1. L'elaborazione del tema del Parlamento, sia in sede plenaria che nel comitato costituito per lo svolgimento dell'istruttoria, ha assunto come presupposto essenziale e fondante, largamente condiviso nel dibattito culturale e politico, l'autonomia del Parlamento. Ha costituito cioè un punto fermo la convinzione che vi sono delle opzioni di valore sul ruolo dell'organo rappresentativo nel sistema costituzionale che restano valide indipendentemente dalla diversità dei modelli possibili di forma di governo e forma di Stato; in relazione a quei modelli, se mai, le scelte politiche e di valore sul Parlamento sono suscettibili di tradursi in diverse soluzioni tecnico-istituzionali.
Preliminare, quindi, è stata una riflessione sulla posizione e sul ruolo del Parlamento nel nuovo assetto costituzionale che si va delineando, nel diverso equilibrio in via di definizione tra istituzioni, poteri e organi; una riflessione che ha condotto con larga condivisione all'opzione di fondo per la salvaguardia delle istanze irrinunciabili della democrazia rappresentativa e partecipativa che nel Parlamento si esprimono. Di fronte alla crisi riconosciuta della forma di governo parlamentare si tratta di rinnovare, senza rinnegarlo, il ruolo dell'organo rappresentativo e i modi della sua esplicazione per adeguarli al meglio a un contesto politico, istituzionale e sociale profondamente trasformato rispetto all'età del parlamentarismo classico e a quella della sua degenerazione.
Le coordinate di riferimento del nuovo contesto sono note: un sistema di democrazia dell'alternanza, fortemente orientato in senso maggioritario, in cui l'asse dell'equilibrio istituzionale si sposta in favore di un Governo più forte, stabile ed efficiente nel decidere e nell'agire; un'articolazione dei livelli istituzionali che accentua la spinta autonomistica, orientandosi verso una trasformazione in senso federale.
A queste linee direttrici corrisponde evidentemente l'esigenza di calibrare i relativi meccanismi di bilanciamento e contrappeso: a un Governo forte e ad Enti territoriali titolari di sovranità deve affiancarsi un Parlamento nazionale anch'esso forte e autorevole.
In particolare, il sistema maggioritario e la rafforzata posizione del Governo nel suo ruolo di guida della maggioranza implicano necessariamente una valorizzazione della funzione di controllo democratico sull'operato del Governo stesso. Implicano inoltre specifiche garanzie politico-istituzionali, soprattutto per quei settori che, attenendo a situazioni, interessi e valori di rilevanza costituzionale, non possono essere lasciati alla disponibilità piena ed esclusiva della maggioranza di governo se non si voglia accettare l'involuzione del sistema nel senso di una democrazia di pura delega.
Il nuovo assetto dell'ordinamento della Repubblica, poi, implica da un lato la necessaria garanzia delle autonomie rispetto alle politiche del Governo centrale, da assicurare primariamente mediante forme di compartecipazione o coinvolgimento nelle decisioni; dall'altro la garanzia dei diritti fondamentali di tutti i soggetti dell'ordinamento anche nei confronti delle istituzioni autonome; presuppone inoltre un nucleo intangibile di poteri collegati a esigenze e interessi di carattere unitario, a presidio del riaffermato valore costituzionale dell'unità nazionale.
2. Queste considerazioni, evidenziando - per difetto, in verità - alcuni aspetti della forte complessità del sistema politico-istituzionale, sono a fondamento della scelta per il mantenimento di un sistema bicamerale, in linea con la maggior parte dei paesi industrializzati di democrazia matura ad alta densità di popolazione, come l'Italia; l'unica proposta in senso monocameralista, formulata e ribadita dal gruppo di rifondazione comunista, è stata accantonata all'inizio dei lavori della Commissione e poi, riformulata attraverso la presentazione di emendamenti al testo base, respinta. Democrazia complessa e pluralità di centri istituzionali sono un binomio indissolubile e l'evoluzione annunciata del sistema sconsiglia largamente - così è parso - di rinunciare a quella importante funzione di garanzia che in sé il bicameralismo assolve, consentendo una rappresentanza diversificata, un più ampio confronto politico, una più approfondita riflessione sulla produzione legislativa e un sicuro rafforzamento della funzione di controllo.
Queste notazioni dovrebbero contribuire a fugare qualche equivoco cui si è dato luogo nel dibattito esterno, come sempre accade quando si discute intorno a definizioni necessariamente approssimative al punto da diventare slogan, come quella di «Senato delle garanzie»: qui «garanzia» indica evidentemente un ruolo di contrappeso istituzionale rispetto ad altri centri di potere e non implica né un connotato di arbitrio nel potere che viene «bilanciato» né alcuna confusione con il sistema delle garanzie giurisdizionali. Un Senato collocato in una forma di bicameralismo che attraverso una differenziazione di competenze accentua e qualifica quella generale funzione di garanzia politico-istituzionale che di per sé deriva dall'esistenza di due Camere rappresentative.
Una simile funzione non può essere affidata soltanto a meccanismi di natura giurisdizionale, non potendosi trasformare la Corte costituzionale in un sistematico arbitro di conflitti politici, se non a pena di snaturarne la funzione propria di garanzia costituzionale; né a strumenti di democrazia diretta, la cui attivazione sistematica, oltre ad essere difficoltosa in un paese a elevata consistenza demografica, rischierebbe di depotenziare il principio rappresentativo, irrinunciabile per un funzionamento fisiologico della democrazia; comunque per il carattere necessariamente saltuario, se non eccezionale, degli uni e degli altri. Si parla quindi di garanzie e riequilibri interni al sistema delle istituzioni politiche.
3. La seconda opzione riguarda la struttura rappresentativa delle due Camere e in particolare del Senato, di fronte ad alcune proposte e voci anche autorevoli, all'interno e all'esterno della Commissione, che ne reclamano la trasformazione in Senato delle Regioni ed eventualmente delle Autonomie locali, caratterizzato da una rappresentanza istituzionale e non politica, composto cioè ad elezione di secondo grado da esponenti degli esecutivi regionali e locali.
La Commissione ha molto discusso, a tratti anche aspramente, su questa possibile soluzione, rimasta poi minoritaria; l'intensità del confronto che si è svolto e la facile previsione che il dibattito si apra nuovamente suggeriscono l'opportunità di richiamare sinteticamente gli argomenti più volte sviluppati e alla fine prevalsi nel contrastare questa proposta: un simile modello, anche in base all'esperienza di altri ordinamenti federali (soprattutto Germania e Austria) sarebbe coerente soltanto con un sistema di federalismo prevalentemente amministrativo e pienamente cooperativo, del tutto diverso da quello prescelto nella revisione della forma di Stato; si tratta in effetti di un sistema che, implicando ampie aree di codecisione piena, non può essere appropriato in un contesto geo-socio-economico caratterizzato da una profonda frattura tra aree forti e aree deboli, che determinerebbe facilmente situazioni di grave conflittualità tra istituzioni rappresentative di aree territoriali diverse del paese.
Una composizione equilibrata di un Senato delle Autonomie sarebbe poi sostanzialmente impossibile da realizzare in un sistema connotato da una pluralità di livelli istituzionali forti e da massima frammentazione ed eterogeneità delle realtà comunali; a una sicura confusione istituzionale si aggiungerebbe inevitabilmente una prevalenza delle Regioni, ponendosi così serie premesse per realizzare quel neocentralismo regionale da cui tutti - o quasi tutti - dicono di rifuggire perchè in contrasto con la nostra tradizione municipale e con l'affermazione del principio di sussidiarietà.
Un Senato delle Autonomie con funzioni decisionali piene, poi, non consente l'imputazione chiara delle decisioni e quindi altera gravemente il funzionamento del principio di responsabilità politica, cardine della democrazia dell'alternanza.
È prevalsa quindi, non senza contrasti, la scelta per l'elezione anche del Senato a suffragio universale e diretto, che assicura un tasso più elevato di democraticità e autorevolezza della rappresentanza, più adeguato al migliore assolvimento di un complessivo ruolo di garanzia politico-istituzionale.
Non si è inteso, però, lasciare senza risposta l'esigenza di trovare all'interno di questa seconda assemblea parlamentare un luogo di raccordo tra Stato e sistema delle autonomie che sia coerente con il nuovo ordinamento della Repubblica, quanto a forma di Stato e di governo, ed altresì con le caratteristiche strutturali del paese. A tal fine sono state prospettate numerose soluzioni, a partire da quella contenuta nella proposta di legge del senatore Rotelli e dal medesimo richiamata più volte, così sintetizzabile: per ogni legge approvata dalla Camera dei deputati (unica assemblea ad avere competenza legislativa generale) la conferenza delle Regioni - che viene in tal modo costituzionalizzata - può eccepire l'invasione dell'ambito di competenza regionale; se questa obiezione è ritenuta fondata dalla Corte costituzionale, eventualmente adita dal Governo, è chiamato a deliberare in via definitiva il Senato, integrato per l'occasione dai presidenti delle Regioni, ciascuno dei quali esprime un numero di voti pari a quello dei senatori elettivi della propria regione.
Un'altra proposta, sostenuta da singoli parlamentari della sinistra democratica (Morando, Mancina, Salvati) e di forza Italia (Grillo, Greco), ipotizzava un'elezione popolare diretta dei senatori da svolgersi contestualmente alle elezioni regionali ed eventualmente con la formalizzazione di un collegamento politico tra candidati alla presidenza della Regione e candidati al Senato: tale soluzione è parsa tecnicamente difficile da realizzare stante l'autonomia attribuita alle Regioni nella scelta del sistema elettorale; inoltre evidentemente insufficiente ad assicurare una rappresentanza istituzionale delle Regioni stesse e comunque complessivamente inadeguata per non esservi contemplato in alcun modo il sistema dei Comuni e delle Province.
Il gruppo della sinistra democratica, nell'ultima fase dei lavori della Commissione, ha proposto per il Senato una composizione mista: 160 senatori eletti a base regionale, i presidenti delle Regioni e delle Province autonome, un gruppo di sindaci (circa quaranta) provenienti dalle diverse Regioni in numero variabile secondo le dimensioni delle stesse, eletti a suffragio universale e diretto tra i sindaci in carica in ciascuna Regione al momento dell'indizione delle elezioni per il Senato. Una soluzione che, per un verso, si presenta debole perchè disperde la rappresentanza regionale e locale all'interno di un'assemblea della quale essa costituisce meno di un terzo; per altri versi è contraddittoria, poiché, pur riconoscendo l'essenzialità del principio dell'elezione diretta (dei presidenti delle Regioni in quanto tali e dei sindaci-senatori con elettorato passivo ristretto), non considera che ciascuna Regione può autonomamente modificare la propria forma di governo. Comunque non scioglie il nodo della coesistenza e della differenza tra rappresentanza politica e rappresentanza istituzionale, del tutto disarmonica quest'ultima rispetto alle funzioni di garanzia e al divieto di mandato imperativo; non sembra quindi superare i noti inconvenienti dell'esperienza spagnola, in cui la duplice qualità della rappresentanza rende estremamente difficile la sintesi politica e pone la difficoltà di conciliare anche nella pratica la funzione di rappresentanza parlamentare con quelle istituzionali sul territorio; appare infine squilibrata nella distribuzione tra la componente regionale (venti senatori) e quella municipale (all'incirca in numero doppio), mentre ignora del tutto le Province.
Ulteriore ipotesi, affacciata nel corso dei lavori dal senatore Grillo e sposata quasi in conclusione degli stessi dal presidente D'Alema in dissenso dal suo gruppo, è quella della costituzionalizzazione di un organismo che avrebbe struttura simile a quella della Conferenza Stato-Regioni-Città, prevista dalla legge n. 59 del 1997, ponendosi essenzialmente come luogo di raccordo tra Governo centrale ed esecutivi regionali. Ed invero, il confronto tra Enti locali, Regioni e Stato, in un sistema che vede la posizione del Governo rafforzata per quanto riguarda l'indirizzo politico e le politiche pubbliche consistere in interventi non sempre attuativi di uno strumento legislativo, non può non essere assicurato prima di tutto come confronto tra esecutivi.
Respinti tutti gli emendamenti che esprimevano queste soluzioni, è stata approvata infine la proposta, formulata dal senatore Elia con una parte del gruppo dei popolari e messa a punto nel corso dei lavori, relativa all'istituzione presso il Senato di una speciale Commissione delle Autonomie territoriali, presieduta da un senatore, composta per un terzo da senatori, per un terzo dai presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, per un terzo da rappresentanti degli Enti locali eletti secondo modalità da stabilirsi con legge approvata dalle due Camere. Si tratta di un tentativo originale per tradurre nella organizzazione costituzionale l'esigenza di rappresentanza territoriale con formule non pedissequamente ripetitive di altri ordinamenti e che aspirano ad essere più adeguate alla specificità della nostra storia nazionale. La Commissione partecipa con funzioni referenti o consultive alle procedure legislative che più direttamente coinvolgono gli interessi degli Enti territoriali, anzitutto quelle (attribuite in prima lettura alla Camera dei deputati) in materia di bilancio, finanziaria e tributaria, che riflettono peraltro le politiche economiche, sociali, di perequazione e di solidarietà in tutte le loro specificazioni. Ha funzione deliberante in materia di finanza regionale e locale, istituzione, disciplina e ripartizione dei fondi perequativi; ma l'assemblea, su richiesta di un terzo dei componenti, può riesaminare le relative deliberazioni e modificarle a maggioranza assoluta. Lo stesso procedimento si applica ai disegni di legge di trasferimento di poteri e risorse, di determinazione dei livelli minimi delle prestazioni sociali e a quelli per la tutela di preminenti e imprescindibili interessi nazionali nelle materie attribuite alla potestà legislativa delle Regioni. Un procedimento così articolato consente la rappresentazione contestuale degli interessi delle istituzioni locali e il confronto dialettico tra le stesse, con la garanzia costituita da una rappresentanza politica nazionale paritaria rispetto a quelle regionali e locali e con la salvaguardia del potere di decisione politica e conseguente responsabilità della maggioranza di governo, essendo comunque attribuita la deliberazione definitiva alla Camera dei deputati per la strettissima inerenza delle scelte in questione al programma di governo. La Commissione esprime inoltre parere su tutti gli affari che riguardano i Comuni, le Province, le Regioni.
4. Scegliere un Parlamento composto da due Camere elette a suffragio universale e diretto non significa riprodurre l'attuale bicameralismo perfetto; nessuna forza politica, del resto, ha avanzato proposte in tal senso, coerentemente con lo spirito della stessa legge istitutiva della Commissione bicamerale che si riferisce esplicitamente alla riforma, tra le altre, del »bicameralismo». L'esperienza suggerisce se mai soluzioni che superino gli inconvenienti del sistema vigente, da un lato conservandone il pregio dell'ulteriore riflessione, arricchita dalla integrazione delle rappresentanze; dall'altro potenziando la funzione di garanzia, ripensata e riqualificata all'interno del nuovo sistema e in coerenza con esso.
Il ridotto numero dei componenti (la proposta è di quattrocento deputati e duecento senatori) dovrebbe accrescere l'autorevolezza della rappresentanza e l'efficienza nel funzionamento, mentre si allarga la base rappresentativa con l'estensione dell'elettorato attivo, anche per il Senato, ai cittadini che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età; si riduce inoltre l'età minima per l'elettorato passivo a ventuno anni per la Camera dei deputati e a trentacinque per il Senato.
È doveroso segnalare che la questione del numero dei parlamentari non è stata oggetto di dibattito all'interno della Commissione, che ha ritenuto di rinviarne l'approfondimento alla fase successiva dei lavori, anche in considerazione della priorità logica delle scelte in ordine alla struttura e alle funzioni delle due Camere. La proposta è stata formulata in base ai progetti di legge assegnati all'esame della Commissione e alla luce della revisione complessiva del sistema istituzionale, che vede ridimensionata la funzione legislativa del Parlamento a seguito della devoluzione di numerose materie alla potestà normativa delle Regioni e delle istituzioni europee; vede inoltre superato il modello del bicameralismo perfetto. Nel corso delle votazioni il gruppo di forza Italia si è comunque riservato di riproporre i suoi emendamenti per un aumento del numero dei rappresentanti popolari a cinquecento deputati e duecentocinquanta senatori.
Sempre con l'obiettivo di elevare il tasso di democraticità dell'ordinamento e migliorare la qualità stessa della democrazia colmando un deficit che nessuno oggi può onestamente disconoscere, si pone una norma intesa a promuovere, mediante interventi che il legislatore ordinario dovrà definire, l'equilibrio della rappresentanza elettiva tra i sessi.
La previsione dei senatori a vita è conservata solo per quelli di diritto nella persona degli ex Presidenti della Repubblica, mentre si sopprime l'anacronistico istituto della nomina presidenziale, facendo salvi con norma transitoria i senatori che, avendone beneficiato, sono attualmente in carica.
Quanto alle funzioni, il Parlamento conserva il primato nell'esercizio della funzione legislativa, che viene interamente ridisciplinata: riparto di competenza materiale tra le due Camere e procedure radicalmente diverse da quelle vigenti, improntate a istanze di agilità e rapidità, dovrebbero consentire lo svolgimento di una dialettica più serrata e proficua con il Governo, imponendosi anche al Parlamento di compiere scelte chiare in tempi ragionevoli, rendendosi più difficile il ricorso a strumenti ostruzionistici e dilatori e garantendosi per contro spazi da riservare alle iniziative delle opposizioni.
In questo modo l'istanza di governabilità non si traduce in una perdita di autorevolezza del Parlamento o in un sostanziale disconoscimento della democraticità della funzione normativa assicurata dal principio rappresentativo; bensì nella previsione, accanto a nuovi modi di formazione del Parlamento stesso e del Governo, di strumenti procedurali che inducano un rapporto chiaro e corretto tra legislativo ed esecutivo e tra le diverse forze politiche all'interno delle assemblee rappresentative.
Nella ricerca di un equilibrio certamente delicato tra governabilità e attuazione del principio democratico e rappresentativo, le due Camere hanno quindi funzioni e ruolo politico differenziato, con una più specifica funzione incardinata nel Senato di contrappeso istituzionale rispetto al continuum Governo-maggioranza parlamentare nella Camera politica.
Il modello proposto attribuisce infatti alla Camera dei deputati la titolarità esclusiva del potere di fiducia e di sfiducia nei confronti del Governo. Nella Camera si concentra il sostegno parlamentare alla realizzazione del programma di governo nella dialettica del confronto tra maggioranza e opposizione; alla Camera, quindi, è attribuita tutta la legislazione strettamente riferibile all'indirizzo politico governativo, rispetto alla quale il Senato opera soltanto come assemblea di riflessione.
Il Senato svolge un ruolo politico diverso, partecipando al procedimento legislativo con potestà decisionale piena in un'area di attribuzioni non esclusivamente riferibile al programma di governo, nelle quali dunque risalta meno la dialettica maggioranza-opposizione, privilegiandosi invece un'esigenza di rappresentatività più piena e di consenso tra le forze politiche, con scelte meno vincolate alla politica governativa e con una più marcata operatività di quella garanzia di confronto più ampio, di riflessione più approfondita e pluralistica che deriva appunto dall'articolazione bicamerale dell'organo rappresentativo e delle procedure di decisione.
Si tratta, per tentare di indicare sinteticamente la ratio di un «catalogo» che ha impegnato a lungo la Commissione per la sua definizione, delle materie «di sistema», che riguardano la collettività o la persona in quanto tali: gli apparati di vertice dell'ordinamento costituzionale; gli organismi neutrali e quindi anzitutto gli organi giurisdizionali ma anche le autorità di vigilanza e di garanzia; la determinazione delle regole del confronto politico, in particolare le leggi elettorali; i diritti fondamentali civili e politici; le libertà inviolabili della persona, alle quali si collegano la legislazione penale e gli istituti dell'amnistia e dell'indulto; infine quegli strumenti essenziali e delicatissimi delle moderne democrazie che sono l'informazione e la comunicazione radiotelevisiva. Tutte materie la cui «gestione» non serve e non deve servire come strumento per governare, sicchè la previsione di un procedimento legislativo diverso e sottratto al vincolo della fiducia non può mai costituire intralcio alla realizzazione di un programma di governo e collidere con l'obiettivo della governabilità. Non a caso, del resto, una delle grandi questioni che si è aperta in Italia nella cultura politica e istituzionale dopo l'introduzione del sistema elettorale maggioritario, che facilmente vanifica il funzionamento dei tradizionali meccanismi di elevamento dei quorum, riguarda proprio questa domanda cruciale per il futuro stesso della democrazia, efficacemente richiamata nel dibattito in Commissione: quali fra le decisioni, legislative e non, che spettano alla politica sono nella disponibilità del Governo, quali devono essere ad esso sottratte e quale ruolo deve svolgere il Parlamento rispetto a tali decisioni.
A questa domanda il modello delineato propone una risposta, mediante un criterio di riparto che corrisponde a un'interpretazione del bicameralismo in senso funzionale e non meramente materiale; come viceversa avrebbero preferito quei colleghi che hanno espresso preoccupazione per un ridimensionamento ritenuto eccessivo sia della posizione istituzionale del Parlamento nel suo complesso, sia del ruolo del Senato, che determinerebbe un negativo squilibrio tra i diversi organi istituzionali e tra i poteri delle due Camere. In particolare il dibattito si è incentrato sull'opportunità di conservare l'istituto della fiducia come istituto bicamerale. E tuttavia il rapporto di fiducia, nella prassi costituzionale degli ultimi anni, si è rivelato più spesso uno strumento di pressione del Governo sul Parlamento che non viceversa; l'esclusione di questo rapporto per una delle due Camere, quindi, contribuisce a rafforzare piuttosto che a indebolire la sovranità del Parlamento e il suo primato nella legislazione sui grandi princìpi. È parso, poi, che un semplice riparto di competenza materiale avrebbe un significato poco più che organizzativo, mentre il criterio funzionale proposto risponde meglio alla radice stessa del bicameralismo e al ruolo specifico e significativo che esso può svolgere nel nuovo sistema costituzionale: consentire di coniugare effettivamente governabilità e rappresentanza, efficienza e riflessione pluralistica, facendo sì che ciascuno di questi princìpi operi con pienezza nel terreno suo proprio: da una parte la realizzazione del programma di governo, dall'altra garanzie per la determinazione delle regole della democrazia e per quei diritti fondamentali che devono restare indisponibili per qualsiasi maggioranza.
Una simile differenziazione di competenze è anche strumento utile a migliorare la qualità della progettazione legislativa e del prodotto parlamentare, poiché impedisce contaminazioni e condizionamenti tra grandi scelte legislative sui temi di civiltà giuridica e contingenze della politica quotidiana, in un sistema di democrazia bipolare che può conoscere anche momenti di conflittualità accentuata.
5. I procedimenti legislativi sono dunque diversi, sempre però improntati alle istanze di efficienza, snellezza e rapidità nella decisione.
Per le materie bicamerali il procedimento inizia dinanzi al Senato e una commissione di conciliazione entra in causa con funzione redigente quando la Camera dei deputati adotta delle modificazioni; la proposta di legge è approvata quando il testo approvato dalla commissione, non ulteriormente emendabile, è approvato con voto finale dalle due assemblee.
Nella restante legislazione il Senato svolge un ruolo di assemblea di riflessione entro un termine breve, al massimo trenta giorni, esercitando un potere di richiamo e proponendo modifiche sulle quali la Camera dei deputati delibera in via definitiva.
Nell'uno e nell'altro caso, quindi, non si supera il limite delle tre letture e si riduce fortemente il rischio dell'introduzione di emendamenti non coerenti con altre parti del testo.
È soppresso il procedimento in commissione deliberante, che non ha più ragion d'essere in presenza di procedure ordinarie assai più snelle e di una complessiva riduzione dell'area di competenza legislativa del Parlamento, a beneficio delle attribuzioni dell'Unione europea, delle Regioni e del Governo.
6. Prescrizioni più puntuali, rispetto alla Carta vigente, sono introdotte per i regolamenti parlamentari in vista del rafforzamento del carattere maggioritario del sistema elettorale, almeno per la Camera dei deputati. È la Costituzione che traccia le linee di uno statuto dell'opposizione: garanzia dei diritti delle opposizioni in ogni fase dell'attività parlamentare; designazione da parte delle stesse dei presidenti delle commissioni aventi funzioni di controllo e di garanzia; iscrizione all'ordine del giorno di proposte e iniziative autonomamente determinate con riserva di tempi e previsione del voto finale.
Per contro, in ossequio all'istanza di efficienza e governabilità del sistema si stabilisce il quorum di un terzo per la validità delle sedute (quorum più elevati mal si adattano ad assemblee elette con sistemi maggioritari o prevalentemente maggioritari) e si applica un criterio di favor per l'iniziativa legislativa del Governo: è previsto infatti che il regolamento disponga l'iscrizione con priorità all'ordine del giorno dei disegni di legge presentati o accettati dal Governo, il quale può altresì chiedere che un disegno di legge sia votato entro una data determinata e che, decorso il termine, la Camera deliberi su ciascun articolo con gli emendamenti proposti o accettati dal Governo medesimo.
Si tratta di disposizioni che, in caso di definizione coerente delle scelte in materia di sistemi elettorali, potranno essere più appropriatamente riferite alla sola Camera dei deputati; così come potranno essere ripresi in considerazione altri istituti sui quali la Commissione si è pronunciata negativamente, ma che sono presenti in molti ordinamenti, contribuendo a meglio definire forme avanzate di statuto dell'opposizione: attribuzione della verifica dei poteri alla Corte costituzionale in seconda istanza; maggioranze qualificate per l'elezione dei presidenti delle assemblee e l'approvazione dei regolamenti parlamentari; impugnazione costituzionale di leggi a istanza di minoranze qualificate.
7. Numerose novità sono introdotte in tema di referendum. La disciplina complessiva è stata ridefinita attraverso l'approvazione di una serie di emendamenti diversi risultati alla fine, ad avviso della relatrice, non perfettamente coordinati e quindi, nell'insieme, non rispondenti all'intento dichiarato di riqualificare e potenziare la carica democratica dell'istituto, non comprimendone l'utilizzazione ma impedendone usi distorti attraverso la tecnica del ritaglio manipolativo del testo di legge. Suscita perplessità, sotto questo profilo, l'imposizione del requisito dell'omogeneità delle disposizioni normative sottoposte a referendum, in collegamento con la previsione di inammissibilità del referendum parzialmente abrogativo quando dall'eventuale esito favorevole residui una disciplina di impossibile applicazione; così come la possibilità che la legge determini un numero massimo di referendum da svolgere in ciascuna consultazione popolare. Da segnalare invece che altre modificazioni, in particolare la soppressione dell'esclusione del referendum per le leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, allargano l'ambito di utilizzazione dell'istituto referendario.
Di grande rilievo l'introduzione del referendum approvativo per le proposte di iniziativa popolare presentate da almeno ottocentomila elettori quando il Parlamento non si pronunci entro diciotto mesi dalla presentazione: decisione molto contrastata, perché ritenuta da alcuni commissari (in particolare del gruppo popolare e di forza Italia) una intollerabile deroga al principio della democrazia rappresentativa, con rischi di derive plebiscitarie.
Quanto alla procedura referendaria, il numero di firme necessarie per la richiesta è elevato a ottocentomila per adeguarlo all'incremento demografico intervenuto negli ultimi cinquanta anni; il giudizio di ammissibilità da parte della Corte costituzionale è anticipato alla raccolta delle prime centomila firme.
8. Mantenuto sostanzialmente inalterato l'istituto della delegazione legislativa in favore del Governo, in tema di decretazione d'urgenza si propone una disciplina assai restrittiva: quanto ai requisiti (misure di carattere specifico, di contenuto omogeneo e di immediata applicazione), alle materie (sicurezza nazionale, pubbliche calamità, norme finanziarie, adempimento di obblighi comunitari da cui derivi responsabilità dell'Italia), ai limiti (particolarmente significativo il divieto di disciplinare oggetti riservati alle leggi bicamerali). La responsabilità del Governo è piena, essendo stabilita l'immodificabilità dei decreti se non per la copertura degli oneri finanziari; questa caratteristica spiega altresì la procedura di conversione monocamerale senza richiamo. Limitazioni così drastiche si giustificano, evidentemente, in quanto sono più che bilanciate dalla maggiore incisività dei poteri del Governo rispetto ai lavori parlamentari ordinari, in particolare dalla possibilità di ottenere la votazione di un testo entro una data determinata. Considerazioni di tal fatta hanno suggerito ad alcuni commissari, nella fase conclusiva dei lavori, di prospettare l'opportunità di sopprimere l'istituto, che trova in effetti giustificazione molto scarsa nel nuovo sistema dei rapporti tra Governo e Parlamento.
Le previsioni sulla funzione normativa del Governo si completano con una puntuale disciplina del potere regolamentare: riserva di legge solo relativa per l'organizzazione costituzionale del Governo; riserva regolamentare piena per l'organizzazione della pubblica amministrazione statale; regolamenti indipendenti per le materie non coperte da riserva di legge; costituzionalizzazione del principio di delegificazione; regolamenti di attuazione.
9. Altre modifiche riguardano la materia dei trattati e dei rapporti internazionali, per la quale è previsto un raccordo necessario e costante del Governo con il Parlamento mediante l'informazione tempestiva sui procedimenti di negoziazione e l'adozione di eventuali atti di indirizzo; inoltre il parere obbligatorio delle Regioni o Province autonome interessate prima della ratifica di trattati che incidano direttamente sulla loro condizione.
10. Modificazioni sono apportate alla disciplina del bilancio e della materia finanziaria, pur se il relativo dibattito è stato tra quelli più sacrificati dalla limitatezza del tempo a disposizione della Commissione. Si auspica, quindi, un maggiore approfondimento del tema nelle fasi successive dell'esame parlamentare, sì da pervenire alle scelte definitive con un'istruttoria più completa e anche con formulazioni più precise di quelle finora consentite dalla giustapposizione di emendamenti diversi. Miglioramenti formali o «stilistici» del testo sono del resto possibili, anzi auspicabili, anche per altre parti, che hanno inevitabilmente risentito della concentrazione dei tempi di lavoro, soprattutto nell'esame degli emendamenti.
Le novità introdotte riguardano: obbligo della previa fissazione dei limiti massimi dei saldi di bilancio e della determinazione di limiti per il ricorso all'indebitamento; affermazione generalizzata del principio della compensazione; favor per il controllo di efficienza e di economicità; precisazione dei limiti per nuove spese e nuove entrate con riferimento alla copertura per l'intero periodo di applicazione e al rispetto dei limiti per il ricorso all'indebitamento autorizzati con la legge di approvazione del bilancio; il Governo può opporsi a emendamenti che comportano nuovi o maggiori oneri, anche se provvisti di copertura, e in tal caso la Camera può approvarli solo a maggioranza assoluta dei componenti.
È da segnalare la posizione di numerosi commissari favorevoli ad escludere del tutto il potere parlamentare di modificare il bilancio in caso di opposizione del Governo, nella convinzione che a quest'ultimo debba essere attribuita interamente la responsabilità della formazione (e non soltanto della gestione) del bilancio stesso.
11. Nel quadro di una funzione di controllo complessivamente potenziata con l'attribuzione del potere di inchiesta a iniziativa di minoranze qualificate nelle due Camere, il testo approvato specifica che alle sole commissioni d'inchiesta istituite presso il Senato sono attribuiti gli stessi poteri - con relative limitazioni - dell'autorità giudiziaria. Ad avviso della relatrice, poiché siffatti poteri qualificano le commissioni parlamentari d'inchiesta segnando il punto di distinzione tra inchieste e indagini conoscitive, la differenziazione sotto questo profilo delle due Camere, voluta dalla Commissione, impone una riformulazione dell'intero articolo in modo da eliminare ogni riferimento - divenuto tecnicamente inappropriato - a commissioni d'inchiesta da istituirsi dalla Camera dei deputati.
12. Del tutto coerente, infine, appare la riserva al Senato, proprio in considerazione dell'assenza del rapporto politico di fiducia, delle nomine di attribuzione parlamentare, comprese quelle - previste per la prima volta - delle autorità di vigilanza e di garanzia; nonché i pareri parlamentari, da esprimere in seduta pubblica della commissione competente, richiesti dalla legge sulle nomine, proposte o designazioni di competenza del Governo. Da sottolineare il rinvio alla legge bicamerale per la determinazione delle nomine sulle quali è richiesto il parere e di quelle da rimettersi invece alla esclusiva responsabilità del Governo.
13. Alle disposizioni sul Parlamento seguono tre articoli con i quali la Commissione intende dare copertura costituzionale al processo di integrazione europea, collocandosi da un lato nel solco di una tradizione europeistica che connota la nostra cultura politica fin dal Risorgimento, dall'altro lungo una strada già percorsa negli ultimi anni da molti paesi dell'Unione.
Compiuta la precisa scelta di non costituzionalizzare alcuno dei contenuti dei trattati istitutivi delle Comunità e dell'Unione, perchè coincidenti spesso con la determinazione di obiettivi di politica economica e di politica istituzionale collegati alle fasi del progressivo sviluppo della Unione europea e quindi costantemente modificabili, si sono cercate formule elastiche che assicurino strumenti per un adeguamento continuo dell'ordinamento a un processo politico-istituzionale che è per sua natura estremamente dinamico, garantendo tuttavia in ogni momento il rispetto e la salvaguardia dei principi fondamentali.
L'articolo 116 reca dunque l'affermazione solenne della partecipazione dell'Italia al processo di integrazione europea, in condizioni di parità con gli altri Stati e nel rispetto dei principi supremi dell'ordinamento e dei diritti inviolabili della persona; il favor costituzionale per lo sviluppo dell'Unione è collegato esplicitamente all'ordinamento della stessa secondo il principio democratico e il principio di sussidiarietà. Acquisite le limitazioni di sovranità finora poste mediante la ratifica dei trattati istitutivi delle Comunità e dell'Unione (autorizzata in passato con legge ordinaria e quindi con qualche forzatura interpretativa dell'articolo 11 della Costituzione vigente), si stabilisce una procedura rinforzata (maggioranza assoluta di ciascuna Camera e soggezione a referendum abrogativo) per l'introduzione di ulteriori limitazioni.
All'articolo 117 si afferma con chiarezza il potere di indirizzo delle Camere in ordine alla politica comunitaria, alla revisione dei trattati, al concorso del Governo alla normazione europea; si prevede inoltre il parere obbligatorio del Senato sulla designazione governativa dei rappresentanti italiani nelle istituzioni europee.
L'articolo 118 regola, infine, la partecipazione delle Regioni alla determinazione e all'attuazione delle politiche comunitarie nelle materie ad esse attribuite, nonché il potere sostitutivo del Governo sia in vista delle conseguenti responsabilità dell'Italia, sia a tutela degli ambiti di potestà regionale eventualmente lesi da atti dell'Unione europea.
Marida DENTAMARO, relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea.
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