La scuola e la storia del ‘900


Roma, 09/18/2000


***Seminario promosso dal Ministero della Pubblica Istruzione e dall''Istituto dell''Enciclopedia italiana***


Ho accolto con interesse l’invito a partecipare al seminario di oggi.
Ne risulterà un bilancio del programma di rinnovamento metodologico e della didattica della storia del ''900, avviato dal Ministro della Pubblica Istruzione nel novembre 1996, e giunto ormai al quarto anno scolastico.
L’impegno di molte centinaia di specialisti che esercitano la professione dell’insegnamento, docenti, dirigenti scolastici, Provveditori, funzionari del Ministero, ha portato a risultati importanti sia per la formazione degli insegnanti che per la concreta realizzazione dei due sottoprogetti mirati rivolti alle scuole primarie e agli istituti superiori.
E’ stato significativo, inoltre, il riconoscimento internazionale del progetto “i giovani e la memoria” che ha portato il nostro Paese a far parte della Task-Force Holocaust on Education Remembrance and Research, su espresso invito dei Paesi promotori del gruppo e non tramite la procedura di richiesta di adesione.
Le esperienze didattiche e pedagogiche effettuate sinora costituiscono una risorsa preziosa per il nuovo impegno internazionale. Penso in particolare ad uno dei più importanti settori di azione della Task-Force: quello dei programmi di cooperazione formativa con i Paesi dell’Est Europa volti a promuovere e a rafforzare la pedagogia della storia dello sterminio e la didattica della Shoah.

Negli ultimi due anni decine di istituti hanno inviato alla Camera i lavori prodotti da studenti e docenti nell’ambito del progetto “I giovani e la memoria”.
Molti sono di straordinaria qualità e testimoniano della passione civile, oltreché dell’impegno condiviso dai ragazzi e dagli insegnanti per la loro realizzazione. Per il livello di riflessione e di analisi che propongono, per la tecnologia informatica utilizzata, per l’elevato grado di consultabilità questi lavori costituiscono dei veri e propri sussidi didattici che potrebbero essere conosciuti ed utilizzati da pedagogisti e da altri studenti e docenti delle scuole italiane.
Essi costituiscono uno dei risultati positivi del programma di rinnovamento della didattica della storia che è stato avviato e rappresentano un tassello prezioso nello sforzo che dobbiamo compiere per rispondere concretamente alla minaccia che insidia la memoria dei campi di sterminio.
Il dovere civile che abbiamo di ricordare e di far ricordare la Shoah non può fondarsi unicamente sulla memoria. Deve fondarsi anche sul dovere della storia.
La storia di questo secolo ci dice che l’intelligenza dei giovani di oggi ( anche quella degli adulti, aggiungerei) deve essere consapevole, vigile e attenta ai rischi involutivi della civiltà.
La globalizzazione ha portato con sé un aumento del senso di insicurezza perché l’interdipendenza tra le varie parti del mondo sviluppato porta all’ingovernabilità dei fattori che condizionano la nostra vita quotidiana. Questa insicurezza può essere affrontata mediante una visione intelligente del reale, che cerca di capire le cose che accadono, conoscerne le ragioni e le possibili linee di evoluzione, capace di cogliere gli aspetti positivi della mutevolezza che caratterizza i nostri tempi e fortificare il proprio stato d’animo. La nostra condizione umana ci chiede oggi la forza di affrontare il sempre mutevole collocando al centro della vita i grandi valori ideali della cultura italiana ed europea non come nostalgici richiami al passato ma come proposizione di una nuova modernità, che supera le frantumazioni ed il relativismo del post-moderno e si riconosce in nuove grandi razionalità unificanti.
Non tutti sono capaci di reggere l’impegno intellettuale che ci richiedono i mutamenti del reale. E quindi riemergono in Italia, in Europa, in varie parti del mondo, i richiami a nuove discriminazioni di carattere religioso o civile, a nuove chiusure, a tesi riduzionistiche delle tragedie del passato che su quelle discriminazioni si fondavano. C’è il tentativo, che io considero tanto miserevole quanto disperato, di ricostruire un ordine fondato sulle categorie della guerra, dello scontro, dell’ignoranza delle ragioni dell’altro, della trascuratezza della storia.
A Venezia si tiene sino a fine ottobre la biennale di architettura. Il titolo è Less aesthetics more ethics, il perno è la città, l’idea, mi sembra, la rivalorizzazione della modernità. Mi permetto di invitare chi può farlo a visitare la mostra, con una guida o muniti di quegli apparecchi che spiegano il significato delle opere. L’architetto è allo stesso tempo testimone e profeta perché disegna nel presente, ma per quelli che ci saranno dopo. Da questa mostra si capisce che le trasformazioni e i cambiamenti ai quali assistiamo sono accompagnati non solo da conflitti, povertà nuove e vecchie, disperazione, migrazioni, rifugiati, ma anche da una grande energia, da grandi nuove libertà, dalla moltiplicazione delle informazioni, da una nuova cultura in cui le differenti origini ed i diversi paesi di provenienza si confondono dando vita, in alcuni casi ad espressioni e a vitalità straordinarie, che segnano il nuovo vivere in modo ricco, civile, pieno di valori e di fiducia.
La storia, quindi, anche come capacità di leggere il presente sulla scorta delle esperienze già fatte.
Ma c’è un altro motivo per insistere nella conoscenza del Novecento. Da molte parti si definisce la società nella quale viviamo come la società della conoscenza. Ma a questa qualificazione non si connette una visione generale della conoscenza con un permanente intreccio tra conoscenze tecnologiche e conoscenze umanistiche. Sembra che la conoscenza sia solo quella tecnologica; è un errore quello della scissione della tecnologia dai valori della persona, che già altre volte ha prodotto tragedie.
L’insegnamento della storia contemporanea è un antidoto al meccanicismo che a volte accompagna la conoscenza tecnologica divorziata dai valori della persona. La storia comunica il significato delle istituzioni politiche democratiche come luoghi nei quali affrontare gli ostacoli e le difficoltà, risolvere i problemi, attraverso la capacità di confrontare idee diverse e di decidere responsabilmente.
Conoscere il ''900 serve ai giovani a formare la propria identità individuale e collettiva. Chi non conosce la propria storia recente si appiattisce sul presente. Fa fatica a trovare un senso dell’esistenza che vada al di là del contingente. Non riesce a dare significato e prospettiva alla propria azione, ai propri progetti, al proprio modo di essere nella società.
Nella conoscenza della storia del ''900 la scuola, quale primaria agenzia educativa, svolge un ruolo fondamentale. E tutte le istituzioni formative sono chiamate a lavorare insieme alla scuola per lo sviluppo ed il rafforzamento dell’identità civile del nostro Paese.
In questa legislatura la Camera dei deputati ha sviluppato una serie di iniziative sotto il profilo legislativo e della promozione culturale e formativa rivolta in particolare alle giovani generazioni.
Le ragazze e i ragazzi di diverse scuole superiori hanno partecipato al convegno con cui abbiamo ricordato il 55° anniversario della resistenza della Divisione Acqui a Cefalonia.
La Camera ha dedicato agli studenti la proiezione a Montecitorio del film “Memoria, i sopravvissuti raccontano” che raccoglie le testimonianze di ex-deportati nei campi nazisti.
In occasione del 60° anniversario della promulgazione delle leggi razziste, abbiamo pubblicato il volume sulla legislazione antiebraica che è stato inviato a centinaia di scuole che l’hanno richiesto.
La Camera è sede delle importanti giornate di studio, promosse con il Ministero della Pubblica Istruzione e l’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia. Dopo quelle sulle leggi razziste e sulla questione balcanica, quest’anno l’incontro sarà dedicato a “La costruzione della democrazia e i diritti di cittadinanza nell’Italia repubblicana”.
Anche sul piano dell’attività legislativa sono stati conseguiti risultati importanti.
Lo scorso gennaio è stata presentata una proposta per l’istituzione della Giornata della memoria. In due mesi la Camera ha esaminato il progetto, approvandolo il 28 marzo con un solo voto contrario. La proposta è poi stata definitivamente approvata dal Senato il 5 luglio. Con questa legge anche l’Italia, così come altri sette Paesi europei, sceglie di rinnovare ogni anno la memoria della Shoah ricordando insieme ai 5 milioni e duecentomila ebrei sterminati anche le centinaia di migliaia di deportati militari e politici italiani rinchiusi e sterminati nei lager.
L’istituzione di questa giornata costituirà un’occasione importante per riflettere sulle leggi razziste, sulla lunga rimozione dalla nostra coscienza civile nazionale delle responsabilità individuali e collettive negli anni in cui per migliaia di cittadini italiani fu decretata la morte civile, l’espulsione dalle scuole, dalle università, dai posti di lavoro. Per ricordare i pochi civili e religiosi che in Italia ebbero il coraggio di dare una mano ai propri concittadini, a chi fino al giorno prima sedeva accanto a loro in ufficio o sui banchi di scuola.
Vorrei ricordare qui un unico dato, documentato da una recente ricerca. Solo negli atenei, furono oltre quattrocento, ed il numero è ancora in difetto, i professori che persero la cattedra o l’incarico perché furono dichiarati ebrei.
Per molti di loro alla discriminazione subita in quegli anni seguirono gli ostacoli connessi al reintegro, alle restituzione dei diritti violati.
Per tornare ad insegnare venne richiesto ai docenti di produrre il certificato di buona condotta morale, civile e politica! Ai professori che erano emigrati in America il Ministero, accogliendo positivamente le loro domande, si affrettava a precisare che nessun rimborso era previsto per le spese del viaggio di ritorno, quasi che essi facessero rientro da una lunga e volontaria vacanza.
Dopo la caduta del regime fascista, ci sono voluti oltre 80 provvedimenti normativi per bonificare l’ordinamento italiano dalle disposizioni discriminatorie antiebraiche, senza contare gli altri provvedimenti abrogativi necessari ad eliminare le norme relative al razzismo coloniale.
Il 17 marzo scorso la Camera ha approvato la proposta di legge per la partecipazione dell’Italia al Fondo internazionale per le vittime delle persecuzioni naziste. Essa prevede che il contributo italiano sia utilizzato anche per progetti volti a prevenire fenomeni di razzismo e di antisemitisimo. Il 20 luglio scorso questo progetto è stato definitivamente approvato dal Senato.
In questi mesi, mentre la Repubblica Federale Tedesca sta mettendo a punto il funzionamento del Fondo di compensazione a favore degli ex lavoratori coatti in Germania, Parlamento e Governo sono impegnati per ottenere un giusto riconoscimento per i cittadini italiani, militari e civili costretti a lavorare in condizioni di schiavitù nei campi di concentramento e nelle fabbriche tedesche dal 1943 al 1945.
L’impegno permanente per non cancellare la memoria dei campi di sterminio, per conoscere le vicende e le argomentazioni che portarono all’affermazione del principio di discriminazione, senza i quali quei campi non avrebbero mai efficientemente funzionato, deve fondarsi sulla conoscenza della storia.
Credo sia pericoloso spostare questa tragedia, e la pedagogia che ne scaturisce, dal terreno dei fatti e dei dati concreti al puro spazio della memoria, che rischia di essere inevitabilmente soggettiva, di scivolare dalla testimonianza all’esposizione e all’argomentazione letteraria.
Contro Auschwitz, contro la Risiera di S. Sabba, contro il nazismo, contro la discriminazione ed il razzismo, si educa con la storia, con la forza dei fatti e della ragione. Poi sulla storia si potrà innestare la memoria. Io temo però una memoria che con il tempo si distacchi dalla storia.
La storia è comunicabile, può essere oggetto di un insegnamento, può entrare a far parte direttamente del patrimonio di ciascuno, è la base per una formazione ed un’identità civili. Ma senza la memoria può restare una sequenza di fatti non illuminati dal sentimento.
La memoria dal canto suo, senza la storia, ha un tasso di soggettività altissimo; scissa dalla storia può stimolare sentimenti, compassioni, desiderio di lotta, ma difficilmente riesce a dar vita ad una permanente posizione civile.
Solo la connessione tra storia e memoria ci può consegnare una verità che diventa coscienza civile.
L’insegnamento della storia del ''900 costituisce un elemento fondamentale nel percorso formativo delle giovani generazioni.
Abbiamo bisogno di una didattica della storia capace di far sorgere nei giovani la domanda fondamentale della conoscenza e della passione civile: perché e come ciò é potuto accadere?
Continuare a porsi questa domanda sulla Shoah, come su tutti i fatti del ''900, anche da parte di chi non ha conosciuto direttamente quei fatti o i loro testimoni è il migliore antidoto contro il rigurgito della discriminazione.
Ma questa domanda è anche il motore di volontà e di ragione indispensabile per far sì che, come dice Giovanni Miccoli, “alla società degli uomini resti un qualche assillo di capire sé stessa” (G. Miccoli, I dilemmi ed i silenzi di Pio XII, Milano 2000), per opporsi al rischio permanente della relativizzazione, dell’indifferenza, della distrazione.
Abbiamo bisogno di una didattica della storia, come quella che sta affermandosi con i nuovi programmi di formazione avviati, orientata a far acquisire ai giovani un approccio critico alle fonti, a far conoscere i modi con i quali ciascun fatto, ciascun documento diviene storia, nella consapevolezza che esso non è di per sé una fonte storica se non viene prima contestualizzato, e se non ne viene compresa la sua funzione sin da quando esso viene prodotto.
Questo approccio metodologico serve a far capire che non ci sono fonti di verità assoluta e dogmatica. Serve a insegnare ai giovani l’attitudine a problematizzare il proprio approccio con la conoscenza. A non appiattire l’impegno intellettuale di studio e di apprendimento su una mera operazione di assimilazione di nozioni storiografiche preconfezionate.
La conoscenza diretta dei documenti e dei monumenti della discriminazione e dello sterminio serve a sviluppare, anche nelle scuole, uno studio critico del razzismo, delle dinamiche di discriminazione e dei dispositivi ideologici messi in opera per giustificarle.
Contribuisce a far conoscere i modi con i quali nell’ ''800 e nel ''900 furono inventate le razze e a sfatare il mito autoassolutorio che nega la presenza del razzismo nella storia del nostro Paese.
Serve a sviluppare una sensibilità critica nei confronti delle molteplici espressioni dell’ideologia razzista a partire dalla ricostruzione del sistema discorsivo e delle “argomentazioni ragionevoli” che ne garantiscono l’operatività.
In questo quadro io trovo essenziale il rapporto con il Parlamento, massima sede della rappresentanza e dell’unità nazionale. Alcuni parlamenti di recente democrazia ci hanno chiesto documentazione su questo nostro lavoro per riproporlo nella loro esperienza paesi; ci sono giunte richieste, ad esempio, dalla Slovenia, Ungheria, Polonia e Croazia.

La Camera sta valutando in questi giorni la possibilità di destinare una parte del suo archivio storico alle centinaia di lavori sulla storia del Novecento e sull’educazione alla legalità che ci sono stati inviati dalle scuole e, più in generale, di aprire il suo Archivio storico anche agli studenti e agli insegnanti dell’ultimo anno delle scuole superiori.
Crediamo così di poter offrire un ulteriore strumento di lavoro e di conoscenza ai ragazzi ed ai docenti che sono impegnati nel programma di storia del ''900 e nel progetto ”I giovani e la memoria”.