Commemorazione dell''onorevole Nilde Jotti


Roma, 12/09/1999


*** Commemorazione in Aula ***


Voi tutti comprenderete lo stato d’animo di chi ricorda Nilde Jotti da questo che fu il suo banco per tredici anni di seguito, il più lungo periodo mai ricoperto da un presidente nell’età repubblicana.
E quelli di voi che l’hanno conosciuta sanno quanto la sua sobrietà si sentirebbe offesa da un ricordo prolisso.

Ringrazio le molte migliaia di cittadini comuni che sono venuti a renderle omaggio; è stato un lungo interminabile corteo; ringrazio in particolare le ragazze ed i ragazzi che sono stati una parte rilevante di quel corteo.
Ringrazio tutta l’amministrazione della Camera, che ha perfettamente compreso come questa era un’occasione non puramente formale per un rapporto tra istituzione parlamentare e popolo. Ringrazio in particolare i commessi, che hanno accolto i cittadini con impegno professionale e grande civile cortesia.
L’uno e l’altro fatto ci aiutano a sfatare due luoghi comuni; quello di una burocrazia sempre inefficiente e quella di una cittadinanza sempre lontana dalla politica.
La burocrazia di questa Camera, ma non è questa la sola, è efficiente ed ha senso dello Stato.
I cittadini non sono lontani dalla politica; sono lontani da quei politici dai quali non si sentono rappresentati. Quando incontrano chi, come la presidente Jotti, li rappresenta con autorevolezza, fratellanza e dignità, il rispetto e la partecipazione nascono spontanei.

Commemorare vuol dire ricordare insieme; ma le commemorazioni sono anche un rischio perché chiudono il significato della vita di una persona in una gabbia di parole, che non rappresentano tutta quella persona, ma solo ciò che noi arbitrariamente vogliamo conservare di lei.
La ricordo negli ultimi suoi giorni di presenza in quest’Aula salire faticosamente quei gradini, appoggiandosi leggermente con la mano destra ai banchi, ma sempre con grande dignità e riserbo.
La ricordo nel suo primo discorso d’insediamento, che coincideva con i miei primi giorni in quest’Aula, con un viso luminoso come il suo abito, ed un’autorevolezza che le veniva dall’educazione e dalle difficoltà che aveva dovuto affrontare.

La sua vita ha attraversato tutte le età del cinquantennio repubblicano: gli anni della speranza dopo la Liberazione; gli anni di ferro della guerra fredda; gli anni del disgelo e poi quelli del sangue del terrorismo e della mafia; gli anni rapidi della crisi di una grande parte della classe dirigente dopo la caduta del muro di Berlino e poi quest’ultimo decennio, quando il silenzio è stato il suo abito, rotto raramente e solo per parole di saggezza, nei momenti più difficili.

Compagna di Togliatti nella vita, nella politica ha costruito un proprio autonomo ruolo di donna impegnata per la modernizzazione del suo Paese e del suo partito.
Soffrì per l’isolamento umano cui quella relazione, difficile per il bigottismo dei tempi e del suo partito, la condannò. Ma di quella sua sofferenza non fece mai trasparire alcunchè, mostrandosi sempre serena, costruttiva, impegnata.

Da presidente della Camera, prima donna, diresse l’Aula con autorevolezza, anche con durezza a volte, come può essere necessario, sempre con imparzialità.
Fu forte donna di parte eppure tutti hanno riconosciuto la sua imparzialità. Non è una contraddizione. Quando l’essere di parte significa schierarsi non per convenienze, ma per ideali, la dimensione del dialogo acquista un peso maggiore rispetto allo scontro ed è conseguentemente inevitabile che si cerchi la verità senza pretendere di imporla.

La sua imparzialità non fu mai neutralità.
Mantenne sempre forte la fiducia nelle sue idee, ma non le usò per piegare le ragioni degli altri; anzi disse una volta da questo seggio: “Ho imparato che fare politica significa sforzarsi di capire le ragioni degli altri.” E praticò questa massima nell’esperienza quotidiana di presidente.

In un mondo maschile come quello parlamentare, seppe essere profondamente donna, introducendo per la prima volta in quest’Aula con la sua naturale autorevolezza il valore della differenza tra donne e uomini. Anzi proprio la sua esperienza ci deve far riflettere, al di là delle parole di circostanza, di quanto monca sia la rappresentanza nazionale del nostro parlamento se le donne, che rappresentano il 50% della comunità nazionale, qui ne costituiscono meno del 12%. Nel quadro delle riforme, questo non può essere considerato un intervento di complemento, da fare con dibattiti frantumati ed affidati solo alle donne, con un’apparenza di visibilità ed una sostanza di delega un po’ annoiata ed un po’ maschilista.
La rappresentanza delle donne in parlamento ed in tutte le assemblee elettive attiene alla stessa capacità delle istituzioni di rappresentare e decidere in termini generali.

Nilde Iotti fu esigente con sé stessa, con il suo partito, con il suo gruppo parlamentare. A volte questo atteggiamento, quando proviene da questo seggio, appare una fastidiosa azione di conquista di favore da parte degli avversari.
In lei, questo atteggiamento, come è stato ricordato in quest’Aula da un nostro collega presidente di gruppo, era dettato da un sentimento di amore esigente.
Le persone rigorose non sono indulgenti con quelli che amano e Lei chiedeva al suo gruppo il massimo di rigore, il massimo di senso dello Stato e di senso delle istituzioni.

Con la sua storia personale avrebbe potuto costruire una propria comoda immagine di custode inflessibile della tradizione.
Ma non si abbandonò a questa banalità.
Sostenne invece la modernizzazione, nella vita politica come in quella istituzionale.
Da dirigente politico sostenne la rottura con l’esperienza comunista che il suo partito avviò prima della caduta del muro di Berlino e portò a termine pochi mesi dopo.
Lei che era nata alla politica nel sistema proporzionale, si battè per il referendum maggioritario e per tutte le riforme che avessero dato al Paese stabilità e trasparenza.
Nel suo secondo discorso di insediamento del 12 luglio 1983, affermò: “Nessuno più di me ha maturato il convincimento della necessità di riforme che rendano il governo efficiente, stabile, forte…” e poi aggiunse“ …Per conseguire questo fine occorre che il Parlamento sappia dare efficienza moderna al suo funzionamento.”
Fu lei, d’altra parte, ad avviare il processo di modernizzazione delle regole di questa Camera, con la riduzione del voto segreto e l’avvio di coraggiose interpretazioni che avrebbero aperto la via alle riforme successive.
Da presidente della Commissione per le riforme istituzionali, presentò nel dicembre 1993 la relazione al Parlamento nella quale proponeva di concentrare l’attenzione sul consolidamento dei poteri del Governo in Parlamento e la sfiducia costruttiva. Quel testo non fu esaminato dall’Aula per lo scioglimento anticipato delle Camere; ma fu uno dei documenti base per i lavoro della commissione bicamerale presieduta dall’attuale presidente del consiglio.

Dedicò il suo ultimo intervento alla Camera proprio alle riforme.
“Oggi alle soglie del nuovo millennio, disse iniziando il suo discorso, vi è una crisi costituzionale che seppure in forme ed intensità varie, riguarda tutti i paesi democratici, all’est come all’ovest, tutti alle prese con il grande tema del rinnovamento delle istituzioni. Ciò perché esse possano mantenere e sviluppare il rapporto democratico, il rapporto con il cittadino, ed impedire così nuove forme di autocrazia: del potere militare, della moneta, del sapere tecnologico, dell’informazione.”.
Era la stessa grande preoccupazione dei democratici contemporanei: come evitare che le democrazie si trasformino in oligarchie. Come realizzare riforme per riprodurre in forme nuove i tre basilari principi dei regimi democratici: la rappresentanza dei cittadini, la controllabilità degli atti, la responsabilità delle persone investite di funzioni pubbliche.

Molti hanno detto che la sua vita politica, dall’Assemblea Costituente sino a ieri, ha coinciso con la vita della Repubblica. Ed è vero.
Penso che non sia qui, in questo dato puramente storico, l’essenza della vita di Nilde Jotti.
Lei ha rappresentato, forse più di qualunque altra personalità della sua generazione, nella vita politica, i valori di laicità, rigore, solidarietà che sono i valori propri della Repubblica.
La coincidenza, quindi, non è con il tempo della Repubblica, ma con i valori della Repubblica.

Abbiamo parlato di Nilde Jotti in quest’Aula solo poche settimane fa, quando aveva presentato le sue dimissioni da parlamentare non sentendosi più in grado di seguire i lavori dell’Aula.
E’ stato l’ultimo nobile gesto di una vita coerente.

Noi salutiamo questa sera Nilde Jotti, come una delle grandi donne della Repubblica, dura e dolce, come dura e dolce è stata la nostra storia; non simbolo né testimone, ma protagonista dei suoi anni; esigente con gli amici più che con gli avversari; imparziale senza essere neutrale.
La salutiamo come donna che ebbe il coraggio dei suoi sentimenti, la salutiamo come signora laica di una Repubblica che concorse a costruire nelle sue istituzioni, a difendere nei suoi valori, a rappresentare nella sua dignità.