| CAMERA DEI DEPUTATI | SENATO DELLA REPUBBLICA |
| N. 3931 | N. 2583 |
PER LE RIFORME COSTITUZIONALI
Progetto di legge costituzionale
Revisione della parte seconda della Costituzione
(Articolo 1 della legge costituzionale 24 gennaio 1997, n. 1)
Relazione di minoranza
Armando COSSUTTA, relatore di minoranza.
Il progetto di legge di riforma della parte seconda della Costituzione che viene trasmesso alle Camere ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della legge costituzionale 24 gennaio 1997, n. 1, non trova il consenso dei parlamentari dei gruppi di Rifondazione comunista-Progressisti presenti nella Commissione parlamentare per le riforme costituzionali. Esso rappresenta una riforma negativa della «forma di Stato» e della «forma di governo», non supera il bicameralismo e ne costituisce uno nuovo, complesso, caratterizzato da astrusi meccanismi perditempo, sicuramente incomprensibili per i cittadini, non rafforza il «sistema di garanzie», ma, per alcuni essenziali aspetti, lo affievolisce.
Il progetto, inoltre, - come è stato rilevato fra gli altri da Stefano Rodotà - contiene una norma, inserita nella parte relativa alla «forma di Stato», secondo la quale «le funzioni che non possono essere più adeguatamente svolte dall'autonomia dei privati sono ripartite tra le Comunità locali, organizzate in Comuni e Province, le Regioni e lo Stato, in base al principio di sussidiarietà e di differenziazione, nel rispetto delle autonomie funzionali, riconosciute dalla legge». Tale norma «invade pesantemente la prima parte della Costituzione» modificandone i «princìpi fondamentali». L'illustre studioso ricorda il secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione - una delle norme più significative, che ha dato rilievo all'eguaglianza sostanziale - ed osserva che:
1) «se verrà mantenuta la modifica della Costituzione ricordata prima, questa norma dovrà essere letta così: è compito dei privati (o del mercato)...". La Repubblica, con tutte le sue istituzioni, uscirebbe di scena, e avrebbe l'unica funzione di cercare di rimediare ai fallimenti del mercato»;
2) non soltanto la materia è esclusa dall'attuale riforma, ma «seppure non fosse stato previsto questo esplicito divieto, la modifica votata dalla Bicamerale non sarebbe legittima, perché la Corte costituzionale, con una sentenza di cui è stato relatore Antonio Baldassarre, ha stabilito che i principi fondamentali non possono essere cambiati neppure con il procedimento di revisione. Ora, invece, non solo si stravolgono princìpi come quello di eguaglianza, ma si altera l'intero impianto costituzionale dei rapporti tra pubblico e privato. Abbiamo contrastato l'inserimento di questa norma stravolgente e continueremo a batterci per cancellarla dalla revisione costituzionale.
Il rischio che abbiamo paventato di incursioni dirette o indirette sulla prima parte della Costituzione si è materializzato con questa disposizione. Esso era apparso chiaramente anche nel corso delle audizioni della Bicamerale nella proposta di una parte dei sindacati di costituzionalizzare la concertazione fra le parti sociali (seduta del 12 marzo 1997, Sergio D'Antoni - segretario generale della CISL -: «nostra sommessa richiesta di una vostra riflessione su un riconoscimento istituzionale della politica di concertazione attraverso una modifica dell'articolo 81». Si proponeva, cioè, la modifica dell'articolo 81 della Costituzione, per costruire un procedimento ed un intreccio corporativo fra soggetti sociali ed istituzionali che debbono svolgere, invece, ruoli diversi che li collocano in posizioni non soltanto dialettiche, ma perfino conflittuali) o nella proposta della Confindustria di «stabilire i meccanismi di rilevanza costituzionale che portino alla definizione di un limite della pressione fiscale e parafiscale complessiva compatibile con il regime di libero mercato» (seduta del 18 marzo 1997, Giorgio Fossa, presidente della Confindustria).
La volontà di calpestare i princìpi della prima parte della Costituzione, sempre negata, è, peraltro, stata costantemente presente in molti emendamenti che sono stati presentati nel corso dei lavori della Commissione e in varie norme dei disegni e delle proposte di legge assegnate alla Commissione. Essa è stata da noi costantemente contrastata, ma si deve ora sviluppare un'azione adeguata di tutti i parlamentari che respingono una concezione che assegna allo Stato, alle Regioni, agli enti locali funzioni residuali, una concezione che assegna alla «autonomia dei privati» una posizione dominante, una revisione della Costituzione, che, se dovesse essere confermata, determinerebbe un vulnus inammissibile: la Corte costituzionale dovrebbe valutare la legittimità di una tale modifica contrastante con norme e princìpi costituzionali.
La «forma di Stato» che la Bicamerale consegna alla prima valutazione di tutti i parlamentari, pur essendo il testo attuale depurato della norma presente nel testo base presentato dal relatore secondo la quale «con Statuto deliberato da ciascun Consiglio regionale ed approvato dal Parlamento con forza di legge costituzionale, sono disciplinate le funzioni legislative dello Stato e della Regione in tutte le materie» non espressamente assegnate dalla Costituzione, prevede per l'assunzione dell'esercizio, anche graduale, delle nuove potestà legislative spettanti alle regioni, una tempistica talmente differenziata - da un anno a cinque anni dall'entrata in vigore della revisione costituzionale - da rendere difficilmente attuabile un organico piano di riorganizzazione del sistema amministrativo centrale e periferico. Il rischio di gravi disfunzioni sia centrali che periferiche è reale, come reale è l'esigenza di una verifica fra le previsioni del testo costituzionale e le recenti leggi Bassanini.
Ci sembra essenziale evidenziare il nostro netto dissenso rispetto alla norma di carattere definitorio prevista dall'articolo 1: «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Regioni e dallo Stato». Questa definizione viene a sostituire l'attuale: «La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni». La novità sarebbe da attribuirsi all'ispirazione «federalista» del testo. Nella definizione proposta lo Stato appare quale espressione centralizzata e residuale. Preferiamo, piuttosto, pensare allo Stato repubblicano, costituito dagli enti locali e dalle Regioni, alla Repubblica delle autonomie.
Il testo proposto sottovaluta il ruolo delle autonomie locali ed appare maggiormente concentrato sulla valorizzazione delle Regioni. Ciò risulta, in particolare, dalla timida affermazione secondo la quale Comuni e Province «dispongono di autonomia finanziaria e tributaria», mentre per le Regioni l'autonomia finanziaria e tributaria è considerata «elemento costitutivo dell'autonomia regionale». La norma che affronta il tema, tanto enfaticamente sottolineato nel corso di questi anni, del cosiddetto federalismo fiscale merita approfondimento per molti aspetti particolari, ma rappresenta probabilmente una realistica base per giungere ad una soluzione adeguata. Per gli aspetti particolari si segnala che è previsto che regioni ed enti locali rispondano «integralmente con il loro patrimonio delle obbligazioni contratte», senza escludere dalla garanzia nemmeno i beni del patrimonio indisponibile.
La norma proposta rivela le difficoltà reali che non consentono di dare una risposta esaustiva alle promesse demagogiche di stampo leghista, troppo superficialmente accreditate da tante forze politiche. In realtà occorre dire con chiarezza che, non soltanto per la contingente situazione finanziaria, ma per ragioni di fondo che riguardano le esigenze sociali complessive del Paese, non è possibile una attribuzione di potestà di imposizione tributaria a Regioni ed enti locali della portata che molti, non soltanto leghisti avevano prospettato.
Poiché le grandi imposte resteranno allo Stato è necessario, a nostro avviso, che il fondo perequativo previsto nel testo sia destinato alle Regioni economicamente svantaggiate: esso dovrebbe essere definito in misura non superiore a quanto necessario per compensare la minore capacità di produrre gettiti tributari e contributivi rispetto alla media nazionale per abitante. Quote di un ulteriore fondo dovrebbero essere devolute alle Regioni di minore dimensione demografica per compensare le maggiori spese per abitante cui queste sono soggette per l'erogazione di servizi. È previsto giustamente che i trasferimenti dello Stato derivanti da fondi perequativi non hanno vincoli di destinazione, ma si stabilisce anche - contraddittoriamente - che «scopo del Fondo è quello di consentire alle Regioni beneficiarie di svolgere le funzioni ed erogare i servizi di loro competenza ordinaria ad un livello di adeguatezza medio e in condizioni di massima efficienza ed economicità»: per questa strada si tenta, quindi, di vincolare le scelte della Regione.
La possibilità del Governo della Repubblica di sostituirsi ad organi di Regione, Province e Comuni è prevista se le inadempienze di questi organi determinano pericolo per l'incolumità e la sicurezza pubblica. La previsione è certamente insufficiente. A noi preme rilevare che riteniamo necessario prevedere procedure per l'esercizio di poteri sostituivi in casi di inadempienza della regione rispetto ad un obbligo che deve essere prescritto: l'obbligo di garantire a tutti, nell'esercizio delle funzioni di valore sociale, le prestazioni previste dalla legge della Repubblica.
Si tenta di risolvere problemi, che restano insoluti, conseguenti al rovesciamento del criterio di determinazione delle competenze legislative dello Stato e delle Regioni, attribuendo allo Stato la potestà legislativa «per la tutela di preminenti e imprescindibili interessi nazionali». Una tale previsione è probabilmente necessaria, ma riteniamo anche che esigenze complessive del Paese consiglino di adottare, per qualche materia, la legislazione concorrente.
Sottolineiamo la nostra netta avversione all'attribuzione alle Regioni della potestà legislativa in materia elettorale, che, invece, dovrebbe essere interamente affidata al legislatore nazionale. La soluzione che ne conseguirebbe sarebbe quella di un Paese nel quale il legislatore nazionale regola le elezioni nazionali, provinciali e comunali - salvo poche eccezioni -, mentre soltanto le elezioni regionali sarebbero affidate al legislatore regionale, probabilmente non sufficientemente distaccato dalla contesa per poter essere considerato il più idoneo a dettare le «regole del gioco». Le stesse considerazioni che inducono a non affidare al legislatore regionale la materia della legge elettorale dei comuni e delle province dovrebbero - a maggior ragione - sconsigliare la scelta che viene proposta per la materia delle elezioni regionali. Qui sono in gioco diritti politici, che debbono essere ugualmente tutelati su tutto il territorio nazionale.
La parte del testo relativa alla Pubblica Amministrazione contiene alcuni principi apprezzabili, ma non è condivisibile che si provveda alla disciplina dell'organizzazione e dell'attività della pubblica amministrazione soltanto con regolamento. Riteniamo necessarie leggi attuative dei princìpi costituzionali e, sulla base di queste, normative regolamentari. È urgente una grande riforma dell'amministrazione, quale problema essenziale della società italiana; sono certamente necessari notevoli trasferimenti di funzioni dal centro agli enti locali, ma anche profonde riforme degli apparati statali che non dovessero essere toccati dall'opera di decentramento, che si avvierà con l'applicazione di leggi recentemente approvate e a seguito della revisione costituzionale.
Sul Parlamento abbiamo presentato la proposta più radicale: la sostituzione del bicameralismo perfetto con il monocameralismo puro. È una scelta che viene da lontano. Qui si ricorda soltanto che nel 1985 i deputati della sinistra indipendente - primo firmatario l'onorevole Ferrara - presentando una proposta di legge costituzionale (atto Camera n. 2452 della VII legislatura) che prevedeva il monocameralismo, sottolineavano che esso determina nei rapporti fra Parlamento e Governo trasformazioni tali da soddisfare molte delle esigenze dello Stato democratico contemporaneo non solo idealmente inderogabili, ma via via crescenti ed incalzanti. Il monocameralismo permetterebbe alla massima istituzione democratica, espressione della sovranità popolare, di poter svolgere con maggiore efficacia e visibilità la sua funzione di indirizzo e controllo politico. Esso contribuirebbe alla chiarezza e trasparenza dei lavori parlamentari, renderebbe più comprensibile la volontà del legislatore, consentirebbe ai cittadini una «lettura» più certa di quanto accade in Parlamento. Il monocameralismo offrirebbe risposte più rapide ai problemi del Paese. La soluzione da noi proposta non ha trovato consensi espliciti, anche se non sono pochi i colleghi che esprimono molti dubbi di fronte alle difficoltà incontrate nel tentativo di costruire un convincente modello di bicameralismo imperfetto.
In realtà il Parlamento che viene proposto è - incredibile a credersi - una sorta di tricameralismo. È, infatti, istituita presso il Senato della Repubblica una «Commissione delle Autonomie territoriali» formata per un terzo da senatori, per un terzo dai Presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, per un terzo dai rappresentanti dei Comuni e delle Province. Questa Commissione esprime parere su tutti gli atti e deliberazioni parlamentari concernenti gli affari regionali e le autonomie territoriali. Essa, inoltre, provvede all'esame dei disegni di legge in materia di bilanci e rendiconti, di finanza e contabilità pubblica, di tributi e di istituzioni, disciplina e ripartizione dei fondi perequativi. La Commissione, inoltre, «approva» le disposizioni in materia di finanza regionale e locale, istituzione, disciplina e ripartizione dei fondi perequativi, trasferimento di poteri e risorse, tutela di interessi nazionali o interregionali, determinazione dei livelli minimi delle prestazioni sociali nelle materie attribuite alle Regioni. Si tratta di un vero e proprio potere di approvazione, che può essere difficilmente essere messo in discussione dal Senato: ciò può avvenire soltanto con il voto della maggioranza assoluta dei senatori, che potrebbe, comunque, essere facilmente smentita dalla Camera dei deputati, la quale verrebbe a svolgere un insolito ruolo arbitrale nel contrasto fra la Commissione e il Senato! La soluzione proposta è un vero azzardo! Non convince complessivamente ed è, inoltre, criticabile perfino per la composizione della Commissione, non essendo accettabile la posizione minoritaria attribuita ai senatori. In definitiva l'ultima parola spetta alla Camera dei deputati anche su queste materie.
Viene, quindi, affidato al Senato il ruolo del perditempo, inutile ed umiliante. Meglio sarebbe collocare presso la Camera dei deputati la Commissione per le autonomie territoriali col compito di esprimere pareri sulle materie indicate.
Entrambe le Camere hanno identici poteri di inchiesta su materia di pubblico interesse.
La comprensione dei processi politici e decisionali del Parlamento diverrà ancora più difficile per i cittadini.
I sostenitori del bicameralismo imperfetto, che sono in così grande maggioranza, non hanno saputo compiere scelte precise di «specializzazione» di ciascuna Camera ed hanno, col testo in esame, predisposto scelte pasticciate. Divisi fra sostenitori del «Senato delle Regioni» e sostenitori del «Senato delle garanzie» offrono, al momento, una soluzione, che lascia largamente insoddisfatti i primi, senza riuscire, però, a caratterizzare con adeguate funzioni il Senato quale luogo delle garanzie non giurisdizionali.
Risulta, infatti, arduo separare con criteri accettabili materie che possano essere affidate esclusivamente alla potestà legislativa del Senato o nelle quali il Senato pronunci l'ultima parola.
Il Senato assume un ruolo paritario soltanto per l'esercizio della funzione legislativa nelle materie indicate all'articolo 15 e in poche altre.
La discussione della Bicamerale e il suo attuale risultato ci confermano, quindi, nella nostra convinzione monocameralista.
Il testo contiene un miglioramento delle norme sul referendum abrogativo e introduce l'istituto del referendum propositivo: si tratta di una innovazione che apprezziamo. In particolare è giusto che con legge si determini il numero massimo di referendum esperibili in ciascuna consultazione popolare. La recente esperienza consiglia questa limitazione, che ha lo scopo di consentire un ricorso più ponderato allo strumento referendario, strumento di democrazia diretta che deve essere preservato dall'uso demagogico al quale recentemente si è fatto ricorso.
Proponiamo che, oltre alla forma repubblicana, non possano essere sottoposte a revisione costituzionale i princìpi fondamentali, le disposizioni finali relative alla riorganizzazione del disciolto partito fascista e quelle relative ai membri e discendenti di casa Savoia.
Sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea il testo proposto dal relatore è stato migliorato dalla Commissione. Rispetto al testo adottato proponiamo alcune modifiche tese a sottolineare il ruolo del Parlamento nella definizione degli indirizzi di politica comunitaria. Sottolineiamo che l'Italia svolge la propria azione nell'Unione europea per rafforzare i principi di libertà e di socialità e per favorire un'ampia partecipazione democratica dei cittadini.
La «forma di Governo» è diventata il centro dello scontro politico nella revisione costituzionale, lo snodo di una discussione che si protrae da anni, sollecitata costantemente dai fautori del decisionismo, i quali vogliono un restringimento, ad ogni livello, della democrazia.
In molti Paesi ed anche in Italia si sono affermate, negli ultimi quindici anni, culture di destra che hanno influenzato fortemente gli orientamenti dei cittadini ed hanno fatto breccia anche in settori importanti delle sinistre.
Da qualche tempo in Italia si è pensato, non soltanto nelle destre, che la risposta istituzionale alla crisi del sistema politico italiano fosse nella semplificazione forzata del sistema attraverso leggi elettorali maggioritarie che rendessero omogeneo ciò che omogeneo non è, creando una rappresentanza espressa da due poli più auspicati che reali. Non si è tenuto conto della realtà economica, sociale, culturale, politica del Paese, la quale è connotata da disuguaglianze e conflitti sociali, da diversità di condizioni territoriali, da una economia a velocità diverse che non unisce, ma distorce. La cultura politica dominante ha spinto verso leggi elettorali nettamente maggioritarie e verso il presidenzialismo, verso l'emarginazione del ruolo del Parlamento a somiglianza di quanto avvenuto per gli enti locali, nei quali è evidente un drastico ridimensionamento delle funzioni dei consigli.
La risposta alla crisi istituzionale deve venire, invece, da un recupero culturale delle sinistre e di tutte le forze democratiche. È necessaria una espansione della democrazia rappresentativa e diretta, una nuova fase della partecipazione democratica. Esattamente l'opposto della soluzione adottata dalla Bicamerale col voto delle destre, sostenute dalla Lega e da alcuni parlamentari dell'area dell'Ulivo.
Per la riforma della democrazia italiana debbono impegnarsi a fondo le grandi organizzazioni di massa e le forze della cultura, a partire da quella giuridica. Ci attendiamo che nel Paese si apra un vero dialogo diffuso, promosso dai Partiti, dai Sindacati, dal vario ed articolato mondo dell'associazionismo, dalle più diverse sedi culturali. Questa mobilitazione è necessaria perché il dibattito parlamentare si svolga con un Paese attento e partecipante in vista del referendum, che può rappresentare un crinale decisivo per la storia repubblicana.
Le esperienze degli ultimi tempi hanno accentuato il distacco fra cittadini ed istituzioni, anziché, come è stato sostenuto dai fautori del maggioritario, determinare una più solida rappresentanza attraverso le varie leggi elettorali approvate a seguito dei referendum.
Nel vuoto della partecipazione e nella sfiducia diffusa nascono miti ed attese e si individua nella soluzione presidenzialista la scorciatoia per tutto semplificare e risolvere e nel Parlamento la sede di ogni male.
Da questo clima di prolungato disarmo culturale è nata la sconfitta, nella prima fase dei lavori della Bicamerale, delle posizioni che vogliono l'espansione della democrazia e non il suo restringimento.
L'opzione presidenzialista ha potuto prevalere per l'incursione della Lega, ma anche per la natura composita dei gruppi dell'Ulivo.
Noi continueremo la nostra battaglia anche contro la mistificazione in atto rispetto alla soluzione adottata. Si vorrebbe far credere che si tratta di un presidente taglianastri. Non è assolutamente vero. Egli detiene il potere decisivo dello scioglimento.
L'«addolcimento» dell'ultima versione nulla toglie alla forza dell'investitura popolare.
Il valore politico dell'elezione del Presidente è, dunque, ben superiore a quello dell'elezione del Parlamento.
Il Parlamento viene a trovarsi in balia del potere di scioglimento del Presidente e dei poteri ampi affidati al Governo. Il Primo ministro, a sua volta, è rafforzato nei confronti del Parlamento, ma è più debole verso il Presidente, il quale forte dell'investitura popolare può sentire la tentazione di espandere ulteriormente i propri spazi istituzionali. È quanto hanno osservato e quasi auspicato in questi giorni molti presidenzialisti.
Alla soluzione presidenzialista contrapponiamo oggi una proposta che modifica in parte la nostra proposta iniziale.
Prevediamo che la candidatura alla carica di Primo ministro avvenga mediante dichiarazione di collegamento con i candidati alla elezione parlamentare. Il Presidente della Repubblica nomina Primo ministro il candidato a tale carica al quale risulta collegato il maggior numero di parlamentari eletti.
Nella nostra proposta, il Primo ministro acquisisce indubbiamente poteri maggiori rispetto all'attuale Presidente del Consiglio, ma non detiene il potere di scioglimento, che resta affidato al Presidente della Repubblica, il quale non lo può esercitare se il Parlamento è in grado, entro termini brevissimi, di esprimere una maggioranza a sostegno di un nuovo Primo ministro.
Si garantirebbe sufficiente stabilità all'Esecutivo e si adotterebbe una soluzione neoparlamentare nella quale l'Assemblea nazionale verrebbe ricollocata nel ruolo essenziale che necessariamente le spetta in un sistema democratico.
È la soluzione che abbiamo contrapposto al presidenzialismo e al «premierato forte». È stata proprio la scelta di presentare presidenzialismo e premierato con connotati pressoché comuni che ha creato una confusione più o meno voluta ed ha reso più difficile per larghi strati di cittadini la comprensione del dibattito che si è svolto in Bicamerale.
Riteniamo che una ripresa delle posizioni che contrastano la deriva presidenzialista non possa venire che da una netta riaffermazione di quella concezione della democrazia diffusa, della partecipazione, di forme di democrazia diretta, rispetto alle quali nei «rami alti» dell'ordinamento non possono corrispondere istituzioni che le negano, ma, al contrario, istituzioni capaci di essere la sintesi della democrazia che vive nel Paese. Una sintesi capace di governare. La soluzione presidenzialista, invece, corrisponde ad un impulso plebiscitario. L'elezione diretta del Presidente è espressione e alimento di questo impulso.
Lo sanno le destre, le quali con l'elezione diretta del Presidente pongono basi sicure per future escalation. La forza di un Presidente eletto direttamente dal popolo in un Paese attraversato da tante tensioni non è misurabile con lo stretto elenco delle funzioni attribuitegli, che, comunque, è assai rilevante. Alcuni sostenitori del presidenzialismo hanno detto in questi giorni: se al Presidente eletto non vengono dati poteri effettivi, egli potrebbe prenderseli. Con ciò hanno disvelato la natura e i rischi insiti nella scelta presidenzialista.
Il testo sulle garanzie viene inviato alla prima valutazione di tutti i parlamentari senza che su di esso, dopo le molte discussioni e scontri sul problema della giustizia e sulle varie soluzioni prospettate dal relatore, si sia svolta sugli articoli essenziali (dal 119 al 133) un vero esame da parte della Commissione.
Questi articoli sono stati approvati con unica votazione, senza prendere in esame alcun emendamento.
Non essendo stato possibile esprimersi su ciascun articolo, i parlamentari di Rifondazione comunista hanno espresso voto contrario. Un voto contrario oltreché sulla scelta della modalità di votazione voluta dal Presidente D'Alema, anche e soprattutto sul merito di alcuni articoli contenuti nel testo posto in votazione.
Noi riteniamo che sulla giustizia sia necessario e non più rinviabile un organico intervento del legislatore ordinario per riformare i procedimenti civile, amministrativo, penale, per una riconsiderazione dell'intero problema carcerario, per ideare nuove strutture, per qualificare il personale, per garantire realmente la difesa di tutti.
Il testo adottato tiene conto sostanzialmente solo in parte delle molte critiche da noi rivolte alle prime bozze. Vi sono molti punti rispetto ai quali il nostro dissenso è netto. Noi siamo fermi sostenitori di un sistema di garanzie per tutti e per questo riteniamo che debba essere respinto ogni tentativo di sottoporre la magistratura al potere politico. I condizionamenti espongono a rischi maggiori l'uguaglianza dei cittadini. I punti essenziali da salvaguardare sono:
A) obbligatorietà dell'azione penale. È stato respinto il tentativo di far stabilire alla sede politica le priorità dell'azione penale, ma restano ambiguità da eliminare. È stato giustamente rilevato che l'obbligatorietà dell'azione penale è «diventata un problema quando la giustizia penale ha cominciato ad interessare ceti, persone, funzioni che tradizionalmente non ne erano, se non in casi eccezionali, toccati». È, però, evidente che attualmente il principio di obbligatorietà risulta scarsamente attuato, soprattutto per l'eccessivo numero di notizie di reato che investono gli uffici. Urgono riforme che riducano l'area del diritto penale; ciò renderà effettivamente perseguibili i comportamenti che continueranno ad essere sanzionati penalmente. In questa direzione il Parlamento si sta muovendo: è di questi giorni l'approvazione da parte della Camera dei deputati di una importante legge di depenalizzazione. Di notevole ausilio sarebbe la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, che consenta una razionale organizzazione degli uffici giudiziari ed una razionale distribuzione sul territorio dei magistrati e del personale amministrativo e ausiliario. È, inoltre, auspicabile che sia fatto obbligo ai magistrati di svolgere esclusivamente le funzioni loro proprie;
B) i magistrati di pubblico ministero non debbono diventare super poliziotti. Si deve, invece, andare nella direzione opposta, attraverso una riformulazione dell'articolo 101 della Costituzione che estenda formalmente ad essi le garanzie di indipendenza proprie del giudice. Dovrà, però, essere superata l'attuale situazione di passaggio senza filtri dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti. Per questo i parlamentari dei gruppi di Rifondazione comunista hanno da tempo presentato al Senato e alla Camera proposte per una nuova regolamentazione di questo passaggio;
C) costituzionalizzazione dei princìpi del processo accusatorio;
D) conferma dell'autogoverno della magistratura attraverso il suo Consiglio superiore, conservando il rapporto laici-togati previsto in Costituzione. Naturalmente autonomia, indipendenza, autogoverno non significano separazione dalla società e dalle sue espressioni e domande di giustizia, ma sono finalizzate proprio ad offrire risposte adeguate a queste domande. E per il problema disciplinare è indispensabile ed urgente arrivare ad una puntuale tipicizzazione degli illeciti disciplinari e ad una conseguente obbligatorietà dell'azione disciplinare. La formazione di una «Corte di giustizia della magistratura» può rappresentare una soluzione valida, purché la sua competenza sia limitata all'ambito disciplinare e, quindi, non estesa, come previsto nel testo adottato, ai ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi del Consiglio superiore;
F) deve essere confermato il divieto di istituzione di giudici straordinari e di giudici speciali;
G) la giurisdizione in materia tributaria deve essere devoluta al magistrato ordinario istituendo sezioni specializzate.
Da tempo sui temi della giustizia il confronto è sostituito dallo scontro. Noi sottolineiamo che occorrono misure, sobrietà, rispetto delle opinioni altrui e particolarmente del proprio ruolo e collocazione istituzionale.
Auspichiamo che, con gli emendamenti dei parlamentari e nel complessivo iter parlamentare previsto per la revisione costituzionale della seconda parte della Costituzione, si possa restituire slancio e vigore all'opera riformatrice, per un'espansione della democrazia, per creare le condizioni di una crescente partecipazione. La Repubblica e la Costituzione, nate dalla Resistenza e dalla lotta contro la dittatura fascista, si fondano sui valori che animarono la grande stagione che dette al popolo italiano la possibilità di costruirsi una vita democratica. Questa possibilità, nelle travagliate vicende dell'ultimo cinquantennio, è stata preservata, nonostante i condizionamenti internazionali che hanno costituito un limite al pieno dispiegarsi delle potenzialità democratiche.
Con gli sconvolgimenti che hanno mutato gli assetti politici internazionali e con la crisi che ha travolto i partiti che hanno governato l'Italia in questi cinquant'anni si è aperta una fase politica profondamente nuova ed anche la ricerca di nuovi assetti istituzionali ha subito un'affannosa accelerazione. Nel crollo dei vecchi equilibri molte forze economiche e politiche indicano soluzioni decisioniste, semplificazioni impossibili di una realtà caratterizzata dai conflitti.
Queste tendenze sono state sorrette a livello internazionale, in Europa ed altrove, dai potentati economici e finanziari, e si sono espresse anche con le manovre più torbide.
Il presidenzialismo è la soluzione istituzionale sulla quale puntano queste forze, è la garanzia contro gli ingombranti ruoli dei Parlamenti, è la certezza che le decisioni saranno assunte «con tempestività»!
Noi chiamiamo tutti all'impegno democratico in coerenza con i valori fondanti della Repubblica. Sappiamo che la crisi ha travolto molte convinzioni, che molti si sono aggrappati a speranze del tutto illusorie. Non c'è, invece, soluzione al di fuori di un serio impegno democratico. Siamo impegnati a contribuire all'opera di revisione costituzionale nelle forme che la legge istitutiva della Bicamerale ha stabilito, anche se siamo stati e siamo ancora convinti che si doveva seguire il procedimento previsto dall'articolo 138 della Costituzione. Abbiamo espresso il nostro consenso alla legge per la istituzione della Commissione bicamerale, soltanto quando sembrò che la sua mancata costituzione avrebbe aperto la strada all'Assemblea costituente, propugnata particolarmente dai sostenitori di un'altra repubblica, che sostituisca quella nata dalla Resistenza e nella quale sia stabilita una nuova tavola di valori. Ora che l'opera di revisione è iniziata non faremo mancare il nostro contributo, ma segnaliamo che il primo approdo è negativo, che si deve operare per profonde modifiche del primo testo licenziato dalla Bicamerale.
In coerenza con le considerazioni svolte, la relazione è completata dalle proposte che seguono.
Armando COSSUTTA, relatore di minoranza.
(Ordinamento territoriale dello Stato).
Lo Stato repubblicano è costituito dai Comuni, dalle Province e dalle Città metropolitane e dalle Regioni.
I rapporti tra amministrazione dello Stato, Regioni ed autonomie locali si ispirano al principio di leale cooperazione.
I compiti di amministrazione sono esercitati dall'ente più vicino alle popolazioni interessate, secondo il principio di sussidiarietà.
(Le comunità e le autonomie locali).
Le comunità locali, ordinate in Comuni, Città metropolitane e Province, sono autonome. Le relative Autorità amministrative ne esercitano di conseguenza i poteri nell'ambito dei princìpi fissati dalla Costituzione e dalle leggi, e secondo le norme fissate dagli Statuti di cui ciascun Ente si dota.
Il Comune è l'ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo.
La Città metropolitana si costituisce per la tutela degli interessi, la rappresentanza e il Governo delle grandi aree urbane integrate.
La Provincia, ente locale intermedio fra Comune e Regione, cura gli interessi e promuove lo sviluppo della comunità provinciale.
(Le Regioni. Funzioni).
Le Regioni sono Enti autonomi costitutivi della Repubblica. A ciascuna di esse è attribuita la funzione legislativa nell'ambito del proprio territorio secondo i limiti e i modi stabiliti dalla Costituzione.
La funzione legislativa è ripartita tra le Regioni e lo Stato sulla base dei princìpi e delle norme della Costituzione in materia di legislazione esclusiva e di legislazione concorrente. Le Regioni hanno il potere di legiferare nelle materie che la Costituzione non riservi all'Assemblea nazionale.
(Competenza legislativa esclusivadello Stato).
L'Assemblea nazionale ha legislazione esclusiva nelle materie concernenti:
a) diritti e doveri dei cittadini previsti dai titoli I, II, III e IV della parte I della Costituzione;
b) cittadinanza, libertà di circolazione, passaporti, immigrazione ed emigrazione, estradizione;
c) rapporti regolati dagli articoli 7 e 8 della presente Costituzione;
d) sistema valutario e monetario, pesi e misure, determinazione del tempo;
e) sistema postale e telecomunicazioni;
f) ordinamento degli uffici statali della Pubblica amministrazione e stato giuridico del personale al servizio dello Stato e degli enti di diritto pubblico direttamente dipendenti dallo Stato;
g) politica estera, commercio con l'estero e relazioni internazionali;
h) difesa nazionale;
i) sicurezza pubblica;
l) istruzione pubblica di ogni ordine e grado e università;
m) ordinamento della giustizia civile, penale, amministrativa, tributaria e contabile, sanzioni penali e ordinamento giudiziario;
n) tributi statali, contabilità dello Stato, moneta, attività finanziarie e credito sovraregionali;
o) programmi economici generali e azioni di riequilibrio, politiche industriali, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia;
p) trasporti e comunicazioni nazionali, disciplina generale della circolazione, navigazione d'alto mare;
q) calamità naturali e condizioni essenziali dell'igiene pubblica;
r) ricerca scientifica e tecnologica, tutela della proprietà letteraria, artistica e intellettuale;
s) previdenza sociale, assicurazioni, ordinamento generale della tutela e della sicurezza del lavoro;
t) leggi elettorali e condizioni di esercizio dei diritti politici;
u) disciplina generale dell'organizzazione e del procedimento amministrativo.
Nell'ambito della competenza legislativa esclusiva dell'Assemblea nazionale, le Regioni possono legiferare nella misura in cui vi siano espressamente autorizzate dalla legge statale.
(Competenza legislativa concorrente).
Al di fuori delle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, nei casi in cui una determinata materia non possa essere efficacemente regolata dalla legislazione delle singole Regioni, ovvero la regolazione di una materia mediante una legge regionale potrebbe nuocere agli interessi di altre Regioni o della collettività, ovvero quando lo richiedano la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica, ed in particolar modo la tutela dell'uniformità delle condizioni di vita, prescindendo dai confini territoriali di ogni singola Regione, con legge costituzionale è determinata la competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni.
Nell'ambito delle materie soggette a legislazione concorrente, le Regioni hanno competenza legislativa in assenza di normativa nazionale ovvero su delega espressa della legislazione statale.
(Garanzia delle prestazioni sociali).
Nell'esercizio delle funzioni di valore sociale, la Regione garantisce a ciascun cittadino le prestazioni previste dalla legge della Repubblica. Con legge della Repubblica sono previste le procedure per l'esercizio dei poteri sostitutivi in caso di inadempienza della Regione dopo motivato richiamo.
(Ripartizione delle spese, contributi e investimenti dello Stato).
Lo Stato, le Regioni e le autonomie locali sopportano separatamente le spese relative ai compiti loro propri.
Se le Regioni o le autonomie locali operano per incarico dello Stato, quest'ultimo deve sopportare le spese relative.
Sulla base di disposizioni di legge, lo Stato può concedere alle Regioni e alle Autonomie locali contributi finanziari per investimenti di particolare importanza delle medesime al fine di equilibrare differenze di potere economico nel territorio nazionale, o per promuoverne la crescita economica.
Lo Stato, le Regioni e le Autonomie locali sopportano le spese di amministrazione relative alle rispettive funzioni e operano in rapporto reciproco per un'ordinata amministrazione, sulla base di disposizioni di legge.
(Autonomia finanziaria eautonomia tributaria).
L'autonomia finanziaria e l'autonomia dell'imposizione tributaria sono parte costitutiva dell'autonomia delle Regioni, delle Province, delle Città metropolitane e dei Comuni.
La legge nazionale detta norme per il coordinamento tra la finanza dello Stato, la finanza delle Regioni e la finanza delle Province, delle Città metropolitane e dei Comuni.
(Ripartizione delle imposte).
Sono tributi nazionali l'imposta sul valore aggiunto, le imposte sui redditi di società ed enti e quelle di carattere personale.
Sono tributi regionali quelli istituiti e regolati da leggi regionali secondo i princìpi stabiliti con legge statale.
Le Regioni compartecipano con l'Amministrazione dello Stato alle imposte nazionali sul reddito secondo criteri stabiliti con legge statale che disciplina l'ordinamento generale del sistema tributario in relazione alle fonti di produzione del reddito ed in coerenza con l'applicazione del principio di sussidiarietà.
I tributi regionali non possono essere disciplinati ed applicati in maniera da ostacolare la libera circolazione delle persone e delle cose all'interno dello Stato e dell'Unione europea. Le differenze normative tra Regioni non devono essere tali da violare l'eguaglianza dei cittadini e le libertà individuali garantite dalla Costituzione.
Per la tutela delle Regioni economicamente svantaggiate lo Stato istituisce un apposito fondo perequativo il cui ammontare è definito in misura non superiore a quanto necessario per compensare la minore capacità di produrre gettiti tributari e contributivi rispetto alla media nazionale per abitante. Quote di un ulteriore fondo possono essere devolute alle Regioni di minore dimensione demografica per compensare le maggiori spese per abitante cui queste sono soggette per l'erogazione dei servizi. I trasferimenti sono fissati d'intesa con la Regione.
I Comuni, le Città metropolitane e le Province ricevono come propri una parte dei tributi destinati alle Regioni, che deve essere ripartita da parte di ciascuna di esse a loro favore sulla base del principio della capacità contributiva dei loro abitanti, secondo disposizioni di legge statale. Essa può stabilire che Comuni, Città metropolitane e Province fissino aliquote di riscossione o criteri di esenzione per la parte di loro spettanza.
I beni demaniali appartengono ai Comuni nel cui territorio sono ubicati, ad eccezione di quelli espressamente attribuiti alle Città metropolitane, alle Province, alle Regioni e allo Stato in quanto essenziali per l'esercizio delle funzioni ad essi attribuite.
Se lo Stato promuove in singole Regioni, Comuni, Province o Città metropolitane istituzioni che comportino per esse maggiori spese o minori entrate, lo Stato garantisce il necessario conguaglio.
Lo Stato e le Regioni applicano ed accertano unitariamente con propri uffici rispettivamente i tributi nazionali e quelli regionali secondo procedure applicabili per tutte le Regioni, previste da legge statale.
(Organi delle Regioni).
Sono organi delle Regioni il Consiglio, la Giunta e il suo Presidente.
Il Consiglio esercita le potestà legislative della Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione, dallo Statuto regionale, dalle leggi nazionali, dalle leggi regionali. Può fare proposte di legge all'Assemblea nazionale.
La Giunta regionale è l'organo esecutivo della Regione ed esercita le potestà regolamentari conferitele dallo Statuto e dalle leggi regionali.
Il Presidente della Giunta rappresenta la Regione, ne promulga le leggi ed i regolamenti, ne dirige le funzioni amministrative.
(Sistema d'elezione, ineleggibilità, incompatibilità, e status dei consiglieri regionali. Regolamento del Consiglio ed elezione degli organi esecutivi della Regione).
Il sistema d'elezione, il numero e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità dei consiglieri regionali sono stabiliti con legge della Repubblica.
Nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio regionale e all'Assemblea nazionale, al Parlamento europeo o ad un altro Consiglio regionale.
I consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.
Il Presidente ed i membri della Giunta sono eletti dal Consiglio regionale.
Il Consiglio, secondo le procedure fissate dallo Statuto, adotta un regolamento per lo svolgimento dei propri lavori.
(Statuti regionali).
Ogni Regione ha uno Statuto il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative all'organizzazione interna della Regione. Lo Statuto regola l'esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.
Lo Statuto è deliberato dal Consiglio regionale a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti.
(Condizioni e modalità di scioglimento dei Consigli regionali).
Il Consiglio regionale può essere sciolto quando compia atti contrari alla Costituzione o non corrisponda all'invito del Presidente della Repubblica di sostituire la Giunta o il Presidente che abbiano compiuto analoghi atti.
Può essere sciolto quando, per dimissioni o per impossibilità di formare una maggioranza, non sia in grado di funzionare.
Lo scioglimento è disposto con decreto motivato del Presidente della Repubblica, sentita una Commissione di deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica.
(Promulgazione e pubblicazione delle leggi regionali. Questioni di legittimità e di merito).
Le leggi regionali sono promulgate entro quindici giorni dalla approvazione. Se il Consiglio ne dichiara l'urgenza la legge regionale è promulgata nel termine da essa stabilito.
Le leggi regionali sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso.
Il Governo della Repubblica, quando ritenga che una legge regionale intervenga nell'ambito delle materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato, o contrasti con gli interessi nazionali o con quelli di altre Regioni, può promuovere la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale o quella di merito per contrasto di interessi davanti all'Assemblea nazionale. In caso di dubbio, la Corte costituzionale decide di chi sia la competenza.
(Le Regioni. Elencazione).
La Repubblica è costituita dalle seguenti Regioni:
Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Trentino-Alto Adige, Umbria, Valle d'Aosta, Veneto.
(Modifiche territoriali delle Regioni e delle Autonomie locali esistenti. Istituzione di nuove Regioni o di nuove Autonomie locali).
Si può, con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di due milioni di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse.
Si può, con referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province, Città metropolitane e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un'altra.
Il mutamento delle circoscrizioni provinciali o delle Città metropolitane e l'istituzione di nuove Province o Città metropolitane nell'ambito di una Regione sono stabiliti con leggi regionali, su iniziativa di almeno un terzo dei Comuni interessati e con la deliberazione favorevole dell'Assemblea nazionale.
La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni.
Il Parlamento è costituito dall'Assemblea Nazionale, eletta a suffragio universale e diretto.
La legge promuove l'equilibrio della rappresentanza elettorale tra i sessi.
Il numero di deputati è di quattrocento.
Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno della elezione hanno compiuto i ventuno anni di età.
La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione per quattrocento e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
L'Assemblea Nazionale è eletta per cinque anni.
La durata dell'Assemblea Nazionale non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra.
L'elezione dell'Assemblea Nazionale ha luogo entro sessanta giorni dalla fine della precedente. La prima riunione ha luogo non oltre il ventesimo giorno dall'elezione.
Finché non sia riunita la nuova Assemblea sono prorogati i poteri della precedente.
L'Assemblea Nazionale elegge tra i suoi componenti il Presidente a maggioranza dei due terzi, e l'Ufficio di presidenza.
L'Assemblea Nazionale può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o del Presidente della Repubblica o di un quinto dei componenti.
L'Assemblea Nazionale adotta il proprio regolamento a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti.
Le sedute sono pubbliche, tuttavia l'Assemblea può deliberare di adunarsi in seduta segreta, purché all'atto della deliberazione sia presente almeno la metà più uno dei suoi componenti.
Le deliberazioni dell'Assemblea Nazionale non sono valide se non è presente la maggioranza dei suoi componenti e se non sono votate dalla maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione o il regolamento prevedano una maggioranza qualificata. Con il regolamento è disciplinata la distribuzione delle funzioni tra Assemblea e Commissioni.
I componenti del Governo, anche se non fanno parte dell'Assemblea Nazionale hanno diritto, e se richiesti obbligo, di assistere alle sedute.
Devono essere sentiti ogni volta che lo richiedano.
Il regolamento garantisce i diritti delle opposizioni nella formazione dell'ordine del giorno ed in ogni altro momento dell'attività parlamentare.
La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di deputato.
L'ufficio di deputato è incompatibile con quello di componente di un'assemblea legislativa regionale.
L'Assemblea Nazionale giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità.
Ogni componente del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.
I componenti del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.
Senza autorizzazione dell'Assemblea Nazionale, nessun deputato può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza.
Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i componenti dell'Assemblea Nazionale ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza.
I componenti del Parlamento ricevono un'indennità stabilita dalla legge.
La funzione legislativa dello Stato è esercitata dall'Assemblea Nazionale.
L'iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun componente dell'Assemblea Nazionale, a ciascun Consiglio regionale e agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale.
Il popolo esercita l'iniziativa delle leggi mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli.
Ogni disegno di legge presentato è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e dall'Assemblea stessa.
Le commissioni sono composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari.
I disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale, di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi sono sempre esaminati da una commissione e poi dall'Assemblea, che li approva articolo per articolo e con votazione finale.
Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l'urgenza. Quando lo richiedono il Governo, un decimo dei componenti l'Assemblea o un quinto dei componenti la commissione, può altresì stabilire in quali casi e forme il disegno di legge esaminato nelle commissioni è sottoposto all'Assemblea per l'approvazione senza dichiarazione di voto dei singoli articoli, nonché per l'approvazione finale con sole dichiarazioni di voto.
Il regolamento garantisce il tempestivo esame dei progetti di legge che il Governo e ciascun gruppo di opposizione indicano come prioritari.
La legge è promulgata dal Presidente della Repubblica entro trenta giorni dall'approvazione o entro il termine più breve da essa stabilito.
La legge è pubblicata subito dopo la promulgazione ed entra in vigore il quindicesimo giorno successivo alla sua promulgazione.
Entro quindici giorni dall'approvazione un quinto dei componenti l'Assemblea Nazionale può proporre ricorso alla Corte Costituzionale per vizi di legittimità costituzionale. La Corte si pronuncia nei successivi trenta giorni.
Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può chiedere una nuova deliberazione con messaggio motivato all'Assemblea Nazionale.
La legge nuovamente approvata dall'Assemblea Nazionale è promulgata.
È indetto referendum popolare per deliberare l'abrogazione totale o parziale di una legge, di un atto avente valore di legge o di loro partizioni interne, quando lo richiedano ottocentomila elettori o cinque consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi elettorali, tributarie, di bilancio, di amnistia e indulto. Non è altresì ammesso per le leggi necessarie al funzionamento degli organi costituzionali dello Stato e per quelle a contenuto costituzionalmente vincolato.
La proposta sottoposta a referendum deve avere ad oggetto disposizioni normative omogenee.
La Corte Costituzionale valuta l'ammissibilità del referendum dopo che siano state raccolte centomila firme o dopo che siano divenute esecutive le deliberazioni dei cinque consigli regionali.
In caso di abrogazione parziale il quesito è inammissibile se la parte residua della legge o dell'atto avente valore di legge risulti di impossibile applicazione.
È indetto referendum popolare per deliberare l'approvazione di una legge di iniziativa popolare presentata da almeno ottocentomila elettori, quando entro diciotto mesi dalla presentazione il Parlamento non abbia deliberato sulla proposta ovvero se tale deliberazione contrasta con i princìpi e le finalità dell'iniziativa popolare.
Si applicano i commi secondo e terzo dell'articolo 17.
La Corte Costituzionale valuta l'ammissibilità del referendum decorso il termine di cui al primo comma.
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini elettori.
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
La legge disciplina le modalità di attuazione del referendum, fissa i limiti, le condizioni di ammissibilità ed i criteri di formazione delle richieste referendarie abrogative. Prevede che i quesiti siano formati in modo da renderne chiaro il contenuto per garantire l'espressione di voto libero e consapevole da parte di ciascun elettore ed elettrice. Alla legge è altresì riservata la determinazione del numero massimo di quesiti referendari esperibili in ciascuna consultazione popolare.
L'esercizio della funzione legislativa può essere delegato al Governo con legge per oggetti definiti ed omogenei, con determinazione di princìpi e criteri direttivi, per la durata massima di due anni e nei limiti di spesa stabiliti dalla legge di delegazione.
Il Governo può adottare, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge in casi straordinari ed imprevedibili di necessità e urgenza concernenti la sicurezza nazionale, calamità naturali, l'introduzione di norme finanziarie che debbono entrare immediatamente in vigore o l'attuazione di atti normativi della Comunità europea, quando dalla mancata tempestiva adozione dei medesimi possa derivare responsabilità dello Stato per inadempimento di obblighi comunitari. Il Governo deve il giorno stesso presentare il decreto all'Assemblea Nazionale per la conversione in legge. L'Assemblea Nazionale, anche se sciolta, è appositamente convocata e si riunisce entro cinque giorni.
Il Governo non può, mediante decreto, rinnovare disposizioni di decreti non convertiti in legge, ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale, conferire deleghe legislative, attribuirsi poteri regolamentari in materie già disciplinate con legge, regolare i rapporti sorti sulla base di decreti non convertiti, né comunque disciplinare gli effetti dei medesimi.
I decreti perdono efficacia fin dall'inizio se entra sessanta giorni non sono convertiti in legge. L'Assemblea Nazionale, tuttavia, può regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.
L'Assemblea Nazionale delibera lo stato di guerra e conferisce al Governo i poteri necessari.
L'amnistia e l'indulto sono concessi con legge deliberata dall'Assemblea Nazionale a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
La legge che concede l'amnistia o l'indulto stabilisce il termine per la loro applicazione.
L'amnistia e l'indulto non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge.
È autorizzata con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica o militare, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio o oneri alle finanze o modificazioni di leggi.
Il Governo informa tempestivamente l'Assemblea Nazionale dei procedimenti di negoziazione dei suddetti trattati internazionali al fine dell'adozione di atti di indirizzo.
L'Assemblea Nazionale esamina ogni anno i bilanci dello Stato e i rendiconti consuntivi finanziari e patrimoniali presentati dal Governo.
L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi superiori a quattro mesi.
Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese né modificare la vigente disciplina legislativa dei tributi e delle spese.
La legge di contabilità generale stabilisce il contenuto dei bilanci e dei rendiconti e, in attuazione delle norme del presente articolo, la disciplina delle leggi in materia di spesa e di entrata. Con la medesima legge sono stabilite le regole per la redazione del bilancio dello Stato e degli Enti pubblici in modo da favorire la gestione delle risorse pubbliche secondo criteri di socialità, efficienza ed economicità.
L'Assemblea Nazionale approva i disegni di legge in materia di bilanci e rendiconti, di finanza e contabilità pubblica, di tributi e di istituzione, disciplina e ripartizione dei fondi perequativi.
L'Assemblea Nazionale controlla l'attuazione delle leggi nello svolgimento delle funzioni normativa e amministrativa del Governo e di tutti gli Enti pubblici.
L'Assemblea Nazionale può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. Vi provvede su proposta di un quinto dei suoi componenti secondo le norme del regolamento.
Per lo svolgimento dell'inchiesta l'Assemblea Nazionale nomina tra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La commissione d'inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria.
Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate dall'Assemblea Nazionale con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi e sono approvate a maggioranza di due terzi dei componenti nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri dell'Assemblea Nazionale o ottocentomila elettori o cinque consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non partecipa alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.
Non possono essere altresì sottoposte a revisione costituzionale i princìpi fondamentali, le disposizioni finali relative alla riorganizzazione del disciolto partito fascista e quelle relative ai membri e discendenti di casa Savoia; non possono essere limitati i diritti previsti dalla prima parte della Costituzione.
L'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri, il numero, le attribuzioni dei ministeri, l'organizzazione dell'amministrazione statale sono disciplinati dal Governo con regolamenti, sulla base di princìpi stabiliti dalla legge.
Nelle materie di competenza statale non riservate dalla Costituzione alla legge il Governo può adottare regolamenti nei limiti in cui la disciplina non sia stabilita con legge. Nelle stesse materie la legge può autorizzare il Governo ad adottare regolamenti per abrogare norme di legge vigenti e a introdurre nuove disposizioni nel rispetto dei princìpi e dei limiti da essa stabiliti.
Con regolamento si provvede altresì all'esecuzione e all'attuazione delle leggi e degli atti con forza di legge.
Con legge sono stabiliti il procedimento di approvazione e le forme di pubblicità dei regolamenti.
III. PARTECIPAZIONE DELL'ITALIA ALL'UNIONE EUROPEA
La Repubblica italiana partecipa, in condizioni di parità con altri Stati e nel rispetto dei princìpi fondamentali dell'ordinamento e dei diritti inviolabili della persona umana, al processo di integrazione europea.
La Repubblica svolge la propria azione nell'Unione europea in vista del rafforzamento dei princìpi di libertà, dello Stato sociale e di diritto, dell'articolazione dei poteri secondo il criterio di sussidiarietà, e di una sempre più ampia partecipazione democratica dei cittadini alle decisioni.
Ogni conferimento di poteri all'Unione, se comporta limitazioni di sovranità, è approvato a maggioranza assoluta dei componenti dell'Assemblea nazionale e può essere sottoposto a referendum.
Un quinto dei componenti dell'Assemblea nazionale, cinque Consigli regionali o duecentomila elettori possono richiedere che i progetti di legge di autorizzazione alla ratifica dei Trattati dell'Unione europea siano sottoposti al giudizio preventivo della Corte costituzionale. La Corte costituzionale si pronuncia entro trenta giorni dalla richiesta.
L'Assemblea nazionale definisce gli indirizzi di politica comunitaria.
Il Governo informa l'Assemblea nazionale dei negoziati per qualsiasi revisione dei trattati istitutivi della Comunità europea, nonché dei trattati che li hanno modificati o integrati, al fine dell'adozione dei relativi atti di indirizzo.
Prima di concorrere alla formazione di norme comunitarie, il Governo informa l'Assemblea nazionale al fine dell'adozione dei relativi atti di indirizzo.
La legge stabilisce i procedimenti volti a garantire che, nelle questioni che incidono su materie riservate alla esclusiva competenza legislativa delle Regioni, i poteri della Repubblica italiana quale Stato membro dell'Unione europea siano esercitati previa consultazione di esse.
L'Assemblea nazionale esprime a maggioranza assoluta dei componenti l'assenso preventivo alla nomina dei membri degli organi delle istituzioni dell'Unione europea.
Le Regioni, per quanto di propria competenza, attuano ed integrano direttamente gli obblighi comunitari.
Nel caso in cui una Regione sia inadempiente, il Governo, previo parere dell'Assemblea nazionale, può intimare alla Regione di provvedere.
Nel caso in cui la Regione non provveda, il Governo, informata l'Assemblea nazionale, adotta le misure necessarie. Tali misure hanno efficacia fino al successivo intervento regionale.
Le Regioni possono, nel rispetto del diritto interno e comunitario, stipulare accordi con altre Regioni italiane o enti territoriali di altri Stati membri, per l'esercizio delle proprie competenze in materia comunitaria.
Qualora una competenza regionale sia reputata illegittimamente lesa da un atto dell'Unione europea, e non siano previsti mezzi di ricorso regionale diretto, ciascun Consiglio regionale può, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, richiedere che il Governo ricorra presso gli organi giurisdizionali dell'Unione europea. Il Consiglio dei ministri provvede con decisione motivata.
IV. FORMA DI GOVERNO
Il Governo della Repubblica è composto del Primo Ministro e dei Ministri, che costituiscono il Consiglio dei Ministri.
Con legge sono determinati il numero e le attribuzioni dei Ministri, nonché le incompatibilità tra le cariche di Governo e la titolarità o lo svolgimento di attività private.
La candidatura alla carica di Primo Ministro avviene mediante dichiarazione di collegamento con i candidati all'elezione del Parlamento.
I finanziamenti e le spese per la campagna elettorale, nonché la partecipazione alle trasmissioni televisive e radiofoniche, sono disciplinati con legge, al fine di garantire la parità di condizioni tra i candidati.
Il Presidente della Repubblica, alla proclamazione dei risultati per l'elezione del Parlamento, nomina con proprio decreto il candidato alla carica di Primo Ministro al quale è collegato il maggior numero di deputati eletti.
Il Primo Ministro, prima di assumere le funzioni, presta giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica.
Il Primo Ministro nomina e revoca con proprio decreto i Ministri. Prima di assumere le funzioni, i Ministri prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica.
Il Governo deve avere la fiducia dell'Assemblea Nazionale.
Entro dieci giorni dalla formazione del Governo, il Primo Ministro presenta il suo programma al Parlamento.
Un quinto dei deputati può presentare una mozione di sfiducia. Se la mozione è approvata dalla maggioranza assoluta dei parlamentari, il Presidente della Repubblica scioglie il Parlamento e indice nuove elezioni.
Nel corso della legislatura il Primo Ministro può porre la questione di fiducia. Se la maggioranza assoluta dei componenti del Parlamento nega la fiducia, il Primo Ministro rassegna le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica o gli propone di sciogliere il Parlamento.
Delle dimissioni o della proposta di scioglimento è data comunicazione all'Assemblea Nazionale.
Se, entro dieci giorni dalle dimissioni del Primo Ministro o dalla sua proposta di scioglimento, il Parlamento non approva una mozione di sfiducia, sottoscritta da almeno un quinto dei suoi membri e contenente la designazione del successore, con votazione per appello nominale a maggioranza dei suoi componenti, il Presidente della Repubblica scioglie il Parlamento e indice nuove elezioni.
Entro cinque giorni dall'approvazione della mozione di cui al comma precedente, il Presidente della Repubblica nomina il nuovo Primo Ministro. La nomina del nuovo Primo Ministro comporta la revoca del Primo Ministro e la decadenza dei Ministri in carica.
In caso di impedimento o morte del Primo Ministro e in caso di dimissioni non conseguenti al diniego della fiducia il Parlamento elegge il successore con il voto della maggioranza assoluta dei suoi componenti.
Qualora non sia raggiunta la maggioranza assoluta in due votazioni successive, e comunque entro dieci giorni, il Presidente della Repubblica scioglie il Parlamento e indice nuove elezioni.
Il Parlamento può esprimere la sfiducia al Primo Ministro mediante l'approvazione di una mozione sottoscritta da almeno un quinto dei deputati. Tale mozione deve contenere l'indicazione del successore ed essere approvata a maggioranza dei suoi componenti e con appello nominale.
Qualora la mozione sia approvata, si applicano le disposizioni di cui ai commi quarto e quinto dell'articolo 5.
Il Primo Ministro dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile; assicura l'unità di indirizzo politico e amministrativo; esercita l'iniziativa legislativa e presenta al Parlamento i disegni di legge approvati dal Consiglio dei Ministri.
Il Primo Ministro e i Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri.
I Ministri sono individualmente responsabili degli atti dei loro dicasteri.
La legge provvede all'ordinamento del Governo e determina le attribuzioni e l'organizzazione dei Ministeri.
I Ministeri possono essere istituiti solo per le materie riservate alla competenza dello Stato.
Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto quaranta anni di età e goda dei diritti civili e politici.
L'ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica, ufficio e attività pubblica o privata.
L'assegno e la dotazione del Presidente della Repubblica sono determinati con legge.
Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni e non può essere rieletto.
Il Presidente della Repubblica è eletto da un collegio formato dai parlamentari nazionali, dai parlamentari europei eletti in Italia, da rappresentanti delle regioni in numero pari ad un quarto dei parlamentari nazionali e da rappresentati delle autonomie locali in numero pari ad un quarto dei parlamentari nazionali. I rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali sono designati secondo le modalità stabilite dalla legge.
Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale.
Può inviare messaggi all'Assemblea Nazionale.
Autorizza la presentazione al Parlamento dei disegni di legge di iniziativa del Governo.
Decreta lo scioglimento del Parlamento, ne indice le elezioni e ne fissa la prima riunione.
Promulga le leggi ed emana i regolamenti. Può, con messaggio motivato, chiederne il riesame, rispettivamente, al Parlamento e al Governo.
Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica, previa autorizzazione del Parlamento, i trattati internazionali.
Ha il comando delle forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge e dichiara lo stato di guerra deliberato dal Parlamento.
Presiede i Consigli Superiori della Magistratura ordinaria e amministrativa.
Può concedere la grazia e commutare le pene.
Conferisce le onorificenze della Repubblica.
Esercita gli altri poteri conferitigli dalla Costituzione o dalla legge.
Gli atti del Presidente della Repubblica sono controfirmati dal proponente, che ne assume la responsabilità. Non sono soggetti a controfirma la nomina del Primo Ministro, la nomina dei giudici della Corte Costituzionale, l'indizione delle elezioni e dei referendum, il rinvio delle leggi e dei regolamenti con messaggio motivato ed i messaggi al Parlamento.
Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per i reati di alto tradimento ed attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
V. SISTEMA DELLE GARANZIE
La giustizia è amministrata in nome del popolo.
I giudici e i magistrati del pubblico ministero sono soggetti soltanto alla legge.
La giurisdizione si attua mediante giusti processi regolati dalla legge, che ne assicura la ragionevole durata.
Il procedimento si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, secondo il principio dell'oralità e davanti a giudice imparziale.
La legge istituisce pubblici uffici di assistenza legale al fine di garantire il diritto di agire e difendersi davanti a ogni giurisdizione.
La funzione giurisdizionale è unitaria ed è esercitata da magistrati ordinari e amministrativi istituiti e regolati dalle norme dei rispettivi ordinamenti giudiziari.
Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali.
Presso gli organi giudiziari ordinari e amministrativi possono istituirsi sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.
La legge disciplina modi e forme di attribuzione a sezioni specializzate presso il giudice ordinario della giurisdizione in materia tributaria.
La legge stabilisce per quali materie possono essere nominati giudici non professionali, anche al fine di giudizi di sola equità.
La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia.
La giurisdizione amministrativa è esercitata dai giudici dei tribunali amministrativi regionali e della Corte di giustizia amministrativa sulla base di materie omogenee indicate dalla legge.
Il giudice amministrativo, su iniziativa del pubblico ministero, giudica della responsabilità patrimoniale dei pubblici funzionari nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre materie specificate dalla legge.
I tribunali militari sono istituiti solo in tempo di guerra ed hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate.
La magistratura ordinaria e amministrativa costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni potere.
Il Consiglio superiore della magistratura ordinaria è presieduto dal Presidente della Repubblica.
Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione.
Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dall'Assemblea nazionale tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio.
Il Consiglio elegge un Vice Presidente fra i componenti designati dall'Assemblea nazionale.
Il Ministro di grazia e giustizia può partecipare, senza diritto di voto, alle riunioni del Consiglio.
I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili.
Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né assumere cariche pubbliche elettive.
Il Consiglio superiore della magistratura amministrativa è composto per due terzi da magistrati amministrativi appartenenti alle varie categorie ed eletti da tutti i magistrati amministrativi e per un terzo da professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio.
Ne fa parte di diritto il Presidente della Corte di giustizia amministrativa.
Il Consiglio elegge un Presidente tra i componenti eletti dal Parlamento.
Il Ministro della giustizia può partecipare alle riunioni del Consiglio senza diritto di voto.
I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili.
Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né assumere cariche pubbliche elettive.
Spettano al Consiglio superiore della magistratura ordinaria ed al Consiglio superiore della magistratura amministrativa, secondo le norme dei rispettivi ordinamenti giudiziari, le funzioni amministrative riguardanti le assunzioni, le assegnazioni, la formazione, i trasferimenti e le promozioni rispettivamente dei magistrati ordinari e dei magistrati amministrativi, e, salva la disposizione dell'articolo 110, ogni altra funzione amministrativa riguardante la rispettiva attività giudiziaria.
Avverso i provvedimenti amministrativi assunti dai Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa è ammesso solo il ricorso in Cassazione per questioni di legittimità.
Spettano alla Corte di Giustizia della magistratura i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati ordinari e amministrativi.
La Corte è formata da nove membri, eletti tra i propri componenti dai Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa.
Il Consiglio superiore della magistratura ordinaria elegge sei componenti, di cui quattro tra quelli eletti dai magistrati ordinari e due tra quelli designati dal Parlamento. Il Consiglio superiore della magistratura amministrativa elegge tre componenti, di cui due tra quelli eletti dai giudici e uno tra quelli designati dal Parlamento. I componenti designati tra quelli eletti dai magistrati sono scelti assicurando la rappresentanza delle varie categorie.
La Corte elegge un presidente tra i componenti eletti tra quelli designati in Parlamento.
I componenti della Corte non possono partecipare ad altra attività dei rispettivi Consigli di provenienza e durano in carica per due anni.
Le nomine dei magistrati ordinari e amministrativi hanno luogo per concorso e previo tirocinio.
Tutti i magistrati ordinari esercitano inizialmente funzioni giudicanti per un periodo stabilito dalla legge, al termine del quale il Consiglio superiore della magistratura ordinaria li assegna all'esercizio di funzioni giudicanti ovvero inquirenti.
Il passaggio tra l'esercizio delle funzioni giudicanti e del pubblico ministero è successivamente consentito secondo modalità stabilite dalla legge.
Le funzioni giudicanti penali e quelle del pubblico ministero non possono essere svolte nel medesimo distretto giudiziario se non prima che sia trascorso un congruo periodo di tempo stabilito dalla legge.
La legge sull'ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici monocratici.
Su designazione del Consiglio superiore della magistratura possono essere chiamati all'ufficio di consiglieri di cassazione, per meriti insigni, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni di esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori.
I magistrati ordinari e amministrativi sono inamovibili.
Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del rispettivo Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie del contraddittorio stabilite dall'ordinamento giudiziario o con il loro consenso.
La legge disciplina i periodi di permanenza nell'ufficio e nella sede dei magistrati ordinari e amministrativi.
I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni.
L'ufficio di magistrato ordinario e amministrativo è incompatibile con qualunque altro ufficio, incarico e professione. I magistrati ordinari e amministrativi non possono far parte di collegi arbitrali, né essere distaccati presso Ministeri o altre pubbliche amministrazioni.
Le norme sugli ordinamenti giudiziari ordinario e amministrativo sono stabilite esclusivamente con legge.
La legge assicura l'indipendenza degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia.
L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria.
Ferme le competenze dei Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa, il Ministro della giustizia provvede all'organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, promuove la comune formazione propedeutica all'esercizio delle professioni giudiziarie e forensi, esercita la funzione ispettiva sul corretto funzionamento degli uffici giudiziari, promuove l'azione disciplinare, riferisce annualmente in Parlamento sullo stato della giustizia.
La legge stabilisce tassativamente i casi e le modalità dell'esercizio dell'azione disciplinare.
Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, è sempre ammesso il ricorso in cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei Tribunali militari in tempo di guerra.
La legge assicura che la persona accusata di un reato sia informata, nel più breve tempo possibile, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa; abbia la facoltà di interrogare o far interrogare le persone da cui provengono le accuse a suo carico; abbia la facoltà di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a discarico nelle stesse condizioni di quelle di accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.
Nuove norme penali sono ammesse solo se modificano il codice penale ovvero se contenute in leggi disciplinanti organicamente l'intera materia cui esse si riferiscono.
Le norme penali non possono essere interpretate in modo analogico o estensivo.
Contro le decisioni della Corte di giustizia amministrativa il ricorso in cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.
Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale.
Nei confronti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale, con le modalità stabilite dalla legge.
Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.
La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.
La Corte costituzionale giudica:
sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni;
sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni;
sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione;
sulla ammissibilità dei referendum abrogativi e propositivi di leggi e di atti aventi valore di legge.
La Corte costituzionale è composta da quindici giudici. Tre giudici sono nominati dal Presidente della Repubblica; quattro giudici sono nominati dalle supreme magistrature ordinaria e amministrativa; otto giudici sono nominati dal Parlamento, di cui tre su designazione delle Regioni.
I giudici della Corte costituzionale sono scelti fra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrativa, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni di esercizio.
I giudici della Corte costituzionale sono nominati per nove anni, decorrenti per ciascuno di essi dal giorno del giuramento, e non possono essere nuovamente nominati.
Alla scadenza del termine il giudice costituzionale cessa dalla carica e dall'esercizio delle funzioni; nei successivi cinque anni non può ricoprire le cariche e gli uffici indicati dalla legge.
La Corte elegge tra i suoi componenti, secondo le norme stabilite dalla legge, il Presidente, che rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile, fermi in ogni caso i termini di scadenza dall'ufficio di giudice. Non sono eleggibili a Presidente i giudici negli ultimi due anni del loro mandato, salvo caso di rielezione.
L'ufficio di giudice dalla Corte è incompatibile con qualunque altra carica pubblica elettiva, con l'esercizio della professione di avvocato e con ogni altra carica ed ufficio indicati dalla legge.
Nei giudizi d'accusa contro il Presidente della Repubblica intervengono, oltre i giudici ordinari della Corte, sedici membri tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti per l'eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni nove anni mediante elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici ordinari.
Quando la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge o atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, salvo che la Corte non stabilisca un termine diverso, comunque non superiore ad un anno.
I giudici della Corte possono esprimere e motivare opinioni in dissenso rispetto alle decisioni adottate dalla maggioranza del collegio e alle relative motivazioni.
La decisione della Corte, con le eventuali opinioni in dissenso dei giudici, è pubblicata e comunicata alle Camere ed ai Consigli regionali interessati, affinché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali.
Una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale, e le garanzie d'indipendenza dei giudici della Corte.
Un quinto dei membri di una Camera può comunque sollevare la questione di legittimità costituzionale di una legge entro quindici giorni dalla sua pubblicazione. In tal caso la Corte decide nei sessanta giorni successivi.
Con legge ordinaria sono stabilite le altre norme necessarie per la costituzione e il funzionamento della Corte, nonché per la valutazione dell'ammissibilità dei ricorsi presentati per la tutela dei diritti fondamentali.
Contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione.
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