RESOCONTO STENOGRAFICO SEDUTA N. 10
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La seduta comincia alle 16.15.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Audizione di rappresentanti della CGIL, della CISL, della UIL, della UGL e della CISAL.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti della CGIL, della CISL, della UIL, della UGL e della CISAL.
Ringrazio i rappresentanti delle organizzazioni sindacali che hanno accolto l'invito della Commissione; ringrazio in modo particolare il segretario generale della UIL, che è l'unico fra loro che ha chiesto di essere sentito dalla Commissione bicamerale. È giusto, quindi, che egli abbia poi la parola per primo.
Vorrei preliminarmente comunicare che, avendo un impegno alle 19, qualora l'audizione si prolungasse oltre tale orario cederei la presidenza; può darsi che a quell'ora la seduta sia terminata, ma se così non fosse sappiate che dovrò allontanarmi: si tratta di un impegno a livello internazionale - con ospiti stranieri - al quale non posso non essere presente.
Per quanto riguarda i lavori della Commissione, durante la prossima settimana sono previste due audizioni: la prima - con due incontri distinti - riguarderà i rappresentanti della Confindustria e della Confapi e si terrà martedì 18 marzo alle ore 16; la seconda riguarderà i rappresentanti delle organizzazioni del mondo del commercio e dell'artigianato. Per quanto riguarda quest'ultima, proporrei alla Commissione che si tenesse non di venerdì, ma di giovedì pomeriggio, sempre alle ore 16. Successivamente la Commissione, per completare questa parte delle audizioni, dovrà dedicare solo un'altra seduta all'incontro con i rappresentanti delle altre associazioni economiche.
In sintesi nella prossima settimana la Commissione sarà convocata in seduta plenaria martedì pomeriggio e giovedì pomeriggio, con inizio alle 16.
Tornando all'audizione di oggi, vorrei sottolineare che noi annettiamo grande importanza all'incontro con i rappresentanti delle organizzazioni sindacali, le quali sono evidentemente interlocutori importanti su tutto il campo delle questioni istituzionali al nostro esame. Penso che ad esse dobbiamo chiedere il punto di vista di grandi organizzazioni sociali che hanno un complesso rapporto con lo Stato: un rapporto con il Governo, un rapporto con le amministrazioni locali, un rapporto con la macchina pubblica in generale, che condiziona notevolmente la vita economica e sociale del paese.
A nessuno sfugge la necessità di una profonda innovazione. Vorrei richiamare ai rappresentanti sindacali - anche per sollecitare una risposta su questi punti - le linee di fondo di questo processo innovativo di revisione costituzionale alle quali stiamo lavorando, sulla base non delle soluzioni (cui non siamo ancora giunti), ma delle proposte che sono all'esame della Commissione, le quali esprimono indirizzi - su molti punti - convergenti.
Innanzitutto, questa Commissione lavora ad un progetto di decentramento in senso federalista dello Stato. Voi sapete bene che esiste un'opinione molto larga in questa direzione, ma che ci sono anche grandi problemi, a partire dall'esperienza
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- non molto positiva - che il regionalismo ha compiuto fino ad oggi. Inoltre, vengono avanti concezioni diverse del federalismo, tendenti a valorizzare più o meno il ruolo delle città e delle province accanto al ruolo legislativo delle regioni. Al riguardo mi sembra importante capire come sia percepito questo problema da chi, come le grandi organizzazioni sindacali, ha avuto ed ha un rapporto molto intenso con il sistema delle autonomie: ritenete che un decentramento di poteri assai radicale, soprattutto sul terreno delle politiche economiche, sociali, industriali, della formazione professionale, possa determinare un migliore funzionamento dello Stato? Quali sono le vostre preoccupazioni e le vostre esperienze in tal senso?
L'altro grande capitolo del processo di riforma riguarda la forma di governo. L'idea è quella di un Governo che poggi più direttamente sul consenso dei cittadini (sono ipotizzabili diverse soluzioni: presidenzialista, neoparlamentare ...) e del quale si cerchi di garantire maggiormente la stabilità. Naturalmente la stabilità di governo non può essere imposta per legge ma i meccanismi costituzionali possono favorirla o meno; la stabilità è un valore, soprattutto quando è espressione di una volontà popolare.
Insieme con una riforma della forma di governo noi vogliamo un Parlamento più autorevole, più efficente, capace di assumere decisioni in tempi più rapidi, in un rapporto con l'esecutivo che non pu essere di freno reciproco ma deve essere di collaborazione e dare la possibilità di un controllo effettivo del Parlamento sul Governo. In modo diverso quasi tutti propongono di superare la forma attuale di bicameralismo perfetto e di ridurre il numero dei parlamentari, nonché di predisporre un meccanismo di formazione delle maggioranze parlamentari che le incardini e ne faccia espressione del voto popolare più che della negoziazione fra partiti.
Ora, i sindacati sono stati partecipi in forme diverse di un movimento di rinnovamento della politica; una parte di essi ha dato, in modi diversi, sostegno al movimento referendario che ha impresso uno scossone al vecchio sistema politico. Anche da questo punto di vista, potete quindi aiutarci a fare un primo bilancio della fase che poi si è aperta e dei problemi che si pongono.
In questo quadro considero di grande importanza anche una riflessione sulle forme della concertazione, cioè del rapporto tra Governo e parti sociali, e sulla relazione tra concertazione e ruolo del Parlamento. Sono grandi questioni politiche ma che hanno anche un riflesso istituzionale. Pensiamo alla possibilità o meno di dare alla concertazione una dimensione istituzionale: oggi essa dipende da una scelta politica ed è un fatto politico che paradossalmente non ha alcun nesso con organi di rilevanza costituzionale che pure esistono. Il CNEL è del tutto fuori dal circuito della concertazione: è un organo del quale si discute e diverse proposte all'esame di questa Commissione ne prevedono sostanzialmente l'abrogazione.
Voi ritenete che questo organismo possa risultare utile, che possa essere rivitalizzato? In quale modo ed in quale rapporto con la concertazione sociale ci potrebbe avvenire? È un interrogativo serio perché a mio giudizio o questo organismo ritrova un ruolo ed una prospettiva nuovi oppure rischia di essere espressione di una situazione in parte superata. Non voglio in alcun modo negare il valore dei suoi pareri, ma tutto sommato esso finisce per rappresentare un ramo più caduco del nostro ordinamento.
Vi sono poi problemi relativi al sistema delle garanzie; essi possono avere un interesse più mediato e concernente le proposte tendenti a delineare un sistema più semplice per quanto attiene al funzionamento della giurisdizione. Alcune proposte tendono all'unità della giurisdizione stessa, mentre altre vanno nel senso di una più forte attenzione alle garanzie individuali e collettive. È in questione il sistema della giustizia amministrativa e contabile, anche per i suoi effetti sul
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funzionamento della macchina pubblica. Credo che possa essere interessante ascoltare il vostro punto di vista anche su questo aspetto, per la vostra esperienza di rapporto con il funzionamento della macchina pubblica.
Quindi, in sostanza, il lavoro che si sta svolgendo nella nostra Commissione è molto ampio, e ormai si è avviato in una fase più stringente di confronto di merito e di riorganizzazione delle istituzioni. L'obiettivo è quello di costruire uno Stato più vicino ai cittadini, più moderno, democratico, efficiente e capace di decidere meglio. Credo che questo obiettivo non possa non essere condiviso dalle organizzazioni sindacali; i modi in cui può essere perseguito sono diversi, anche se credo che la discussione che si è avviata possa consentire un certo avvicinamento dei punti di vista, ed alla fine ci saranno delle decisioni.
Anche se siete liberi di farlo, naturalmente, non chiedo ai sindacati di entrare sul terreno delle scelte più controverse. Penso che in fondo ciò possa avere un interesse relativo. Ognuno di voi pué avere la sua opinione ma difficilmente il sindacato in quanto tale può essere tenuto a schierarsi tra Governo del premier e semipresidenzialismo, per citare uno dei temi più noti (ce ne sono altri) e più controversi.
Credo, invece, che il sindacato possa dirci molto sul funzionamento dello Stato e sulle esigenze di un sistema moderno in relazione ai grandi temi della vita economica e sociale. Comunque, direte quello che riterrete opportuno; ho creduto giusto riassumere - come elemento di quadro - le questioni fondamentali con cui ci misuriamo per sollecitare su ciascuna di esse un vostro giudizio ed il vostro consiglio.
La discussione avrà un carattere molto libero: eviterei quindi di svolgere cinque relazioni. Darò la parola per il primo intervento a Pietro Larizza e poi vedremo. Se tra un intervento ed un altro dagli esponenti sindacali i membri della Commissione vorranno prendere la parola, potranno farlo. Raccoglieremo le iscrizioni a parlare senza nessuna formalità, dal momento che in fondo si tratta di un dialogo.
Durante l'intervento di Larizza registreremo le richieste di parola sia dei commissari sia dei nostri ospiti. Non seguiremo un ordine prefissato perché non mi pare vi sia un'esigenza di formalità, né vi è un cerimoniale che preveda che parli un solo esponente per ciascun sindacato: vi è solo un autocontrollo al quale siamo tutti invitati per concludere i lavori ad un'ora ragionevole.
Ringrazio nuovamente i nostri ospiti e do la parola a Pietro Larizza.
PIETRO LARIZZA, Segretario generale della UIL. Desidero in primo luogo ringraziare, a nome di tutti, il presidente e la Commissione per questo incontro. Credo che il desiderio e l'esigenza di incontrarci sia comune a tutti. Non credo, e comunque non oso, dare carattere unitario ai contenuti della richiesta che ho avanzato.
Dall'esposizione effettuata dal presidente, ritengo sia evidente a tutti noi, che seguivamo dall'esterno i lavori della Commissione, l'ampiezza dei suoi obiettivi. Rispetto ad essi desidero sottolineare, personalmente e a nome della organizzazione che rappresento, solo alcuni punti sui quali il presidente ha chiesto, fra i tanti, anche il nostro parere.
Il primo è relativo alla materia del decentramento e del modello federalista. Siamo favorevoli al decentramento, ma non fino al punto da arrivare ad una concezione di realtà autonome federate in un sistema unitario che si chiama Italia, ciò per ragioni di principio, ma anche di fatto.
Una delle ragioni che sicuramente peserebbe è quella dei tempi e della necessità del risanamento del debito pubblico. Un'altra, moralmente anche più grave, è quella relativa alla situazione socio-economica del paese, per cui un modello federale, inserito in un contesto nel quale non esiste unificazione economica, sociale e civile, sarebbe la certificazione delle diversità, senza possibilità di un risanamento,
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se non attraverso forme solidali, che non credo siano presenti nello spirito di un paese che vuole svilupparsi ed inserirsi nella Comunità europea.
Il nostro ragionamento parte da una premessa molto semplice. In una situazione nella quale il Parlamento italiano decide - e costituisce per questo scopo una Commissione - di apportare profondissime modifiche al nostro sistema istituzionale, nei poteri politici, amministrativi e fiscali, nelle scelte e nelle possibilità di sviluppo, con nuovi soggetti che diventano titolari di poteri che prima non detenevano, non è pensabile che un soggetto unitario collettivo - come si chiama - sindacato possa essere considerato estraneo, e finisca con l'essere eccentrico, rispetto ad una riforma di questa natura e portata.
Il nostro ragionamento quindi parte dal principio che il sindacato deve essere protagonista della riforma e comunque suo destinatario. Il sindacato, come rappresentante di interessi collettivi di una parte della società, quella del mondo del lavoro, deve ricercare un modello per rappresentare tali interessi in un contesto sociale diverso da quello di venti o trenta anni fa che tende ad esserlo ancora di più.
Il sindacato deve partire da una situazione di fatto, per esempio quella che abbiamo realizzato con lo strumento della politica dei redditi e il modello concertativo, per porsi una domanda. Posto che tutti consideriamo tale esperienza positiva nel metodo e negli effetti, essenziale per ciò che essa ha prodotto, anche per la difesa del reddito del lavoro dipendente e dei pensionati, oltre che essenziale, come si è rilevata, per l'inflazione, che è la chiave di lettura fondamentale per il risanamento del nostro modello economico e della nostra finanza pubblica; dunque, considerata questa esperienza, da tutti accettata e positivamente sottolineata dal 1992 ad oggi, la prima domanda da porsi è se essa sia un dato transitorio, un tratto storico dell'Italia o se sia un modello di relazioni industriali e sindacali che può considerarsi la caratteristica nuova del nostro paese in questa fase di trasformazione e di nuovo assetto dei poteri istituzionali. Dobbiamo chiederci, cioè, se questo modello sia sottratto alla logica degli interessi di parte, quali che siano, per diventare un modello stabile, non sottoposto alle tante variabili della politica.
Questo vorrebbe dire - a nostro avviso - certificare la validità di uno strumento, fermo restando che i contenuti della concertazione, pur essendo un modello universale, non possono che riguardare i soggetti diretti e primi titolari della politica, a cominciare dal Governo, che è la parte pubblica protagonista nel tavolo della concertazione. Quindi, i contenuti, che rientrano nelle scelte di politica sociale ed economica del Governo, come modello che ha prodotto risultati positivi e che potrebbe essere stabilizzato, giunti a questo punto, con un atto legislativo. Se tale modello diventa stabile, in una nuova fase di relazioni industriali, nel momento in cui si parla di decentramento istituzionale, di poteri e di responsabilità, che vanno dai problemi dello sviluppo alle materie fiscali, inevitabilmente dobbiamo pensare che esso deve riproporsi allo stesso modo come strumento, salvo verificarne i contenuti.
Sappiamo perfettamente, signor presidente, che ogni volta che parliamo di un modello concertativo, ma anche prima che fosse introdotto, quando incontravamo il Governo e si concludevano accordi su vari capitoli specifici, che andavano dalle pensioni alle tasse, ai ticket e così via, vi è sempre stato un problema non risolto, se non dalla pratica quotidiana, senza avere mai un orientamento uniforme: quello del rapporto tra il sindacato ed il Governo, tra quest'ultimo ed il Parlamento. Siamo stati sempre assorbiti, infatti, da una serie di stati di necessità. Il sindacato, peraltro, ha bisogno di un soggetto con cui negoziare ed esso può essere solo il Governo, quale soggetto esecutivo; a sua volta, il Governo non può fissare accordi, pervenire a negoziati classici con il sindacato senza tenere conto che il Parlamento è sovrano e non può essere messo di fronte ad accordi (come dicevamo allora) blin
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dati, che limiterebbero la sua sovranità e la sua possibilità di intervento.
Questo problema non l'abbiamo mai risolto, pur essendo stati sempre condizionati dalla necessità di avere un soggetto che fosse elemento di garanzia per coloro che rappresentiamo e tenendo conto che esiste un Parlamento la cui sovranità non può essere messa in discussione, come non abbiamo mai fatto, anche nei momenti di maggiore difficoltà. Questo è uno dei punti da risolvere, nel caso in cui lo strumento della politica dei redditi ed il sistema concertativo venissero acquisiti come modelli di relazioni sindacali ed industriali nel nostro paese.
Do per scontate determinate premesse e non affronto quindi la questione di un sindacato regolato, imprigionato, normalizzato, perché intervengo in un sistema di libertà in cui la dialettica è garantita ed anche il conflitto, se necessario. Tutto ciò premesso, intervengo su come possono essere regolati i rapporti, il che pone altri problemi.
In un sistema in cui il fattore di responsabilità, compreso quello sindacale, come si esplicita per esempio con la politica dei redditi, diventa un elemento che pesa sulle scelte che si esercitano nel paese, il sistema un po' spontaneista dell'autocertificazione sindacale, oggi presente in Italia, non regge più. Riteniamo quindi che debbano essere emanate una serie di leggi attuative di norme della Costituzione: mi riferisco all'articolo 39 sulla rappresentanza e sulla rappresentatività; all'articolo 40 (che dà più fastidio), riguardante il diritto e la libertà di sciopero nell'ambito di disposizioni che fissano la cornice entro cui può essere esercitato. Vi è poi l'articolo 46, che oggi è diventato l'articolo europeo, relativo alla partecipazione: non una partecipazione frutto di un rapporto di forza che si può determinare in un momento o nell'altro, perché abbiamo stipulato accordi di partecipazione (i famosi protocolli IRI ed ENI) che però sono tutti atti simbolici privi di significato reale. Nel momento in cui emerge l'elemento della responsabilità, di cui il sindacato è uno dei portatori nel modello concertativo, bisogna trarre tutte le conseguenze: questo è il senso della nostra lettera. Mi fermo solo a questa parte, indicata nella lettera, per osservare che, in un processo di riforma istituzionale come quello affrontato dalla bicamerale, il problema fondamentale della funzione, del ruolo, delle responsabilità e dei modelli di relazione sindacale non può essere considerato marginale e deve essere invece uno dei punti centrali, visto che puntiamo ad una società sempre libera e democratica e, per alcune parti, più razionale e regolata.
Mi limito ad una sola battuta, perchè fra l'altro oggi abbiamo compiuto un grande passo in avanti (sempre aspettandone comunque l'attuazione) rispetto all'accordo che abbiamo firmato con il Governo per la pubblica amministrazio-ne. Esprimo un mio parere personale: oggi la pubblica amministrazione, senza dare giudizi sulle persone, è arrivata al punto di rappresentare un impedimento reale, dimostrabile, per lo sviluppo e per il lavoro. Secondo l'analisi della UIL (parlo con grande franchezza), il problema che si pone per il nostro paese è quello di dire basta ad un sistema pubblico basato sul regime di autorizzazione. La ragione per cui in Italia abbiamo 250 mila leggi è la vigenza del regime dell'autorizzazione, per cui, per legalizzare ogni attività umana determinata dal progresso, bisogna varare una legge che la renda legale: allora, se questo principio non si interrompe e non si ribalta, arriveremo a 300 mila leggi ed oltre; a quel punto, credo che i fenomeni degenerativi, da tutti lamentati, avranno un terreno statisticamente molto più diffuso rispetto a quello attuale.
Vi è quindi un problema della pubblica amministrazione, che riguarda l'attiv-ità centrale e periferica e la libertà di governo politico-amministrativo nei comuni, cioè nei punti in cui vi è il rap-porto di maggiore vicinanza fra l'autorità pubblica ed il cittadino. Tutti sappiamo che oggi i sindaci sono espressione di-retta dei cittadini, ma le vecchie norme amministrative (mi è stato spiegato da un punto di vista tecnico da magistrati) sono
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tali che tutti sindaci sono in libertà vigilata per benevolenza dei magistrati: mi hanno infatti spiegato che basta firmare anche solo un biglietto d'auguri per essere potenzialmente incriminabili. In un processo di democrazia come quello avviato, con i connotati che ci ha indicato il presidente, credo quindi che il problema dell'impalcatura burocratica della funzione pubblica, delle norme che regolano e devono rendere libera l'attività politica ed amministrativa, riguardi il cuore del sistema, visto che parliamo di una democrazia più ampia, efficiente e vicina ai cittadini.
MAURO NOBILIA, Segretario generale della UGL. Anche noi ringraziamo il presidente della Commissione bicamerale, onorevole D'Alema, nonché i componenti dell'ufficio di presidenza, per aver voluto coinvolgere le forze sociali in una riflessione che ha notevole significazione rispetto alla delineazione del futuro di questo paese. Facendo riferimento ai corpi sociali, ad una vasta rappresentanza della società, concordo pienamente con le parole iniziali del presidente, che hanno sottolineato come l'esigenza di cambiamento sia notevolmente diffusa.
Anche noi, come organizzazione sindacale, avvertiamo una profonda esigenza di cambiamento, per cui cercherò di rispondere succintamente agli interrogativi delineati dal presidente nell'ambito del suo intervento. Quanto al decentramento, definito dal presidente di caratteristica federalista, credo che la parola stessa «decentramento» configuri forse una visione non perfettamente coerente con le esigenze del nostro paese. Proprio recentemente, infatti, come cittadini e come forze sociali, abbiamo avvertito l'impasse di un sistema fortemente centralizzato, in ordine non soltanto ad una macroprogrammazione inerente alla necessità di delineare un modello di sviluppo ma anche alla realizzazione di tutti quegli strumenti, meccanismi e sostegni relativi, per esempio, al risanamento economico, o alla nascita di nuove iniziative economiche, o alla realizzazione di un intervento straordinario (non come caratteristica nella vecchia concezione, ma in quanto esigenza prioritaria) nel Mezzogiorno.
Il decentramento, allora, a nostro avviso, non può che essere di natura (oggi prendiamo in prestito la parola) federalista, nel senso di un trasferimento non soltanto di funzioni amministrative. Abbiamo apprezzato, per esempio, il cosiddetto provvedimento Bassanini in ordine all'avvio dello snellimento delle procedure amministrative, alla velocizzazione delle decisioni, alla costituzione per l'intanto delle autonomie dei presidi scolastici. Tuttavia, a nostro avviso, occorre ampliare e maggiormente incentivare questa strada, attraverso un vero e proprio impianto federalista. Come osservava il presidente, nell'ambito delle esperienze che le forze sociali compiono sul territorio, proprio in questi ultimi periodi sta partendo una forma di concertazione regionale: questa, a differenza da quella nazionale, presenta notevolissimi problemi, anche perché nell'ambito della delineazione delle incombenze costituzionalmente riservate alle regioni, queste si trovano già in una posizione di impasse di partenza. Non dispongono infatti degli strumenti necessari per una programmazione corretta, concreta, funzionale, significativa sul territorio; sono in grado, di conseguenza, di fornire soltanto risposte estremamente parziali alle esigenze che le forze sociali loro presentano. Questo è già un primo problema.
Il secondo problema è connesso ad una certa staticità da parte dei governi regionali: non voglio certo dire che è un male dell'oggi, perché è forse un male che trae le sue origini da un'accumulazione di scarsa responsabilità gestionale sul territorio. È tuttavia un fatto che, non avendo da un lato gli strumenti e dall'altro lato l'abitudine ad un governo delle cose sul territorio, le regioni, automaticamente, se da una parte avviano una concertazione estremamente significativa nell'ambito della cosiddetta politica dei fattori di sviluppo, dall'altra parte corrono il rischio che uno strumento così importante sia
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sostanzialmente vanificato in partenza. Quindi, vediamo in maniera estremamente significativa la realizzazione dell'impianto cosiddetto federale, connesso anche ad un trasferimento dell'imposizione fiscale (o di parte dell'imposizione fiscale) sul territorio, in massima parte incentrato sulle amministrazioni comunali. Certo, vi è l'esigenza di ricondurre a unità il paese. Qui possiamo entrare nel merito dell'elezione diretta o meno del premier o del Presidente della Repubblica, sulla quale però sorvolerei per soffermarmi un po' più a lungo sulla necessità di una stabilità maggiore del Governo.
La stabilità del Governo è senz'altro un elemento basilare, nell'ambito non solo del processo di risanamento del paese ma anche del progresso civile e morale del paese stesso. Non credo che sul piano sia dell'immagine politica sia di quella civile si legga con caratteristiche positive un'eccessiva variabilità alla guida del paese. Quindi, a proposito delle forme che premiano una maggiore stabilità, siano esse il collegio uninominale o il sistema maggioritario, credo sia oltremodo opportuna una loro introduzione.
Il presidente ha poi parlato delle forme di concertazione. Io le ho toccate, come esempio, a proposito delle regioni. La concertazione, indubbiamente, si è rivelata uno strumento positivo per affrontare problemi notevoli per il paese. Per esempio, uno dei problemi relativi ai contenuti della politica dei redditi ha certamente contribuito ad innestare un processo di risanamento. Ma credo che le forze sociali considerino la cosiddetta concertazione, o la politica della concertazione, semplicemente come uno strumento, un metodo che liberamente il Governo e le forze sociali si sono dati al fine di affrontare, analizzare e concertare possibili soluzioni in merito a determinati problemi.
Vi è, in ipotesi, una forma di istituzionalizzazione della concertazione? Questo richiama alla mente la figura giuridica delle organizzazioni sindacali perché, qualora si dovesse effettivamente pensare a un'istituzionalizzazione della cosiddetta concertazione, questo richiamerebbe automaticamente in causa l'applicazione dell'articolo 39 della Costituzione, cioè la figura giuridica dell'organizzazione sindacale, e quindi l'attuazione di tale articolo; in sostanza (questo sarebbe il secondo aspetto), chi rappresenta chi, rispondendo anche alla «compositività» e dando assenso alle parole del segretario Larizza sull'individuazione non solo dei criteri della rappresentanza ma anche, e soprattutto, di quelli della rappresentatività. Indubbiamente, non esiste soltanto un problema al fine di realizzare l'istituzionalizzazione della concertazione, ma anche uno connesso al ruolo specifico, alla funzione essenziale dell'organizzazione sindacale, non ultimo in riflesso alla validità del contratto collettivo nazionale di lavoro, cioè la validità erga omnes del contratto.
Oggi, infatti, solo per prassi il magistrato fa riferimento ad un contratto esistente, cioè a quello sottoscritto dalla maggior parte delle forze sindacali per applicarlo in un determinato contesto sul territorio; siamo semplicemente ad una prassi, perché manca il valore giuridico. Ma attraverso l'applicazione del dettato costituzionale dell'articolo 39 oltre a dare maggiore significato allo strumento (anche attraverso l'istituzionalizzazione della concertazione con le organizzazioni sindacali) si darebbe una risposta definitiva all'annoso problema della validità erga omnes del contratto.
Onestamente, non vedo un conflitto tra la concertazione e il ruolo del Parlamento, perché vedo la concertazione collegata ad una funzione precipua da parte del Governo. Credo che numerosissime analisi compiute dai più eminenti studiosi della materia oggi ci portino a dire che la società è definita da un lato policentrica e dall'altro policorporativista. In sostanza, esistono figure, rappresentanze, espressioni sociali che delineano un ruolo «politico»; credo che sia esigenza del Governo, soprattutto in una fase non tranquilla e non ricca, in cui le esigenze sono di ristrettezza e dove gli interessi sono accresciuti rispetto alla società di un tempo, accrescere o cercare l'accrescimento
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del consenso in ordine alla determinazione delle sue politiche. Questa credo che sia la concertazione connessa precipuamente al ruolo e all'esercizio dell'attività di governo, che nulla toglie a quello che è non soltanto il ruolo ma anche la sovranità del Parlamento. Quindi, non vedo nel modo più assoluto una conflittualità tra il Parlamento, che è e resta sovrano, e una funzione di riflessione e di concertazione tra Governo e forze sociali. Credo, invece, che l'esigenza sia quella contraria.
Il presidente ha citato il CNEL e le riflessioni relative alla sua abrogazione, revisione, riforma o maggiore significazione. Credo che il CNEL debba essere maggiormente valorizzato, perché oggi ha una funzione eminentemente consultiva, per cui è necessario individuare funzioni più significative. Nell'ambito di un processo che veda la rappresentanza politica maggiormente connessa con la rappresentanza sociale, credo si possa anche affrontare il problema della riforma di una delle due Camere, cioè il Senato, legando la sua composizione non solo alle realtà regionali ma anche a espressioni significative della società, che in buonissima parte, nella stragrande maggioranza, sono racchiuse nel CNEL. Pertanto, si potrebbe anche ipotizzare una presenza del CNEL all'interno del Senato, realizzando così non soltanto una maggiore significazione del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro ma anche una presenza, sia pur mediata, delle espressioni della società all'interno di una delle due Camere, che avrebbe il precipuo compito di legare, o di meglio legare, ripeto, la rappresentanza politica con quella sociale.
VALDO SPINI. Presidente, desidero fare due considerazioni per sollecitare gli ulteriori sviluppi del nostro dibattito. Esprimo innanzitutto apprezzamento per ciò che ha detto Larizza sull'applicazione dell'articolo 39 della Costituzione - tra l'altro, noi dovremmo applicare l'articolo 49: credo sarebbe positivo - ma non certo nel senso di una costituzionalizzazione della concertazione, perché sarebbe sbagliato. Se mai, mi sembra che il tema che si dovrebbe porre sia questo: oggi la concertazione avviene con il Governo e il tema delle riforme costituzionali comporta due aspetti fondamentali, cioè la solvibilità del Governo (nel senso che quando prende un impegno rappresenta una maggioranza che lo porti avanti: pensiamo al patto sul lavoro, per non andare troppo lontano) e i tempi di applicazione, perché sappiamo benissimo che vi sono accordi conclusi nel 1993 che devono essere ancora attuati. Da questo punto di vista, quindi (mentre evidentemente penso sia da rifiutare una costituzionalizzazione della concertazione), credo che le organizzazioni sindacali abbiano interesse a che la concertazione avvenga con interlocutori solvibili dal punto di vista della volontà politica, della capacità di attuazione e dei tempi di realizzazione. Questo in effetti è un aspetto molto delicato, come si è potuto verificare nella pratica, qualche volta anche con conseguenze molto gravi e molto negative per la vita economica e sociale del paese.
Il secondo punto che volevo sottoporre all'attenzione di chi interverrà successivamente è il seguente. Già è stato detto del favore del sindacato verso un decentramento e dell'ostacolo che si incontra nella pubblica amministrazione. Vorrei completare il giudizio in rapporto ad un altro dato. Purtroppo, quando si va ad analizzare la capacità di spesa delle attuali regioni, si constata la situazione non è molto positiva. Ho chiesto alla Camera gli ultimi dati: si va da regioni che si comportano bene, con un indice pari al 78-80 per cento della capacità complessiva di spesa, ad altre regioni con un indice pari al 25-26 per cento. Si potrebbe citare l'esperienza concreta dei piani per l'ambiente, che devono passare appunto attraverso le regioni.
Sarebbe interessante riflettere sul rapporto fra decentramento e responsabilizzazione dei centri di spesa, dal momento che anche questo elemento è molto importante per le conseguenze economiche e sociali che se ne possono trarre.
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GAETANO CERIOLI, Segretario generale della CISAL. Parto subito dagli spunti che il presidente, onorevole D'Alema, ci ha dato all'inizio. Mi riferisco in particolare agli aspetti connessi al decentramento. Dico con molta chiarezza che noi siamo favorevoli a un decentramento in senso federalista dello Stato; a un decentramento che faccia riferimento all'attuale sistema delle regioni: non possiamo sicuramente immaginare un federalismo del tipo evocato dalla lega, che mette insieme regioni che non hanno alcun carattere similare, né storico, né politico, né culturale.
È certamente interesse dei lavoratori avvicinare i cittadini alla cosa pubblica per verificare più attentamente gli atti, gli impegni finanziari, le realizzazioni, per verificare cioè in concreto come la politica trasformi quotidianamente gli impegni in fatti concreti, in fatti amministrativi. Soprattutto è necessario a nostro avviso il recupero della fiducia nelle istituzioni, nell'ambito del tentativo (e credo che questo sia fra i compiti della bicamerale) di ricostruire il tessuto connettivo del paese, un tessuto che è stato fortemente deteriorato dalla prima Repubblica e da tutto quello che ne è conseguito: Tangentopoli, Mani pulite e tutto ciò che voi avete ben presente e conoscete sicuramente meglio di me.
Altro elemento importante è quello della stabilità. È indubbio che un sindacato che interpreti realmente la volontà dei lavoratori non può non volere la stabilità, perché ha bisogno di confrontarsi, e, una volta che si è confrontato ed ha concertato, cioè ha partecipato alle scelte (visto che per concertazione intendo partecipazione), deve avere anche i tempi necessari per verificare che le cose concordate vengano realizzate, cioè trasformate in atti legislativi. Allo stesso modo, un Governo che abbia volontà riformatrici non può non disporre di tempi medi e lunghi davanti a sé, dal momento che senza di essi le volontà riformatrici sono destinate a rimanere tali.
Vorrei intanto chiarire un punto: la concertazione è un metodo; il sistema vero è la partecipazione. Si tratta di vedere come definire la partecipazione. E la partecipazione sicuramente non è tesa ad indebolire il Parlamento, ma esprime la volontà, il desiderio di partecipare alle scelte attraverso i mezzi e le istituzioni a tal fine predisposti. Nel dire ciò vorrei anche chiarire un aspetto. L'attuale sistema concertativo è un sistema profondamente illiberale, è un sistema che offre percorsi al cosiddetto sindacato amico, è un modo per lasciare ai datori di lavoro (così come sta effettivamente avvenendo) la scelta delle organizzazioni sindacali con le quali trattare, è un modo per consentire al Governo, a seconda del momento e del colore dello stesso, la scelta di trattare con questo o quel sindacato stabilendo un rapporto più profondo ed intimo con una parte e più distaccato con un'altra. Tutto ciò non può essere lasciato a scelte discrezionali, ma deve essere predefinito.
Ecco perché entro nel merito dell'articolo 99 della Costituzione, quello che si riferisce al CNEL, da cui poi faccio discendere una serie di considerazioni.
L'attuale CNEL va sicuramente ripensato, rivisitato, rideterminato. Certamente non si può curare il mal di testa con la decapitazione! A nostro avviso, in un quadro partecipativo, il CNEL può avere una sua funzione. La CISAL, quindi, sostiene la necessità di una riformulazione dell'articolo 99 della Costituzione sul CNEL che ne ridefinisca in termini più puntuali: il ruolo di effettiva partecipazione al fine di prevenire o mediare i grandi conflitti sociali; la composizione sostanzialmente paritaria; le funzioni di consulenza, propositive, di input alle politiche di coesione sociale (welfare state, sviluppo locale e politica dei redditi), ma anche di garanzia dei diritti fondamentali riguardanti il mondo del lavoro, nonché possibilità di arbitrato.
Noi riteniamo che il sindacato debba esserci e che abbia una funzione fondamentale, ma esso deve trovare collocazione in una nuova e democratica posizione dialettica, non pregiudizialmente conflittuale ma assolutamente paritaria, tra capitale economico e capitale-lavoro.
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Per esserci, il sindacato non può essere quello attuale, cioè un sindacato di fatto. Noi chiediamo invece un sindacato di diritto. Il sindacato deve avere delle regole, non potendo continuare ad esistere come mera associazione di fatto, titolare peraltro di un potere a volte forte e tuttavia giuridicamente irresponsabile. E le regole - sia ben chiaro - non devono interessare solo i sindacati dei lavoratori ma anche i sindacati dei datori di lavoro. Insomma, nel nostro paese le rappresentanze presunte devono cessare di esistere: vogliamo trovarci di fronte a rappresentanze vere, reali, liberamente espresse. È necessario quindi il rispetto dei valori di libertà. E come non può esistere libertà senza legge, allo stesso modo non può esistere legge senza libertà, a pena di prevaricazioni e privilegi.
Noi quindi sosteniamo l'ancoraggio del nuovo modello di rappresentanza sindacale al dettato costituzionale, attraverso una legge sindacale ordinaria che «attualizzi» l'articolo 39 della Costituzione. Noi sosteniamo l'obbligo della registrazione per acquisire personalità giuridica di diritto privato e per poter così stipulare unitariamente ed in proporzione al numero degli iscritti contratti collettivi, questi sì con reale efficacia erga omnes. Sosteniamo il modello di sindacato degli iscritti, un modello cioè di tipo associazionistico.
Chiediamo inoltre la contestuale attuazione dell'articolo 46 della Costituzione per garantire a strutture elette (queste sì elette da tutti i lavoratori, non solo dagli iscritti) la partecipazione, cioè il diritto a collaborare (come dice l'articolo 46 della Costituzione) alla gestione delle aziende e ad assumere in esse anche un interesse economico (anche questa una funzione sindacale in senso lato, ma del tutto distinta da quella contrattuale).
Noi riteniamo che la bicamerale sia la sede più idonea per una riformulazione dell'articolo 99 della Costituzione, che delinei un CNEL rinnovato, e che sia anche l'occasione per un reale ed effettivo azzeramento delle posizioni sindacali attuali. Non vogliamo né mortificare né prevaricare nessuno, ma garantire quelle pari opportunità fin qui negate da una legislazione di sostanziale sostegno al monopolio sindacale.
Riconfermo pertanto l'esigenza di un CNEL rinnovato, che sia costituito attraverso libere elezioni previa individuazione delle categorie produttive. All'esito di tali elezioni dovrebbe collegarsi l'ulteriore effetto di legittimazione a rappresentare, che dovrebbe poi tradursi, in ragione degli iscritti effettivamente acquisiti, in una vera e propria capacità rappresentativa e contrattuale ai sensi del terzo comma dell'articolo 39 della Costituzione (efficacia erga omnes).
In sostanza, chiediamo che si risolva il problema di una effettiva democrazia sindacale e, soprattutto, che si definiscano le modalità di accertamento preventivo della legittimazione a rappresentare.
Rispetto ai problemi che ci vengono posti dagli articoli 97 e 98 della Costituzione, che attualmente prevedono pubblici uffici organizzati secondo disposizioni di legge, buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, determinazione, negli ordinamenti, delle sfere di competenza, delle attribuzioni e delle responsabilità dei funzionari, accesso agli impieghi pubblici mediante concorsi, la CISAL ritiene necessaria una riformulazione dei due articoli in ragione sia della riforma già intervenuta (dalla legge n. 421 del 1992 al decreto legislativo n. 29 del 1993 oltre che le leggi n. 142 del 1990 e n. 241 del 1990) sia del completamento della stessa, ancora in corso con il disegno di legge Bassanini. Dovrà trattarsi di una riformulazione coerente con i seguenti «obiettivi» da realizzare prevalentemente attraverso strumenti di delegificazione: delegare il potere organizzativo per ottenere risultati misurabili; collegare le responsabilità di risultato alle quantità di poteri delegati; rendere «concorrenziali» le organizzazioni dei servizi, specie sotto il profilo qualitativo; prevedere strumenti di selezione per l'accesso assolutamente oggettivi, rapidi e meritocratici. Tutto ciò tenendo conto del fatto che la pubblica amministrazione, quale prima impresa di
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servizi del sistema Italia, deve comunque produrre «valore aggiunto» in favore dei cittadini e delle imprese. Quindi, la pubblica amministrazione quale volano dell'economia in grado di dare risposte rapide e in tempi reali: uno strumento al servizio della società italiana.
Per quanto riguarda l'articolo 81, la CISAL ne propone un rafforzamento in termini tali che risulti impossibile disattenderne il principio attraverso artifici di vario genere, come troppo spesso è avvenuto.
Chiediamo quindi, in linea più generale, che nell'ambito della nostra Costituzione prevalgano i principi di una libertà vera che non sia vernice della nostra società ma sostanza concreta e verificabile quotidianamente. Dunque, un soggetto trasparente che dia certezze a tutti di vivere in un paese che non è liberaldemocratico a parole ma lo è nei fatti, nel quotidiano.
FRANCESCO SERVELLO. Anche per chiarire le posizioni, osservo che lei, signor presidente, ha posto sul tappeto una questione che è stata adesso variamente trattata, quella della concertazione, ed ha aggiunto «e il Parlamento». Da qualche intervento, in particolare da quelli di Larizza e di Nobilia, è stato escluso il Parlamento. Penso di aver capito - forse mi sono sbagliato - che il Parlamento si veda, molte volte, defraudato dei propri compiti e responsabilità da una concertazione che arriva addirittura fino alla trattazione particolareggiata di una riforma, di una legge, di un provvedimento. In questo senso, il Parlamento finisce per fare da notaio. Mi è parso di capire che fosse questa la sua preoccupazione nel definire i limiti e i ruoli della concertazione.
Voglio poi dire, per quanto riguarda la personalità giuridica dei sindacati, che essa è già prevista nella prima parte della Costituzione, per cui non credo, da questo punto di vista, che noi possiamo intervenire. Mi pare invece estremamente importante il discorso su un organismo apparentemente non considerato come elemento istituzionalmente efficace, cioè il CNEL. Continuiamo infatti a parlare di una seconda Camera rappresentativa delle autonomie locali, delle regioni e di quant'altro, ma questo organismo, che è stato scarsamente utilizzato e mobilitato, in definitiva è previsto dalla Costituzione e noi dovremmo tenerne conto nel definirne i ruoli. Da questo punto di vista, quindi, l'apporto dei rappresentanti delle forze sociali in questa occasione mi sembra molto importante.
SERGIO COFFERATI, Segretario generale della CGIL. Accendendo il microfono, signor presidente, ho preso la scossa: l'hanno presa tutti, o solo io?
PRESIDENTE. La scossa?
SERGIO COFFERATI, Segretario generale della CGIL. Sì, c'è una dispersione.
PRESIDENTE. Penseranno che sia la continuazione del congresso del PDS... (Si ride).
SERGIO COFFERATI, Segretario generale della CGIL. Questo volevo capire!
Anch'io vi ringrazio. Vi confermo di essere tra coloro che guardano al vostro lavoro con grande interesse e anche con grande speranza non solo come cittadino ma - se così posso dire - per il mestiere che faccio: credo, infatti, che questo paese abbia bisogno, in tempi brevi, di stabilità delle sue istituzioni e che tale stabilità debba essere utilizzata anche per dare certezza alla rappresentanza sociale, la quale deve essere poi fondata, come è ovvio, anche su un riconoscimento esplicito della rappresentatività delle forze sociali. Ognuna di queste forze dovrà poi esercitare con coerenza il mandato che le viene dal suo essere organizzazione. Per questo motivo, tra le varie ipotesi in discussione, credo sia giusto che il vostro lavoro si orienti - come mi pare abbiate già fatto - attorno ad alcuni grandi temi, per i quali dirò, in sintesi, qual è la mia opinione.
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Credo che la stabilità istituzionale debba avere, come conduzione di base per essere realizzata, un paese unito. Credo altresì che, nell'immediato futuro, questa unità si possa realizzare soltanto attraverso un processo di decentramento dei compiti, delle funzioni e delle responsabilità che oggi sono dello Stato nazionale. Non è più rinviabile un'ipotesi federalista, che di per sé non è alternativa ad una dimensione unitaria del paese, anzi può rappresentare oggettivamente il suo cemento.
Tra le ipotesi di decentramento dei poteri continuo a ritenere più funzionale quella che vede il suo centro focale nelle regioni, anche se le esperienze di regionalismo che abbiamo alle spalle sono tutt'altro che esaltanti. Ciò nonostante, credo che una dimensione più ridotta finirebbe col determinare difficoltà non soltanto alla gestione delle politiche economiche, che dovrebbero essere decentrate, ma anche alla stessa pratica di coesione sociale che dovrebbe essere sempre accompagnata dalle politiche per la gestione dell'economia di un paese.
Trattandosi di ipotesi di riassetto istituzionale, che va di pari passo con la costruzione di una dimensione più ampia dal punto di vista non soltanto geografico ma anche politico, economico e monetario, qual è quella ormai auspicabile dell'Unione europea, credo che la dimensione delle regioni attuali sia da privilegiare nell'assetto futuro federalista.
Molte altre cose vanno aggiunte, anche se sono d'accordo con il presidente D'Alema nel ritenere che non è forse il caso che le organizzazioni sindacali, per il ruolo che ricoprono, si esercitino in grandi dettagli. Come dicevo, anche per noi, per l'esercizio naturale, quotidiano della rappresentanza che ci viene consegnata dai nostri iscritti, un interlocutore Governo che abbia stabilità e consenso riconosciuto dai cittadini, determinato da meccanismi elettorali diversi da quelli utilizzati in passato, è scelta necessaria, è molto importante. Le soluzioni, poi, possono essere tutte quelle che vengono esaminate. Ci sarà un problema delicato di compensazione di rapporto tra i poteri del Governo e la rappresentanza assegnata al Parlamento; però, per grandi organizzazioni sociali, un interlocutore che abbia come base un riconoscimento esplicito di carattere elettivo da parte dei cittadini e sia in grado di esercitare il suo ruolo in virtù di una stabilità data da questo esercizio elettorale è l'interlocutore che in ogni caso va privilegiato.
Credo anch'io che occorrerà ripensare all'assetto del Parlamento. Per coerenza con l'assunto dal quale sono partito, ritengo che sarà importante garantire un riconoscimento alle regioni, almeno in uno dei due rami del Parlamento. Se l'assetto futuro di un paese federalista presenta quella dimensione economica e sociale, è fondamentale che la stessa dimensione trovi un riconoscimento nelle forme di rappresentanza parlamentare.
Per quanto riguarda invece i temi più direttamente connessi al ruolo del sindacato, in sintesi il mio pensiero è il seguente. Indubbiamente, quale che sarà l'assetto della forma di governo e del Parlamento al quale si deciderà di fare riferimento, occorrerà connettere a questo nuovo assetto l'esercizio del ruolo delle grandi forze sociali e, se possibile, il mantenimento delle esperienze più feconde di questi ultimi anni. Tuttavia la concertazione (termine che non mi è mai piaciuto e che trovo anche discretamente ambiguo; nei convegni internazionali non si riesce a tradurrlo e questo ne accentua il carattere eccessivamente interpretativo), diciamo la pratica che abbiamo utilizzato nei rapporti con il Governo dal 1993 in poi, e che è il fondamento della politica dei redditi, secondo me deve mantenere rigidamente una dimensione politica; non vedo altra ipotesi possibile. Non vorrei essere frainteso: non penso che quella sia un'esperienza da superare, anzi mi auguro che viva nel tempo; ma la sua dimensione praticabile, quella che non genera confusione di ruoli o alterazione di rapporti con il Governo e con il Parlamento, è solo una dimensione politica.
Un sindacato come storicamente è il sindacato confederale italiano, qui presente
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oggi, ha una dimensione di rappresentanza generale; però questa rappresentanza generale, basata sulla capacità di mediare interessi diversi e di difenderli sulla base di scelte, opzioni che abbiano un consenso più ampio degli immediati destinatari di quelle scelte, non la confonderei, non la vorrei vedere trasformata in nessuna forma di istituzionalizzazione del sindacato. Per me il sindacato deve restare una libera organizzazione, alla quale si riconosce un ruolo importante in una società, in una dimensione sostanzialmente politica.
Lo dico perché la distinzione di ruoli, anche nelle pratiche concertative (le definisco anch'io così per semplificazione) è molto importante. Il sindacato deve negoziare per le materie che ad esso sono riconosciute proprie dalla sua rappresentanza e non può pretendere di esercitare un ruolo che, al di là delle sue intenzioni, possa interferire con la sovranità del Parlamento. Alcune materie sono gestibili attraverso una pratica triangolare di confronto preventivo, altre non sono riconducibili alle stesse dinamiche.
Faccio due esempi estremi, perché non vorrei essere troppo generico e vago e prestarmi ad essere frainteso. Credo che le politiche contrattuali, e soprattutto quelle salariali, nell'accezione più ampia del termine, siano politiche che sottostanno oggettivamente ad un rapporto triangolare e ad una pratica concertativa. Se dovessimo discutere, come discuteremo, dei capitoli che riguardano il sistema delle protezioni sociali, la nostra rappresentanza è una rappresentanza limitata, che non può avere esercizio con gli stessi criteri e gli stessi meccanismi della politica dei redditi.
Il presidente chiedeva, in questo quadro di relazioni e di rapporti (che, insisto, a mio parere deve essere garantito e deve vivere nel tempo, ma come dimensione politica liberalmente scelta dalle parti), quale ruolo potrebbe avere il CNEL. Sono dell'opinione che non sia utile superare il CNEL, come pure in molte proposte di legge è previsto, ma che sia importante riformarlo, riorganizzarne compiti e funzioni. Immagino che molti siano arrivati alla conclusione che è meglio superarlo proprio perché i suoi compiti e le sue funzioni sono rimasti un po' sullo sfondo e si sono progressivamente attenuati. Il CNEL può essere un luogo nel quale la rappresentanza viene riconosciuta, arricchita ed ampliata; può avere una funzione, anche se non direttamente di carattere legislativo (nella proposta ovviamente, non nell'esercizio), di stimolo delle politiche economiche e sociali che riguardano i corpi intermedi della società italiana. Sono cose che peraltro il CNEL ha fatto in più di una circostanza con risultati importanti negli ultimi anni; non sono esattamente quelle che stavano all'origine della sua nascita. Una riorganizzazione per una funzionalità diversa del CNEL la troverei utile, invece dell'ipotesi drastica del suo superamento.
Desidero affrontare un ultimo argomento, chiedendo scusa per la lunghezza del mio intervento. Esiste un problema che riguarda noi ma che immagino affronterete anche nella discussione, quello della rappresentanza sociale. Cosa intendo dire? Le grandi organizzazioni hanno bisogno di elementi di certezza per essere riconosciute e validate. Allora, la rappresentanza sociale non può essere riconosciuta in virtù della storia che le organizzazioni, pur gloriose, hanno, ma deve avere strumenti, modalità e forme di riconoscimento costante, perché se la rappresentanza è data, la rappresentatività è da dimostrare. Credo che la rappresentatività delle grandi organizzazioni si debba basare sostanzialmente sull'individuazione di procedure e meccanismi elettivi, che devono valere per le organizzazioni sociali esattamente come per ogni altra forma di rappresentanza; erano previsti in una parte della Costituzione precedente e mai attuati. La validazione elettiva della nostra rappresentatività porta all'esigenza di risolvere contestualmente il problema dell'efficacia erga omnes della contrattazione collettiva. Va da sé che senza la prima non c'è la seconda. Penso che in un sistema regolato, in un assetto istituzionale diverso da quello attuale, sia possibile,
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anzi sia utile arrivare rapidamente ad avere l'uno e l'altro elemento di certezza, uscendo dai rimandi e dall'indeterminatezza che si è registrata nel corso di questi anni.
SERGIO D'ANTONI, Segretario generale della CISL. Anch'io, come coloro i quali mi hanno preceduto, ringrazio il presidente, la presidenza e tutta la Commissione per l'occasione che ci offrono di portare il nostro contributo ai lavori della Commissione. Sono anch'io tra quelli che auspicano che questa volta la Commissione riesca nel suo compito, non fallisca. Sia come cittadino sia come responsabile di una grande organizzazione, penso che il livello di rapporto, di credibilità, dopo tanti anni di discussione, sia tale da spingere tutti a fare in modo che alla fine questo lavoro possa produrre un risultato positivo.
Ritengo che sia importante completare quanto si è avviato in questi anni, cioè una vera democrazia dell'alternanza, una stabilizzazione dei governi, un ruolo forte del Parlamento, una capacità di una nuova forma di Stato con un federalismo effettivo. Avendo partecipato a una parte di questi movimenti, penso sia fondamentale che tale processo possa completarsi attraverso la Commissione bicamerale.
Quanto alle questioni specifiche che il presidente ci ha indicato e segnalato, con qualche arricchimento, svolgerò le mie considerazioni. Sulla prima, anch'io penso che oggi un processo di federalismo sia indispensabile nel nostro paese; che poi questo significhi fare di ogni regione un nuovo Stato, è un problema aperto, nel senso che ciascuna regione dovrebbe a sua volta valorizzare le autonomie locali. Anche sulla base di quanto sta accadendo nei fatti (alla Conferenza Stato-regioni si è aggiunta la Conferenza Stato-città, per cui siamo già in un'ipotesi che ha sostanzialmente avviato un processo nuovo), giudico indispensabile un federalismo che decentri ai comuni, alle province, al soggetto intermedio buona parte dei poteri, soprattutto di quelli legati al territorio. Se c'è un organismo che attualmente funziona (lo cito soltanto perché ritengo sia indicativo) si tratta delle camere di commercio, entità intermedie che sono riuscite a svolgere e stanno svolgendo adeguatamente i loro compiti, offrendo al contempo un modello: infatti, nell'ambito del federalismo l'aspetto fondamentale è rappresentato, come diciamo tutti, dal fatto di riuscire a realizzare un federalismo solidale, avendo, come ben sappiamo, un paese disuguale.
Il federalismo solidale si realizza, da un lato, se si avvicina sempre più il centro di entrata a quello di spesa e, dall'altro, se, una volta definiti standard nazionali, questi vengono garantiti a tutti; a tal fine è necessario un percorso di solidarietà all'interno dei punti di partenza disuguali. Le camere di commercio stanno facendo questo: hanno individuato un meccanismo di solidarietà ed hanno avviato un percorso significativo da questo punto di vista.
Ritengo pertanto che, alla luce della nostra esperienza, sia fondamentale introdurre il federalismo e sia altrettanto fondamentale prevedere pieni poteri per le cosiddette autonomie, che corrispondono sempre di più alle responsabilità delle entrate e delle uscite.
Credo che questo dovrebbe portare a forme di stabilizzazione e a forme di governo adeguatamente sostenute; non entro nel merito della forma privilegiata, ma penso che l'esperienza italiana abbia sempre attribuito al Parlamento un ruolo fondamentale, per cui il rapporto tra Governo e Parlamento è il vero nodo che credo questa Commissione debba sciogliere: vi sono qui esperti, posizioni politiche e forze che sono in grado di scioglierlo. Quello che ci interessa è avere un'interlocuzione stabile, forte, capace di decidere e di governare e quindi di essere un punto di riferimento per l'insieme di una politica che poi trovi in soggetti come noi degli interlocutori possibili proprio in quanto viene assicurata la stabilità e la continuità di governo. Una delle cose di cui abbiamo sofferto maggiormente, anche in tempi recenti, è proprio questa: quando ogni volta si deve ricominciare daccapo,
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anche accordi pregevoli diventano complicati e difficili da portare avanti.
A questo punto apro una riflessione più ampia (lo faccio molto sinteticamente). Nelle società complesse, in cui le divisioni, le differenze sono molte e sono destinate ad aumentare, sono convinto che la sintesi di Governo da sola non sia sufficiente e che anche le istituzioni più prestigiose e funzionanti incontrino grandi difficoltà nel governare queste società. Quello della Francia è sicuramente l'esempio più forte: essa ha istituzioni stabili, prestigiose e rappresenta uno dei modelli che vengono citati, verso cui dirigersi anche nel nostro paese; eppure la Francia non riesce ad avere una governabilità sociale adeguata, non ha la mediazione sociale, non riesce a fare innovazione con il consenso. Dico tutto questo «a spanne», in quanto la questione meriterebbe ben altro spazio, ma vi faccio riferimento soltanto per indicare il tema.
In Italia vi è - frutto della nostra storia e probabilmente anche di istituzioni deboli - un grande patrimonio associativo; oggi parliamo di organizzazioni sindacali ed il loro patrimonio è certamente forte, importante, rappresentativo, al contrario di quanto avviene in tanti altri paesi, ma esiste un patrimonio che va oltre: mi riferisco a un associazionismo forte e diffuso che a mio avviso deve essere fortemente valorizzato, perché può fare sintesi sociale e quindi, nel quadro della globalizzazione generale, può accompagnare l'innovazione con il consenso. Questo è peraltro uno dei grandi problemi di tutte le società moderne, come si può constatare affrontando qualunque tema, di ordine sociale, concernente lo Stato sociale, di natura economica o relativo a modifiche di qualunque tipo.
Questo deve indurre a riflettere sul ruolo di tali forze, valutando se sia sufficiente quello che episodicamente riescono di volta in volta a conquistare o se invece sia importante definirlo. Questo è il punto che sottoponiamo alla vostra riflessione, perché non esiste una risposta secca. Si è parlato qui di concertazione ed occorre tenere presente che concertare significa, in termini semplici, che vengono indicati degli obiettivi e che tutti i soggetti che li indicano si impegnano ad assumere comportamenti coerenti. Se, per esempio, l'obiettivo è quello di sconfiggere l'inflazione, occorre che il Governo, le imprese, il sindacato si impegnino ad attuare una politica dei prezzi, delle tariffe, del salario, di tutte le dinamiche, oltre a politiche fiscali, che siano tali da raggiungere l'obiettivo di abbattere l'inflazione.
Per conseguire questo risultato i soggetti devono essere riconosciuti e non è possibile lasciare tutto all'episodicità, alla valutazione fatta di volta in volta. Nella democrazia dell'alternanza possono cambiare le maggioranze e quindi possono giustamente prevalere idee diverse, ma questa politica è a mio giudizio indispensabile, e non ha alternative, sia per raggiungere gli obiettivi generali di un paese sia per tutelare, all'interno di questi obiettivi, fasce che altrimenti non sarebbero tutelate; per raggiungere questi obiettivi occorre dare un riconoscimento, una stabilità. È lo stesso ragionamento che vale per il rapporto tra Governo e Parlamento. Di qui la nostra sommessa richiesta di una vostra riflessione su un riconoscimento istituzionale della politica di concertazione attraverso una modifica dell'articolo 81. È sufficiente indicare in quell'articolo una strada per avere un riconoscimento. Il problema non è tanto quello dell'insieme delle procedure, ma risiede nel fatto che, in presenza di un riconoscimento costituzionale, si pone fine all'episodicità ed al fatto che con qualcuno la concentrazione si possa fare e con qualcun altro no. Tutto questo se si riconosce quella di concertazione come una politica indispensabile, secondo quanto deve avvenire nelle società moderne.
Siamo convinti che sia così, che questo sia un elemento importante che in questi anni ha funzionato nonostante le turbolenze che tutti abbiamo vissuto ed è la prova che, nonostante ciò, vi è stata una tenuta importante su versanti fondamentali. Ricordo che Turenne, un importante studioso delle società moderne, allorché
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parla in Francia ai francesi dice loro (cosa non semplice per lui): gli italiani hanno trovato un modello che sta funzionando, perché non lo scegliete anche voi? Per un francese ci vuole coraggio nel dire ai francesi di scegliere un modello italiano, ma questo è il segno di un riconosci-mento che credo dovremmo valutare più attentamente. Lo sottoponiamo comunque alla riflessione attenta che certamente porterete avanti, e lo facciamo nella convinzione che per noi questo è un passaggio importante e decisivo se si vogliono stabilizzare le istituzioni e nello stesso tempo aprire una fase di rapporto tra Stato e società che ricalchi fondamentalmente una delle caratteristiche positive che il nostro paese ha avuto, in mezzo a tanti torti: mi riferisco al fatto che lo Stato non ha mai prevaricato sulla società. Credo che questo grande principio vada salvaguardato proprio nel momento in cui si apre la stagione delle riforme istituzionali.
Ciò porterebbe alla soluzione anche dell'altro tema, quello riguardante il CNEL e l'articolo 99 della Costituzione in quanto, qualora vi fosse un riconoscimento nel senso che ho detto, il primo compito del CNEL sarebbe quello di monitorare questa politica, di prepararla, di istruirla, di darle cioè una dimensione adeguata. Voglio dire che non vi è bisogno di ricorrere ad altro. Difendo il CNEL ed anche la sua rilevanza costituzionale perché, oltre a tale compito, in ogni caso, anche se la concertazione non venisse riconosciuta in termini istituzionali, potrebbe conservare questi compiti ed anche qualcosa di più che, a mio avviso, in questa fase si sta sottovalutando, cioè un vero strumento per la politica di coesione sociale nel nostro paese.
La stessa discussione che ha luogo nella Comunità europea nel redigere - come speriamo - la costituzione europea - c'è comunque questa Conferenza intergovernativa che avrà luogo entro la metà del 1997 o, al massimo, entro la fine di quest'anno - indica nel Comitato economico e sociale - il CES - lo strumento per le politiche di coesione sociale. Troverei francamente incredibile che noi, pur avendo svolto ruoli non sempre primari, non potessimo avere questo grande compito delle politiche di coesione sociale, della verifica del rapporto tra le iniziative e le conseguenze, un compito che può svolgere adeguatamente il CNEL.
In terzo luogo, esso può continuare a svolgere il compito che sta svolgendo, un compito importantissimo, cioè quello di favorire la concertazione territoriale attraverso i patti territoriali, attraverso l'esperienza di promozione dal basso del territorio che qualche risultato, sia pur faticosamente, comincia a produrre.
In quarto luogo, il CNEL è il luogo della rappresentanza ed in un paese in cui tutti abbiamo discusso di rappresentanza, in cui è talmente fondamentale riconoscere le rappresentanze nuove, aprirsi al nuovo, se non c'è una sede altra costituzionalmente garantita, è difficile che vi sia una sede diversa in cui questa rappresentanza si possa ritrovare, se non nella sua dispersione; trovo, infatti, fondamentale conservare e potenziare la rappresentanza.
Poiché in questa sede se ne è discusso, colgo l'occasione per dire che è evidente che, nel caso in cui la concertazione venisse riconosciuta istituzionalmente, si porrebbe il problema di definire i soggetti che fanno concertazione e la loro rappresentatività; successivamente tale tema si porrebbe a livello di legge ordinaria, ma esso non ha alcuna attinenza con l'articolo 39 della Costituzione: speriamo che non si facciano confusioni che troverei assolutamente rischiose (lo dico con grande umiltà ma anche con grande convinzione). Il primo comma dell'articolo 39 recita: «L'organizzazione sindacale è libera.» Ma il legislatore italiano per fortuna in questi cinquant'anni non ha applicato questa disposizione, frutto di una vicenda particolare in un momento particolare. Infatti, se il legislatore l'avesse applicata, a mio giudizio, questo sindacato forte, rappresentativo nella sua varietà pluralistica, come oggi si è visto, non esisterebbe; applicare quella disposizione significherebbe
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porre in essere una privazione di autonomia che troverei assolutamente sbagliata.
Altra è la questione (che però non è in discussione in questa sede, visto che non si modificherà la prima parte della Costituzione) che, nel caso in cui si riconosca la concertazione, bisogna indicare con legge ordinaria il livello di rappresentatività e la titolarità dei soggetti. In proposito penso che, se si apre una discussione sul modo in cui verificare la rappresentatività e la titolarità dei soggetti, sarebbe assolutamente normale e giusto che si trovasse la specificità, ma che questo apra discussioni sull'articolo 39 della Costituzione - se posso permettermi di dirlo, avete già tanti problemi - sarebbe davvero da evitare (lo dico in modo veramente umile e sommesso).
In questo senso giudico importante che nel dibattito che è aperto nel paese vi sia questo tipo di riconoscibilità ed anche - insisto - di forza da dare alla società cosiddetta intermedia, una società policentrica che nel corso di questi anni ha preso forma e che a mio giudizio (ho indicato una strada, ma se ne possono trovare molte altre) deve poter trovare una riconoscibilità, visto che in questi anni si è rafforzata ed è diventata un elemento di reale forza democratica del paese.
Sono altresì convinto che, se si va verso un bicameralismo particolare nel senso che, accanto alla diminuzione del numero dei deputati, vi sia una Camera legislativa ed un'altra rappresentativa delle regioni, questo sia il modello più congeniale, lasciando alla società ed alla rappresentanza il CNEL come sede in cui questo si svolge, proprio per evitare commistioni di qualsiasi tipo e natura.
PRESIDENTE. La ringrazio. Chiedo se qualche parlamentare voglia intervenire, visto che fino ad ora il dibattito ha avuto uno sviluppo interamente infrasindacale.
FRANCESCO D'ONOFRIO. Intervengo in modo al quanto forzato, anche perché le riflessioni svolte dai rappresentanti dei sindacati sono tutte di grande rilievo. Devo dire che, nell'ambito della riflessione sulla forma di Stato che più direttamente riguarda il Comitato di cui faccio parte, non avevo finora considerato la questione, posta da ultimo in modo formale da D'Antoni, di una costituzionalizzazione della concentrazione attraverso l'articolo 81 della Costituzione, cosa che evidentemente pone un problema di struttura dello Stato. Anche se le opinioni ascoltate non sono tutte convergenti su questo punto, mi sembra che esso sia di evidente grande rilievo.
Abbiamo ragionato fino ad ora in termini di ordinamenti territoriali (comuni, province, regioni, Stato) e, accanto a questi, di ordinamenti partitici (un turno, due turni, semipresidenziale, semiparlamentare); mi sembra che la presenza del soggetto sociale e sindacale introduca un elemento di riflessione in più. Non sono in grado in questo momento di manifestare un avviso favorevole o contrario rispetto alla questione posta: dico che è questione di autentico rilievo, così come di autentico rilievo sono state le considerazioni che abbiamo ascoltato su quel modello di federalismo che Larizza aveva detto di non gradire, mentre gli altri si sono detti favorevoli, probabilmente è questione di intendersi sulle parole; mi sembra rilevante quanto ha detto Cofferati - e non soltanto lui - cioè che si cerchi un punto di aggregazione di base regionale per una concertazione, per una contrattazione, per uno sviluppo, posizione in un certo senso equilibrata rispetto a spinte, che nel mondo politico tutti cogliamo, in direzione di un'accentuazione comunale o provinciale o di un'accentuazione europea.
Si tratta, quindi, di due contributi che considero importanti per l'opera di revisione della forma dello Stato, sapendo che probabilmente questo mette in moto una riflessione diversa da quella che, almeno per quanto mi riguarda, abbiamo condotto fino ad ora e che rende ancor più necessaria quella nostra decisione di dar luogo, prima della fase di delibazione in
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sede plenaria dei testi, ad una sorta di secondo giro di opinioni sui progetti elaborati dai Comitati come proposte, non come deliberazioni, perché questo è un elemento di rilevante importanza. Non mi nascondo che le questioni indicate da D'Antoni (distinzione fra l'articolo 39 della Costituzione e la rappresentatività) non sono irrilevanti né facili. C'è quindi un elemento di novità che probabilmente più di uno fra noi non riteneva di percepire in una consultazione come questa sui due aspetti di fondo: i soggetti del nuovo Stato ed i territori del nuovo Stato, che sono le questioni centrali. Più che dare un ulteriore contributo sulla materia, dunque, vorrei soltanto esprimere attenzione, apprezzamento e gratitudine per le considerazioni ascoltate.
Infine, presidente, approfitto dell'occasione per ribadire un problema che lei ha già toccato all'inizio dei nostri lavori, ma che vorrei lei sottolineasse nuovamente nella sua specifica istituzionale autorevolezza. Nell'ambito del Comitato forma di Stato abbiamo rilevato una preoccupazione: l'opinione pubblica può impropriamente ritenere che i Comitati deliberino (sul bicameralismo, sulla differenziazione dei due rami del Parlamento, sul federalismo...); è bene si capisca che stanno compiendo soltanto un lavoro istruttorio. Ho letto oggi su tutti i giornali che i colleghi del Comitato Parlamento avrebbero deciso che non c'è la Camera delle regioni: ovviamente non lo hanno deciso. D'altra parte, ho sentito dare un po' troppo per scontato da alcuni interventi in questa sede che la Camera delle regioni ci sarà. Dobbiamo allora ribadire che del problema si sta discutendo: è bene sapere che non vi sono pregiudizi favorevoli o contrari; dipende da che tipo di Stato finiremo per configurare, da che tipo di politica e di società. Siamo liberi da pregiudizi e vorremmo che anche l'opinione pubblica non fosse attraversata da una sorta di oscillazione un po' nevrotica (oggi mi è stato chiesto chi fosse, nel Comitato, il «comunardo», il «federalista» e così via).
Devo dire, invece, che le considerazioni ascoltate oggi sono particolarmente interessanti ed hanno contenuto più di un utile elemento di riflessione.
PRESIDENTE. Domani diranno che abbiamo istituito la Camera delle corporazioni, non più dei fasci...
FRANCESCO D'ONOFRIO. Con l'autorevolezza della plenaria ritengo che questo potrebbe essere un risultato...
PRESIDENTE. In sostanza bisogna avere pazienza: io giro il suo appello ai colleghi dell'informazione. Si tratta di avere cautela. Purtroppo, però, il bisogno di notizie fa sì che un'ipotesi diventi un fatto. Non ci possiamo fare niente. Bisogna avere pazienza. Alla fine, faranno testo le deliberazioni conclusive.
LEOPOLDO ELIA. Anch'io sono stato interessato - proprio in rapporto ai lavori del Comitato forma di Stato - dagli elementi emersi nelle esposizioni dei rappresentanti sindacali.
Vorrei qualche chiarimento - se possibile - circa la formula, usata più volte, del CNEL rinnovato. Avete indicazioni, proposte? In caso affermativo, potreste specificarle sin d'ora? Altrimenti possiamo attendere qualche contributo, che sarebbe molto utile anche perché il tema si collega a quello della rappresentanza delle forze sociali, nonché alle autonomie funzionali che si stanno sviluppando a vari livelli. In generale, poi, riguarda tutto il problema del collegamento con i processi decisionali statali: forse il CNEL non ha mai «attaccato la spina» a questi circuiti; e ciò spiega la difficoltà di acquistare rilievo ed anche maggiore evidenza agli occhi dell'opinione pubblica.
GUSTAVO SELVA. Mi ricollego alla sua battuta, presidente: che non esca domani la notizia che si sta dando vita ad
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una terza Camera. Non voglio difendere aprioristicamente i miei colleghi giornalisti, ma da quello che ho sentito (mi scuso se non ho partecipato a tutta la seduta dedicata a questa audizione) devo dire che qualcosa del genere forse potrebbe anche uscire: mi sembra che qualche disegno di trasformare il CNEL in una terza Camera possa essere sospettato. Su questo punto, quindi, sarebbe bene avere assicurazioni molto precise.
Vorrei allargare il discorso, poi, ai nostri illustri ospiti. Noi stiamo sicuramente discutendo di un nuovo assetto del Parlamento: non vorrei che - alla ricerca della differenziazione delle competenze e della riduzione del numero dei parlamentari - finissimo invece per aggiungere quella terza Camera che il presidente ha prospettato con una battuta che francamente un po' mi preoccupa (perché corrisponde in qualche modo alla sensazione che ho avuto). Questo non sarebbe davvero nell'ordine di quella ricerca che ieri il Presidente della Camera dei deputati ha così tracciato: «Dobbiamo darci delle istituzioni che abbiano dei modi e dei tem-pi in sintonia con i modi ed i tempi del-la società moderna». Finiremmo, invece, per fare non una riforma della Costituzione su questo punto, ma una controriforma.
PRESIDENTE. Se altri colleghi parlamentari non chiedono di intervenire, darei la parola ai rappresentanti delle organizzazioni sindacali per rispondere ai quesiti ed ai problemi posti.
ROBERTO TITTARELLI, Segretario confederale della CISL. Signor presidente, per quanto riguarda il CNEL abbiamo alcune proposte, che però sono in fase di elaborazione congiuntamente con il CNEL. Siccome con i rappresentanti di quell'organismo avremo un'audizione, una risposta complessiva sarà data successivamente. Non sarebbe giusto, quindi, entrare ora nel merito, perché sono proposte costruite con l'insieme delle rappresentanze.
Vorrei invece toccare un problema specifico che ritengo importante, sul quale c'è un grande dibattito nel paese; lo stesso presidente D'Alema, d'altra parte, vi ha posto l'accento. Si tratta della questione della pubblica amministrazione. Per inciso, veniamo oggi dalla firma di un protocollo a palazzo Chigi sul lavoro pubblico, nel quale sono state compiute scelte coerenti con gli interventi che lo stesso Parlamento ha approvato con il disegno di legge Bassanini.
A nostro avviso occorre compiere un salto di qualità rispetto alla pubblica amministrazione, dal momento che alcune leggi ordinarie hanno in qualche modo già oltrepassato la stessa Costituzione laddove essa ha individuato il principio di distinzione tra funzioni di indirizzo e controllo e funzioni di gestione. Nella Costituzione, però, c'è un vincolo: sarebbe allora giusto confermare il principio rimuovendo il vincolo. Per esempio, l'articolo 95 della Costituzione prevede il principio della responsabilità ministeriale, per cui il ministro è contemporaneamente apice dell'amministrazione e vertice della funzione di indirizzo politico. In sostanza, se quel principio dovesse essere applicato in tutte le amministrazioni l'articolo 95 andrebbe rimosso.
Il problema non riguarda soltanto l'eliminazione di vincoli rispetto all'azione della pubblica amministrazione, soprattutto quelli di tipo organizzatorio (articolo 97: riserva di legge sull'organizzazione dei pubblici uffici). Se dobbiamo passare ad un'amministrazione «di risultato», è necessario che la possibilità di intervento sia rapida, senza la necessità di un processo legislativo.
C'è poi l'esigenza, oltre che di togliere i vincoli, di dare dignità costituzionale ad alcuni principi oggi assenti dalla Costituzione. Prevedere - come già, peraltro, una serie di proposte di alcune forze politiche prevede - precise norme sulla pubblica amministrazione. C'è, per esempio, la questione dei controlli: l'amministrazione di risultato richiede il superamento del controllo di legittimità per privilegiare il
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controllo sul risultato, ma c'è il problema dell'articolo 100 (Corte dei conti). In sostanza, l'amministrazione di risultato dovrebbe prevedere una prevalenza del controllo di risultato su quello di legittimità. In questo senso il ruolo della Corte dei conti andrebbe rivisto.
La seconda questione riguarda l'articolo 95, mentre la terza attiene alla previsione di un principio di responsabilità del funzionario rispetto ai servizi: oggi un principio del genere non esiste, ma diventa importante nel momento in cui si va a valutare il risultato.
Mi pare che nel paese ed anche nel dibattito politico si stia registrando una convergenza su questo punto: occorre evitare di immaginare la riforma istituzionale come la riforma dei rami alti; è necessario, invece, pensare ai rami bassi, come la pubblica amministrazione. Sotto molti aspetti questo diventa perfino propedeutico a qualunque tipo di assetto istituzionale dovesse scaturire dalla riforma: senza un sistema amministrativo che funziona, probabilmente si vanificherebbe tutto. L'ideale sarebbe che potessimo uscire dalla giurisdizione speciale, portando l'amministrazione sul piano degli altri soggetti della società con cui confrontarsi; il sistema amministrativo autorizzatorio rappresenta di per sé un vincolo ma se la tendenza fosse quella di uscire da questo ambito, forse riusciremmo ad avere un'amministrazione aperta, capace di corrispondere all'esigenza di efficienza dello Stato.
GIUSEPPE VEGAS. Se ho ben capito, il dottor D'Antoni ha detto che il riconoscimento istituzionale della politica di concertazione dovrebbe avvenire per il tramite di una modifica dell'articolo 81 della Costituzione. La domanda è questa: poiché l'articolo 81 - almeno nella configurazione attuale - verte in materia di spesa pubblica e di bilancio, la concertazione - si può essere d'accordo o no - riguarda principalmente una modalità che si riflette sull'autonomia privata delle parti. Che senso ha parlare di spesa pubblica come strumento per rendere efficace la concertazione? A meno che ciò non voglia dire che l'innovazione attraverso il consenso debba essere «lubrificata», per così dire, attraverso la spesa pubblica: ciò mi preoccuperebbe e spero che non sia così.
SERGIO D'ANTONI, Segretario generale della CISL. Il senso della proposta è il seguente. Poiché l'articolo 81 tratta il bilancio, in quest'ultimo le grandi questioni di politica economica sono ormai fondamentali: mi riferisco al livello d'inflazione, a quello delle entrate e a quello delle spese, i tre settori che compongono la politica dei redditi.
Mi guarderei quindi bene dal proporre che l'innovazione attraverso il consenso debba avvenire tramite la spesa pubblica. Si potrebbe invece prevedere, prima della sessione di bilancio, un momento di concertazione: l'unico strumento sarebbe l'articolo 81, che darebbe un riconoscimento costituzionale. Se poi se ne troverà un altro migliore, non ho alcun problema; indicavo quello perché il Governo ed il Parlamento in tale sede individuano con esattezza i grandi obiettivi di politica economica dell'anno (inflazione, entrate, uscite e conseguenziale politica dei redditi). Questo e solo questo era il senso della proposta.
GIUSEPPE VEGAS. Quindi riguarderebbe la procedura di bilancio?
SERGIO D'ANTONI, Segretario generale della CISL. La procedura ma anche gli obiettivi!
PRESIDENTE. Mi sembra che nessun altro voglia intervenire. Per quanto riguarda le proposte di riforma e di riorganizzazione del CNEL, possiamo vederci ancora ed eventualmente raccogliere pareri scritti. Le questioni poste sono di grande rilievo, in particolare sul tema specifico - anche se non ci si è espressi in modo univoco - della concertazione, cioè del sistema delle intese tra parti sociali e Governo, e sulla possibilità di costituzionalizzarla.
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Si tratta di una questione molto delicata perché non c'è dubbio che quando dalla scelta politica di andare ad un'intesa con le altre parti sociali e con il Governo si passa a definire una procedura istitu zionale si rende necessaria ed imprescin dibile una garanzia democratica dei soggetti ai quali questo potere è delegato. Si può discutere, ma la democrazia non conosce per ora sistemi altrettanto brillanti delle elezioni per sancire la rappresentatività di ciascuno; sono stati tentati altri metodi ma non hanno avuto grande successo.
Questo significa andare verso una istituzionalizzazione delle forze sociali, la cui funzione verrebbe definita annualmente o ogni tre o quattro anni attraverso le elezioni. È una questione molto complessa anzitutto per le organizzazioni sindacali, perché tende a mutarne il ruolo, la funzione e la stessa natura rispetto alla tradizione del nostro paese e a configurare qualcosa che in questa forma non ha riscontri nella tradizione delle altre democrazie occidentali. Si tratterebbe di un caso unico di istituzionalizzazione del ruolo del sindacato; nelle altre democrazie occidentali il sindacato è una parte.
FRANCESCO SERVELLO. Anche la situazione esistente, che non è istituzionalizzata, non ha riscontro in altri paesi!
PRESIDENTE. Ma una cosa è prevedere con legge ordinaria (diverse proposte di legge sono all'esame del Parlamento in questo senso) meccanismi democratici di rinnovo o di elezione di rappresentanti di lavoratori: questo tema è stato affrontato anche nell'accordo tra parti sociali e Governo ed è in corso un processo di rinnovo delle rappresentanze sindacali, né è proibito che il Parlamento possa decidere, sulla base di diverse proposte presentate a tale scopo, di regolare con legge ordinaria il rinnovo delle rappresentanze dei lavoratori; altra cosa è la previsione costituzionale per cui gli obiettivi della politica economica annualmente sanciti nella legge di bilancio debbano essere previamente concertati con le parti sociali.
Ciò significa assegnare a queste ultime un ruolo istituzionale (su su questo non esiste il minimo dubbio) e porre in modo acutissimo il problema del rapporto tra concertazione e Parlamento. Una volta sancita costituzionalmente la concertazione, mi parrebbe difficile che il Parlamento potesse mutare scelte concertate tra Governo e parti sociali delle quali si riconosca il ruolo istituzionale.
È un qualcosa che tocca molto profondamente l'organizzazione dello Stato, i poteri, la logica del sistema parlamen-tare. Comunque, ritengo che sia questione meritevole di approfondimento, discussione e valutazione, forse proprio a cominciare dai movimenti sindacali; una scelta di questo genere mi sembra tutt'altro che univoca e tale da aprire un confronto nei sindacati e tra i sindacati e meritevole di approfondimento anche in questa sede.
Mi pare che invece su altri temi ci siano meno controversie e che il contributo degli amici delle organizzazioni sindacali si collochi nell'ambito della nostra riflessione sul rapporto tra stabilità dei governi (considerata giustamente come un valore) e loro legittimazione democratica, oltre che su un processo di decentramento che non spezzi l'unità del paese. Si è detto che questo decentramento deve far perno sulle regioni: lo penso anch'io, sotto il profilo dei poteri legislativi, mentre per quanto riguarda le funzioni amministrative la mia opinione è che il decentramento non possa non individuare anche altri enti come soggetti di un trasferimento di poteri.
Ringrazio i nostri ospiti per aver dato una serie di contributi che arricchiscono la nostra riflessione lungo indirizzi sui quali stiamo già lavorando. I temi della concertazione e del possibile rapporto tra quest'ultima e la riforma del CNEL (è evidente che le questioni sono in qualche modo connesse) mi sembrano invece meritevoli di ulteriori approfondimenti. Noi ci aspettiamo contributi più precisi, anche in forma propositiva, che potremo esami nare
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in sede di Comitato, ed eventual mente in questa sede, prima di pervenire alle decisioni finali. Nell'ambito del Comitato potremo procedere ad un confronto più ravvicinato, meno formale, sulle proposte e sulle ipotesi contenute in un testo di riforma. Dovremmo peraltro procedere in questo modo con diversi nostri interlocutori. Quando perverremo a talune decisioni, al momento della stesura dei testi o all'esame delle prime bozze, dovremo, in modo più libero e meno formale, sempre nell'ambito del Comitato, riprendere il dialogo per arrivare ad un confronto conclusivo.
La seduta termina alle 18.15.