Commemorazione dell''onorevole Bettino Craxi


Roma, 01/20/2000


*** Commemorazione in Aula ***


La morte, nella maggior parte dei casi, porta ordine e pace nelle vite che spegne.
Non è così per Bettino Craxi.
Non è così per i suoi familiari, che l’hanno visto spegnersi lontano dalla sua città e dal suo Paese. Con l’animo dell’esule, ma con un diverso statuto giuridico.
Non è così per i militanti del suo partito che pagano ancora oggi i prezzi di una stagione di governo che finì nell’ isolamento.

Non è così per noi, che abbiamo visto Bettino Craxi trionfatore indiscusso prima e sconfitto irrimediabile poi, senza essere ancora riusciti ad esaminare con pienezza d’impegno e spirito di verità né le ragioni del successo né le cause della disfatta.

Non c’è pace oggi attorno alla figura di Bettino Craxi.
Ma non ci dev’ essere neanche una corsa allo smembramento della sua memoria, con ciascuno che si appropria di un pezzo della sua vita per renderlo simbolo del tutto.
La vita di ciascuno di noi non è scindibile.
A maggior ragione non è scindibile la vita di chi ha rivestito funzioni di uomo di Stato e di governo. Alla fine l’apparente disordine, la contraddittorietà dell’esperienza si ricostruiscono nella memoria e nella storia in una unità superiore. Ma oggi non siamo ancora in grado di ricostruire questa unità, questo senso compiuto. Perché la sua morte non è un’uscita di scena; anzi pone più interrogativi oggi di quanti non ne abbia posti ieri.
Oggi siamo in grado solo di ricostruire i singoli aspetti di un’esperienza umana e politica di straordinaria intensità e tragicità, della quale molti di noi sono stati spettatori o partecipi.
Quegli aspetti sono come frammenti di uno specchio rotto che è diverso da noi ma riflette e moltiplica aspetti dell’immagine di noi stessi.

Il suo primo grande successo politico fu segnato dalla vittoria nel referendum sulla scala mobile. Il suo declino cominciò con la sconfitta in un altro referendum, quello sulla preferenza unica.
Trasse la sua legittimazione prima che dalla lotta politica dalla capacità di dare un senso di marcia agli orientamenti della società. La sua sconfitta nacque forse dalla perdita di questa capacità, offuscata da un esercizio del potere fondato su un’idea dell’autonomia della politica dalla società che la società stessa non condivideva più, anzi ormai respingeva.

La sua stagione politica inizia dopo un fatto tragico, la scomparsa di Aldo Moro e termina dopo un avvenimento liberatorio, la caduta del muro di Berlino.
La prigionia di Aldo Moro lo pose al centro della scena politica con la linea della trattativa.
Fui tra quelli che avversarono quella scelta e non ho mutato opinione.
Ma su quella scelta, che in astratto era certamente legittimo proporre, egli iniziò a maturare una svolta strategica nella vita politica italiana che, come tutte le grandi scelte, aveva alla sua base anche un’opzione teorica.
L’opzione era la modernizzazione del Paese attraverso la modernizzazione della vita politica e del sistema politico, compressi dal conservatorismo delle due maggiori forze politiche, prigioniere di un ruolo che sarebbe risultato senza futuro.
La rottura dell’asse tra DC e PCI, l’isolamento del PCI, il rapporto egemonico con la DC, l’idea del presidenzialismo, l’abolizione del voto segreto in Parlamento, la ricerca di una identità socialista non subalterna all’identità comunista, un diverso rapporto con la destra, la consapevolezza della incipiente crisi dei partiti politici ed il conseguente tentativo di sostituire il primato del partito con il primato della leadership personale, furono i principali elementi di questa strategia.
La fine dei regimi comunisti cambiò radicalmente la scena politica internazionale, tolse alibi, smascherò tragedie.
Non so se egli colse gli effetti interni del mutamento delle condizioni nelle quali la politica italiana aveva operato per quasi mezzo secolo.

Negli anni Ottanta si trovò a gestire la sua strategia stretto tra un disegno troppo ambizioso ed un partito troppo piccolo.
Scelse l’esercizio del potere al fine di acquisire il consenso necessario per operare senza subalternità le grandi trasformazioni istituzionali; ma rimase prigioniero di questa scelta sino a restarne la vittima più illustre.
Sul piano internazionale fece valere in tempi non facili l’autonomia dell’Italia rispetto agli Stati Uniti; appoggiò in modo prudente ed efficace la causa del popolo palestinese, che ancora oggi gli è riconoscente; costruì un forte ruolo dell’Italia in tutto il bacino del Mediterraneo.

Fu violentemente sincero quando in quest’Aula pose la questione del finanziamento della politica. Il tema esiste e permane grave in tutte le democrazie, sia pure in forme diverse e con diversi gradi di responsabilità.
Abbiamo bisogno di affrontare con spirito di verità il rapporto tra legalità, corruzione e democrazia. Ci stiamo dando gli strumenti per farlo.

La scomparsa di un uomo chiude le partite aperte.
La tentazione di calare il sipario, pronti alla recita del giorno dopo, può far aggio su tutto.
Questa volta non può essere così.
E’ stato sottoposto a legittimi processi.
Non possono essere ignorate le sue condanne penali.
Pesa la scelta di sottrarsi ai giudici del suo Paese.
E tuttavia il senso complessivo della sua vita non può essere attinto né solo da quei processi né sole da quelle condanne né solo da quella scelta.
La morte di un uomo così complesso, oggetto di tanti odi e di tanto affetto, simbolo di sentimenti profondamente contraddittori, destinatario di apologie e di tradimenti come forse nessun altro italiano della nostra epoca, non è una porta che si chiude.
E’ una porta che si apre su un decennio di storia repubblicana, che auspico il Parlamento possa esaminare con l’oggettività e la serietà impostaci da questa stessa morte.

Con rispetto saluto la sua scomparsa; con rispetto partecipo al dolore della signora Anna, dei figli e dei suoi familiari; con rispetto mi sento vicino ai sentimenti del suo partito e degli italiani che sono stati dalla sua parte.