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RELAZIONE SUL PARLAMENTO
E LE FONTI NORMATIVE
E SULLA PARTECIPAZIONE DELL'ITALIA
ALL'UNIONE EUROPEA

DELLA SENATRICE MARIDA DENTAMARO

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1. La riflessione sul Parlamento, sia nel comitato costituito per lo svolgimento dell'istruttoria, sia in sede plenaria anche nella fase di esame degli emendamenti proposti da tutti i parlamentari, ha assunto come presupposto essenziale e fondante, largamente condiviso nel dibattito culturale e politico, l'autonomia del Parlamento. Ha costituito cioè un punto fermo la convinzione che vi sono delle opzioni di valore sul ruolo dell'organo rappresentativo nel sistema costituzionale che restano valide indipendentemente dalla diversità dei modelli possibili di forma di governo e forma di Stato; in relazione a quei modelli, se mai, le scelte sulla struttura e le funzioni del Parlamento sono suscettibili di tradursi in diverse soluzioni tecnico-istituzionali.
Preliminare, quindi, è stato un confronto sulla posizione e sul ruolo del Parlamento nel nuovo assetto costituzionale che si va delineando, nel diverso equilibrio in via di definizione tra istituzioni, poteri e organi; una riflessione che ha condotto, con ampia condivisione, alla conferma dell'opzione di fondo per la salvaguardia delle istanze irrinunciabili della democrazia rappresentativa e partecipativa che nel Parlamento si esprimono. Di fronte alla crisi riconosciuta della forma di governo parlamentare si tratta di rinnovare, senza rinnegarlo, il ruolo dell'organo rappresentativo e i modi del suo funzionamento per adeguarli a un contesto politico, istituzionale e sociale profondamente trasformato rispetto all'età del parlamentarismo classico e a quella della sua degenerazione.
Le coordinate di riferimento del nuovo contesto sono note: un sistema di democrazia dell'alternanza, fortemente orientato in senso maggioritario, in cui l'asse dell'equilibrio istituzionale si sposta in favore di un Governo più forte, stabile ed efficiente nel decidere e nell'agire; un'articolazione dei livelli istituzionali che da un lato accentua la spinta autonomistica, orientandosi verso una trasformazione in senso federale, dall'altro tende al compimento del processo di unificazione europea.
A queste linee direttrici corrisponde evidentemente l'esigenza di calibrare i relativi meccanismi di bilanciamento e contrappeso: a un Governo forte, ad enti territoriali più autonomi e ad istituzioni europee titolari di sovranità deve affiancarsi un Parlamento nazionale anch'esso forte e autorevole.
Questo non significa, evidentemente, conservazione pura e semplice del ruolo tradizionale delle assemblee rappresentative nelle quali era concentrata classicamente la totalità dei poteri decisionali: o direttamente, attraverso l'esercizio del potere legislativo che si identificava, esaurendola, con la funzione normativa tout court; o indirettamente, attraverso le tecniche di scelta degli esecutivi e dei loro vertici, emanazione esclusiva delle assemblee e ad esse legati in modo organico, costante, dinamico attraverso il rapporto di fiducia. La peculiarità del caso italiano era poi costituita, come è noto, dalla coniugazione tra parlamentarismo puro e proporzionalismo esasperato, che nel tempo hanno dato vita ad un assetto di costituzione materiale rivelatosi ben lungi dall'inverare i principi contenuti nel famoso ordine del giorno Perassi, con cui si auspicava l'accompagnarsi al sistema parlamentare di «dispositivi idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell'azione di Governo e ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo».
Un assetto così insoddisfacente, figlio dei complessi e delicati equilibri del

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tempo della guerra fredda e di una società civile disposta a cedere un largo campo di azione alle forze politiche, è entrato irrimediabilmente in crisi di fronte alle istanze nuove e formidabili poste dalle trasformazioni strutturali della società, dai vincoli comunitari, dalla mondializzazione dei rapporti, dall'economia che opera su scala planetaria, dalla civiltà informatica e telematica: istanze di efficienza, rapidità dei processi decisionali, chiarezza nell'imputazione delle decisioni e nella conseguente assunzione di responsabilità. La cultura politico-istituzionale si orienta quindi alla ricerca di nuovi modelli di democrazia che, senza rinunciare al connotato della partecipazione, siano in grado di rispondere a quelle esigenze attraverso il rafforzamento dell'autorità di Governo. Di qui, evidentemente, le scelte sull'elezione diretta del Capo dello Stato e sull'adozione di sistemi elettorali prevalentemente maggioritari, con forme dirette di legittimazione popolare dell'esecutivo.
Tra le funzioni classiche degli organi assembleari elettivi (rappresentanza, decisione, controllo) perde quota evidentemente la funzione decisionale, sia per le ragioni appena dette, sia in conseguenza dell'altro fenomeno politico-istituzionale che connota il passaggio dal secondo al terzo millennio: il modificarsi della nozione di sovranità e il moltiplicarsi dei centri decisionali con il trasferimento di poteri dello Stato in favore di istituzioni sovranazionali o substatali, che riduce sensibilmente l'ambito della normazione di fonte parlamentare. Ben altro peso e rilievo acquistano, invece, la funzione rappresentativa e quella di controllo: è questa la linea evolutiva delle trasformazioni verificatesi in tutti i Parlamenti occidentali, nel segno evidente di un ritorno al ruolo e alle funzioni originarie storicamente attribuite agli organi assembleari rappresentativi.
In particolare, il sistema maggioritario e la rafforzata posizione del Governo nel suo ruolo di guida della maggioranza implicano necessariamente una valorizzazione della funzione di controllo democratico sull'operato del Governo stesso. Implicano inoltre un serio statuto dell'opposizione e specifiche garanzie politico-istituzionali, soprattutto per quei settori che, attenendo a situazioni, interessi e valori di rilevanza costituzionale, non possono essere lasciati alla disponibilità piena ed esclusiva della maggioranza di governo se non si voglia accettare l'involuzione del sistema nel senso di una democrazia di pura delega.
Il nuovo assetto dell'ordinamento della Repubblica, poi, implica da un lato la necessaria garanzia delle autonomie rispetto alle politiche del Governo centrale, da assicurare primariamente mediante forme di compartecipazione o coinvolgimento nelle decisioni; dall'altro la garanzia dei diritti fondamentali di tutti i soggetti dell'ordinamento anche nei confronti delle istituzioni autonome; presuppone inoltre un nucleo intangibile di poteri collegati a esigenze e interessi di carattere unitario, a presidio del riaffermato valore costituzionale dell'unità nazionale.
Infine, l'accelerazione del processo di unificazione europea, già pienamente legittimato dalle pronunce della Corte costituzionale sui trattati e dal referendum popolare di indirizzo del 1989, impone di affrontare per il futuro il tema delle garanzie democratiche del processo medesimo, chiarendo il ruolo del Parlamento nel rapporto con il Governo rispetto alla politica «europea» e alle proiezioni interne della politica dell'Unione; nonchè il ruolo delle Regioni, negli ambiti di competenza, nel rapporto con le istituzioni dell'Unione.

2. Queste considerazioni, evidenziando - per difetto, in verità - alcuni aspetti della forte complessità del sistema politico-istituzionale, sono a fondamento della scelta per il mantenimento di un sistema bicamerale, in linea con la maggior parte dei paesi industrializzati di democrazia matura ad alta densità di popolazione, come l'Italia; l'unica proposta in senso monocameralista, formulata e ribadita dal gruppo di rifondazione comunista, è stata accantonata all'inizio dei lavori della commissione e poi, riformulata attraverso la presentazione di emendamenti al testo base, respinta. Democrazia complessa e pluralità di centri istituzionali sono un binomio indissolubile e l'evoluzione annunciata


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del sistema sconsiglia largamente - così è parso - di rinunciare a quella importante funzione di garanzia che in sé il bicameralismo assolve, consentendo una rappresentanza diversificata, un più ampio confronto politico, una più approfondita riflessione sulla produzione legislativa e un sicuro rafforzamento della funzione di controllo.
Queste notazioni dovrebbero contribuire a fugare qualche equivoco cui si è dato luogo nel dibattito esterno, come sempre accade quando si discute intorno a definizioni necessariamente approssimative al punto da diventare slogan, come quella di «Senato delle garanzie»: qui «garanzia» indica evidentemente un ruolo di contrappeso istituzionale rispetto ad altri centri di potere e non implica né un connotato di arbitrio nel potere che viene «bilanciato» né alcuna confusione con il sistema delle garanzie giurisdizionali. Un Senato collocato in una forma di bicameralismo che attraverso una differenziazione di competenze accentua e qualifica quella generale funzione di garanzia politico-istituzionale che di per sé deriva dall'esistenza di due Camere rappresentative.
Una simile funzione non può essere affidata soltanto a meccanismi di natura giurisdizionale, non potendosi trasformare la Corte costituzionale in un sistematico arbitro di conflitti politici, se non a pena di snaturarne la funzione propria di garanzia costituzionale; né a strumenti di democrazia diretta, la cui attivazione sistematica, oltre ad essere difficoltosa in un paese a elevata consistenza demografica, rischierebbe di depotenziare il principio rappresentativo, irrinunciabile per un funzionamento fisiologico della democrazia; comunque per il carattere necessariamente saltuario, se non eccezionale, degli uni e degli altri. Si parla quindi di garanzie e riequilibri interni al sistema delle istituzioni politiche.

3. La seconda opzione riguarda la struttura rappresentativa delle due Camere e in particolare del Senato, di fronte ad alcune proposte e voci anche autorevoli, all'interno e all'esterno della commissione, che ne reclamavano la trasformazione in Senato delle Regioni ed eventualmente delle Autonomie locali, caratterizzato da una rappresentanza istituzionale e non politica, composto cioè ad elezione di secondo grado da esponenti degli esecutivi regionali e locali. La commissione ha molto discusso, a tratti anche aspramente, su questa possibile soluzione, rimasta poi minoritaria; l'intensità del confronto che si è svolto suggerisce l'opportunità di richiamare sinteticamente gli argomenti più volte sviluppati e alla fine prevalsi nel contrastare quella proposta.
Un simile modello, anche in base all'esperienza di altri ordinamenti federali (soprattutto Germania e Austria) sarebbe coerente soltanto con un sistema di federalismo prevalentemente amministrativo e pienamente cooperativo, del tutto diverso da quello prescelto nella revisione della forma di Stato; si tratta in effetti di un sistema che, implicando ampie aree di codecisione piena, non può essere appropriato in un contesto geo-socio-economico caratterizzato da una profonda frattura tra aree forti e aree deboli, che determinerebbe facilmente situazioni di grave conflittualità tra istituzioni rappresentative di aree territoriali diverse del paese.
Una composizione equilibrata di un Senato delle Autonomie sarebbe poi sostanzialmente impossibile da realizzare in un sistema connotato da una pluralità di livelli istituzionali forti e da massima frammentazione ed eterogeneità delle realtà comunali; a una sicura confusione istituzionale si aggiungerebbe inevitabilmente una prevalenza delle Regioni, ponendosi così serie premesse per realizzare quel neocentralismo regionale da cui tutti - o quasi tutti - dicono di rifuggire perchè in contrasto con la nostra tradizione municipale e con l'affermazione del principio di sussidiarietà.
Un Senato delle Autonomie con funzioni decisionali piene, poi, non consente l'imputazione chiara delle decisioni e quindi altera gravemente il funzionamento


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del principio di responsabilità politica, cardine della democrazia dell'alternanza.
È prevalsa quindi, non senza contrasti, la scelta per l'elezione anche del Senato a suffragio universale e diretto, che assicura un tasso più elevato di democraticità e autorevolezza della rappresentanza, più adeguato al migliore assolvimento di un complessivo ruolo di garanzia politico-istituzionale.
Non si è inteso, però, lasciare senza risposta l'esigenza di trovare all'interno di questa seconda assemblea parlamentare un luogo di raccordo tra Stato e sistema delle autonomie che sia coerente con il nuovo ordinamento della Repubblica, quanto a forma di Stato e di governo, ed altresì con le caratteristiche strutturali del paese. A tal fine sono state prospettate nelle varie fasi dei lavori della commissione numerose soluzioni, a partire da quella originariamente proposta dal senatore Rotelli e richiamata nella prima fase del dibattito, così sintetizzabile: per ogni legge approvata dalla Camera dei deputati (unica assemblea ad avere competenza legislativa generale) la conferenza delle Regioni - che viene in tal modo costituzionalizzata - può eccepire l'invasione dell'ambito di competenza regionale; se questa obiezione è ritenuta fondata dalla Corte costituzionale, eventualmente adita dal Governo, è chiamato a deliberare in via definitiva il Senato, integrato per l'occasione dai presidenti delle Regioni, ciascuno dei quali esprime un numero di voti pari a quello dei senatori elettivi della propria regione.
Un'altra proposta, sostenuta da singoli parlamentari della sinistra democratica (Morando, Mancina, Salvati) e, nella seconda fase dei lavori, dai gruppi di forza Italia e del ccd, ipotizzava un'elezione popolare diretta dei senatori da svolgersi contestualmente alle elezioni regionali, eventualmente con la formalizzazione di un collegamento politico tra candidati alla presidenza della Regione e candidati al Senato: tale soluzione è parsa tecnicamente difficile da realizzare, stante l'autonomia attribuita alle Regioni nella scelta del sistema elettorale; inoltre evidentemente insufficiente ad assicurare una rappresentanza istituzionale delle Regioni stesse e comunque complessivamente inadeguata per non esservi contemplato in alcun modo il sistema dei Comuni e delle Province.
Il gruppo della sinistra democratica, al termine della prima fase dei lavori, ha proposto per il Senato una composizione mista: 160 senatori eletti a base regionale, i presidenti delle Regioni e delle Province autonome, un gruppo di sindaci (circa quaranta) provenienti dalle diverse Regioni in numero variabile secondo le dimensioni delle stesse, eletti a suffragio universale e diretto tra i sindaci in carica in ciascuna Regione al momento dell'indizione delle elezioni per il Senato. Una soluzione che, per un verso, si presenta debole perchè disperde la rappresentanza regionale e locale all'interno di un'assemblea della quale essa costituisce meno di un terzo; per altri versi è contraddittoria, poiché, pur riconoscendo l'essenzialità del principio dell'elezione diretta (dei presidenti delle Regioni in quanto tali e dei sindaci-senatori con elettorato passivo ristretto), non considera che ciascuna Regione può autonomamente modificare la propria forma di governo. Comunque non scioglie il nodo della coesistenza e della differenza tra rappresentanza politica e rappresentanza istituzionale, del tutto disarmonica quest'ultima rispetto alle funzioni di garanzia e al divieto di mandato imperativo; non sembra quindi superare i noti inconvenienti dell'esperienza spagnola, in cui la duplice qualità della rappresentanza rende estremamente difficile la sintesi politica e pone la difficoltà di conciliare anche nella pratica la funzione di rappresentanza parlamentare con quelle istituzionali sul territorio; appare infine squilibrata nella distribuzione tra la componente regionale (venti senatori) e quella municipale (all'incirca in numero doppio), mentre ignora del tutto le Province.
Respinti tutti gli emendamenti che esprimevano queste soluzioni, la commissione approvò in giugno la proposta, formulata dal senatore Elia con una parte

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del gruppo dei popolari e messa a punto nel corso dei lavori, relativa all'istituzione presso il Senato di una speciale Commissione delle Autonomie territoriali, presieduta da un senatore, composta per un terzo da senatori, per un terzo dai presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, per un terzo da rappresentanti degli Enti locali eletti secondo modalità da stabilirsi con legge approvata dalle due Camere. Si trattava di un tentativo originale per tradurre nella organizzazione costituzionale l'esigenza di rappresentanza territoriale con formule non pedissequamente ripetitive di altri ordinamenti e che aspiravano ad essere più adeguate alla specificità della nostra storia nazionale. Nel testo allora approvato, la Commissione, oltre ad esprimere parere su tutti gli affari che riguardano i Comuni, le Province e le Regioni, partecipa con funzioni referenti o consultive alle procedure legislative che più direttamente coinvolgono gli interessi degli enti territoriali, anzitutto quelle (attribuite in prima lettura alla Camera dei deputati) in materia di bilancio, finanziaria e tributaria, che riflettono peraltro le politiche economiche, sociali, di perequazione e di solidarietà in tutte le loro specificazioni. Ha funzione deliberante in materia di finanza regionale e locale, istituzione, disciplina e ripartizione dei fondi perequativi; ma l'assemblea, su richiesta di un terzo dei componenti, può riesaminare le relative deliberazioni e modificarle a maggioranza assoluta. Lo stesso procedimento si applica ai disegni di legge di trasferimento di poteri e risorse, di determinazione dei livelli minimi delle prestazioni sociali e a quelli per la tutela di preminenti e imprescindibili interessi nazionali nelle materie attribuite alla potestà legislativa delle Regioni. Un procedimento così articolato avrebbe consentito la rappresentazione contestuale degli interessi delle istituzioni locali e il confronto dialettico tra le stesse, con la garanzia costituita da una rappresentanza politica nazionale paritaria rispetto a quelle regionali e locali e con la salvaguardia del potere di decisione politica e conseguente responsabilità della maggioranza di governo, essendo comunque attribuita la deliberazione definitiva alla Camera dei deputati per la strettissima inerenza delle scelte in questione al programma di governo.
La fase di esame degli emendamenti svoltasi nei mesi di settembre e ottobre ha condotto la commissione a rivedere questa scelta. Il raccordo tra Parlamento e sistema delle autonomie è stato mantenuto all'interno del Senato; è stata soppressa però la Commissione delle Autonomie territoriali ed è stato introdotto all'articolo 89, con l'approvazione a larga maggioranza di un emendamento della sinistra democratica, la previsione di sessioni speciali per la trattazione di specifici argomenti di interesse delle autonomie, nelle quali la composizione del Senato è integrata da consiglieri comunali, provinciali e regionali eletti in ciascuna regione in numero pari a quello dei senatori. I rappresentanti delle autonomie non hanno lo status di senatori, sicchè sono esclusi esplicitamente dall'applicazione della norma sulla incompatibilità tra appartenenza alle Camere e a un'Assemblea regionale (articolo 84, comma secondo); godono tuttavia del privilegio della insindacabilità. Si è voluto, quindi, che la componente aggregata del Senato fosse espressione non già degli esecutivi regionali e locali, bensì delle relative assemblee rappresentative, in modo da ottenere il massimo tasso di democraticità nella composizione attraverso un'elezione che, pur indiretta, assicuri rappresentanze pluralistiche delle realtà politiche locali. A questo fine si sono previsti collegi elettorali formati da consiglieri comunali, provinciali e regionali «sulla base dei voti espressi per l'elezione dei consigli stessi»; in questo modo la composizione dei collegi non riflette eventuali alterazioni della rappresentanza derivanti dai sistemi elettorali, che per le Regioni, si ricorda, possono essere diversificati.
Quanto alle funzioni del Senato integrato, non si è scelto un modello di concertazione complessiva, ma si sono individuati con esattezza gli ambiti di

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intervento degli enti territoriali nelle scelte legislative nazionali (ordinamento degli enti locali, bilancio e finanza), riservando le altre decisioni, in particolare le politiche riguardanti i diritti sociali, alla responsabilità esclusiva dell'indirizzo politico governativo e di maggioranza.
Il Senato integrato interviene quindi nell'ambito di una procedura bicamerale perfetta per le materie di interesse regionale e locale riservate all'approvazione delle due Camere dall'articolo 90 (legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Province) e dall'articolo 62 (autonomia finanziaria di Comuni, Province e Regioni; conferimento di beni demaniali a Province, Regioni e Stato); negli altri casi (si veda anche l'articolo 104) esamina obbligatoriamente il disegno di legge, ma la decisione definitiva sulle modifiche eventualmente proposte è attribuita alla Camera dei deputati. Non interviene quindi in nessun caso nella procedura di richiamo disciplinata all'articolo 93.
In conseguenza della scelta sull'integrazione del Senato, la commissione ha ritenuto di eliminare i correttivi nella distribuzione dei senatori sul territorio, stabilendo che i seggi sono attribuiti alle regioni in base alla popolazione, fatta salva una quota minima di quattro senatori per ogni regione (due per il Molise e uno per la Valle d'Aosta); quota che, rispetto al numero complessivo di duecento, modifica in misura irrisoria la proporzione matematica.
È stata inoltre costituzionalizzata, all'articolo 76, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni come organo di raccordo tra governi, sul modello già introdotto dalla legge n.59 del 1997. La norma costituzionale lascia ampio spazio alla legge attuativa (che sarà, evidentemente, una legge bicamerale perfetta essendo ormai la conferenza da inquadrare tra gli organi di rilievo costituzionale), limitandosi a prevedere che la Conferenza è formata da vertici degli esecutivi degli enti territoriali, promuove intese ai fini dell'esercizio delle rispettive attività di governo e svolge le altre funzioni attribuite dalla legge. È presieduta dal Primo ministro, che la convoca, o da un ministro da lui delegato; il vicepresidente deve essere eletto tra i rappresentanti di Comuni, Province e Regioni e può chiedere la convocazione.
La Conferenza si pone quindi come luogo di raccordo tra Governo centrale ed esecutivi regionali e locali; ed invero, il confronto tra Enti locali, Regioni e Stato, in un sistema che vede la posizione del Governo rafforzata per quanto riguarda l'indirizzo politico e le politiche pubbliche consistere in interventi non sempre attuativi di uno strumento legislativo, non può non essere assicurato prima di tutto come confronto tra esecutivi.

4. Scegliere un Parlamento composto da due Camere elette a suffragio universale e diretto non significa riprodurre l'attuale bicameralismo perfetto; nessuna forza politica, del resto, ha avanzato proposte in tal senso, coerentemente con lo spirito della stessa legge istitutiva della commissione bicamerale che si riferisce esplicitamente alla riforma, tra le altre, del «bicameralismo». L'esperienza suggerisce se mai soluzioni che superino gli inconvenienti del sistema vigente, da un lato conservandone il pregio dell'ulteriore riflessione, arricchita dalla integrazione delle rappresentanze; dall'altro potenziando la funzione di garanzia, ripensata e riqualificata all'interno del nuovo sistema e in coerenza con esso.
Di rilievo la riduzione del numero dei parlamentari decisa dalla commissione. La proposta votata a giugno di quattrocento deputati e duecento senatori è stata a lungo dibattuta nella fase di esame dei numerosi emendamenti che proponevano un aumento di questi numeri oppure l'adozione di una tecnica costituzionale diversa, che rinviasse alla legge ordinaria - segnatamente, alla legge elettorale - la determinazione del numero dei parlamentari, eventualmente tra un minimo e un massimo fissati in Costituzione ovvero con la indicazione di criteri quale il rapporto con la popolazione in adeguamento alla


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media europea. La commissione si è orientata, quanto alla Camera, per l'indicazione di un numero flessibile compreso tra quattrocento e cinquecento deputati, intendendo evitare che una scelta «secca» di riduzione drastica potesse essere intesa come genericamente ispirata a istanze antiparlamentaristiche e comunque ad intenti demagogici. Il numero flessibile è sicuramente compatibile con qualsiasi sistema elettorale ed anzi meglio adattabile ad eventuali sistemi che prevedano premi di maggioranza; gli estremi fissati, tra i più bassi rispetto agli standards dei paesi europei assimilabili all'Italia per consistenza demografica, sembrano assicurare un equilibrio soddisfacente tra le istanze di efficienza e quelle di rappresentanza, principio la cui realizzazione deve essere adeguatamente garantita con un sufficiente grado di diffusione della rappresentanza stessa.
Il numero dei senatori è rimasto fissato a duecento, ritenendosi che una così consistente riduzione possa contribuire ad accrescere l'autorevolezza della rappresentanza e il prestigio della istituzione, mentre il rapporto di uno a due rispetto al numero dei deputati non ha più uno specifico fondamento logico e istituzionale in presenza di una così profonda differenziazione di funzioni tra i due rami del Parlamento.
La riduzione del numero dei parlamentari si giustifica anche alla luce della revisione complessiva del sistema istituzionale, che - come detto - vede ridimensionata la funzione legislativa del Parlamento a seguito della devoluzione di numerose materie alla potestà normativa delle Regioni e delle istituzioni europee; vede inoltre superato il modello del bicameralismo perfetto.
La base rappresentativa si amplia con l'estensione dell'elettorato attivo, anche per il Senato, ai cittadini che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età; si riduce inoltre l'età minima per l'elettorato passivo a ventuno anni per la Camera dei deputati e a trentacinque per il Senato.
Sempre con l'obiettivo di elevare il tasso di democraticità dell'ordinamento e migliorare la qualità stessa della democrazia colmando un deficit che nessuno oggi può onestamente disconoscere, si pone una norma intesa a promuovere, mediante interventi che il legislatore ordinario dovrà definire, l'equilibrio della rappresentanza elettiva tra i sessi.
La previsione dei senatori a vita è conservata solo per quelli di diritto nella persona degli ex Presidenti della Repubblica, mentre si sopprime l'anacronistico istituto della nomina presidenziale, facendo salvi con norma transitoria i senatori che, avendone beneficiato, sono attualmente in carica.

5. Quanto alle funzioni, il Parlamento conserva il primato nell'esercizio della funzione legislativa, che viene interamente ridisciplinata: riparto di competenza materiale tra le due Camere e procedure radicalmente diverse da quelle vigenti, improntate a istanze di agilità e rapidità, dovrebbero consentire lo svolgimento di una dialettica più serrata e proficua con il Governo, imponendosi anche al Parlamento di compiere scelte chiare in tempi ragionevoli, rendendosi più difficile il ricorso a strumenti ostruzionistici e dilatori e garantendosi per contro spazi da riservare alle iniziative delle opposizioni.
In questo modo l'istanza di governabilità non si traduce in una perdita di autorevolezza del Parlamento o in un sostanziale disconoscimento della democraticità della funzione normativa assicurata dal principio rappresentativo; bensì nella previsione, accanto ai nuovi modi di formazione del Parlamento stesso e del Governo, di strumenti procedurali che inducano un rapporto chiaro e corretto tra legislativo ed esecutivo e tra le diverse forze politiche all'interno delle assemblee rappresentative.
Nella ricerca di un equilibrio certamente delicato tra governabilità e attuazione del principio democratico e rappresentativo, le due Camere hanno quindi funzioni e ruolo politico differenziato, con una più specifica funzione di contrappeso istituzionale nel Senato rispetto alla funzione


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politica del continuum Governo-maggioranza parlamentare nella Camera dei deputati.
Il modello proposto attribuisce infatti alla Camera dei deputati la titolarità esclusiva del potere di fiducia e di sfiducia nei confronti del Governo. Nella Camera si concentra il sostegno parlamentare alla realizzazione del programma di governo nella dialettica del confronto tra maggioranza e opposizione; alla Camera, quindi, è attribuita tutta la legislazione strettamente riferibile all'indirizzo politico governativo, rispetto alla quale il Senato opera soltanto come assemblea di riflessione.
Il Senato svolge un ruolo politico diverso, partecipando al procedimento legislativo con potestà decisionale piena in un'area di attribuzioni non esclusivamente riferibile al programma di governo, nelle quali dunque risalta meno la dialettica maggioranza-opposizione, privilegiandosi invece un'esigenza di rappresentatività più piena e di consenso tra le forze politiche, con scelte meno vincolate alla politica governativa e con una più marcata operatività di quella garanzia di confronto più ampio, di riflessione più approfondita e pluralistica che deriva appunto dall'articolazione bicamerale dell'organo rappresentativo e delle procedure di decisione.
Si tratta, per tentare di indicare sinteticamente la ratio di un «catalogo» che ha impegnato a lungo la commissione per la sua definizione, delle materie «di sistema», che riguardano la collettività o la persona in quanto tali: gli apparati di vertice dell'ordinamento costituzionale; gli organismi neutrali e quindi anzitutto gli organi giurisdizionali ma anche le autorità di vigilanza e di garanzia; la determinazione delle regole del confronto politico, in particolare le leggi elettorali; i diritti fondamentali civili e politici; le libertà inviolabili della persona, alle quali si collegano la legislazione penale e gli istituti dell'amnistia e dell'indulto; infine quegli strumenti essenziali e delicatissimi delle moderne democrazie che sono l'informazione e la comunicazione radiotelevisiva. Tutte materie la cui «gestione» non serve e non deve servire come strumento per governare, sicchè la previsione di un procedimento legislativo diverso e sottratto al vincolo della fiducia non può mai costituire intralcio alla realizzazione di un programma di governo e collidere con l'obiettivo della governabilità. Non a caso, del resto, una delle grandi questioni che si è aperta in Italia nella cultura politica e istituzionale dopo l'introduzione del sistema elettorale maggioritario, che facilmente vanifica il funzionamento dei tradizionali meccanismi di elevamento dei quorum, riguarda proprio questa domanda cruciale per il futuro stesso della democrazia, efficacemente richiamata nel dibattito in commissione: quali fra le decisioni, legislative e non, che spettano alla politica sono nella disponibilità del Governo, quali devono essere ad esso sottratte e quale ruolo deve svolgere il Parlamento rispetto a tali decisioni.
A questa domanda il modello delineato propone una risposta, mediante un criterio di riparto che corrisponde a un'interpretazione del bicameralismo in senso funzionale e non meramente materiale; come viceversa avrebbero preferito quei colleghi che hanno espresso preoccupazione per un ridimensionamento ritenuto eccessivo sia della posizione istituzionale del Parlamento nel suo complesso, sia del ruolo del Senato, che determinerebbe un negativo squilibrio tra i diversi organi istituzionali e tra i poteri delle due Camere. In particolare il dibattito si è incentrato sull'opportunità di conservare l'istituto della fiducia come istituto bicamerale. E tuttavia il rapporto di fiducia, nella prassi costituzionale degli ultimi anni, si è rivelato più spesso uno strumento di pressione del Governo sul Parlamento che non viceversa; l'esclusione di questo rapporto per una delle due Camere, quindi, contribuisce a rafforzare piuttosto che a indebolire la sovranità del Parlamento e il suo primato nella legislazione sui grandi princìpi. È parso, poi, che un semplice riparto di competenza materiale avrebbe un significato poco più che organizzativo, mentre il criterio funzionale proposto risponde meglio alla radice

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stessa del bicameralismo e al ruolo specifico e significativo che esso può svolgere nel nuovo sistema costituzionale: consentire di coniugare effettivamente governabilità e rappresentanza, efficienza e riflessione pluralistica, facendo sì che ciascuno di questi princìpi operi con pienezza nel terreno suo proprio: da una parte la realizzazione del programma di governo, dall'altra garanzie per la determinazione delle regole della democrazia e per quei diritti fondamentali che devono restare indisponibili per qualsiasi maggioranza.
Una simile differenziazione di competenze è anche strumento utile a migliorare la qualità della progettazione legislativa e del prodotto parlamentare, poiché impedisce contaminazioni e condizionamenti tra grandi scelte legislative sui temi di civiltà giuridica e contingenze della politica quotidiana, in un sistema di democrazia bipolare che può conoscere anche momenti di conflittualità accentuata.

6. I procedimenti legislativi sono dunque diversi, sempre però improntati alle istanze di efficienza, snellezza e rapidità nella decisione. All'ultimo comma dell'articolo 95, con l'attribuzione al Governo del potere di chiedere l'iscrizione all'ordine del giorno di disegni di legge con priorità e il voto entro tempi e su testi determinati, è posta la norma chiave per una equilibrata distribuzione di ruoli e di responsabilità tra Parlamento e Governo nell'esercizio della funzione normativa.
Il sistema delle fonti contempla varie categorie di leggi ordinarie, come in tutti gli ordinamenti caratterizzati da forme di bicameralismo differenziato.
All'articolo 93 sono previste le leggi monocamerali, esaminate ed approvate dalla Camera dei deputati; su questi disegni di legge il Senato svolge un ruolo di assemblea di riflessione entro un termine breve, al massimo quaranta giorni, esercitando un potere di richiamo attribuito a un terzo dei suoi componenti e proponendo modifiche sulle quali la Camera dei deputati delibera in via definitiva.
Esistono poi leggi bicamerali imperfette (articolo 89, lettere b) e c) del secondo comma e articolo 104), che devono essere esaminate obbligatoriamente prima dalla Camera dei deputati, poi dal Senato a composizione integrata; è però la Camera dei deputati a deliberare in via definitiva: si tratta delle materie di bilancio, finanziaria e tributaria nonchè quelle di interesse delle Regioni e delle Autonomie locali.
Infine sono disciplinate le leggi bicamerali perfette (articolo 94), per le quali una commissione di conciliazione entra in causa con funzione redigente quando le due Camere adottano testi diversi; la proposta di legge è approvata quando il testo approvato dalla commissione, non ulteriormente emendabile, è approvato con voto finale dalle due assemblee.
Resta ferma la vigente disciplina dell'iniziativa parlamentare; saranno poi le presidenze delle Assemblee, in base alle norme regolarmentari, a trasmettere eventualmente le proposte alla Camera competente per la prima lettura, se diversa da quella di presentazione.
Il testo votato a giugno prevedeva una riserva di prima lettura al Senato per le leggi bicamerali perfette. Nel testo da ultimo approvato, invece, la «culla» al Senato è obbligatoria solo per i progetti di legge di iniziativa popolare o di Assemblee regionali; si è consentito cioè l'avvio dell'iter davanti alla Camera in caso di iniziativa governativa o di un deputato. La relatrice nutre forti perplessità su questa modifica poichè, nel modello adottato di bicameralismo differenziato, la riserva di prima lettura al Senato, in quanto non legato dal rapporto fiduciario con il Governo, aveva una ratio precisa, tale da giustificare anche l'esclusione della scelta di opportunità da parte del Governo sulla presentazione all'uno o all'altro ramo del Parlamento: aveva cioè la finalità di consentire che, sulle note materie per le quali la garanzia della doppia lettura deve operare con pienezza, il primo esame fosse effettuato in quel ramo dove è possibile un dibattito politicamente meno vincolato e più pluralistico. Nè è esatta, per quanto detto più sopra, l'osservazione dei presentatori dell'emendamento che ha


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dato origine al nuovo testo, che in tal modo si limiterebbe l'iniziativa legislativa dei deputati in quelle materie. Del resto, bicameralismo differenziato non significa (o almeno la relatrice non lo ha mai inteso in tal senso) pienezza di poteri per una Camera e mera «amputazione» di funzioni per l'altra, significando invece attribuzione di funzioni politico-istituzionali diverse in un equilibrio funzionale che da siffatta modifica viene sicuramente compromesso.
In tutti i procedimenti legislativi, comunque, non si supera il limite delle tre letture e si riduce fortemente il rischio dell'introduzione di emendamenti non coerenti con altre parti del testo.
È soppresso il procedimento in commissione deliberante, che non ha più ragion d'essere in presenza di procedure ordinarie assai più snelle e di una complessiva riduzione dell'area di competenza legislativa del Parlamento, a beneficio delle attribuzioni dell'Unione europea, delle Regioni e del Governo.
Per la commissione redigente (articolo 95, commi secondo e terzo) sono stati previsti gli stessi limiti di materia che l'attuale Costituzione impone alla commissione in sede legislativa, fatta eccezione per le leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, in considerazione della disciplina completamente innovativa dettata per questa materia all'articolo 102.
È stata introdotta, in accoglimento di un emendamento presentato dal gruppo dei popolari, una norma intesa a favorire la codificazione delle leggi vigenti nei diversi settori e con essa il progressivo abbandono di quella pessima tecnica legislativa consistente nella sovrapposizione di testi con effetti di abrogazione e modifica tacita (articolo 92).

7. Prescrizioni più puntuali, rispetto alla Carta vigente, sono introdotte per i regolamenti parlamentari, in particolare per quello della Camera dei deputati, in vista del rafforzamento del carattere maggioritario del sistema elettorale. È la Costituzione che traccia le linee di uno statuto dell'opposizione: garanzia dei diritti delle opposizioni in ogni fase dell'attività parlamentare; designazione da parte delle stesse dei presidenti delle commissioni aventi funzioni di controllo e di garanzia; iscrizione all'ordine del giorno di proposte e iniziative indicate dalle opposizioni con riserva di tempi e previsione del voto finale.
Queste disposizioni non sono estese al Senato, non potendosi evidentemente identificare in questo ramo del Parlamento un'opposizione in senso tecnico, in mancanza del rapporto fiduciario con il Governo.
Tra gli istituti di garanzia delle minoranze, ma prima ancora del diritto soggettivo all'elettorato passivo (che riguarda evidentemente entrambe le Camere) va ascritto l'obbligo di effettuare la verifica dei poteri entro termini tassativi stabiliti dai regolamenti e l'attribuzione, in seconda istanza o in caso di silenzio, alla Corte Costituzionale (articolo 84).
In ossequio all'istanza di efficienza e governabilità del sistema si stabilisce il quorum di un terzo per la validità delle sedute (quorum più elevati mal si adattano ad assemblee elette con sistemi maggioritari o prevalentemente maggioritari) e si applica un criterio di favor - come già detto - per l'iniziativa legislativa del Governo: è previsto infatti che il regolamento disponga l'iscrizione con priorità all'ordine del giorno dei disegni di legge presentati o accettati dal Governo, il quale può altresì chiedere che un disegno di legge sia votato entro una data determinata e che, decorso il termine, la Camera deliberi su ciascun articolo con gli emendamenti proposti o accettati dal Governo medesimo (articolo 95, u.c.).

8. Numerose novità sono introdotte in tema di referendum, nell'intento di riqualificare e potenziare la carica democratica dell'istituto, non comprimendone l'utilizzazione ma impedendone usi distorti attraverso la tecnica del ritaglio manipolativo del testo di legge. È stato imposto a questo fine il requisito dell'omogeneità delle disposizioni normative sottoposte a


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referendum, ed è stata soppressa, rispetto al testo della Costituzione vigente, l'esclusione del referendum per le leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali; su quest'ultima decisione, però, molte forze politiche hanno preannunciato l'intento di riaprire una riflessione approfondita.
Di grande rilievo l'introduzione del referendum approvativo per le proposte di iniziativa popolare presentate da almeno ottocentomila elettori quando il Parlamento non si pronunci entro due anni dalla presentazione: decisione molto contrastata, perché ritenuta da alcuni commissari (in particolare del gruppo popolare e di forza Italia) una intollerabile deroga al principio della democrazia rappresentativa, con rischi di derive plebiscitarie.
Quanto alla procedura referendaria, il numero di firme necessarie per la richiesta è elevato a ottocentomila per adeguarlo all'incremento demografico intervenuto negli ultimi cinquanta anni; il giudizio di ammissibilità da parte della Corte costituzionale è anticipato alla raccolta delle prime centomila firme.

9. Mantenuto sostanzialmente inalterato l'istituto della delegazione legislativa in favore del Governo, in tema di decretazione d'urgenza si propone una disciplina parzialmente restrittiva: quanto ai requisiti (misure di carattere specifico, di contenuto omogeneo e di immediata applicazione), alle materie (sicurezza nazionale, pubbliche calamità, norme finanziarie), ai limiti (particolarmente significativo il divieto di disciplinare oggetti riservati alle leggi bicamerali). La responsabilità del Governo è piena, essendo stabilita l'immodificabilità dei decreti se non per la copertura degli oneri finanziari; questa caratteristica spiega altresì la procedura di conversione monocamerale senza richiamo. Limitazioni così drastiche si giustificano, evidentemente, in quanto sono più che bilanciate dalla maggiore incisività dei poteri del Governo rispetto ai lavori parlamentari ordinari, in particolare dalla possibilità di ottenere la votazione di un testo entro una data determinata. Considerazioni di tal fatta hanno suggerito ad alcuni commissari di prospettare l'opportunità di sopprimere l'istituto, che trova in effetti giustificazione molto scarsa nel nuovo sistema dei rapporti tra Governo e Parlamento.
La relatrice ritiene di dover segnalare anche il carattere solo apparente della limitazione di oggetto della decretazione di urgenza, stante l'estrema elasticità delle clausole generali che lo definiscono, in particolare «sicurezza nazionale» e «norme finanziarie».
Le previsioni sulla funzione normativa del Governo si completano con una puntuale disciplina del potere regolamentare: riserva di legge solo relativa per l'organizzazione costituzionale del Governo; riserva regolamentare piena per l'organizzazione della pubblica amministrazione statale; regolamenti indipendenti per le materie non coperte da riserva di legge; costituzionalizzazione del principio di delegificazione; regolamenti di attuazione.

10. Modificazioni importanti sono state introdotte in materia di trattati e rapporti internazionali (articolo 102). Da un lato è previsto un raccordo necessario e costante del Governo con il Parlamento mediante l'informazione periodica sui negoziati in corso (salvo che l'interesse della Repubblica non ne imponga la riservatezza), a seguito della quale il Parlamento può evidentemente adottare atti di indirizzo.
D'altro lato, si introduce l'istituto del silenzio assenso per la ratifica dei trattati internazionali, collegato all'obbligo di deposito da parte del Governo presso le Camere, secondo le rispettive attribuzioni.
È conservata la necessaria autorizzazione con legge formale solo per i trattati che importano modificazioni di leggi o dispongono su materie oggetto di riserva di legge, per evitare che l'approvazione per silenzio incida sul sistema delle fonti.
La partecipazione delle Camere allo svolgimento dei rapporti internazionali e alla formazione dei trattati non è, quindi, procedimentalizzata; del resto, la generalizzazione dell'autorizzazione legislativa


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alla ratifica non ha dato certo buona prova, risolvendosi per lo più in un vuoto ritualismo. Risulta invece molto forte, nella disciplina complessiva, il potere di indirizzo e controllo ad impulso del Parlamento stesso, rispetto al quale è strumentale l'obbligo di informazione da parte del Governo.

11. Modificazioni sono apportate alla disciplina del bilancio e della materia finanziaria (articolo 103), pur se il relativo dibattito è stato tra quelli più sacrificati dalla limitatezza del tempo a disposizione della commissione.
Le novità introdotte riguardano: obbligo della predeterminazione dell'equilibrio di bilancio e ammissibilità di proposte di modifica solo nel rispetto dell'equilibrio stesso; ammissibilità del ricorso all'indebitamento solo per spese di investimento o in caso di eventi straordinari con conseguenze finanziarie eccezionali; precisazione dei limiti per nuove spese e nuove entrate con riferimento alla copertura per l'intero periodo di applicazione e al rispetto dei limiti per il ricorso all'indebitamento autorizzati con la legge di approvazione del bilancio; potere del Governo di opporsi a emendamenti che comportano nuovi o maggiori oneri, anche se provvisti di copertura, nel qual caso la Camera può approvarli solo a maggioranza assoluta dei componenti.
È da segnalare la posizione di numerosi commissari favorevoli ad escludere del tutto il potere parlamentare di modificare il bilancio in caso di opposizione del Governo, nella convinzione che a quest'ultimo debba essere attribuita interamente la responsabilità della formazione (e non soltanto della gestione) del bilancio stesso.
Si ricorda che nel sistema delle fonti tutte le leggi in questa materia sono bicamerali imperfette, cioè esaminate obbligatoriamente prima dalla Camera dei deputati, poi dal Senato integrato, con deliberazione definitiva della Camera (articolo 104).

12. Nel quadro di una funzione di controllo complessivamente potenziata con l'attribuzione del potere di inchiesta a iniziativa di minoranze qualificate nelle due Camere, il testo approvato (articolo 105) specifica che alle sole commissioni d'inchiesta istituite presso il Senato sono attribuiti gli stessi poteri - con relative limitazioni - dell'autorità giudiziaria. Ad avviso della relatrice, poiché siffatti poteri qualificano le commissioni parlamentari d'inchiesta segnando il punto di distinzione tra inchieste e indagini conoscitive, la differenziazione sotto questo profilo delle due Camere, voluta dalla commissione, impone una riformulazione dell'intero articolo in modo da eliminare ogni riferimento - divenuto tecnicamente inappropriato - a commissioni d'inchiesta da istituirsi dalla Camera dei deputati.

13. Del tutto coerente, infine, appare la riserva al Senato (articolo 88), proprio in considerazione dell'assenza del rapporto politico di fiducia, delle nomine di attribuzione parlamentare, comprese quelle - previste per la prima volta - delle autorità di vigilanza e di garanzia; nonché i pareri parlamentari, da esprimere in seduta pubblica della commissione competente, richiesti dalla legge sulle proposte di nomina di competenza del Governo.

14. Con gli articoli 114, 115 e 116 la commissione ha inteso dare piena copertura costituzionale al processo di unificazione europea, collocandosi da un lato nel solco di una tradizione europeistica che connota la nostra cultura politica fin dal Risorgimento, dall'altro lungo una strada già percorsa negli ultimi anni da molti paesi dell'Unione.
Compiuta la precisa scelta di non costituzionalizzare alcuno dei contenuti dei trattati istitutivi delle Comunità e dell'Unione, perchè coincidenti spesso con la determinazione di obiettivi di politica economica e di politica istituzionale collegati alle fasi del progressivo sviluppo della Unione europea e quindi costantemente modificabili, si sono cercate formule elastiche che assicurino strumenti per un adeguamento continuo dell'ordinamento a un processo politico-istituzionale


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che è per sua natura estremamente dinamico, garantendo tuttavia in ogni momento il rispetto e la salvaguardia dei principi fondamentali.
L'articolo 114 reca dunque l'affermazione solenne della partecipazione dell'Italia al processo di unificazione europea, in condizioni di parità con gli altri Stati e nel rispetto dei principi supremi dell'ordinamento e dei diritti inviolabili della persona; il favor costituzionale per lo sviluppo dell'Unione è collegato esplicitamente all'ordinamento della stessa secondo il principio democratico e il principio di sussidiarietà.
Si considerano, ovviamente, acquisite le limitazioni di sovranità finora poste mediante la ratifica dei trattati istitutivi delle Comunità e dell'Unione, in quanto, pur autorizzate in passato con legge ordinaria e quindi con qualche forzatura interpretativa dell'articolo 11 della Costituzione vigente, sono state da tempo legittimate pienamente - come si diceva in apertura - dalla Corte Costituzionale e dalla volontà popolare. Per l'introduzione di ulteriori limitazioni si stabilisce una procedura rinforzata: maggioranza assoluta di ciascuna Camera e soggezione a referendum sospensivo secondo lo schema previsto dall'articolo 138 per la revisione costituzionale.
All'articolo 115 si afferma con chiarezza il potere di indirizzo delle Camere in ordine alla politica comunitaria e al concorso del Governo alla normazione europea; si prevede inoltre il parere obbligatorio delle Camere sulla designazione governativa dei componenti italiani nelle istituzioni europee.
L'articolo 116 regola, infine, la partecipazione delle Regioni alla determinazione e all'attuazione delle politiche comunitarie nelle materie ad esse attribuite, nonché il potere sostitutivo dello Stato, sia in vista delle conseguenti responsabilità dell'Italia, sia a tutela degli ambiti di potestà regionale eventualmente lesi da atti dell'Unione europea.

Marida DENTAMARO,
Relatrice sul Parlamento e le fonti normative
e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea.

4 novembre 1997.

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