Modernità e democrazia


Palermo, 01/12/1998


***Lezione tenuta al Corso di formazione politica promosso dall''Associazione Nuova Generazione"***


1) Questo corso di formazione politica ha l’obbiettivo di fornire alcuni criteri interpretativi della realtà contemporanea.

Verranno presentati alcuni dei possibili criteri interpretativi. Né il comitato scientifico né gli studiosi che prenderanno la parola hanno la presunzione di illustrare verità totali.

Non perché riteniamo che non ci siano verità; ma perché la lettura dell’esperienza di questo secolo, mette in luce i terribili rischi connessi alla proposizione politica di verità totali ed abbiamo pensato che questo corso dovrebbe distinguersi per la capacità di proporre strumenti, non fini. Sulla base di questi strumenti ciascuno potrà costruire la propria gerarchia di valori e quindi le proprie verità o, se si preferisce, avvicinarsi ad una verità.

Abbiamo sentito, nel gruppo di persone che fanno parte del comitato scientifico, l’esigenza di contribuire alla formazione di una classe dirigente per questa regione, a partire dalla sua capitale.

A Palermo, e più in generale in Sicilia, da alcuni anni comincia a manifestarsi, specie nelle generazioni più giovani, il senso di essere classe dirigente. Ma forse mancano gli strumenti teorici che consentono di trasformare questo che è un semplice sentimento in azione coerente e permanente.

Ciò che caratterizza una classe dirigente è la comprensione dei problemi del proprio tempo e lo sforzo di affrontarli e risolverli. Mi riferisco alla capacità di individuare i problemi, di comprenderne la natura, di coglierne le reciproche dipendenze e, infine, le loro caratteristiche strutturali, quali sono cioè i dati quantitativi e qualitativi che li caratterizzano.



2) La chiave scelta è stata la modernità.

In “Parigi, capitale del XIX secolo” Walter Benjamin scrive:

“Non c’e’ mai stata un’epoca che non si sia sentita, nel senso eccentrico del termine, moderna...Ogni epoca si presenta irrimediabilmente moderna.” Tuttavia ogni modernità è diversa da quelle che la hanno preceduta.

In altre parole potremmo dire che moderno e’ il modo in cui ciascuna fase della storia dell’umanita’ si presenta davanti ai suoi contemporanei.

Tuttavia nella storia della cultura la modernita’ e’ una precisa fase storica nella quale cio’ che accade si contrappone in modo particolarmente consapevole a quanto e’ esistito sino a quel momento.

Tutte le volte che la modernità si è affacciata nella storia di un villaggio o del mondo, essa si è presentata con i caratteri della velocità, della compressione dello spazio e del tempo, con la possibilità di fare più cose nel tempo che ieri permetteva di farne meno e di connettere luoghi e spazi prima lontani ed incomunicabili.

In questa accezione moderno si contrappone a tradizionale.

La societa’ tradizionale era dominata da ritmi costanti e ripetitivi, dal culto della memoria e dal senso della storia, da gerarchie consolidate e modificabili solo attraverso procedure determinate, da ruoli sociali fissi e predeterminati. Prudenza, calcolo minuzioso del rischio del cambiamento, lentezza sono le caratteristiche permanenti della societa’ tradizionale.

Anche oggi, nelle aree del nostro Paese meno investite dai processi di modernizzazione, tanto nel Sud quanto nel Nord, penso ad alcune vallate alpine, la societa’ ha questo carattere di lentezza, ripetitivita’, fissita’ dei ruoli sociali.

In Europa la societa’ tradizionale e’ stata prima sconvolta e poi distrutta da alcuni processi economici e politici che cominciano alla fine del settecento, in Inghilterra con la rivoluzione industriale e in Francia con la rivoluzione politica.





Le date della modernità oscillano paurosamente.

Alcuni la fanno risalire alla caduta di Costantinopoli o alla rivoluzione francese, o al Congresso di Vienna. Secondo i più l’età moderna sarebbe cominciata alla fine Quattrocento e l’età contemporanea o post-moderna sarebbe iniziata in questo secolo con una fortissima accelerazione negli ultimi decenni. Altri ancora fanno riferimento alle due galassie quella di Gutenberg, la stampa, e quella dell’informatica; quest’ultima avrebbe segnato l’avvento di un’era del dopo, il post-moderno appunto.

Due autori americani che si sono occupati di questi problemi dal punto di vista politico, Steven Best e Douglas Kellner, hanno scritto: “Noi distinguiamo tra politica moderna caratterizzata dalla politica dei partiti, del parlamento, dei sindacati e politica “post-moderna” che si esprime attraverso una micropolitica con basi locali, pronta a sfidare un’ampia gamma di discorsi e le forme istituzionali del potere.”

In realtà le datazioni sono strettamente dipendenti dai punti di vista. A seconda che si sia in Europa o in America, se si è architetti o letterati o politici.

Dal punto di vista italiano e storico-politico si può forse mettere da parte la caduta di Costantinopoli e partire da avvenimenti più vicini.

Tento anch’io una periodizzazione.

Dopo la sconfitta di Napoleone e la firma del trattato di Vienna del 1815, sembro’ che la rivoluzione francese fosse stata archiviata e che la societa’ tradizionale avesse ripreso la suo antica e prerivoluzionaria arroganza.

Ma proprio in quegli anni lo sviluppo della rivoluzione industriale scardino’ quella societa’ ed avvio’ sulla strada della modernita’ prima l’Europa e poi il resto del mondo facendo tesoro, tra mille contraddizioni, anche dei valori di eguaglianza e di liberta’ propri della rivoluzione francese.

L’essenza della rivoluzione industriale sta nella sostituzione della forza fisica dell’uomo e degli animali con il lavoro delle macchine.

Comincia da quel momento una nuova fase della storia dell’umanita’, che ha avuto costi umani e sociali di tragica portata, basti solo pensare allo sfruttamento dei bambini nelle miniere o agli orari di lavoro di quattordici ore, ma anche acquisizioni straordinarie e definitive in termini di liberta’, diritti, eguaglianza, diffusione del benessere.

Con la rivoluzione industriale nasce la societa’ moderna.

Cambia il modo di lavorare e di produrre. La grande fabbrica con le sue centinaia o migliaia di lavoratori riuniti per produrre la stessa cosa nello stesso posto, con i suoi rumori e le sue ciminiere cambia la vita delle città’. La gente e’ costretta a spostarsi e si moltiplicano i mezzi di comunicazione; le merci si devono vendere nei mercati piu’ lontani e si sviluppano le relazioni commerciali internazionali; se le merci e le persone si spostano con velocita’ crescente, si spostano e viaggiano anche le idee, i libri, le arti. Nasce la metropoli, come essenza della velocita’, della interconnessione, della razionalita’.

Tutto il secolo diciannovesimo e buona parte del secolo ventesimo sono attraversati dalla velocita’ crescente delle persone, delle cose, delle idee, dalla instabilita’ delle gerarchie, dalla espansione dei diritti.

Il mondo aveva conosciuto in precedenza altri periodi di prosperita’ industriale - si pensi alla fine del medio-evo in Italia o nelle Fiandre- ma si trattava di un progresso fatto solo di quantita’ senza radicali mutamenti qualitativi, di valori. La Rivoluzione industriale, invece, inauguro’ un’avanzata cumulativa e autopropulsiva della tecnica e della ricerca scientifica le cui ripercussioni si avvertirono in tutti i campi dell’esperienza umana.

La modernita’ porta al trionfo della grandi razionalita’ unificanti. La grande fabbrica e’ in se’, per quei tempi, un deposito e un vivaio di razionalita’ produttiva ed organizzativa. Percio’ la modernita’ non e’ solo innovazione; e’ innovazione piu’ razionalita’ piu’ fiducia nelle forze dell’uomo e quindi nella storia.

In questa modernita’ crescono capitalismo e grandi organizzazioni dei lavoratori, partiti e sindacati. Modernita’ diventa informazione e comunicazione.

Modernita’ e’ ricchezza e complessita’ sociale. Modernita’ sono le metropoli, sorte proprio per effetto della rivoluzione industriale che porta a concentrare in uno stesso territorio le fabbriche, i mercati, le banche, gli operai, i padroni, la cultura, i luoghi del mercato e quelli dello Stato.

La fiducia nel progresso cresce, nonostante tutti i disastri, nell’arco del secolo e mezzo sopra richiamato. Le mutazioni radicali che toccano l’ambiente esterno, le forme mentali, la vita di relazione, lo stesso rapporto fisico tra l’uomo e le cose portano alla ricerca del nuovo nella letteratura, nelle arti, nel pensiero.

Adorno scrivera’ che la rottura con la tradizione per la ricerca del nuovo realizza anche una storica aspirazione della grande arte a sfuggire alla maledizione del “sempre uguale”.

Il moderno e’ anche rottura del sempre uguale.



4) Non so se nuovo e moderno possono essere usati come sinonimi. In caso positivo occorre togliere ad entrambi i termini qualunque significato di valore, qualsiasi connessione con i diritti e con il progresso. In questa accezione moderno è solo il diverso dal passato; ma non necessariamente è meglio del passato. Anche il fascismo e il nazismo si presentano davanti ai contemporanei come moderni ed innovatori. Ma si tratta di un modernismo reazionario, disgiunto dal rispetto della persona, e dal progresso civile.

Gia’ un secolo fa Baudelaire, Marx e Nietsche da punti di vita diversi avevano adottato una forte posizione critica verso cio’ che e’ nuovo, cogliendo che il nuovo ed il moderno non sono un valore in se’, ma solo mezzi che dovrebbero realizzare altri valori.



5) Nella fase che attraversa tutto il XIX secolo e va sino alla meta’ del XX il progresso e’ inteso, secondo quanto aveva avvertito in tempi non sospetti Descartes, come una linea retta lungo la quale l’uomo cammina, nella foresta della storia, superando gli ostacoli che via via gli si presentano davanti.

L’epoca del moderno e’ l’epoca delle avanguardie; il romanticismo, la scapigliatura, i poeti maledetti sono tutti movimenti che conseguono alla rottura con la tradizione e che cercano di mettersi in sintonia con quanto accade nel mondo e soprattutto con la velocita’ che e’ il carattere che piu’ colpisce i contemporanei. Il futurismo, in Italia, porta al parossismo la spinta verso il nuovo con la estremizzazione del nesso tra modernita’ e distruzione, con l’apologia della guerra e delle violenza, fino al matrimonio con il fascismo, che della guerra e della violenza appariva l’alfiere piu’ coerente.

Il fascismo appare moderno per la costruzione dello Stato etico, per la ridicolizzazione del voto e del Parlamento, nati nel secolo precedente, per le linee della sua architettura, per il senso di appartenenza nazionale che concede agli italiani, addirittura per la capacità di proporre la violenza e la guerra come mezzi di risoluzione dei conflitti.

Contro il fascismo fu moderna la lotta di Liberazione che portava con sé valori di rottura di quella esperienza, come la democrazia, i diritti dei lavoratori, il voto, il Parlamento, la Costituzione.

Fu straordinariamente moderno, poi, lo sforzo per la ricostruzione, dopo la guerra, che aveva distrutto il 65% del patrimonio industriale nazionale. Credo che questa fase ed i suoi protagonisti non siano stati studiati come meriterebbero.

Negli anni Ottanta apparve moderna la ridicolizzazione del Parlamento, Bettino Craxi lo definì “parco buoi”, della Costituzione, a volte anche la ridicolizzazione della legalità, che serviva da alibi per ciò che pezzi delle classi dirigenti stavano facendo nell’ombra. La disinvoltura amministrativa e contabile venne definita “cultura di governo” ed i non disinvolti erano definiti, conseguentemente, privi di cultura di governo.

Oggi è modernità il conferimento di maggiori e più incisivi poteri al voto dei cittadini, la costruzione della democrazia decidente, e di una società che includa e non escluda, l’ingresso in Europa, la rivisitazione del Mediterraneo.

Perciò, la vita di un Paese come il nostro può essere letta come un succedersi frenetico di diverse modernità, nel senso che ciascuna fase ha cercato di divorare quella precedente, negandone, a volte a ragione e a volte a torto, legittimità e respingendo permanentemente ogni forma di continuità. Qui sono stati i figli a divorare i padri, in un permanente quanto velleitario rifiuto dei nessi di continuità che legano le generazioni. Una nuova modernità invece dovrebbe essere capace di trasmettere valori alle generazioni successive e queste dovrebbero avere nei confronti di quelle precedenti la responsabilità della memoria, anche critica, naturalmente. Ma il vizio maggiore sarebbe lo sradicamento della storia dalla memoria.



Da un punto di vista più generale, nella seconda meta’ di questo secolo, a partire piu’ o meno dagli anni 60, si giunge alla saturazione della modernita’.

La ricerca del nuovo e del veloce, del sempre piu’ nuovo e del sempre piu’ veloce, disgiunta da un telaio di valori di orientamento, aiutata dallo sviluppo della informatica, che ha sostituito con una macchina il cervello dell’uomo, come la rivoluzione industriale aveva sostituto con una macchina le sue braccia, e dallo sviluppo della telematica che ha abbattuto i tradizionali limiti imposti dalla distanza geografica, porta ad una forma di avvitamento senza fine e, a volte, senza scopo.

La forma si scollega sempre piu’ frequentemente dalla funzione come in alcuni mobili di Sottsass o in alcune creazioni architettoniche.

Domina l’esclusivismo di massa, che consiste nel far apparire, attraverso la pubblicita’, come esclusivo di pochi l’uso di una merce o il consumo di una bevanda che sono in realta’ proposti a decine di milioni di persone.

Il consumo si è scisso dalla sua funzione, ha un valore in sé, diventa identità e appartenenza. Si sviluppa il regno dell’apparente e del virtuale. Persino il sesso e’ proposto come virtuale. Cio’ che appare si confonde con cio’ che e’. Il telegiornale si confonde con il film di guerra. Il sondaggio e’ un sostituto dell’analisi dei desideri e dei giudizi dei cittadini. Il partito politico semvra rinunciare alla sua naturale funzione di guida e si rifugia nel mito di Narciso, guarda alla società come specchio di sé e a sé come specchio della società.

Il modello culturale dominante rischia di essere quello della pubblicita’, che annulla ogni distanza tra essere e voler essere e propone modelli di vita direttamente funzionali al consumo, allo spreco, al desiderio-merce. La forma tende a privarsi anche della sostanza, non solo della funzione.



Ma non ci sono solo negatività nel post-moderno come non ci sono solo positività nel moderno classico, che è stato anche totalitarismo, soffocamento di individualità, ingabbiamento.

Il post-moderno rompe schemi e gerarchie, sono messe in discussione, in particolare dai movimenti del ’68, le neutralità nella scuola, nella famiglia, nei tribunali.

La grande differenza rispetto alla fase della modernita’ classica e’ il relativismo. Questa modernità non conosce il relativismo: ha idee-guida ed ideologie, gerarchie, valori, razionalita’, senso di futuro e fiducia nella storia.

Nella fase successiva, quella della saturazione, dominano invece il relativismo, la mancanza di confini, la tendenza allo scambio di tutto contro tutto, alla universale mediazione del danaro e quindi alla mercificazione di tutto cio’ che e’ desiderabile, indipendentemente dalla ammissibilita’ del desiderio.

Sembra che tutto si possa fare; e’ il regno degli iconoclasti senza rischi, dei professionisti dell’infrazione consentita. Lo scambio è misura di tutte le cose. Vale ciò che è scambiabile. Ciò che non è scambiabile o è sacro o è rifiuto. Ma il sacro o è silenzioso, e non si vede, o è visibile ed è a sua volte oggetto di un processo di spettacolarizzazione e mercificazione, come il funerale in mondovisione di madre Teresa, che diventa spettacolo, apparenza priva di verità, perché da esso sono esclusi proprio quei miserabili ai quali la donna aveva dedicato la vita.



Domina, ripeto, il relativismo.

Il corpo è la vittima principale. In una visione mercificatoria delle relazioni umane il corpo perde qualsiasi sacralità. Il povero ha solo il proprio corpo, quando esso ha un valore nelle logiche di mercato, da mettere sul tavolo dello scambio; il corpo diventa il prezzo della cittadinanza; diventa un mezzo o una merce; non ha in sè nulla di intangibile. Il turismo sessuale, il mercato della pedofilia e della prostituzione, il mercato degli organi da trapiantare prelevati nei Paesi del Terzo e Quarto mondo sono appendici consequenziali di questo relativismo.



7) Varie correnti di pensiero parlano di post-moderno, per definire appunto cio’ che accade oggi, nella fase della saturazione della modernita’. Tutti i post-modernismi hanno in comune lo scetticismo circa l’esistenza di una realta’ oggettiva o la possibilita’ di giungere alla sua comprensione tramite mezzi razionali. Questo scetticismo giunge al cinismo.

Il critico letterario Terry Eagleton scrive:

“C’è forse un certo consenso sul fatto che il tipico prodotto postmodernista è giocoso, autoironico e addirittura schizoide; e reagisce all’austerità dell’alto modernismo abbracciando spudoratamente la lingua del commercio e dei beni di scambio….

E più avanti:

“Ci stiamo ora risvegliando dall’incubo della modernità, con la sua ragione manipolatrice e il feticcio della totalità, per passare al pluralismo ripiegato su sé stesso del post-moderno, quella schiera eterogenea di stili di vita e di giochi linguistici che ha rinunciato all’imperativo nostalgico di totalizzare e legittimarsi. La scienza e la filosofia devono liberarsi dalle loro grandiose ambizioni metafisiche e considerarsi, più modestamente, semplicemente un’altra serie di narrazioni”.



Per rendere più chiare le differenze tra moderno e postmoderno cito alcune differenze schematiche tratte da un saggio di uno studioso americano (Hassan, 1995). Si tratta di coppie di parole la prima delle quali appartiene al moderno e la seconda al postmoderno:

finalità/gioco; progetto/caso; gerarchia/anarchia; creazione/decostruzione; presenza/assenza; profondità/superficie; determinatezza/indeterminatezza; trascendenza/immanenza.



Adesso una domanda.

Nella nostra attuale condizione umana, nel momento che sta vivendo il nostro Paese, a chi intende essere classe dirigente che cosa serve per far vivere meglio, per costruire futuro, per garantire diritti a coloro che pur avendone la titolarietà, non possiedono le condizioni materiali per esercitarli, quelli cioè che sono oggi i veri deboli?

Tornando alle coppie di parole sopra indicate, ci serve il caso o il progetto, la superficie o la profondità, il gioco o la finalità?

Non escludo che possano maturare epoche in cui il caso sia preferibile al progetto, il gioco alla finalità e la superficie alla profondità; ma non mi pare che oggi possano esserci di aiuto le categorie del post-moderno. Non lo dico per una scelta preconcetta di campo. Lo dico perché dobbiamo modernizzare l’Italia per alcuni servizi essenziali, come la scuola e l’Università, i trasporti, e la salute. Lo dico perché dobbiamo riscoprire la lotta per la giustizia sociale, che non si sposa al gioco e all’individualismo. Lo dico perché l’ansia del sacro che vediamo presente in tante manifestazioni piccole e grandi, dai funerali di Lady Diana alla sofferta popolarità di questo Papa, non può che trovare risposta in un nuovo rigore intellettuale e morale. Lo dico perché abbiamo bisogno di pensieri forti per combattere relativismo e cinismo, che piegano gli spiriti ed allontanano dalle responsabilità.

Tutto questo si tiene solo in una nuova modernità. Abbiamo già detto che quando si parla di modernita’ si puo’ far riferimento o alla fase attuale della contemporaneita’ caratterizzata dalla saturazione del moderno, oppure alla modernita’ che ormai possiamo definire definire classica nel senso del primato della ragione, della tendenza all’uguaglianza e alla parita’ dei diritti, di accettazione del diverso, di rottura delle tradizionali gerarchie, di rifiuto del regno della lentezza e del sempre uguale a se’ stesso di cui parlava Adorno. Sappiamo, poi, che non dobbiamo confondere questa modernità con il modernismo reazionario, cio’ che si presenta come nuovo ma contiene in se’ discriminazione, imposizione, falsificazione, tutti i caratteri del piu’ tradizionale dominio dell’uomo sull’uomo.

E’ chiaro che il giudizio sulla modernita’ classica non puo’ che essere diverso dal giudizio sulla cosiddetta postmodernita’ e da quello sul modernismo reazionario.

Percio’ in questo corso, bisogna stabilire a quale delle modernita’ si fa riferimento.



9) Non ricorro all’abusato modello del pessimismo dell’intelligenza e dell’ottimismo della volontà. Il primo è cieco davanti alle potenzialità emancipatrici che emergono dai mutamenti del mondo. Il secondo è cieco davanti ai possibili trionfi di nuove barbarie.

Intendo riproporre il razionalismo.

Intendo proporvi lo sforzo di una lucidità illuministica spoglia dell’arroganza di due secoli fa e rispettosa del sacro, che anzi è una parte della ragione moderna.

Tornare alla fatica della comprensione della realtà per poterla trasformare. Tornare perciò alla fatica dello studio; alla consapevolezza delle responsabilità della politica. Tornare al primato di Gramsci.

Umilmente accettare anche i limiti della ragione e temere i suoi eccessi, quelli che portarono due secoli fa a tagliare le teste delle statue dei santi nel duomo di Chartres.

Non arrenderci. Imparare a combattere contro i nuovi oscurantismi, contro le nuove povertà e le nuove prepotenze. Imparare a combattere contro il razzismo, senza essere razzisti contro i nostri avversari.

Porsi di fronte ai limiti per capirli e quindi superarli o conviverci; capire il rischio per trasformarlo in occasione.

Riscoprire il gusto della conoscenza, il valore della determinazione, che si chiama anche volontà politica, praticare il rigore della tolleranza.





10) La fine del bipolarismo ha prodotto una improvvisa e vorace accelerazione del capitalismo ed una confusione tra capitalismo e democrazia. In realtà capitalismo e democrazia hanno una concezione molto diversa del potere. La democrazia crede in una distribuzione egualitaria del potere politico, una persona un voto, mentre il capitalismo ritiene che dovere dell’individuo economicamente più provveduto sia espellere dal mercato quello sprovveduto e condannarlo all’estinzione economica.

Volendo essere crudi, ha osservato in un suo libro recente uno dei massimi econonomisti americani, Lester Thurow, il capitalismo è perfettamente compatibile con la schiavitù. Gli Stati Uniti del sud hanno infatti mantenuto tale sistema per più di due secoli. La democrazia è invece incompatibile con la schiavitù.

In molti paesi profughi dalle tragedie del totalitarismo sovietico si è passati dall’economia pianificata al capitalismo senza democrazia, confondendo il primo con la seconda. La confusione ha prodotto alcune crisi di grandi dimensioni, come quella che ha riguardato l’Albania.

Ma anche nei paesi di salde tradizioni democratiche ed occidentali, le ragioni economiche rischiano di prevalere su quelle democratiche. Soprattutto perchè l’economia è globale mentre la politica è rimasta nazionale. E le ragioni economiche, da sole, sono miopi davanti alle ragioni dei valori.



La terza guerra mondiale, quella tra i due blocchi, è stata vinta dai paesi occidentali a struttura capitalistica.

Ma la vittoria è stata consentita dalle caratteristiche democratiche di questi Paesi che hanno esaltato i vantaggi del capitalismo riducendone i rischi. Oggi, lo ha ricordato il Papa, dobbiamo guardarci dai rischi di una vittoria eccessiva del capitalismo, che non sia temperata dalla forza dei diritti e dalla pratica della democrazia.

Si è estesa notevolmente la libertà di agire, ma non ci deve dimenticare della libertà dal bisogno. I soggetti che non hanno nulla da scambiare, da vendere o da comprare, rischiano di diventare marginali, indipendentemente dal loro essere persone umane.

Il crollo dei sistemi comunisti ha accelerato la crisi delle grandi idee. Poteva essere il tramonto della contrapposizione amico-nemico, e l’inizio della costruzione di nuovi valori civili unanimemente condivisi. Ma non e’ ancora cosi’. Ciascuna grande idea esprime il meglio di se’ e delle proprie ragioni nel confronto con l’avversario. Quando l’avversario ha ceduto, di schianto, come e’ accaduto appunto ai regimi del blocco sovietico, la cultura europea si e’ cullata nella vittoria, si e’ intorpidita nella sicurezza, sembra aver perso la capacita’ di mantenere il primato delle sue idee e dei suoi valori.



Un’agenzia di qualche settimana fa comunicava che su un mercato di Mosca sono stati messi in vendita oggetti in pelle umana, pare provenienti dai lagern nazisti, a prezzi molto alti, per le élites moscovite. Per soli 32.000 dollari potete portarvi a casa un paralume in pelle umana su cui sono ben visibili, a testimonianza dell’autenticità dell’oggetto, i tatuaggi ed i numeri impressi dagli aguzzini sul corpo delle vittime.

Il cinismo della vecchia barbarie si basava sulla bugia del primato del partito. Il cinismo di questa nuova barbarie si basa sul vuoto di valori civili.



La caduta del bipolarismo ha aperto nuove frontiere di libertà, ha restituito la democrazia a Stati che l’avevano persa, prima per responsabilità del nazismo poi per responsabilità del comunismo sovietico. Ma si sono accentuati i rischi del relativismo perchè si è indebolita l’idea stessa del contrapporsi per valori e rischiamo di contrapporci soltanto per interessi. Il mondo del relativismo vive del transitorio, confonde le idee con le opinioni, vive di indifferenza, equipara qualsiasi cosa a qualsiasi altra, considera come oggetti intercambiabili valori come la solidarietà e disvalori come il razzismo.

Il relativismo è il nemico più insidioso di una società che vuole costruire il futuro.

Una generazione, una società, una persona, non può costruire futuro se non determina ciò che non si compra e non si vende.

Molte cose possono essere ragionevole oggetto di scambio. Su molti comportamenti e per molti obbiettivi si può ragionevolmente cedere in vista di altre utilità. Ma e’ necessario che sia altrettanto chiaro il limite dello scambio.

Ciascuno di noi deve avere un punto al di là del quale non si tratta più perchè entrano in giuoco valori non contrattabili, indipendentemente dalla contropartita.

Quando questo limite viene meno, valgono soltanto i rapporti di forza, economica o fisica. Viene meno il senso del sacro e del tragico; l’interesse personale o quello economico diventa misura di tutte le cose. I valori dei deboli non costituiscono piu’ il confine delle azioni dei forti.

Nello stato delle cose credo che il vecchio pensiero reazionario abbia un sogno: che la vittoria del capitalismo possa finalmente segnare la fine della lotta per la liberazione sociale.

Noi non siamo d’accordo. Quella vittoria deve essere radice di più estese libertà, non di nuove sopraffazioni. Altrimenti non avrebbe avuto senso la caduta di un totalitarismo per farne crescere un altro.





11) Tutto questo è una nuova modernità che si distingue da quella precedente, quella che ha dato vita, per reazione, al post-moderno per alcune caratteristiche di fondo, che cerco di elencare sinteticamente.



a) Nella vecchia modernità il rapporto politica società era guidato dalla politica più legittimata e più matura rispetto alla società; oggi è la società che deve guidare la politica con le forme della democrazia e cioè con un voto capace di decidere; la politica deve realizzare i programmi sulla base dei quali ha ricevuto consenso e se non ci riesce deve chiedere un’altra decisione della società. Un segno della non modernità di questo rapporto in Sicilia è costituito dall’impossibilità di scioglimento del Parlamento regionale anche quando non riesce ad esprimere decisioni. E’ il segno di una cultura politica, che incomincia certamente con le attuali classi dirigenti siciliane, fondato sullo schiacciamento della società da parte della politica. Proprio con riferimento a questi fenomeno avevo parlato tempo fa della necessità di desovietizzare la Sicilia. L’auspicio non mi pare superato.



b) La vecchia modernità si fondava sullo Stato pianificatore ed il diritto soggettivo era lo strumento attraverso il quale il cittadino chiedeva a quello Stato di intervenire a tutela dei propri interessi.

La nuova modernità si fonda sullo Stato incentivante, che non ha più l’obbiettivo, spesso gravido di esiti disastrosi, di programmare la vita dei cittadini, ma solo l’ambizione democratica di creare continue occasioni per tutti e perché tutti possano costruirsi il proprio futuro in libertà e indipendenza. Da questa novità derivano alcune conseguenze.

La prima riguarda il peso dei doveri nei confronti degli altri e nei confronti di sé stessi. Tutti debbono avere delle opportunità, ma tutti debbono rispondere del loro operato. Lo Stato programmatore chiedeva fedeltà, non chiedeva responsabilità. Lo Stato incentivante non chiede fedeltà, esige senso del dovere e della responsabilità. Lo Stato programmatore si fondava sul divieto e sul proibizionismo. Lo Stato incentivante si fonda sulla libertà e sulla responsabilità.



c) La nuova modernità ha il senso del limite. La vecchia modernità ci ha dato i fascismi, il nazismo e lo stalinismo, tutte concezioni politiche prive del senso del limite, che per questo hanno seminato orrori e disastri. La nuova modernità non richiede reciproche pacche sulle spalle tra gli eredi dei due totalitarismi, che furono profondamente diversi e che questa diversità hanno trasmesso, almeno in Italia, ai loro eredi. Né richiede ipocrite abiure, sconfessioni e giustificazioni. Questo armamentario è privo di qualsiasi credibilità. Occorre un riesame delle idee ed il rapporto tra le idee di ieri e quelle di oggi, per separare ciò che è vivo da ciò che è morto e per accertarsi che tra le cose vive non sia rimasti qualche traccia di ciò che dovrebbe essere morto. Ma l’unica scelta che ci può salvaguardare davvero riguarda la consapevolezza del senso del limite della politica e della ragione, rispetto ai valori della persona umana, rispetto alle decisioni dei cittadini, rispetto ai diritti delle generazioni future, rispetto al sacro. Quando parlo del sacro mi riferisco ad un nucleo di valori non suscettibili di discussione, che sono indispensabili per determinare gerarchie di valori e funzioni di orientamento nella vita, che segnano le appartenenze ideali di ciascuno, che possono attenere alla religione o alla vita civile. In questo secondo caso si tratta del principio di responsabilità, della non discriminazione, della solidarietà, di quel complesso di scelte, in definitiva, che fanno parte della religione civile.



d) Nella nuova modernità la giustizia sociale non è mai l’alibi per pubbliche pianificazioni e per la costruzione di immani e dispendiose burocrazie. La giustizia sociale è la espressione fondamentale del patto di cittadinanza. Questo patto di rompe se le politiche pubbliche non perseguono nella misura concretamente possibile obbiettivi di giustizia sociale. Soprattutto perché nell’epoca della globalizzazione rischia di perdersi la voce dei poveri, le cui esigenze rischiano di essere incompatibili con i parametri fissati in sedi internazionali.



Abbiamo scelto sei parole per definire questa modernità che segnano i confini geografici, morali e politici della condizione umana di noi che viviamo oggi in Italia.

I confini geografici sono segnati dalle parole Europa e Mediterraneo, i confini morali dalle parole Etica e Repubblica, i confini politici dalle parole Decisione e Flessibilità.



Le conversazioni dei singoli studiosi affronteranno le singole questioni. Qui intendo soltanto richiamare la vostra attenzione sulle ragioni per le quali Repubblica appartiene ai confini morali e su una sintetica riflessione relativa all’Europa.





13) Nella Costituzione la Repubblica appare non come sinonimo di Stato, ma come quello specifico modo di essere dello Stato, voluto dai vincitori della guerra di Liberazione e perciò legato ai valori specifici di quella lotta.

La carta costituzionale infatti richiama le funzioni della Repubblica a proposito di alcune scelte di fondo che in modo particolarmente netto segnano la differenza rispetto al regime fascista e allo Stato prefascista: la garanzia dei diritti individuali e la statuizione dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale, la promozione dell’eguaglianza e della partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, il riconoscimento delle autonomie locali e delle minoranze linguistiche, la promozione della cultura, di politiche per il lavoro, la famiglia e la salute, la tutela dei minori.



La Repubblica italiana, quindi non è neutra. E’ una scelta per valori, che devono ancora pienamente realizzarsi.

Si pensi a tre fenomeni negativi frutto di alcune vecchiezze pre-repubblicane del nostro sistema che solo una piena realizzazione dei valori repubblicani può far superare: l’iniquità fiscale, l’ereditarietà occupazionale, la scarsa redditività delle azioni pubbliche.

La coppia evasione-pressione fiscale è fenomeno sin troppo noto per dover essere chiarito.

L’eredità occupazionale è il fenomeno per il quale il lavoro dipende prevalentemente dall’appartenenza ad una corporazione o ad una famiglia. Recenti studi sulla realtà italiana dimostrano che barriere all’entrata del mercato del lavoro, clausole ereditarie nei contratti collettivi, forme di autotutela professionale da parte di importanti ordini professionali rendono in molti casi pressochè ereditario il posto di lavoro di modo che sui diritti di cittadinanza prevale l’appartenenza a famiglie o a corporazioni

La scarsa redditività delle azioni pubbliche è dimostrato dal fatto che la nostra spesa sociale è nella media europea, ma i nostri servizi sociali non rientrano in quella media; che le nostre leggi nazionali sono più o meno quanto quelle di altri Paesi 13.000 con le circa 10.000 di Germania e Francia,ma la confusione normativa da noi è più alta che altrove; che l’istruzione in Italia costituisce purtroppo un’eccezione negativa nel panorama europeo pur in presenza di una dotazione infrastrutturale (docenti, edifici etc.) non dissimile da quella di altri paesi europei.

La sostanza della Repubblica e’ stata per troppo tempo trascurata. Nell’opera di rifondazione del sistema politico e dei suoi valori costitutivi e’ necessario riaffermare il valore propositivo e dinamico della forma repubblicana dello Stato come punto qualificante della nostra identita’ nazionale e come carattere essenziale di una nuova etica pubblica e di un nuovo modo di intendere la cittadinanza.

I valori repubblicani, intesi come partecipazione, come rapporto stretto tra diritti e doveri da un lato, e tra responsabilità e solidarietà dall’altro, costituiscono un prezioso patrimonio anche nel processo di costruzione di un nuovo spirito pubblico, di un nuovo orgoglio nazionale, di una nuova etica dei privati senza la quale, in democrazia, non c’è neanche l’etica pubblica.



14) In questo secolo e’ mutato il ruolo dell’Europa. Nonostante il fatto che il 90% delle pubblicazioni scientifiche compaia in quattro lingue europee, inglese, russo, francese e tedesco (l’osservazione e’ di Hobsbawm) l’eurocentrismo delle scienze e’ finito nel ventesimo secolo. Negli anni dei fascismi, moltissime intelligenze scientifiche si trasferirono negli USA per sfuggire alle persecuzioni politiche e razziali, dove poi sono rimaste. E’ minore, ma non irrilevante, il numero degli scienziati che durante lo stalinismo sono fuggiti dai paesi dell’Est sempre verso gli USA.

Le due guerre mondiali, svoltesi soprattutto sul territorio dell’Europa hanno posto prima il problema della distruzione, risolto, ahime’ brillantemente, dagli eserciti e poi quello della ricostruzione, affrontato con enormi sacrifici dai governi e dalle popolazioni nazionali, rallentando enormemente lo sviluppo della scienza e della tecnologia nel continente europeo. Fra il 1930 e il 1933 solo sette premi Nobel per materie scientifiche sono stati assegnati agli USA che ne hanno invece ricevuti 77 tra il 1933 e il 1970. Residenti negli USA sono almeno un terzo dei premi Nobel per la scienza di origine asiatica.

In un mondo sempre piu’ unificato dalle telecomunicazioni il fatto che le scienze naturali parlino una singola lingua universale ed operino con un’unica metodologia ha contribuito a concentrare gli scienziati laddove c’erano le piu’ adeguate risorse per la ricerca e quindi negli USA.

Ma perche’ usare il metro dello sviluppo scientifico per provare il tramonto nel XX secolo dell’eurocentrismo tipico del secolo precedente? La ragione e’ semplice. In nessun’altra fase della storia dell’umanita’ la scienza e la tecnologia sono entrate nella vita quotidiana come nella seconda meta’ di questo secolo. La cassiera di un supermercato passa il pacco di riso sopra il lettore ottico del computer che traduce il codice a barre, fa l’addizione di tutti i prodotti acquistati, sottrae dalla somma lasciatale dal cliente quanto egli le deve e quindi comunica il tutto e rilascia lo scontrino, avvalendosi di sofisticatissime tecnologie il cui contenuto ignora, che potrebbe eventualmente apprendere solo dopo lunghi anni di studio, ma che e’ semplicissimo usare, almeno sinché funzionano.

Moltissimi di noi usano il computer abitualmente, come una volta la penna o la macchina da scrivere. Per i calcoli ci si avvale in tutto il mondo di macchinette tanto piu’ piccole quanto piu’ sono sofisticate. Le radio e le tv a transistors, i telefoni portatili, il fax sono oggi strumenti assolutamente ordinari per vivere, comunicare, lasciare traccia di se’.

Siamo destinati ad essere gli eterni vassalli dei Paesi che hanno saputo diventare il centro della massima elaborazione scientifica del mondo oppure c’e’ un futuro di ricchezza scientifica e quindi culturale e umana anche per l’Europa e i paesi europei?

Europa, per noi europei non può significare solo moneta ed unità politica; deve significare anche identità, storia e memoria, deve significare anche impegno per un primato civile da riconquistare.