindi non è contro le regioni, anzi per le regioni, forza dell'Europa.
Per quanto riguarda la questione fiscale, nel documento comune delle tre confederazioni a vocazione generale è espresso un principio, quello di tener conto, nel prelievo fiscale sulle imprese, di elementi di armonizzazione europea. Il prelievo fiscale è un grande fattore di costo per le imprese, peraltro crescente, come si sa. Occorre stabilire, non tanto sul piano costituzionale, un principio di massima, una linea di indirizzo, quella di evitare di punire le imprese per fattori che esulano dalla competitività aziendale. In questo senso, se il problema è armonizzare a livello europeo il fattore di costo fisco, è difficile pensare che si possa poi differenziare troppo a livello di subterritori dello Stato unitario, quindi di regioni. L'autonomia, il federalismo fiscale delle regioni che va contemperato con questa esigenza che noi poniamo: che non ci siano problemi di iniquità sul piano delle categorie, all'interno delle categorie e tra le categorie europee in competizione. Pertanto anche qui la dimensione europea è quella che domina lo scenario della praticabilità dei prelievi.
In ordine alla concertazione, a quella che lei ha definito l'apologia della concertazione, vorrei esprimere una breve riflessione. Rispetto alla nostra Costituzione repubblicana, la cui prima parte va realizzata totalmente, difesa e salvaguardata con la seconda parte, ci sono tre grandi novità. La prima è la dimensione europea, di cui noi siamo parte come Stato costitutore dell'Unione. La seconda è l'esigenza del decentramento, del regionalismo in senso federalista, ma in uno Stato unitario. La terza è la moltiplicazione della società per ceti produttivi, per categorie di imprese, per soggetti di lavoro autonomo oltre che dipendente. A nostro avviso, il concetto di sussidiarietà, che è concetto fondamentale, ormai europeo, per cui tutto ciò che si può fare di più vicino alla gente va fatto lì, all'interno di una linea coerente, non riguarda soltanto la sussidiarietà tra i livelli sovra e sottordinati dello Stato, cioè la Comunità o l'Unione, lo Stato centrale, le regioni, le province, le comunità montane, i comuni; vi è anche una sussidiarietà orizzontale, cioè nel modo in cui la società degli utenti, la società degli interessi, la rappresentanza autonoma e democratica delle categorie si esprime nel partecipare, in autonomia ma con responsabilità, alle scelte di governo. Questo va oltre la concertazione sul reddito, riguarda la prassi, peraltro in gran parte invalsa, di chiamare alle decisioni fondamentali dell'amministrazione pubblica la partecipazione autonoma ma responsabile delle categorie organizzate.

FRANCESCO SERVELLO. Tramite il CNEL.

MASSIMO BELLOTTI, Presidente aggiunto della Confederazione italiana agricoltori. Non tramite il CNEL, il CNEL è una sede, ma la sede è quella diretta. Noi, per esempio, come categoria agricola normalmente - quando non accade protestiamo, incalziamo - siamo chiamati non a decidere, ma ad esprimere in sede consultiva la nostra conoscenza, il nostro parere, il nostro suggerimento sulla politica agraria, regionale nelle regioni, nazionale nella nazione e addirittura come COPA, come organizzazione degli agricoltori europei, in sede comunitaria; così avviene nel CES europeo.
Questa prassi, che riguarda tutte le categorie dell'impresa, ormai a nostro avviso deve trovare un'indicazione di principio, una segnalazione di importanza all'interno dei principi del funzionamento dell'amministrazione pubblica. In sostanza, se la nostra società deve avvicinare l'amministrazione al cittadino, bisogna considerare che quest'ultimo non è un


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soggetto omogeneo; lo è nei suoi diritti fondamentali, ma è disomogeneo nelle sue posizioni produttive, di reddito e via dicendo. Queste posizioni vanno espresse traducendo la società complessa in pluralismo organizzato: un sistema di autonomie pluralista sul piano delle istanze dello Stato, pubbliche ed elettive, delle rappresentanze sociali e di interessi e delle strutture funzionali (come per esempio le camere di commercio).
Da questo nasce la sottolineatura da parte nostra del valore di grande trasformazione del concetto di sussidiarietà orizzontale tra Stato e privato: non il conflitto, ma la concorrenza alle scelte di governabilità di un paese complesso.

GAVINO DERUDA, Vicepresidente della COPAGRI. Mi soffermerò rapidamente su due domande che sono state poste circa il nostro orientamento favorevole al Ministero dell'agricoltura e alla concertazione.
Riteniamo che il primo problema non possa essere affrontato e risolto con i referendum, per cui credo che sarebbe utile e buono per tutti scongiurarli operando attraverso la legge Bassanini. Siamo fortemente critici, per cui quando diciamo no al referendum, non lo facciamo per mantenere questo ministero; vogliamo che esso sia snello, efficiente, che abbia solo ed esclusivamente funzioni di indirizzo, di coordinamento, anche di controllo, che si ponga come interfaccia, come elemento di raccordo con l'Unione europea.
Giro però la domanda: qualsiasi ministero che cosa va a negoziare a livello europeo se questo paese non ha una politica agraria, di tutela ambientale, di assetto territoriale? Dal 1990, quando è scaduta l'ultima legge poliennale di spesa, siamo in assenza di una politica per l'agricoltura. È fermo in Parlamento un progetto di legge che detta finalità, obiettivi, procedure; si sta discutendo da due-tre anni. Quindi, il ministro che dovrà tutelare gli interessi del nostro paese dovrebbe essere messo nelle condizioni di sapere che cosa negoziare, mentre in questa fase francamente deve applicare la politica dell'improvvisazione.
Voglio aggiungere che non siamo meno critici nei confronti delle regioni, in quanto il problema deve essere affrontato nella sua interezza: se la nostra capacità di spesa e di utilizzazione delle risorse messe a disposizione dell'Unione europea è quasi nulla, questo a nostro avviso è responsabilità non solo del ministero ma anche della stragrande maggioranza delle regioni, le quali dovrebbero avere una capacità progettuale di cui purtroppo sono prive.
Quindi funzione di indirizzo e di coordinamento da parte del ministero ma non trasferimento totale alle regioni. Se vogliamo realizzare un federalismo solidale interdipendente, cooperativo, occorre guardare anche a livelli inferiori alle regioni. Pensiamo alle province, che hanno grandissima responsabilità sulla politica territoriale, ai consorzi di comuni, che svolgono una rilevantissima funzione anche nella politica infrastrutturale e di gestione delle acque, una risorsa fondamentale per lo sviluppo dell'agricoltura.
Il presidente Ricci ha parlato della necessità di semplificare al massimo tutta la macchina amministrativa. Credo che quando parliamo di ministero parliamo di ruolo politico, ma dobbiamo anche operare una distinzione netta tra funzioni politiche, programmatiche e funzioni gestionali, operative. Accanto a quello del ministero, vi è il problema di una riforma radicale dell'AIMA, che credo gestisca una grandissima quantità di risorse destinate all'agricoltura, vi è la necessità di una riorganizzazione radicale dei 25 enti di ricerca, anche per cercare di unificarli, della macchina amministrativa per renderla più funzionale alle esigenze dei produttori. Occorre quindi una distinzione fra compiti di indirizzo, funzioni politiche, funzioni gestionali e amministrative.
Se il ministero si libererà della parte gestionale, credo potrà svolgere un ruolo positivo nel settore, ma se manca una politica per l'agricoltura, probabilmente non sarà necessario neppure un ministero; tutto dipende dalla volontà di questo


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paese di dotarsi di una politica per l'agricoltura (credo non possa farne a meno).
Rispetto alla concertazione, sulla base dell'esperienza vissuta dal 1992 - ma ancor prima - ad oggi, dobbiamo dire che abbiamo registrato risultati estremamente positivi per il paese. Crediamo alla politica della concertazione, perché crediamo anche alla politica della programmazione; per concertazione intendiamo anche l'assunzione di responsabilità da parte dei soggetti che partecipano in modo tale che tutti quanti, individuati gli obiettivi, si impegnino anche con i comportamenti concreti per il loro perseguimento.
Occorre chiedersi se la politica della concertazione debba limitarsi solo a livello nazionale. Visto che parliamo di federalismo, di decentramento di responsabilità, noi pensiamo anche alla concertazione decentrata a livello regionale e territoriale; riteniamo che i patti territoriali, gli accordi di programma siano una forma di concertazione, di coinvolgimento di tutti i soggetti politici, economici e sociali attorno o verso determinati obiettivi, che crediamo debbano essere comuni una volta che siano condivisi.

PRESIDENTE. Non avendo registrato altre richieste di intervento, vi ringrazio per i contributi, anche quelli che ci avete fornito per iscritto, i quali contengono - saranno ovviamente messi a disposizione di tutti i membri della Commissione - anche risposte più particolareggiate ad alcuni degli argomenti di cui si è discusso.
Non entro nel merito delle questioni sollevate. Non spetta a noi pronunciarci sui referendum popolari - voteranno i cittadini; non abbiamo questi compiti - ma dal punto di vista delle organizzazioni che voi rappresentate si comprende benissimo come si ritenga che, sia pure in una organizzazione federale dello Stato, di forte decentramento di poteri, debba rimanere un punto di indirizzo nazionale della politica agricola, agroalimentare, sul modello di ciò che avviene anche nei paesi dove esistono modelli federali assai accentuati, anche allo scopo di metterci in grado di partecipare alla definizione delle politiche europee alla pari con i nostri partner. È un ragionamento che si comprende benissimo e che precisa il vostro punto di vista su questo aspetto. La questione riguarda noi sotto il profilo del riparto delle competenze, dei poteri.
Osservo, più in generale, che dalla discussione con le forze sociali ed economiche l'adesione all'idea di un forte decentramento in senso federalistico riceve, tuttavia, anche una serie di avvertenze che vanno nel senso del mantenimento, innanzitutto, di alcuni principi: lo statuto dell'impresa, e in questo senso anche la definizione del carattere dell'impresa cooperativa e anche di alcune funzioni di indirizzo politico e programmatico che, inevitabilmente, abbisognano di uno Stato centrale che non si spogli del tutto delle sue funzioni. Ciò sottolinea anche l'esigenza di una scelta federalista che si realizzi come un processo.
Di fronte alle scelte concrete, direi che in questo momento prevale un atteggiamento di preoccupazione per il timore che si determini un vuoto o una frantumazione dell'ordinamento. Evidentemente, l'affermarsi di una cultura federalista richiederà un processo, perché difficilmente potrà realizzarsi di punto in bianco una svolta federalista nel nostro ordinamento, anche se credo che dobbiamo fissarne con coraggio i principi e gli obiettivi.
L'altro aspetto di cui si è discusso è quello della concertazione, sul quale si è soffermato in particolare il dottor Bellotti. Considerato che noi ci occupiamo di istituzioni e di strumenti più che di principi, da questo punto di vista appare abbastanza difficile stabilire in Costituzione le procedure della codecisione in materia di politica economica, anche perché procedure e forme di questo tipo finirebbero per svuotare le istituzioni rappresentative di compiti e prerogative che possono appartenere soltanto ad esse. Mi sembra difficile che le decisioni della politica economica vengano sottratte al Parlamento. Non si capisce quali poteri avrebbe quest'ultimo se messo di fronte a


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decisioni concertate tra tutte le forze economiche in una forma sancita costituzionalmente.
Questo è un punto molto delicato. Credo profondamente al valore della concertazione, cioè al dialogo, all'individuazione di obiettivi comuni, anche di vincoli condivisi tra le grandi forze sociali ed economiche, ma a me sembra che questa sia una grande scelta politica, un metodo politico largamente condiviso che difficilmente può prendere corpo in una scelta costituzionale che finirebbe per aprire inevitabilmente un conflitto rispetto alle prerogative che spettano agli organi che rappresentano più generalmente la volontà popolare.
Di ciò discuteremo in modo particolare con il presidente del CNEL, un organismo che sicuramente può ricevere anche nuova linfa, può svolgere una funzione più vitale nel nostro ordinamento, ma credo, fondamentalmente, come sede di pareri, di consultazione, come luogo di ausilio rispetto alla formazione della volontà politica. Mi pare, sinceramente, che l'ipotesi di una terza camera delle forze sociali sia abbastanza discutibile, non trovi spazio. Noi cerchiamo piuttosto di semplificare il nostro ordinamento, i meccanismi decisionali. Di camere legislative cerchiamo di averne una, per evitare la duplicazione ed il parallelismo di funzioni. Partendo dalle più nobili intenzioni di semplificare e di rendere più efficiente il nostro ordinamento, mi sembra che l'idea di aggiungere una terza camera delle forze sociali rischierebbe di renderlo ancora più complesso. Dico questo senza togliere nulla al valore politico della concertazione, ma registrando una serie difficoltà, anche di principio, nel dare ad esso una sanzione istituzionale, perché non vi è dubbio, se riconoscessimo alle forze sociali un ruolo istituzionale di codecisione nelle grandi scelte della politica economica, che dovremmo regolare anche il principio di rappresentatività delle stesse. E questo mi sembra difficile, perché per stabilire la rappresentatività non è stato ancora inventato un altro metodo oltre all'elezione diretta, al voto segreto. Quelli che sono stati sperimentati non hanno avuto un grande successo. Andremmo quindi verso una trasformazione in istituzioni, a tutti gli effetti, delle stesse grandi associazioni sociali. Mi pare che questa scelta non corrisponda alla realtà e alle aspettative del nostro paese.
Ciò detto, come opinioni in parte anche personali, con molta libertà, credo, tuttavia, che questo non tolga nulla al valore delle indicazioni qui espresse, alla sottolineatura, che mi è sembrata molto forte, della necessità di istituzioni in grado di corrispondere in modo più efficace e puntuale ai grandi bisogni sociali (sono state ricordate la lentezza delle decisioni e l'attesa, da molto tempo, di nuove norme). Non entro nel merito, perché in questa sede non discutiamo delle scelte politiche, delle politiche parlamentari, in quanto non sono esse a competerci ma la riforma della seconda parte della Costituzione. Quello che possiamo fare noi è cercare di dare al paese istituzioni in grado di decidere più rapidamente, in grado di esaminare proposte di legge in un tempo più rapido, in grado di corrispondere ad una società più complessa e più moderna che per essere governata ha bisogno di una tempestività di decisione che, forse, non era nei bisogni della società italiana quando fu studiato il solido impianto costituzionale che ha retto per tanti anni e che, dopo l'esperienza del totalitarismo, corrispondeva assai di più ad una esigenza di garanzia democratica che non a quella della rapidità e dell'efficacia della decisione. È anche per questo che, via via, questo impianto è apparso invecchiato e non in grado di corrispondere ai bisogni della società attuale.
Ringrazio i nostri ospiti e passo ad alcuni comunicazioni relative al lavoro della Commissione.
Confermo, anzitutto, che siamo convocati in seduta plenaria venerdì 4 aprile, alle ore 9,30, per l'audizione di rappresentanti del Forum permanente del terzo settore, dell'iniziativa «Parte civile», della Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna e dell'Azione cattolica.

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Su richiesta di alcuni commissari, vorrei anche rapidamente informare sulla discussione dell'ufficio di presidenza di questa mattina, che non ha assunto alcuna deliberazione, in quanto vi è stato uno scambio di informazioni anzitutto sullo stato dei lavori nei diversi Comitati, con particolare riguardo alle questioni più complesse, più controverse, su cui si confrontano tesi diverse, e a quelle di confine - per così dire - tra un Comitato e l'altro. Su questa base, sono state assunte alcune decisioni relative al lavoro dei Comitati: in particolare, su sollecitazione del collega D'Onofrio, si terranno riunioni congiunte tra il Comitato che si occupa della riforma della forma di Stato e ciascuno degli altri Comitati per approfondire questioni di comune interesse.
L'ufficio di presidenza si è poi dato appuntamento per esaminare, ovviamente tenendo conto della discussione di questa mattina, l'ipotesi che si venga in Commissione plenaria, prima dell'esame dei testi definitivi, per alcuni voti di indirizzo: su alcune questioni più controverse si chiederà alla Commissione plenaria di pronunciarsi con voti di indirizzo, in modo da indicare un percorso per un ulteriore approfondimento e precisazione della proposta.
Spetterà all'ufficio di presidenza, nella prossima riunione, approfondire questi punti e definire anche un calendario di votazioni. Da questo punto di vista, quindi, le decisioni di questa mattina sono esclusivamente relative alle riunioni congiunte dei Comitati. Per quanto riguarda i voti di indirizzo (lo dico perché ne hanno già parlato alcune agenzie e qualche collega mi ha chiesto delle informazioni), non c'è alcuna decisione, né per quanto concerne il contenuto né per quanto concerne le date. C'è stata tuttavia una discussione preliminare che troverà poi ulteriore definizione nella prossima riunione dell'ufficio di presidenza. E io ritengo che si arriverà, prima dell'esame finale dei testi, ad alcune votazioni di indirizzo per consentire poi ai Comitati di scegliere il percorso e di approfondire le diverse soluzioni tecniche su una via indicata dalla Commissione. Faccio un esempio banale. Nel Comitato forma di governo oramai si discute di due ipotesi: governo del primo ministro e governo semipresidenziale. Sono due ipotesi valide e la discussione è aperta...

FRANCESCO SERVELLO. Non è un esempio banale!

PRESIDENTE. È un esempio importante. È evidente, comunque, che a un certo punto su quale delle due soluzioni si debba puntare, almeno nella predisposizione delle proposte (poi il Parlamento sarà libero di scegliere), non potrà deciderlo il Comitato; lo dovrà decidere la Commissione, con una breve discussione e un voto di indirizzo, preliminare rispetto al successivo esame dei testi.
Stamattina questo ci è sembrato concordemente il modo migliore di lavorare. Naturalmente, queste votazioni di indirizzo dovranno essere meglio precisate nel loro contenuto e calendarizzate, cosa che l'ufficio di presidenza farà nella sua prossima riunione.

La seduta termina alle 19.