Il Patto di stabilità per l’Europa sud-orientale


Varsavia, 03/25/2000


*** Riunione dei Presidenti dei Parlamenti degli Stati membri dell''Iniziativa Centro-Europea (InCE) ***


Il Patto di stabilità è sorto per iniziativa dell’Unione europea, nel Consiglio europeo di Colonia del 10 giugno 1999, ed è stato successivamente posto sotto l’egida dell’OSCE. Ad esso hanno aderito:
- i 15 Stati membri della stessa Unione;
- la Commissione europea;
- tutti gli Stati della regione, ad eccezione della Federazione Jugoslava, e cioè Albania, Bosnia, Bulgaria, Croazia, Ungheria, Romania, Slovenia, Macedonia e Turchia;
- la Federazione Russa;
- gli Stati Uniti d’America;
- il Canada;
- il Giappone;
- alcune organizzazioni internazionali (OSCE, Consiglio d’Europa, ONU, UNHCR, NATO, OCSE, UEO);
- alcune istituzioni finanziarie internazionali (FMI, Banca mondiale, BEI, BERS);
- ed infine alcune organizzazioni regionali (Processo di Royaumont, BSEC-Cooperazione economica del Mar Nero, INCE, SECI-Iniziativa per la cooperazione per il sud-est europeo, SEECP-Processo di cooperazione nel sud-est europeo).
Partecipano anche, in qualità di osservatori, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Moldavia, Polonia, Slovacchia, Svizzera e Ucraina.

Il Patto di stabilità ha ricevuto un forte sostegno da parte del G8, espresso nella Dichiarazione di Colonia del 20 giugno.
Un altro passaggio significativo è stato rappresentato dal Vertice dei Capi di Stato o di Governo dei Paesi partecipanti e dei responsabili delle Organizzazioni internazionali aderenti al Patto, svoltosi a Sarajevo il 30 luglio e conclusosi con la adozione di una articolata Dichiarazione di intenti.

Con questo patto i paesi sottoscrittori si impegnano non solo ad agire nella grave situazione dell’area, ma anche a prevenire ulteriori danni che, senza un intervento di questo genere si verificherebbero certamente, dato il potenziale di crisi insito nella regione.
Al centro degli sforzi di stabilizzazione c’è un’area che comprende 25 milioni di abitanti ed un PNL complessivo di circa 50 miliardi di Euro nel 1998, pari a circa lo 0,7% del PNL dell’UE, pari a quello della Grecia.
Tra il 1991 ed il 1996 l’UE ha già speso oltre 4,5 miliardi di Euro in aiuti ai cinque paesi della regione e per il periodo 2000-2006 intende mettere a disposizione un importo di circa 5,5 miliardi di Euro oltre ai 6,2 miliardi di Euro destinati alla Romania e alla Bulgaria.
Al fine di contribuire alla realizzazione degli obbiettivi del processo di stabilizzazione, l’Unione Europea concepisce il proprio intervento nella prospettiva dell’integrazione futura di questi Paesi nelle strutture dell’UE.


I soggetti partecipanti si sono impegnati a lavorare insieme per accelerare la transizione della regione verso democrazie stabili, economie di mercato prospere e società aperte e pluralistiche, in cui siano rispettati i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, compresi i diritti delle minoranze.
E’ inoltre tenuta presente la prospettiva dell’integrazione nelle strutture euro-atlantiche, s’intende per i Paesi che la perseguono.

Per il raggiungimento degli obiettivi del Patto, è stata creata una Tavola regionale per l’Europa sud-orientale, presieduta da un Coordinatore speciale nominato dall’UE d’intesa con l’OSCE (il tedesco Bodo Hombach).
La Tavola regionale agisce come organo direttivo del processo di cooperazione.
Nella sua prima riunione, svoltasi a Bruxelles il 16 settembre, essa ha approvato il Work Plan predisposto da Bodo Hombach, che fornisce il quadro di riferimento complessivo delle iniziative. Il Work Plan è stato poi presentato al Vertice OSCE di Istanbul del 19 novembre, cui ha fatto seguito - nella riunione del Consiglio permanente della stessa OSCE svoltasi il 16 marzo a Vienna - l’adozione di una strategia regionale per l’Europa sud-orientale.
Anche l’INCE ha elaborato una strategia intesa a sostenere il Patto di stabilità, coordinandola con il proprio Piano di azione per il 2000-2001.

La Tavola regionale deve garantire il coordinamento di tre Tavole di lavoro settoriali, che corrispondono alle principali direttrici del Patto:
- democratizzazione e diritti umani (I);
- ricostruzione economica, sviluppo e cooperazione (II);
- sicurezza (III).
Le seconda e la terza tavola di lavoro sono presiedute, rispettivamente, dall’italiano Fabrizio Saccomanni e dallo svedese Jan Eliasson.
La presidenza della prima tavola non è stata ancora attribuita in via definitiva.
La prima Tavola di lavoro si è riunita a Ginevra il 18/19 ottobre e poi a Budapest il 20/21 febbraio.
La seconda si è riunita a Bari il 9 ottobre ed a Skopje il 10/11 febbraio.
La terza si è riunita ad Oslo il 13/14 ottobre e a Sarajevo il 15/16 febbraio.
In occasione delle loro riunioni inaugurali, le tre Tavole di lavoro hanno individuato, ciascuna per la parte di propria competenza, le grandi priorità strategiche al conseguimento delle quali dovranno mirare gli interventi finanziati dai donatari.
La Tavola di lavoro sulla democratizzazione e i diritti umani ha incentrato la sua attenzione sui seguenti temi: diritti umani e minoranze nazionali; creazione di “ombudsmen”; ritorno dei rifugiati e dei profughi; cooperazione parlamentare; buon governo; pari opportunità fra i sessi; indipendenza dei mezzi di informazione; riforma dei sistemi educativi.
La Tavola di lavoro sulla ricostruzione economica, lo sviluppo e la cooperazione ha individuato le seguenti priorità: creazione di un’area di libero scambio; sviluppo del settore privato; miglioramento della rete dei trasporti e delle infrastrutture; lotta alla corruzione. La Tavola ha inoltre varato, nella sua seconda riunione, una Carta per gli investimenti per l’Europa sud-orientale, che tiene conto della situazione specifica di ogni Paese.
La Tavola di lavoro sulla sicurezza si è occupato dei seguenti temi, nel quadro di un approccio integrato a livello regionale: crimine organizzato e corruzione; emigrazione; polizia e riforma giudiziaria; controllo e non proliferazione degli armamenti; prevenzione dei conflitti e gestione delle crisi.

Il prossimo importante appuntamento del processo di attuazione del Patto è rappresentato dalla Conferenza di finanziamento, che avrà luogo il 29 marzo a Bruxelles.
Saranno sottoposti alla Conferenza progetti di interventi in grado di essere realizzati entro i prossimi dodici mesi (quick start projects), per un ammontare complessivo di oltre 1.500 milioni di euro, di cui oltre la metà già coperta. Vi è inoltre un ulteriore pacchetto di progetti realizzabili in tempi più lunghi, per un valore superiore ai 2.700 milioni di euro, già finanziati per poco meno della metà.
La Conferenza di Bruxelles costituisce quindi il momento nel quale il meccanismo di attuazione del Patto di stabilità entrerà nel vivo e può cominciare a produrre iniziative concrete.

Il Patto di stabilità rappresenta senza dubbio un progetto di grande respiro, con il quale la comunità internazionale ha inteso affrontare globalmente i problemi di un’area di grande importanza per l’avvenire dell’Europa e del mondo. Gli obiettivi del Patto sono sicuramente ambiziosi e di non facile perseguimento. La loro realizzazione, tuttavia, è condizione indispensabile perché in futuro i confini politici dell’Europa possano coincidere con quelli geografici.

La cooperazione tra un grande numero di Stati e di Organizzazioni internazionali è la cornice più idonea, ma potrebbe rivelarsi non sempre agevole.
I rischi da evitare sono la proliferazione delle strutture burocratiche e, soprattutto, la dispersione dei fondi erogati in interventi che non innestino un processo di sviluppo sinergico.
Queste preoccupazioni sono state espresse dalla Commissione per le questioni politiche dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, riunitasi a Sofia il 25 novembre.
Javier Solana ha presentato in questi giorni al vertice di Lisbona un documentato rapporto sul problema del coordinamento degli interventi e sul conseguente pericolo della lentezza operativa. Esiste una molteplicità di centri e manca il necessario raccordo tra le diverse istanze.
L’impegno dell’Europa è massiccio ma soffre di una carenza di visibilità dovuta alla dispersione delle risorse tra diversi e non coordinati programi.
A conclusione della riunione, i Capi di Stato e di Governo dei Quindici hanno concordato con i rilievi formulati dall''Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell''U.E., al quale hanno ritenuto di assegnare un ruolo più penetrante nel coordinamento delle politiche europee e degli aiuti internazionali per l''area balcanica.
Le misure per la ricostruzione dell’Europa sud-orientale debbono in effetti poter dare a breve scadenza i primi risultati, assicurando alle popolazioni della regione condizioni minime di benessere e di fiducia, perché anche il processo di democratizzazione possa poggiare su basi più salde.

L’efficacia degli interventi è comunque innanzitutto legata al pieno ristabilimento della pace della regione. Malgrado gli sforzi della comunità internazionale, dall’area del Kosovo giungono ancora segnali preoccupanti.
Se è vero, infatti, che la ricostruzione comincia a dare i primi frutti, come ha sottolineato in una recente intervista il governatore ONU Bernard Kouchner, persiste tuttavia un clima di intimidazione e di violenza, con il rischio che si dia luogo ad una pulizia etnica in direzione inversa rispetto a quella praticata prima dell’intervento militare.
E’ inoltre necessario che il Patto riguardi la regione nella sua interezza.
Lo stesso testo del Patto prevede, a tal fine, che la Federazione Jugoslava possa essere in futuro accolta come partecipante a pieno titolo, a condizione che rispetti i princìpi e gli obiettivi del Patto medesimo.
Inoltre, il Patto contempla la possibilità che il Montenegro divenga beneficiario immediato degli interventi, nel rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale della Federazione Jugoslava. Le iniziative messe in campo in vista della democratizzazione della vita politica della Federazione Jugoslava non hanno finora dato i frutti sperati. Si pone pertanto il problema di un ripensamento di tale strategia.

Il Patto di stabilità non è un trattato internazionale e non è, pertanto, sottoposto alla ratifica da parte dei Parlamenti dei Paesi partecipanti. I Parlamenti sono tuttavia chiamati a svolgere, sotto diversi punti di vista, un ruolo di primaria importanza.
Essi debbono infatti, in primo luogo, controllare costantemente e stimolare l’azione dei rispettivi Governi relativa all’attuazione del Patto. La Dichiarazione di Sofia della Commissione per le questioni politiche dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, già citata in precedenza, sottolinea efficacemente questo aspetto, sottolineando la necessità che i Governi forniscano ai loro Parlamenti tutte le informazioni necessarie sulle attività delle Tavole di lavoro.
I Parlamenti debbono inoltre cooperare tra loro in vista del rafforzamento delle istituzioni rappresentative e, più in generale, dei fondamentali meccanismi della vita democratica, nei Paesi della regione.
La Tavola di lavoro sulla democratizzazione e i diritti umani ha riconosciuto l’importanza della cooperazione parlamentare, che potrà efficacemente svilupparsi nell’ambito e per impulso delle organizzazioni regionali, quale in primo luogo la Dimensione parlamentare dell’INCE. In quest’ottica, è stata promossa una Conferenza sul ruolo e l’istituzione dell’Ombudsman, che avrà luogo a Praga il 27 e 28 aprile prossimi, ed è stata inoltre avanzata la proposta di una Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti di tutti i Paesi partecipanti al Patto di stabilità, che dovrebbe svolgersi a Zagabria nel corso di quest’anno.
A questa cooperazione nell’ambito dell’INCE la Camera dei deputati italiana ha dato – e continuerà a dare – un deciso sostegno. Ne costituiscono significativa testimonianza non solo l’intensificazione dei rapporti bilaterali con numerose Assemblee parlamentari dell’area, ma anche la promozione delle Dimensioni parlamentari dell’Iniziativa trilaterale (Italia, Slovenia e Ungheria) e dell’Iniziativa quadrilaterale (Albania, Bulgaria, Italia e Macedonia). Tra le finalità che le Dimensioni parlamentari di tali Iniziative si sono prefisse assumono particolare rilievo l’integrazione dei Paesi interessati nel contesto euro-atlantico; la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, come previsto dalla Carta di Trieste; la cooperazione al fine di esercitare un controllo sul finanziamento e la messa in opera da parte dei Governi delle infrastrutture necessarie per la realizzazione, rispettivamente, dei Corridoi paneuropei n. 5 e n. 8. Le Commissioni competenti in materia di trasporti delle Assemblee parlamentari aderenti alla Quadrilaterale si sono riunite a questo fine a Bari il 12 novembre scorso ed hanno adottato un documento comune, nel quale si stabilisce di dare vita a forme periodiche di coordinamento relativamente alla realizzazione del Corridoio n.8.

Un problema a latere, ma davvero drammatico, riguarda lo sminamento. Le mine antiuomo sono rimaste nei vecchi campi di battaglia, ma anche nei villaggi, nei campi, lungo i fiumi e, a volte persino nei giardini delle abitazioni. Esse colpiscono la popolazione civile e soprattutto i bambini. La presidenza finlandese e la Commissione europea nel loro rapporto al Consiglio, presentato ad Helsinki nel dicembre 1999, hanno segnalato la necessità di attuare una strategia umanitaria integrata in materia di sminamento. La Commissione si è impegnata a stanziare almeno 15 milioni di Euro per attrezzature di sminamento particolarmente sofisticate ed adatte al tipo di mine presenti nella regione. Peraltro a partire dal 1996 la Commissione ha già stanziato circa 20 milioni di Euro per contratti di sminamento in Bosnia-Erzegovina e Croazia.

Cari colleghi,
I Parlamenti rappresentano i popoli nella loro interezza, in quanto danno voce – a differenza dei Governi – sia alla maggioranza che all’opposizione.
Essi, pertanto, possono integrare positivamente l’azione dei governi nel coinvolgimento responsabile dell’opinione pubblica dei Paesi interessati, donatari e beneficiari, intorno agli obiettivi del Patto di stabilità. Ci sono tre terreni specifici, in questo impegno: la lotta alla corruzione, al riciclaggio ed alla criminalità organizzata ( ci è preziosa a questo proposito la relazione della professoressa Alicja Grzeskowiak); il rafforzamento delle istituzioni parlamentari e dei processi di produzione delle leggi; il rafforzamento dell’attività di controllo democratico sui governi.
Il pieno sviluppo dell’economia, del benessere civile e delle istituzioni democratiche nei Paesi della regione rappresentano le condizioni necessarie perché questi ultimi possano davvero essere protagonisti del processo di stabilizzazione dell’Europa sud-orientale, come è previsto esplicitamente dallo stesso Patto di stabilità.
I nostri paesi, con l’Unione Europea, sono chiamati ad una grande prova, in particolare attraverso il coordinamento di tutte le iniziative e la costituzione per ciascun settore di intervento di .una sorta di sportello unico, per ridurre il peso delle burocrazie, ridurre i costi di gestione ed aumentare l’efficienza degli interventi.

Dall’esito del patto di stabilità dipende l’identità dell’Europa dei prossimi anni, la sua capacità di essere protagonista delle grandi scelte politiche che condizioneranno la vita del mondo, la stessa credibilità delle nostre comuni istituzioni democratiche.