2. Nella relazione presentata alla Bicamerale il 22 maggio scorso per illustrare la prima proposta di testo-base, affermavo, a pagina 2: «è sempre più evidente che siamo di fronte ad un passaggio storico della nostra esperienza nazionale unitaria: è infatti posta oggi la questione del passaggio ad una Repubblica federale».
Il discrimine tra decentramento territoriale e ordinamento federale veniva individuato nell'esistenza o meno di un patto federativo tra lo Stato, le Regioni e le autonomie territoriali minori. Affermavo pertanto che federale si sarebbe potuto definire l'ordinamento italiano se si fosse dato vita ad un patto costituente tra Stato, Regioni ed autonornie locali concernente la ripartizione delle funzioni legislative, e delle risorse finanziarie, l'organizzazione costituzionale centrale dello Stato, il procedimento di revisione della Costituzione, almeno per le parti concernenti la struttura federale della Repubblica.
La proposta che veniva allora avanzata prevedeva che ciascuna delle Regioni fosse dotata di uno Statuto speciale di rango costituzionale, nel quale fossero definite sia le funzioni - statali, regionali e locali per ciascuna Regione - sia la ripartizione delle risorse finanziarie, lasciando in secondo piano le questioni della revisione
3. Il dibattito che si è svolto nella Bicamerale il 26 maggio sulla base della proposta originaria ha posto in evidenza che mentre veniva affermato l'orientamento favorevole ad una svolta federalistica dell'ordinamento italiano, era peraltro respinto dai più il modello costituzionale degli Statuti speciali per ciascuna Regione, ritenuto inidoneo ad assicurare il minimo comune denominatore nazionale di eguaglianza dei diritti, con particolare riferimento ai diritti sociali.
Negli interventi degli esponenti dei diversi gruppi politici risultava in tal modo chiara la preferenza per un modello di federalismo più simile alla esperienza maturata negli Stati Uniti, in Germania, in Austria, o in altri ordinamenti nei quali vi è una ripartizione di funzioni tra centro e periferia identica per tutte le Regioni. Problema ulteriore era rappresentato dalla peculiarità italiana della tradizione municipale.
In conseguenza della constatazione del prevalere, largo anche se non unanime, per una svolta di tipo federalistico della forma di Stato italiana, formulavo una seconda proposta che veniva adottata come testo-base il 3 giugno scorso.
Questa proposta conservava ancora l'istituto dello Statuto speciale di rango costituzionale per ciascuna Regione, ma cercava di rendere più evidente che il modello di federalismo proposto era a tre punte, l'una centrata sui Comuni e sulle Province, l'altra sulle Regioni e l'altra ancora sullo Stato.
Contrariamente a quanto veniva affermato in quei giorni, il modello degli Statuti speciali rimetteva per sua natura intrinseca a ciascuno Statuto la definizione delle materie di competenza statale e delle materie di competenza regionale, sì che era improprio affermare che l'elencazione delle materie di competenza statale subiva arretramenti centralistici per il solo fatto di prevedere un elenco più ampio di materie di competenza statale rispetto al testo originario.
Venivano pertanto presentati gli emendamenti al testo-base, e nelle sedute del 17, del 18 e del 19 giugno scorsi la Commissione procedeva a votare il testo definitivo sulla forma di Stato, che, con la denominazione di Titolo I della Parte seconda della Costituzione veniva allora sottoposto al primo esame di deputati e senatori.
È opportuno pertanto aver presente il fatto che il testo del Progetto non adottava allora più il modello di federalismo fondato sugli Statuti speciali per ciascuna Regione, ma il modello della predeterminazione in Costituzione delle materie di competenza legislativa statale e di quelle di competenza legislativa regionale.
Eravamo, dunque, in presenza di un orientamento che nel modello proposto rendeva necessario valutare, insieme alle due questioni fondamentali (entrambe trattate nel presente Titolo I) relative alla ripartizione delle funzioni legislative e amministrative tra Stato, Regioni, Province e Comuni, e alla ripartizione delle risorse tra i diversi livelli di governo, anche la disciplina che veniva proposta in riferimento alla struttura del Parlamento e della Corte costituzionale, alla revisione costituzionale e al processo di integrazione europea.
Un giudizio complessivo sul nuovo assetto costituzionale, dunque, avrebbe dovuto tener conto dell'insieme delle risposte che sarebbero state date a questi problemi.
Nel passaggio dall'originario testo-base alla disciplina che veniva sottoposta all'esame di deputati e senatori, era dunque mutato il modo attraverso il quale giungere
4. Si può pertanto oggi meglio comprendere quali fossero i mutamenti tra l'originario testo-base da me presentato a maggio e il risultato del lavoro condotto dalla Bicamerale a giugno. In breve, si passò allora, a mio giudizio, da un modello dignitosamente definibile come federale, soprattutto per il valore costitutivo degli Statuti speciali previsti per ogni Regione, ad un modello non più definibile come federale proprio per la mancanza di coerenti e compiuti elementi costitutivi di federalismo.
Ritengo quindi opportuno procedere ad illustrare il testo del progetto di legge costituzionale recante la revisione della parte seconda della Costituzione deliberato dalla Bicamerale nel giugno scorso, ed in riferimento al quale i deputati e i senatori hanno esercitato il loro diritto di proposta di emendamento.
Al termine della illustrazione, anche se sommaria, di quel progetto di legge costituzionale, sarà più agevole cogliere le rilevanti modifiche introdotte dalla Bicamerale a settembre ed a ottobre, sulle quali mi soffermerò in seguito.
5. Il testo approvato dalla Bicamerale a giugno comportava comunque una rilevante novità: l'ordinamento della Repubblica, che nella Costituzione vigente inizia con il Parlamento, veniva modificato radicalmente nell'ordine di collocazione delle diverse materie, iniziando proprio dalla forma di Stato. Si veniva in tal modo a cogliere il significato profondo della domanda di federalismo, che consisteva nel porre il territorio a fondamento dell'ordinamento repubblicano, e il principio di sussidiarietà, inteso nel senso della spettanza dei poteri pubblici all'ente locale più vicino ai cittadini, per risalire man mano verso gli enti territorialmente più vasti.
Ma questa modifica radicale dell'ordine di collocazione delle materie non riusciva a permeare di sé l'intero nuovo ordinamento repubblicano.
Ed è per questo che ritenni di proporre allora alla Bicamerale di togliere l'aggettivo «federale» dal testo originariamente da me proposto di Ordinamento federale della Repubblica.
Ciò detto, si può passare a considerare il testo del progetto di legge deliberato a giugno dalla Bicamerale.
I punti essenziali della proposta erano i seguenti:
a) L'articolo 55, con il quale si apriva già allora il Titolo I della nuova Parte Seconda della Costituzione, conteneva la definizione della Repubblica, che è rimasta la medesima dall'originaria proposta presentata il 22 maggio al nuovo testo approvato dalla Commissione.
In base ad esso si afferma che: «la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Regioni e dallo Stato».
Il grande dibattito che si è sviluppato in Commissione e fuori su questa definizione richiede ancora una volta un chiarimento.
La distinzione tra Stato-ordinamento e Stato-comunità fa parte di una consolidata lettura della Costituzione italiana vigente. Sebbene non si possa affermare che il Costituente del '47 abbia sempre voluto e saputo distinguere tra Repubblica e Stato, si può certamente affermare che con il testo che si propone alla Vostra attenzione non si intende dissolvere l'unità politica della Repubblica, ma più semplicemente, seppur molto significativamente, affermare che non vi è più identificazione tra la Repubblica intesa come comunità nazionale e lo Stato inteso come apparato centrale.
Il principio di sussidiarietà, che diventa il fondamento del nuovo modello di Repubblica, parte pertanto dai Comuni per giungere allo Stato ed oltre, traendo tutte
6. In considerazione della opportunità di valutare la disciplina costituzionale della pubblica amministrazione con riferimento contestuale allo Stato, alle Regioni e agli enti locali, era stata affidata alla mia responsabilità di relatore sulla forma di Stato anche la proposta della disciplina costituzionale relativa appunto alla pubblica amministrazione.
Nel corso dei lavori della Commissione si è ritenuto opportuno prevedere espressamente, tra le materie di competenza legislativa statale, anche la competenza relativa ai principi dell'organizzazione e dell'attività amministrativa statale e, tra le materie di competenza regionale, l'attribuzione allo Statuto regionale della competenza a disciplinare l'organizzazione e l'attività amministrativa appunto regionali.
In sede di coordinamento finale del testo del progetto di legge costituzionale sottoposto al primo esame di deputati e senatori, si ritenne preferibile dedicare alla pubblica amministrazione una specifica Sezione, immediatamente successiva alla disciplina relativa al Governo.
Nei tre articoli allora approvati in riferimento alla pubblica amministrazione, si affermavano principi costituzionali anche nuovi rispetto a quelli del buon andamento e della imparzialità oggi contenuti nell'articolo 97 della Costituzione.
Si prendeva in particolare atto della necessità di organizzare la pubblica amministrazione in senso sempre più produttivo di risultati utili per i cittadini. In tal senso si prevedeva l'adozione di sistemi di controllo interno di gestione e dei risultati conseguiti, anche con esplicito riferimento alla tutela dei diritti dei cittadini.
7. A conclusione delle brevi considerazioni illustrative del nuovo Titolo I della Parte Seconda della Costituzione, mi sembrò opportuno richiamare un passaggio della relazione che accompagnava l'originario testo-base da me proposto: «Non si rischia pertanto di passare dalla unità nazionale alla disunione nazionale ma, al contrario, dal patto di unità nazionale stipulato con la Costituzione repubblicana vigente ad un nuovo patto di unità nazionale, nella convinzione che il patto federale è oggi capace di dare nuovo vigore e nuova linfa proprio all'unità nazionale che è posta in discussione se si resta immobili nella conservazione dello status quo».
Affermavo in conclusione che il tempo trascorso dal 22 maggio al voto di giugno della Bicamerale rendeva ancor più attuali quelle considerazioni.
Le profonde modifiche introdotte dalla Bicamerale rispetto al testo da essa approvato a giugno mi consentono di affermare che la speranza di allora era ben riposta.
È, infatti, ora possibile passare ad esaminare il Progetto di legge costituzionale recante la revisione della Parte Seconda della Costituzione oggi portato all'esame della Camera dei deputati.
8. Al pari di quanto avvenuto a giugno, la Parte Seconda dell'ordinamento della Repubblica inizia con gli articoli destinati al nuovo assetto federale della Repubblica medesima.
A testimonianza dell'intendimento di fare dell'esito federale l'esito sostanzialmente innovativo della Repubblica italiana, la parte seconda si apre con l'espressione «Ordinamento federale della Repubblica», che illumina di sé l'intera seconda parte e che, a mio giudizio, dovrà costituire parametro di riferimento costituzionale ogni qual volta vi sia incertezza nella ripartizione delle funzioni e delle risorse tra centro e periferia.
È ben chiaro che non si tratta di un ordinamento federale simile a quello statunitense, perché nella proposta della Bicamerale il diritto civile e il diritto
9. L'articolo 55 ribadisce il principio, già contenuto nel testo di giugno, in base al quale la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Regioni e dallo Stato.
Al secondo comma si afferma in modo innovativo che non solo le Regioni, ma anche i Comuni e le Province sono enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.
Al terzo comma si afferma che Roma è la Capitale della Repubblica. Laddove nel testo approvato a giugno si poteva affermare che questa esplicita previsione della natura di Roma colmava soltanto un vuoto di disciplina costituzionale, oggi, in una prospettiva dichiaratamente federalistica, la natura di Capitale della Repubblica non è affermazione puramente ripetitiva di un fatto storicamente acquisito.
10. L'articolo 56 riformula la questione molto complicata della sussidiarietà intesa in senso orizzontale, ossia quale principio di distinzione tra poteri pubblici e poteri privati.
È, questa, una formulazione che ha registrato una divisione culturalmente e politicamente significativa in Bicamerale, sì che è ragionevolmente prevedibile che questo tema resti molto vivo all'attenzione della Camera.
Viene confermato l'orientamento in base al quale la generalità delle funzioni regolamentari e amministrative è attribuita ai Comuni, in base al principio di sussidiarietà verticale, in modo da evitare alla radice il rischio di un accentramento amministrativo regionale o anche provinciale. Viene infatti confermata la scelta compiuta a giugno di rompere il principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative.
Con scelta improntata alla cultura della flessibilità degli ordinamenti territoriali, viene affrontato il tema delle aree metropolitane, delle zone montane e, in generale, delle forme associative tra comuni.
Con l'ultimo comma si conferma l'abrogazione di qualunque controllo preventivo di legittimità o di merito su atti di Comuni, Province e Regioni.
11. Con l'articolo 57 si opera un notevole cambiamento rispetto al testo di giugno, fondamentale per il riconoscimento della natura federale del nuovo ordinamento.
Nel confermare, infatti, le Regioni oggi esistenti e le Regioni ad autonomia speciale, si afferma, all'ultimo comma, che con leggi costituzionali possono essere disciplinate forme di autonomie speciali anche per le altre Regioni.
Il principio dello Statuto speciale, che nella mia proposta originaria era considerato un punto essenziale di un ordinamento potenzialmente federale, e che era stato cancellato dal testo approvato dalla Bicamerale a giugno, ritorna nel nuovo testo a rappresentare una possibilità costituzionalmente rilevante per le Regioni che ritenessero la nuova ripartizione delle materie riservate allo Stato insufficiente rispetto alle proprie prospettive di sviluppo.
Ritengo che il dibattito alla Camera e nel Paese sarà particolarmente vivace proprio sul punto delle autonomie regionali speciali.
12. Con l'articolo 58 si riesamina la questione delle materie di competenza legislativa statale.
13. Con l'articolo 59 si disciplina la facoltà di ricorso alla Corte Costituzionale da parte dello Stato contro la Regione che ecceda dalla propria competenza, e da parte della Regione, della Provincia o del Comune, contro leggi o atti aventi valore di legge dello Stato o della Regione invasivi delle proprie competenze.
14. Con l'articolo 60 viene confermata la scelta operata a giugno dalla Bicamerale di attribuire a ciascuna Regione il potere di definire con un proprio Statuto i princìpi fondamentali di organizzazione e di funzionamento.
È confermata la scelta di rimettere alla Regione la decisione in ordine alla propria forma di governo e la decisione relativa alla propria legge elettorale, da adottare, peraltro, «nel rispetto dei principi di democraticità, rappresentatività e stabilità di governo».
È confermata la parificazione dei consiglieri regionali ai parlamentari nazionali per quel che concerne la insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio o a causa delle loro funzioni.
15. Con l'articolo 61 si disciplinano le intese delle Regioni fra di loro per il miglior esercizio delle rispettive funzioni, e le attività di rilievo internazionale delle Regioni medesime.
Si tratta di novità già adottate a giugno dalla Bicamerale e confermate nel nuovo testo, a testimonianza dello spirito complessivamente favorevole anche al rilievo internazionale dell'attività regionale.
16. Con l'articolo 62 si innova radicalmente nella disciplina del cosiddetto federalismo fiscale.
Si tratta di un testo lungo e forse di difficile lettura, che contiene alcuni princìpi totalmente innovatori rispetto anche ad ordinamenti costituzionali federali stranieri.
Per comprendere la portata innovativa di questo articolo occorre aver presente che nel progetto di legge costituzionale ora approvato in via definitiva dalla Bicamerale la struttura del bicameralismo italiano viene radicalmente ridisegnata.
Solo infatti alla Camera dei deputati spetta il potere di togliere la fiducia al Governo. Il Senato della Repubblica viene infatti previsto come Camera di garanzia delle libertà e del federalismo. A tal fine la composizione del Senato tende a corrispondere a questa sua nuova caratterizzazione, sì che ogni volta che nel nuovo testo costituzionale proposto si attribuisce l'una o l'altra materia alla «legge approvata dalle due Camere», occorre aver presente il fatto che non si è più in presenza dell'attribuzione di un potere al Parlamento di uno Stato centrale, ma ad un nuovo Parlamento nel quale le autonomie territoriali sono, anche se indirettamente, rappresentate.
Sono certo che si tratta di una soluzione innovativa anche se ancora provvisoria, perché la complessità del sistema bicamerale che emerge dal nuovo testo sarà sottoposta al vaglio critico dei deputati e della dottrina costituzionalistica.
Resta comunque il fatto che ogni volta che ci si riferisce alla legge approvata dalle due Camere occorre aver presente che si opera in un contesto di ricerca di una soluzione di un Parlamento autenticamente permeato di spirito federale.
Possiamo ora dunque passare ad esaminare il federalismo fiscale contenuto nell'articolo 62 del progetto.
17. Con l'articolo 63 sono disciplinate tutte le fattispecie di modifiche territoriali e di denominazione di Comuni, Province e Regioni.
Resta la necessità della legge costituzionale per disporre la fusione di Regioni esistenti.
Si prevede che con legge approvata dalle due Camere si possa disporre che Comuni che ne facciano richiesta siano staccati da una Regione e aggregati ad un'altra.
Con legge regionale, come già si è detto, si prevede che si possano istituire nuove Province.
18. Con una innovazione di grande rilievo, già nel testo approvato dalla Bicamerale a giugno si era previsto che un quinto dei giudici costituzionali sarebbe stato di designazione regionale. Si conservava, infatti, il numero complessivo di quindici giudici costituzionali e si prevedeva che tre di essi fossero designati dalle Regioni.
Si trattava di una innovazione tendente a garantire una visione compiutamente equilibrata in riferimento alle diverse esigenze centrali e periferiche, anche attraverso una diversa composizione della Corte costituzionale.
Nel testo definitivo votato dalla Bicamerale si prevede, all'articolo 135, che il numero complessivo dei giudici costituzionali è portato a venti e che, significativamente, un quarto di essi sia nominato dal collegio formato dai rappresentati di Comuni, Province e Regioni che integrano il Senato della Repubblica in sessione speciale.
20. Con una decisione assunta dalla Bicamerale nell'ultimo giorno dei suoi lavori autunnali, si è stabilito di non formulare alcuna disposizione transitoria, né alcuna disposizione finale, rimettendo alla votazione che la Camera vorrà adottare in riferimento all'intera Seconda Parte della Costituzione la definizione delle premesse istituzionali delle conseguenti norme transitorie e finali.
Si tratta di una decisione molto rispettosa dell'autonoma valutazione che le Camere del Parlamento vorranno esprimere in riferimento alle riforme costituzionali, sì che nessuna considerazione deve più essere espressa in riferimento a queste.
21. Il testo che viene, dunque, sottoposto all'esame delle Camere costituisce a mio giudizio una base utile per una valutazione approfondita e, probabilmente, innovativa.
Francesco D'ONOFRIO,
Relatore sulla forma di Stato.
4 novembre 1997.
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